Nei fumetti e nei cartoni animati giapponesi, di solito, aprile è il mese degli inizi, delle riprese, delle nuove vite, dei nuovi anni scolastici simboleggiati da turbini di petali di ciliegio rosa.
Per me è stato il contrario, ed è ad aprile che ho lasciato il Giappone per tornare a Roma e alla mia vecchia vita, dopo esser fortunatamente riuscito a spostare il mio volo di qualche giorno rispetto ai miei piani iniziali.
Il Giappone mi ha, però, salutato nel modo più classico possibile e, dunque, i petali di ciliegio li ho avuti anch'io.
Ho visto il primo ciliegio in fiore nel giardino di un tempio durante il mio weekend a Kyoto, a una decina di giorni dalla fine di marzo, e, al mio ritorno ad Okazaki, petali rosa e bianchi avevano già cominciato a comparire negli angoli più insospettabili della città: nei parcheggi dei centri commerciali, a due passi dall'edificio della scuola, nei giardini dei templi.
Ma, soprattutto, a Naka-Okazaki, la parte centrale della città dove sorge il maestoso Okazaki-kouen, il parco principale della città.
In questo bellissimo parco, al cui interno vi sono anche un laghetto, un fiumiciattolo, il tradizionale castello di Okazaki, un santuario shinto e un museo dedicato a Ieyasu Tokugawa (uno dei più grandi personaggi della storia del Giappone, nato proprio a Okazaki), ogni primavera si tiene un matsuri dedicato alla fioritura dei ciliegi, assai pubblicizzato già all'arrivo alla stazione ferroviaria di Naka-Okazaki, dalla quale parte un bellissimo viale di alberi fioriti che conduce al parco.
Sono capitato nel parco durante una passeggiata, in un assolato sabato pomeriggio con temperature praticamente estive e quel che mi sono trovato davanti agli occhi è stata forse la cosa più "giapponese" mai vista in tre mesi di permanenza.
Famiglie che mangiavano e bevevano saké sul prato in riva al fiume, sotto ai ciliegi in fiore; bancarelle che vendevano crepes, takoyaki, yakitori, taiyaki, giocattoli, maschere con personaggi di cartoni animati, mele caramellate, pesciolini rossi; ragazze che passeggiano in kimono.
Trovarsi dal vivo all'interno di queste scene già viste a fumetti e a cartoni animati centinaia di volte fa un effetto strano e bellissimo, al punto che da queste emozioni sono rimasto quasi sopraffatto e mi sono messo a scattare foto in maniera compulsiva, quasi temendo che quel fiorito Giappone potesse fuggirmi via dai ricordi.
Sono tornato al parco la mattina del giorno successivo, invitato dai suonatori di taiko con cui ho fatto amicizia, che si sarebbero esibiti insieme ad un'altra trentina di gruppi nello spettacolo clou del matsuri.
Dopo aver visto tutte le loro prove ogni domenica, pensavo di essermi ormai abituato alle esibizioni di taiko, ma mi sbagliavo. Fra le prove e lo spettacolo c'è una grande differenza, e se già ci si emoziona a vedere i suonatori esercitarsi in tuta e t-shirt,vederli suonare in uniforme su un palco che pare affrescato dalla scuola Kano è ancora più incredibile, soprattutto perché all'esibizione si sono uniti suonatori di shamisen che proprio non mi aspettavo e che hanno reso il tutto ancora più affascinante.
Purtroppo, quel giorno pioveva, quindi ho dovuto rinunciare ai miei piani di girare per il parco, fare foto, guardare il museo e il castello, mangiare qualcosa alle bancarelle e, soprattutto, indossare il kimono comprato a Kyoto non si è rivelata un'idea tanto felice.
Nonostante il tempaccio, il matsuri è stata ugualmente una bella esperienza, conclusasi col ritorno al tempio dove si svolgevano le esercitazioni domenicali, dove il gruppo di suonatori ha organizzato un pranzo al quale sono stato invitato.
Ancora una volta, ho potuto constatare come i Giapponesi abbiano dell'Italia un'idea un po' falsata, che si ferma alle borse di Gucci, al Padrino, ai "macaroni-western" (i film di Sergio Leone), alle Ferrari e alla mafia, ma è stato molto piacevole chiacchierare e confrontarsi sulle rispettive culture intorno ad una tavola imbandita e ricca di cibi e bevande di vario tipo, di cui il maestro di taiko mi riempiva piatti e bicchieri ridendo.
