Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a live action, con Memorie di una geisha, Tenshi no koi e La foresta dei pugnali volanti.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Trionfatore nella notte degli oscar del 2002 con il musical "Chicago", l'ex coreografo Rob Marshall cambia registro e punta la macchina da presa verso il lontano oriente con il biografico "Memorie di una geisha" (2005), "melodrammone" di oltre due ore tratto dal romanzo omonimo di Arthur Gordon e prodotto da Steven Spielberg.

Il film narra la vita della famosa geisha Sayuri, venduta a soli nove anni e destinata ad una gloriosa carriera nell'Uki-o, "il mondo che fluttua", per deliziare i ricchi signori con le sue arti. Ma il suo spirito ribelle e il suo temperamento passionale la porteranno a vivere intense emozioni e infinite vicissitudini, fra le quali l'incontro con l'uomo che la farà innamorare, lo scontro con la collega rivale Hatsumomo, e l'amicizia con la gentile Mameha, che la farà diventare la più leggendaria geisha di Kyoto.

Sin dalle prime inquadrature appare evidente la volontà del regista di descrivere un mondo esotico con dovizia di particolari, ma è proprio l'ostentazione di esotismo che alla lunga risulta artificiosa e poco credibile, rivelando un'operazione allestita a uso e consumo di "occhi occidentali". La regia non fa mistero di ispirarsi alla Hollywood più collaudata e, a fronte di un impagabile studio sui costumi e le scenografie, anche solo la scelta di far interpretare le belle giapponesi esclusivamente ad attrici cinesi fa naufragare qualsivoglia pretesa di attendibilità filologica. C'è poi il risvolto storico della guerra e la conseguente scomparsa delle secolari tradizioni nel Giappone aperto all'occidente, temi interessanti ma leggibili solo col microscopio, talmente sono abbozzati.
La colonna sonora dell'eterno John Williams si avvale del virtuoso violinista Itzhak Perlman (come in "Schindler's list"), rivisita in modo accurato le musiche del recente passato nipponico e dona con i suoi potenti temi un'atmosfera densa e suggestiva.
Oltre all'eccellente cast tecnico, fra gli attori brillano stelle di assoluta grandezza, già ultra famose in occidente (tanto per assicurare un minimo di riscontro al box office), a cominciare da Zhang Ziyi, Ken Watanabe, Michelle Yeoh e per finire la divina Gong Li, nelle vesti della rabbiosa e triste Hatsumomo, in una magistrale (benché marginale) interpretazione che da sola vale la visione del film.

In conclusione, "Memorie di una geisha" convince solo a metà: esteticamente è delizioso, per il confezionamento complessivo che mette in luce la bravura e la professionalità delle maestranze (dai costumisti agli scenografi, dalla musica alla fotografia), ma dietro la costosa impalcatura della macchina scenica e oltre il fascino delle primedonne si avverte impietosa l'assenza di un'anima orientale profonda e credibile che finisce per smascherare l'intero progetto. Insomma, lo sguardo rivolto a oriente di Marshall sortisce al massimo l'effetto di una sbirciatina. Un immediato paragone con titoli di ben altro spessore della cinematografia del "far east" sarà inevitabile ("Lanterne rosse" e "Addio mia concubina", solo per citare due titoli "al femminile" con protagonista la stessa Gong Li) e dal confronto queste appariscenti "memoir" ne usciranno alquanto malconce.



7.0/10
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Siamo in ospedale, e la paziente risponde al nome di Rio Ozawa, quattordici anni. La madre compila la cartella mentre Rio è seduta in sala d'attesa, in disparte da tutti. Si sente scrutata e giudicata, ma soprattutto sola, proprio come l'uomo seduto con lei dall'altra parte dell'albero addobbato con palline bianche e rosse. Siamo nel periodo di Natale, la musica di Indigo Blue suona lenta e lieta come sottofondo, mentre i due pazienti seduti ai lati dell'albero addobbato a festa si sentono morire. Entrambi soli e disperati. Feriti. Questo incontro fatale fra i due, che non hanno nulla in comune se non il dolore che li ha portati fin lì - lui per un tumore al cervello, lei non si sa precisamente, almeno per ora, per quale motivo la madre la costringe a trovarsi in quel posto -, si ripeterà tre anni dopo.
Rio ha diciassette anni adesso. Si sente già donna, con il suo bellissimo corpo messo in mostra, fasciato da abiti vistosi e all'ultima moda, sfoggiati con sicurezza. Non sembra avere nulla in comune con la ragazza impaurita di tre anni prima, stretta nel suo cappotto scuro e col cappello di lana calcato sugli occhi. Oggi Rio prende da sé le sue decisioni: dove dormire, cosa comprare, chi frequentare; raccoglie i soldi sul letto e nasconde a tutti i suoi mille volti. Il volto allegro che mostra alle compagne di marachelle, quello di ragazza popolare a scuola, quello di fidanzata invidiabile o quello di amante segreta e dolcemente devota. Rio prende tutto ciò che le si offre, senza far distinzioni, né preoccuparsi di sbagliare, ferire e perdersi: la sua vita fatta di eccessi è presa con la totale leggerezza dell'essere. Come se le ragazze di questa storia vivessero una vita comune, fatta di mille foto assieme, e giornate tra i banchi di scuola e shopping sfrenato. Nulla - se non nei primi dieci minuti del film - fa trapelare un problema di fondo: ricatti, prostituzione, inganni e segreti assumono il carattere di un gioco di cui la protagonista è padrona discreta, senza alcune conseguenze o remore.

