Nel 1978 si assiste alla prima vera rivoluzione del genere Meisaku che, dopo tante storie dolci e soavi introduce, non senza traumi nel pubblico, una trama di carattere crudo e vividamente realistico, tratta dal romanzo In Famiglia (1893) di Hector Malot. Per la prima volta il Meisaku si lancia nel sociale anima e corpo, creando un opera di denuncia contro il lavoro minorile, che affronta tematiche parallele sul razzismo, il lavoro e i contributi salariali. L’operazione è solo parzialmente riuscita. Esaminiamola nei dettagli.
Peline è una bambina di 13 anni che vive in India con i genitori. Il Padre, di origini francesi, è figlio di un ricco industriale che lo ha allontanato dopo che questi ha scelto di sposare una donna anglo-indiana, da cui ha avuto appunto Peline. Sperando di riallacciare i rapporti col vecchio magnate la famiglia sceglie di partire e tornare in Francia, intraprendendo un tortuoso viaggio verso l’Europa. Solo Peline giungerà a destinazione, spogliata di tutti i suoi averi e denutrita, sceglierà di lavorare nella fabbrica del nonno sotto falso nome.
Avviciniamoci a questo anime parlando della sceneggiatura. Il romanzo da cui Peline Story è tratto, presenta connotazioni violente e realistiche, “In famiglia” non è un libro per bambini, scelta rara questa, che si ripeterà poche altre volte, e che, comunque, resta il testo dai connotati più tragici tra tutti quelli scelti per un Meisaku. Questo realismo dai toni truci ha imposto agli sceneggiatori giapponesi (Hiroshi Saito) un addolcimento della storia che la discosta dalla trama originale in svariati punti, mantenendo comunque un andamento conforme al romanzo. Gli incidenti e le morti che si ripeto in fabbrica, sono parecchio edulcorate. Restano gli eventi chiave, anche quelli drammatici, ma molti, che non avrebbero alterato la trama, sono stati addolciti. L’introduzione del cane Barone, assente nel romanzo, contribuisce ad alleggerire la trama, creando scene anche divertenti, così da rendere più fruibili alcune puntate al pubblico infantile.
Anche la psicologia di Peline si discosta leggermente da quella originale. Nel romanzo la ragazzina è molto meno matura, meno incline alla sopportazione dei soprusi e ha spesso accese discussioni (anche colorite) che nell’anime non sono presenti. Peline viene presentata come un acuto osservatore dei fatti, che li analizza e li elabora trasmettendo concetti di pace, eguaglianza e giustizia. Nel romanzo tutto questo è affidato al testo e non alle parole della bambina, cosa che avrebbe però dovuto introdurre una insistente voce narrante nella produzione animata. La scelta quindi non è criticabile, in quanto, nelle 53 puntate, il carattere della ragazzina viene snocciolato con perizia, evidenziando luci ed ombre, sicurezza e incertezza. Tratti tipici di un’età preadolescenziale dunque, che viene però spesso accantonata in favore di una maturità adulta, che riesce quindi a digerire ed assimilare gli eventi drammatici che la circondano.
Il tema sociale, preponderante in tutta la serie mostra con una certa veridicità le tragiche condizioni di lavoro nelle fabbriche di fine ottocento. Peline si batterà strenuamente per migliorare le condizioni di vita dei suoi colleghi andando anche a cozzare contro il Nonno-Padrone che finirà comunque per affezionarsi a lei. Questo aspetto proto-sindacale che Peline mostra, riprende in modo calzante il romanzo. L’aspetto razziale invece, nell’anime viene completamente evitato. Nel testo originale il vecchio Vulfran esordisce spesso con frasi pesantemente offensive nei confronti della donna che gli ha strappato il figlio (che però lui ignora essere anche la madre di Peline), con connotati razzisti e violenti. Nell’anime l’unico motivo di odio verso la donna è dettato dall’allontanamento e della disgregazione della sua famiglia.