Calza a pennello, per descrivere l'atmosfera in cui mi sono ritrovato nel Giappone del matsuri di primavera, la sigla di chiusura di Shuriken Sentai Ninninger, la serie sentai di quest'anno, che in turbine di castelli tradizionali, taiko, ciliegi, ponti, balletti e torii raffigura in maniera allegra e festosa tutto ciò che ho vissuto sulla mia pelle.
Una delle cose più difficili dei miei ultimi giorni in Giappone è stata abituarsi all'idea che avrei dovuto lasciare i miei compagni di classe, coi quali si era venuta a creare una buona amicizia, aldilà dei differenti paesi e culture ai quali appartenevamo.
Con loro ho condiviso diverse esperienze molto piacevoli e mi sono tolto alcuni sfizi che sarebbe stato un delitto non provare, dato che mi trovavo in Giappone, fra giri in sala giochi, partite a vecchi giochi di carte anni '80 in ludoteca, esportazione in Giappone di "cucù col morto" (gioco di carte molto popolare in Sicilia), cene al ristorante italiano attratti dalla radio che mandava (e sentirle in un paese così lontano come il Giappone è strano e bellissimo insieme) canzoni di Max Pezzali o Pino Daniele.
Tanto piacevole, ma anche un po' imbarazzante, è stato andare in un bagno termale di Okazaki, più simile ai bagni pubblici in stile Ranma 1/2 che alle terme naturali.
Sfatiamo subito un facile mito a cui sicuramente voi che leggete avrete pensato trovandovi di fronte alla parola "terme": vi erano chiaramente una sezione maschile e una femminile, quindi dove ho fatto il bagno io non c'erano ragazze a mostrarmi le loro grazie, ma vecchietti e papà che insegnavano a nuotare ai figlioli piccoli.
Molto conforme alla realtà, quindi, la situazione mostrata in manga come Thermae Romae, dove i bagni termali giapponesi sono visti come un luogo tranquillo e piacevole dove rinfrancare il corpo e lo spirito e trovare un po' di pace e relax.
Ci vuole un po' per abituarsi alla temperatura dell'acqua che inizialmente ti fa girare un po' la testa e per superare quel po' di imbarazzo dovuto allo stare tutto nudo nella vasca, ma fare il bagno alle terme è davvero rilassante e confortevole.
Al complesso dove sono andato io non mancava davvero nulla. C'erano vari tipi di vasche, in una stanza interna o in un bel giardinetto all'aperto, con idromassaggio o senza, più o meno calde. Nell'edificio delle terme c'erano anche un piccolo barbiere e vari distributori, di bibite o di oggetti per il bagno.
Ho avuto modo di provare anche i bagni termali di un paio di alberghi a Kyoto e Tokyo, accessoriati come e più del complesso di Okazaki, anche se lì c'era una vasca sola e molta meno gente.
Come ultimo compito da svolgere per il corso, mi è toccato scrivere una composizione, poi trasformata in una presentazione di Power Point da mostrare a compagni e professori, sulla comparazione di elementi del Giappone e del proprio paese d'origine.
Il mio progetto, dato che già tutti avevano parlato di cucina e discutere di quanto la metropolitana di Roma sia più brutta rispetto a quella di Tokyo non mi sembrava così interessante, ha avuto come argomento il modo in cui i fumetti e i cartoni animati giapponesi sono concepiti in patria e in Italia.
Proiettare la sigla di Sailor Moon e il cristallo del cuore in Giappone, mentre ne spiegavo le differenze con la sigla giapponese, davanti a una platea proveniente da vari paesi del mondo che non capiva un acca di italiano ma dopo due minuti già canticchiava la melodia, è stata, probabilmente, una delle cose più epiche che mi è capitato di fare nella vita.
C'è da dire che la scuola ci ha indubbiamente messo del suo, nel farmi "pesare" il mio ritorno in Italia, organizzando una cerimonia di chiusura del trimestre dove agli studenti che tornavano al loro paese toccava tenere un discorso di commiato a professori, staff, compagni ed amici che invece restavano, con tanto di filmato che raccoglieva foto del trimestre appena passato insieme e una canzone strappalacrime in sottofondo.