Vi è un carattere innaturale e scanzonato nelle dinamiche relazionali, così come nella personalità della protagonista, la cui psiche è costruita in maniera così semplice e cristallina, che il repentino cambio di comportamento non risente di alcuna difficoltà nell'accettazione. E' abbastanza improbabile che una liceale che svende il suo corpo da tempo, mente a tutti e cela molteplici vite segrete con ognuna delle sue conoscenze (senza la minima difficoltà, tra l'altro!), si liberi di tutto questo senza aver bisogno di una fase intermedia. Un periodo in cui comprende che ciò che ha non le basta più, che l'incontro col ragazzo dei suoi sogni possa aver messo in dubbio la sua vita attuale. Decidere se vale la pena o meno cambiare, e infine, accettare il cambiamento - che è una fase antecedente all'atto stesso.
Invece la storia evolve, così come viene. Persino gli intoppi non sembrano essere realmente tali, perché non provocano uno smarrimento profondo nei personaggi, che subito se ne dimenticano e proseguono con le loro vite. Le tipiche problematiche della società giapponese vengono mostrate, ma non denunciate col giusto garbo. Qualche dramma qui e là a turbare l'esistenza scorrevole di Rio: alcune scene sembrano già viste, altre un po' prevedibili, ma sempre godibili e piuttosto simpatiche. L'intera storia regge poco, ma in fondo ciò che ci viene propinato non dispiace, specialmente per come ci viene mostrato. Infatti, il punto forte del film è l'immagine. Le riprese hanno saputo giocare su inquadrature ampie, in cui i due protagonisti, Rio e Kouki, si trovano come due piccole figure in uno spazio spianato e suggestivo. Le scenografie sanno comunicare molto più della sceneggiatura, e ad accompagnare queste scene ci sono le musiche giuste. Insomma, se non altro il comparto tecnico vale, e si presenta sopra la media, innalzando i discreti meriti di questo film del 2009 di Yuri Kantake.

Tenshi no Koi significa letteralmente "Angel's Love", ma per una volta il titolo inglese, "My rainy days", ha molto più senso. Infatti, i due innamorati - la cui differenza d'età non si presenta come un problema poi tanto spaventoso - attaccano bottone in un giorno di pioggia in cui lei, con la sua solita intraprendenza che prevarica sul carattere schivo e riservato di lui, coglie il pretesto per dividere lo stesso ombrello e passeggiare assieme. Il viso tutto pepe di Nozomi Sasaki ci fa prendere il film col giusto stato d'animo, ossia quello di un leggero godimento, un ottimo passatempo senza premura alcuna. Un po' più impegnata è la recitazione di Shosuke Tanihara (nei panni del co-protagonista Kouki Ozawa), ma non è certo lui a risollevare il film... Semmai, questo merito spetta alla fotografia.



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Dopo il successo da oscar del kolossal La tigre e il dragone di Ang Lee e la ribalta mondiale del genere wuxiapian, anche il geniale regista Zhang Yimou (già Leone d'oro con Lanterne rosse) si cimenta in un film in costume votato all'avventura rocambolesca e romantica.
Siamo nella Cina del IX secolo durante il declino della dinastia Tang e la Casa dei Pugnali volanti è una setta segreta che trama nell'ombra per rovesciare il cattivo governo. Mei è una giovane geisha sospettata di appartenere al clan ribelle. Quando due guardie imperiali, nel tentativo di stanare i cospiratori, decideranno di agire sotto copertura usando Mei come esca, l'amore galeotto sconvolgerà i loro piani…
Il film è un piccolo concentrato di perizia tecnica ed eleganza stilistica: una favola sospesa nel tempo e avvolta da un velo di poesia. Svincolata dai toni epici e ingombranti di Hero, la vicenda assume i contorni circoscritti di una trama poliziesca in cui si innesca il meccanismo perverso dell'intreccio sentimentale. Sul piano visivo spicca la sontuosa fotografia di Christopher Doyle, con la sua puntigliosa cura dell'inquadratura e un sistematico cambio di filtri cromatici a seconda delle scene. Le spettacolari scenografie e i raffinatissimi costumi completano il quadro. Il regista, con consumata maestria e innato gusto estetico, in ogni scena riesce a sorprendere con qualche piccola meraviglia. In particolare colpiscono i coreografici duelli all'arma bianca sui quali spicca l'incredibile sequenza del "passo dell'eco danzante", quest'ultima di una bellezza mozzafiato.
Il cast annovera bravi attori perfettamente a loro agio nei personaggi: si tratta di Andy Lau e Takeshi Kaneshiro, nel ruolo dei due amici/rivali, e della bellissima e bravissima Zhang Ziyi, che qui mette in mostra tutti i suoi talenti, dalla danza al canto e, non ultima, la recitazione: davvero notevoli i suoi progressi dai tempi de La tigre e il dragone, ora si muove con la sicurezza di un'attrice consumata.
Zhang Yimou ci regala un film ispirato e affascinante e con la sua direzione virtuosistica riesce a nobilitare in arte un genere popolare, votato all'azione pura, come il wuxia. La sua inesauribile ispirazione e la sua abilità dietro la macchina da presa ne fanno un autore di assoluto valore nel panorama mondiale e senza dubbi il più famoso regista cinese di tutti i tempi.