Fiumane di parole sono state scritte su Peline Story, interpretandolo in chiavi che, spesso, non hanno nulla a che vedere con l’anime. C’è chi ha visto in Peline lo stereotipo dell’emigrante, chi ha visto il simbolo della lotta operaia, ma sono mere illazioni dettate da sentimentalismi e temi di attualità. Peline è un prodotto del 1979, che non si arroga affatto di essere portavoce di ideologie politiche. Il suo unico fine è una concreta denuncia sociale contro il lavoro minorile (alla quale seguiranno altri titoli nel filone Meisaku della Nippon Animation, da sempre impegnata in questo campo). Ne consegue che, come accade spesso, uno vede nelle cose quello che vuole vedere, interpretandole secondo i suoi gusti personali, ma restando obbiettivi Peline è solamente una bambina che lotta contro le ingiustizie che si trova davanti, con una determinazione pari a quella di un adulto.
Come accennavo prima tuttavia l’operazione di denuncia sociale è solo parzialmente riuscita. Questo perchè l’ammorbidimento delle scene più crude del romanzo fanno si che spesso non si noti quanto cruente e disumane fossero le reali condizioni di lavoro nella fabbrica di Maroucurt.
In Italia l’anime come al solito è ignominiosamente modificato. Pochi i tagli alle scene, troppi i dialoghi storpiati o addolciti. Le situazioni violente e realistiche, già comunque scarse nell’opera originale, che sono funzione della denuncia sociale sono spesso del tutto sostituite.
Il disegno è tipico del meisaku, dettagliato, corretto, pulito, con grande attenzione ai particolari. Per la prima volta si notano luci ed ombre definibili con una certa precisione.
Peline è una bambina di 13 anni che vive in India con i genitori. Il Padre, di origini francesi, è figlio di un ricco industriale che lo ha allontanato dopo che questi ha scelto di sposare una donna anglo-indiana, da cui ha avuto appunto Peline. Sperando di riallacciare i rapporti col vecchio magnate la famiglia sceglie di partire e tornare in Francia, intraprendendo un tortuoso viaggio verso l’Europa. Solo Peline giungerà a destinazione, spogliata di tutti i suoi averi e denutrita, sceglierà di lavorare nella fabbrica del nonno sotto falso nome.
Avviciniamoci a questo anime parlando della sceneggiatura. Il romanzo da cui Peline Story è tratto, presenta connotazioni violente e realistiche, “In famiglia” non è un libro per bambini, scelta rara questa, che si ripeterà poche altre volte, e che, comunque, resta il testo dai connotati più tragici tra tutti quelli scelti per un Meisaku. Questo realismo dai toni truci ha imposto agli sceneggiatori giapponesi (Hiroshi Saito) un addolcimento della storia che la discosta dalla trama originale in svariati punti, mantenendo comunque un andamento conforme al romanzo. Gli incidenti e le morti che si ripeto in fabbrica, sono parecchio edulcorate. Restano gli eventi chiave, anche quelli drammatici, ma molti, che non avrebbero alterato la trama, sono stati addolciti. L’introduzione del cane Barone, assente nel romanzo, contribuisce ad alleggerire la trama, creando scene anche divertenti, così da rendere più fruibili alcune puntate al pubblico infantile.
Anche la psicologia di Peline si discosta leggermente da quella originale. Nel romanzo la ragazzina è molto meno matura, meno incline alla sopportazione dei soprusi e ha spesso accese discussioni (anche colorite) che nell’anime non sono presenti. Peline viene presentata come un acuto osservatore dei fatti, che li analizza e li elabora trasmettendo concetti di pace, eguaglianza e giustizia. Nel romanzo tutto questo è affidato al testo e non alle parole della bambina, cosa che avrebbe però dovuto introdurre una insistente voce narrante nella produzione animata. La scelta quindi non è criticabile, in quanto, nelle 53 puntate, il carattere della ragazzina viene snocciolato con perizia, evidenziando luci ed ombre, sicurezza e incertezza. Tratti tipici di un’età preadolescenziale dunque, che viene però spesso accantonata in favore di una maturità adulta, che riesce quindi a digerire ed assimilare gli eventi drammatici che la circondano.