Essendo una persona dalla lacrime facile, io ho cominciato a commuovermi già alla prima nota, per continuare durante tutta la cerimonia. Il colpo di grazia mi è stato dato dal classico foglio con i saluti dei compagni di classe, quello che nei fumetti e nei cartoni animati danno sempre ai personaggi che si diplomano o si trasferiscono e che non pensavo fosse una cosa "reale".
Chiaramente, il mio foglio dei saluti era pieno zeppo di adesivi e disegni delle guerriere Sailor, fra i tanti commoventi pensieri scritti dai miei compagni di classe.
Last but not least, come ultimo ricordo insieme ai compagni di classe, siamo riusciti a organizzare un piacevole pomeriggio al karaoke. Era una delle cose che più desideravo provare in Giappone ed esserci riuscito mi ha reso talmente felice che credo di aver monopolizzato il microfono per circa metà delle canzoni che abbiamo eseguito.
Siamo andati in un karaoke della popolare catena Cote d'azur. Ci sono un po' di magagne burocratiche necessarie per registrarsi prima di poter entrare a cantare, ma sono presenti anche diversi sconti per gli studenti e/o le comitive.
Una volta presa la camera, si può usufruire senza limite del distributore di bevande mentre si canta.
Cantare al karaoke in Giappone è qualcosa di straordinario, molto diverso e molto più bello di quello che si può immaginare pensando ai karaoke nostrani.
Nella tracklist del Cote d'azur c'era veramente di tutto. Mancavano solo, comprensibilmente, pezzi italiani, ma non stento a credere che vi fosse praticamente qualsiasi pezzo esistente in giapponese o in inglese.
Fra i pezzi che ci siamo divertiti a cantare, ridendo come pazzi per un intero pomeriggio, "Moon Pride" di Sailor Moon Crystal, "Pegasus Fantasy" di Saint Seiya, "Butterfly" di Digimon Adventure, "Ready" di One Piece, "Youkai Taisou Daiichi" di Youkai Watch (una canzone attualmente popolarissima in Giappone), la canzone portante di Totoro, "My heart will go on" di Celine Dion, "Can you feel the love tonight?" di Elton John (una delle mie canzoni preferite, cantarla in un vero karaoke giapponese è stata un'emozione indescrivibile), "Listen to your heart" dei Roxette, "Soul Man" dei Blues Brothers, "Eye of the tiger" dei Survivor, "Right here waiting for you" di Richard Marx.
Ma qual è la musica che va di moda adesso in Giappone? Come già detto in altre occasioni, difficile stabilirlo, quando vivi in una città che musicalmente sembra chiusa in una voragine e isolata dal mondo sin dal 1999. Fra le poche eccezioni c'è però "Dragon Night" dei Sekai no owari, una canzone che sta riscuotendo un ottimo successo, tanto da venire programmata spesso e volentieri alle radio ed essere persino presente nell'ultimissimo Taiko no tatsujin.
E' difficile tornare in Italia dopo tre mesi passati in Giappone. Non fosse per gli scatoloni stracolmi di fumetti a cui ancora devo trovare una collocazione nella mia libreria, direi che è stato tutto un sogno.
Mi manca molto, adesso, la tranquilla Okazaki.
Mi manca girare per le sue librerie gigantesche, per i negozi di giocattoli, per i supermercati stracolmi di cibi trash. Mi manca il venerdì pomeriggio passato al parco sotto i pruni o a perdersi nell'immensa libreria del centro commerciale per poi comprare una pizza al ristorante italiano, pagare la bolletta in un conbini che ti piazza a tradimento alla radio il tema di Indiana Jones e poi farsi due risate guardando anime brutti insieme all'amica italiana che è partita con me. Mi mancano i taiyaki al cioccolato bianco, le korokke, il ristorante Bikkuri Donkey che, a seconda della collocazione, mandava alla radio solo musica occidentale degli anni '90 o '50.
Mi manca ballare "Let's go, onmyouji!" al MaiMai in sala giochi, leggere Hotman cercando di tradurne i mille termini tecnici e nel frattempo resistere alle lacrime di commozione, prendere il té insieme agli amici del taiko.
