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Era un venerdì l’11 marzo del 2011, quando alle 14:46 (le 6:46 in Italia) il Giappone ha subito la scossa di terremoto più forte della sua storia (la settima in quella di tutto il mondo), con una magnitudo di 9.0, un epicentro in mare a 30 km di profondità e una durata di 6 minuti. Non è un errore di battitura, non sono 6 secondi o 60 secondi, ma sono proprio 6 lunghissimi minuti. L’Ave Maria nella colonna sonora di Cowboy Bebop dura 5 minuti e 47 secondi, un po’ meno quindi, ma provate ad ascoltarla e immaginate che per tutta la durata del brano e per altri 13 secondi la terra sotto di voi si muova e tutto quello che c’è attorno a voi cada in terra. Impressionante, vero?
Ma il peggio doveva ancora venire: la scossa ha provocato uno tsunami con onde alte mediamente più di 10 metri (per darvi un’idea come una palazzina di circa tre piani) che si sono abbattute sulle coste nord orientali del paese ad una velocità di 750 km/h arrivando fino a 10km nell’entroterra e trascinando via con sé tutto quello che hanno trovato sul loro cammino: case, scuole, ospedali, vagoni ferroviari, barche e mercantili. La cittadina di Otsuchi ha il triste primato di essere stata colpita dall’onda più alta: 40 metri di acqua che hanno provocato la morte o la scomparsa del 10% della popolazione.

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Ma il peggio doveva ancora venire: il terremoto e lo tsunami hanno colpito anche diverse centrali nucleari. Il danno peggiore lo ha subito l’impianto di Fukushima Daichi: onde alte 13 metri hanno investito la struttura danneggiando il sistema di alimentazione e provocando un blackout che ha disabilitato il sistema di raffreddamento. I reattori hanno così iniziato a surriscaldarsi provocando una serie di esplosioni che hanno danneggiato maggiormente la struttura dell’edificio e hanno provocato il rilascio di una nube radioattiva con conseguente evacuazione della zona per un raggio di 60 km. L’evento è stato catalogato come incidente di classe 7, la stessa di Chernobyl.
Il bilancio della tragedia è ancora provvisorio. Si parla di quasi 16.000 morti, di più di 5000 feriti e di 2668 dispersi, le cui ricerche non si sono mai interrotte da parte di polizia e guardia costiera. Le abitazioni distrutte sono state più di 400.000 mila e gli sfollati ammontano a 315.000.
Ma, a più di due anni di distanza, qual è la situazione in Giappone? Come procede, se procede, la ricostruzione? E la bonifica delle zone radioattive? E la popolazione come vive tutto questo?
Queste sono le domande che molti di noi si sono posti nei giorni in cui le commemorazioni per il secondo anniversario della tragedia hanno trovato posto anche sui tg nazionali. Questo reportage vuole provare a dare una risposta, anche se parziale, a queste domande.

Ripresa aerea dell'arrivo dello Tsunami sulle coste giapponesi



Tepco: incompetenza involontaria o negligenza calcolata?
TEPCO è in realtà un acronimo che sta per Tokyo Electric Power Company ed è la più grande compagnia elettrica del paese. Fornisce energia a tutta la regione del Kanto, Tokyo inclusa, producendola per metà da fonti quali carbone, metano e petroli, per l’altra metà da tre centrali nucleari. Una di quest'ultime è il sito di Fukushima Daichi.
In questi ultimi due anni sono state rivolte molte critiche alla Tepco, sia per l’incompetenza dimostrata nella gestione dell’emergenza, sia per l’estrema reticenza nell’ammettere i problemi, gli incidenti e i rischi per la popolazione. Solo nell’ottobre del 2012, a causa delle continue pressioni da parte dell’opinione pubblica, è stata istituita una task force interna all’azienda, supervisionata da un comitato composto da cinque membri esterni, per fare una valutazione globale della crisi. Ne è seguita una conferenza stampa alla metà di marzo 2013, nella quale la Tepco ha pubblicamente riconosciuto che le attrezzature e le norme di sicurezza erano totalmente insufficienti e che il loro aggiornamento era fortemente in ritardo. Ha inoltre ammesso di non aver informato adeguatamente sui rischi e le difficoltà incontrate.