Il tema sociale, preponderante in tutta la serie mostra con una certa veridicità le tragiche condizioni di lavoro nelle fabbriche di fine ottocento. Peline si batterà strenuamente per migliorare le condizioni di vita dei suoi colleghi andando anche a cozzare contro il Nonno-Padrone che finirà comunque per affezionarsi a lei. Questo aspetto proto-sindacale che Peline mostra, riprende in modo calzante il romanzo. L’aspetto razziale invece, nell’anime viene completamente evitato. Nel testo originale il vecchio Vulfran esordisce spesso con frasi pesantemente offensive nei confronti della donna che gli ha strappato il figlio (che però lui ignora essere anche la madre di Peline), con connotati razzisti e violenti. Nell’anime l’unico motivo di odio verso la donna è dettato dall’allontanamento e della disgregazione della sua famiglia.
Fiumane di parole sono state scritte su Peline Story, interpretandolo in chiavi che, spesso, non hanno nulla a che vedere con l’anime. C’è chi ha visto in Peline lo stereotipo dell’emigrante, chi ha visto il simbolo della lotta operaia, ma sono mere illazioni dettate da sentimentalismi e temi di attualità. Peline è un prodotto del 1979, che non si arroga affatto di essere portavoce di ideologie politiche. Il suo unico fine è una concreta denuncia sociale contro il lavoro minorile (alla quale seguiranno altri titoli nel filone Meisaku della Nippon Animation, da sempre impegnata in questo campo). Ne consegue che, come accade spesso, uno vede nelle cose quello che vuole vedere, interpretandole secondo i suoi gusti personali, ma restando obbiettivi Peline è solamente una bambina che lotta contro le ingiustizie che si trova davanti, con una determinazione pari a quella di un adulto.
Come accennavo prima tuttavia l’operazione di denuncia sociale è solo parzialmente riuscita. Questo perchè l’ammorbidimento delle scene più crude del romanzo fanno si che spesso non si noti quanto cruente e disumane fossero le reali condizioni di lavoro nella fabbrica di Maroucurt.
In Italia l’anime come al solito è ignominiosamente modificato. Pochi i tagli alle scene, troppi i dialoghi storpiati o addolciti. Le situazioni violente e realistiche, già comunque scarse nell’opera originale, che sono funzione della denuncia sociale sono spesso del tutto sostituite.
Il disegno è tipico del meisaku, dettagliato, corretto, pulito, con grande attenzione ai particolari. Per la prima volta si notano luci ed ombre definibili con una certa precisione.
In sostanza un anime storico, bello, fondamentale. Che non centra, a mio parere, completamente il motivo per cui è stato prodotto ma che, senza dubbio, è una visione importante e formativa da mostrare ai bambini per sensibilizzarli verso certi aspetti ancora tremendamente attuali. Anche gli adulti possono godere comunque di un prodotto sobrio, intelligente, con una trama che coinvolge e raccontato dagli sceneggiatori nipponici in modo alquanto elegante.
Solo a ripensarci mi viene davvero un'angoscia.
Concordo con narzal cmq...le storie di una volta erano di una angoscia infinita...nn si trovava mai un bambino/a con una infanzia felice!
Sono contento che si parli di questo classico su AnimeClick, ma devo fare qualche osservazione ad Aduskiev. Il suo pezzo inizia con
<i>Nel 1978 si assiste alla prima vera rivoluzione del genere Meisaku che, dopo tante storie dolci e soavi introduce, non senza traumi nel pubblico, una trama di carattere crudo e vividamente realistico</i>
Questa frase è semplicemente falsa: prima di Peline ci sono stati Patrasche e Remi che sono entrambi molto più crudi e drammatici di Peline. Ricordo benissimo che ai tempi l'anime di Peline mi era piaciuto proprio in quanto molto meno drammatico di Remi. Patrasche l'ho visto piu' tardi ed ha il finale piu' tragico in assoluto di tutti i Meisaku.