Mi manca alzarmi la mattina presto per guardare gli anime in tv accoccolato nel mio caldo futon mangiando Pocky.
Mi manca la scuola, col tuo professore che per spiegarti il verbo "aiutare" inscena un gioco di ruolo dove tu sei Kamen Rider che deve salvare una ragazza da un cattivo.
Mi mancano la riflessiva Kyoto coi suoi templi e la sua tranquillità e la folle Tokyo coi suoi grattacieli, la folla, le luci e la musica.
Ho impressa nella mente la mia ultima notte in Giappone, quel pittoresco notturno di Akihabara fra grattacieli e ciliegi in fiore che ho ritrovato, identico a come l'ho visto io, nel video della bella "Ryoukiteki na kisu wo watashi ni shite" dei Gesu no kiwami otome, canzone di questa estate che mi è stata fatta conoscere da un mio compagno di classe.
Ero partito con mille ansie e mille dubbi, ma quel paese così strano e insieme così bello ha finito per distruggerli colpendoli a tutta forza con una bacchetta per il taiko.
Mi dispiace un po' di non aver potuto girare molto per luoghi più turistici o famosi, ma nella mia piccola Okazaki me la sono passata egregiamente, facendo esperienze divertenti, interessanti, utili ed indimenticabili che mi hanno restituito quell'amore per il Giappone che si stava affievolendo a furia di fissare ideogrammi brutti e cattivi sui libri di testo cercando di impararli per osmosi.
Tornerò in Giappone? Sicuramente sì, mi piacerebbe tantissimo poter tornare a Okazaki e completare gli altri trimestri del corso di lingua e ci sto facendo più di un pensiero.
Per il momento, mi accontenterò di tornare nella mia piccola fumetteria di fiducia, che ho tre mesi di manga arretrati da comprare, serbando nel cuore il ricordo di questo bel sogno che, spero, diventi la base per qualcosa di ancora più bello in un futuro non troppo lontano.
Per me è stato il contrario, ed è ad aprile che ho lasciato il Giappone per tornare a Roma e alla mia vecchia vita, dopo esser fortunatamente riuscito a spostare il mio volo di qualche giorno rispetto ai miei piani iniziali.
Il Giappone mi ha, però, salutato nel modo più classico possibile e, dunque, i petali di ciliegio li ho avuti anch'io.
Ho visto il primo ciliegio in fiore nel giardino di un tempio durante il mio weekend a Kyoto, a una decina di giorni dalla fine di marzo, e, al mio ritorno ad Okazaki, petali rosa e bianchi avevano già cominciato a comparire negli angoli più insospettabili della città: nei parcheggi dei centri commerciali, a due passi dall'edificio della scuola, nei giardini dei templi.
Ma, soprattutto, a Naka-Okazaki, la parte centrale della città dove sorge il maestoso Okazaki-kouen, il parco principale della città.
In questo bellissimo parco, al cui interno vi sono anche un laghetto, un fiumiciattolo, il tradizionale castello di Okazaki, un santuario shinto e un museo dedicato a Ieyasu Tokugawa (uno dei più grandi personaggi della storia del Giappone, nato proprio a Okazaki), ogni primavera si tiene un matsuri dedicato alla fioritura dei ciliegi, assai pubblicizzato già all'arrivo alla stazione ferroviaria di Naka-Okazaki, dalla quale parte un bellissimo viale di alberi fioriti che conduce al parco.
Sono capitato nel parco durante una passeggiata, in un assolato sabato pomeriggio con temperature praticamente estive e quel che mi sono trovato davanti agli occhi è stata forse la cosa più "giapponese" mai vista in tre mesi di permanenza.
Famiglie che mangiavano e bevevano saké sul prato in riva al fiume, sotto ai ciliegi in fiore; bancarelle che vendevano crepes, takoyaki, yakitori, taiyaki, giocattoli, maschere con personaggi di cartoni animati, mele caramellate, pesciolini rossi; ragazze che passeggiano in kimono.
Trovarsi dal vivo all'interno di queste scene già viste a fumetti e a cartoni animati centinaia di volte fa un effetto strano e bellissimo, al punto che da queste emozioni sono rimasto quasi sopraffatto e mi sono messo a scattare foto in maniera compulsiva, quasi temendo che quel fiorito Giappone potesse fuggirmi via dai ricordi.