Video dell'esplosione alla centrale nucleare di Fukushima



Questa pubblica ammenda da parte dell’azienda non ha però convinto molti suoi detrattori, visto che poco dopo sono emersi altri gravi problemi, i quali hanno evidenziato come la struttura di Fukushima Daichi sia molto fragile e si basi su un equilibrio che definire precario è eufemistico.
A cavallo fra marzo e aprile 2013 ci sono stati ben otto incidenti, che hanno provocato diversi blackout, durati parecchie ore, con conseguente interruzione del sistema di raffreddamento delle piscine di stoccaggio delle barre di combustibile. Anche se la temperatura non ha mai superato i 65 gradi celsius, oltre la quale potrebbe iniziare la fusione del materiale radioattivo, la Tepco è stata molto riluttante nell’informare gli organi di stampa di quanto era avvenuto.
Inoltre gli addetti alla sicurezza dell’impianto si sono accorti che le vasche per raccogliere l’acqua contaminata (usata per raffreddare le barre di combustibile) perdono perché sono “sparite” 120 tonnellate di acqua radioattiva; non si sa con esattezza dove il liquido sia finito, ma gli alti valori di cesio radioattivo (7400 volte il limite consentito) rilevati in pesci pescati nelle vicinanze della centrale fanno temere un travaso nell’oceano. Ora la Tepco si sta affrettando a costruire dei nuovi contenitori in acciaio, anche se tutto questo non fa che allungare i tempi di disattivazione e messa in sicurezza della centrale, stimati in 40 anni. Per non parlare dei costi: si stimano 100 miliardi di dollari per lo smantellamento dei reattori e 400 miliardi per compensare le vittime e decontaminare le aeree intorno all’impianto.

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Ma cifre del genere ovviamente sono accompagnate anche da inevitabili speculazioni.
La Tepco non gestisce personalmente i lavori, ma si affida ad altre ditte cui subappalta le opere; quest'ultime a loro volta fanno la stessa cosa con ditte più piccole, innescando una lunga catena che rende difficile sapere chi stia facendo cosa. Così facendo, durante questo percorso i soldi stanziati si perdono in molti rivoli, perché ogni ditta si prende la sua quota e alla fine ai lavoratori restano le briciole. Secondo un’intervista condotta dalla Reuters, gli operai, in forma del tutto anonima, hanno denunciato condizioni di lavoro stressanti, paghe molto basse e alloggi minuscoli.
Inoltre l’indignazione pubblica verso la Tepco si riflette anche sui suoi dipendenti: il professore Jun Shigemura, docente di psichiatria del National Defense Medical College, ha dichiarato che essi “sono a rischio di seguire le orme dei reduci di guerra, respinti dalla società al loro ritorno, col rischio di diventare persone senza fissa dimora, alcolisti e possibili suicidi”.
Queste persone poi non possono lavorare per lunghi periodi continuativi, pena l’esposizione ad una dose eccessiva di radiazioni. Alla fine del 2012 la Tepco ha fornito dati a dir poco preoccupanti: 146 suoi lavoratori e 21 a contratto avevano superato l’esposizione massima ammissibile di 100 millisievert in 5 anni.

Pierpaolo Mittica - immagine scattata nella No-Go Zone, la zona di evacuazione che si estende per venti chilometri di raggio a partire dalla centrale nucleare di Fukushima

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Fonti consultate:
www.nhkworld.com
www.newsonjapan.com
www.arigato.it
www.japantoday.com
www.nippolandia.it
www.japantimes.com
www.newsdalgiappone.com
www.enrocketnews24.com
www.studiare(da)giapponese.com