Anche a livello di opere originali non sono convinto dall'osservazione
<i>resta il testo dai connotati più tragici tra tutti quelli scelti per un Meisaku</i>
Non ho letto "En famille", ma ho letto "Sans Famille" e conosco la trama de "Il cane delle Fiandre" ed è difficile essere più tragici di così.
<i>L’aspetto razziale invece, nell’anime viene completamente evitato.</i>
Anche questo non è vero. Più di una volta nell'anime il nonno ammette che ce l'ha con la madre di Remì in quanto indiana. Per come le cose sono messe nell'anime sembra che il problema sia di nazionalità più che di colore della pelle, però lo spettatore capisce capisce benissimo che in realtà si tratta di razzismo. L'ho capito anch'io che ero un bambino: non a caso la madre di Peline è disegnata con la pelle e i capelli scuri.
Per il resto sono d'accordo con la recensione. Viva i classici!
Non ho mai visto in un shoujo-anime tanti personaggi morti o dal destino sfortunato come in Candy Candy.
L'essenza dell'animazione nipponica è questa. Prodotti creati a più strati...Volete denuncie più pesanti della miseria di quelle che ci sono in Remì ?? Leggetevi Dickens.
Adu però due parole sulla sigla..la preziosa sigla che mi ha fatto sempre tremare i polsi.
Lei non è Giorgia Lepore ma va bene lo stesso
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Sul testo: La differenza sta nel contesto. Patrash e Remì sono indubbiamente due romanzi tristi. Soprattutto Patrasche che è la quinta essenza della tragicità fine a se stessa. Tuttavia le vicissitudini di Patrash e Remì sono molto simile e dettate dalle avversità della vita. L'antagonista è il mondo intero. Peline invece ha un antagonista in carne e ossa, ossia Vulfrag. La drammaticità aumenta in quanto la mala sorte non è dettata da variabili aleatorie (e spesso anche un po' labili) quanto dalla ferma intenzione di infliggere male e dolore da parte di qualcuno. In soldoni: se la sofferenza deriva da un fulcro tangibile è logico pensare che questa possa essere interrotta (cosa che Peline riesce a fare). Se è imposta come castigo divino è chiaro che nessuno può farci niente. Subentra quindi una sorta di rassegnazione del lettore/spettatore che si trova di fronte a una sequela di "sfighe" a cui nessuno, se non il Padre Eterno, può porvi rimedio. Per questo parlo di drammaticità aumentata, in quanto il dramma di Peline è decisamente più tangibile.
Sul tema razziale: Nell'anime, il vecchio non odia la donna in quanto indiana (razzismo), ma come fautrice dell'allontanamento del figlio (risentimento). E' pur vero che spesso Vulfran apostrofa la donna con epiteti poco cordiali, riferendosi anche al suo paese d'origine, ma il razzismo dovrebbe essere riferito a un pregiudizio basato sul colore della pelle, sulla cultura o su basi prettamente asettiche da un punto di vista affettivo. Un motivo per odiare la madre di Peline, Vulfran invece, ce l'ha ed è molto chiaro. Nel romanzo invece il vecchio è apertamente razzista con l'intero popolo indiano. Questo e molti altri "addolcimenti" hanno castrato lo spessore narrativo di questo romanzo, sicuramente destinato a un pubblico maturo (per il 1978, nell'ottocento era sindacabile). Per questo parlo di "obbiettivo non centrato".
Sul razzismo, secondo me c'e' *implicitamente* anche nell'anime, ma ammetto che la cosa e' opinabile. Sul discorso "obbiettivo non centrato" non critico perche' non ho motivi per contraddirti (ci credo che il romanzo sia piu' socialmente impegnato dell'anime). Noto comunque che non e' detto che lo scopo di un anime debba per forza essere quello di veicolare al 100% il messaggio dell'opera originale.
Cmq parliamoci chiaro Pelin è un anime in cui il dramma è ben dosato, Remì per esempio nonostante l'età non riesco a rivederelo (paure inconsce?). Il successo di un anime si basa sulla giusta dose di vari elementi (esclusi quelli moderni) e specialmente sugli adattamenti da libri famosi alcune scelte vanno fatte. Vi ricordo che solo il veleno preso a piccole dosi è sopportabile ed induce ad immunità. L'unica eccezione a questa regola che mi viene in mente è Lady Oscar, che vira sul sociale nell'ultima parte, con una violenza rivoluzionaria impressionante. Per quanto riguarda il razzismo trovo che la scelta adottata con Pelin sia felice, nella serie si mostra che è sempre presente (colore della pelle) ma che successivamente può anche essere ignorato. Spingersi più a fondo su un anime per bambini avrebbe significato dover spiegare molte volte la situazione coloniale dell'800. Per quanto riguarda Candy la situazione è differente, lì si tratta di:
Elitismo dei ricchi sui poveri
morti necessari a causa della guerra
Alcolizzati causa vera situazione americana del tempo e drammaticità shoujo.
Ovviamente il senso di "tragicità" è soggettivo. Persone diverse reagiscono in modo diverso ai vari eventi. Essendo una recensione la mia e non un saggio ho potuto dar fondo a tale soggettività. E' chiaro che tu puoi essere in disaccordo, anzi, è più che legittimo. La mia risposta non era nfatti una smentita alle tue affermazioni, quanto più una spiegazione ai miei punti di vista
Per il messaggio, la Nippon Animation ha dichiarato più volte negli anni '70 durante il Caplis Comic Theatre che il suo obbiettivo era proprio quello della fedeltà al romanzo originale, dato che, fino ad allora, tutti gli esperimenti animati nipponici su storie occidentali erano visti in chiave prettamente orientale (Gatto con gli stivali, Viaggi di Gulliver). Quindi per questo mi son sentito di sottolineare la cosa.
@ Ironic74
Le nonne sono state le più grandi veicolatrici del successo dei Meisaku (o Orfanelle, dir si voglia), chiaramente la mia non fece eccezione
@Belvedere
Condivido in pieno la tua analisi sulle differenti scelte di sceneggiatura.
E' uno dei pochi meisaku che credo di non aver mai visto, ma dato che ho da poco riscoperto il genere, e che di questa serie sono usciti i cofanetti dvd, sai mai un giorno deciderò di colmare la lacuna...
E aggiungo: è stato interessante anche leggere le considerazioni degli altri. Sono oramai un lurker da anni qui, ma ci tenevo a sottolineare il valore di questo spazio, bravi tutti e grazie Animeclick.
E' sempre bello confontarsi con voi e leggere le vostre critiche. Non vorrei essere sfrontato, ma una critica spesso è più costruttiva di dieci complimenti. Ho apprezzato davvero le obiezioni mosse da Micheles e da tutti sul mio testo, obbiezioni che evidenziano quanto sia soggettiva l'interpretazione di un'opera e quindi, che ci sia sempre da imparare
Nutro una grande passione per il genere Meisaku, che, caso strano forse, apprezzo decisamente più ora che sono adulto di quando ero ragazzo. La delicatezza nel trattare temi così difficili, sentimenti forti, disgrazie tangibili rende i Meisaku un filone davvero particolare e squisitamente Giapponese. E' triste pensare che questa stessa sensibilità che l'Europa aveva nel XIX° secolo si sia persa col tempo, lasciando spazio a una letteratura infantile molto più sobria e fantastica, che poco ha di attinente con la realtà della vita e con la pedagogia del bambino. Nessuna madre farebbe leggere "En famille" ad un figlio prepubescente, resta quindi Peline, che deve ricordare ai nostri figli che, i drammi della vita sono sempre in agguato e che li spinge a riflettere su quanto esigui siano i piccolo crucci di un bambino italiano agiato di fronte a ben altre realtà. Insomma, a mio avviso, un modo per spingere il bambino a limare capricci e pretese e poi, non dimentichiamolo, una visione gradevole anche per ogni adulto.
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