Sono tornato al parco la mattina del giorno successivo, invitato dai suonatori di taiko con cui ho fatto amicizia, che si sarebbero esibiti insieme ad un'altra trentina di gruppi nello spettacolo clou del matsuri.
Dopo aver visto tutte le loro prove ogni domenica, pensavo di essermi ormai abituato alle esibizioni di taiko, ma mi sbagliavo. Fra le prove e lo spettacolo c'è una grande differenza, e se già ci si emoziona a vedere i suonatori esercitarsi in tuta e t-shirt,vederli suonare in uniforme su un palco che pare affrescato dalla scuola Kano è ancora più incredibile, soprattutto perché all'esibizione si sono uniti suonatori di shamisen che proprio non mi aspettavo e che hanno reso il tutto ancora più affascinante.
Purtroppo, quel giorno pioveva, quindi ho dovuto rinunciare ai miei piani di girare per il parco, fare foto, guardare il museo e il castello, mangiare qualcosa alle bancarelle e, soprattutto, indossare il kimono comprato a Kyoto non si è rivelata un'idea tanto felice.
Nonostante il tempaccio, il matsuri è stata ugualmente una bella esperienza, conclusasi col ritorno al tempio dove si svolgevano le esercitazioni domenicali, dove il gruppo di suonatori ha organizzato un pranzo al quale sono stato invitato.
Ancora una volta, ho potuto constatare come i Giapponesi abbiano dell'Italia un'idea un po' falsata, che si ferma alle borse di Gucci, al Padrino, ai "macaroni-western" (i film di Sergio Leone), alle Ferrari e alla mafia, ma è stato molto piacevole chiacchierare e confrontarsi sulle rispettive culture intorno ad una tavola imbandita e ricca di cibi e bevande di vario tipo, di cui il maestro di taiko mi riempiva piatti e bicchieri ridendo.
Calza a pennello, per descrivere l'atmosfera in cui mi sono ritrovato nel Giappone del matsuri di primavera, la sigla di chiusura di Shuriken Sentai Ninninger, la serie sentai di quest'anno, che in turbine di castelli tradizionali, taiko, ciliegi, ponti, balletti e torii raffigura in maniera allegra e festosa tutto ciò che ho vissuto sulla mia pelle.
Una delle cose più difficili dei miei ultimi giorni in Giappone è stata abituarsi all'idea che avrei dovuto lasciare i miei compagni di classe, coi quali si era venuta a creare una buona amicizia, aldilà dei differenti paesi e culture ai quali appartenevamo.
Con loro ho condiviso diverse esperienze molto piacevoli e mi sono tolto alcuni sfizi che sarebbe stato un delitto non provare, dato che mi trovavo in Giappone, fra giri in sala giochi, partite a vecchi giochi di carte anni '80 in ludoteca, esportazione in Giappone di "cucù col morto" (gioco di carte molto popolare in Sicilia), cene al ristorante italiano attratti dalla radio che mandava (e sentirle in un paese così lontano come il Giappone è strano e bellissimo insieme) canzoni di Max Pezzali o Pino Daniele.
Tanto piacevole, ma anche un po' imbarazzante, è stato andare in un bagno termale di Okazaki, più simile ai bagni pubblici in stile Ranma 1/2 che alle terme naturali.
Sfatiamo subito un facile mito a cui sicuramente voi che leggete avrete pensato trovandovi di fronte alla parola "terme": vi erano chiaramente una sezione maschile e una femminile, quindi dove ho fatto il bagno io non c'erano ragazze a mostrarmi le loro grazie, ma vecchietti e papà che insegnavano a nuotare ai figlioli piccoli.
Molto conforme alla realtà, quindi, la situazione mostrata in manga come Thermae Romae, dove i bagni termali giapponesi sono visti come un luogo tranquillo e piacevole dove rinfrancare il corpo e lo spirito e trovare un po' di pace e relax.
Ci vuole un po' per abituarsi alla temperatura dell'acqua che inizialmente ti fa girare un po' la testa e per superare quel po' di imbarazzo dovuto allo stare tutto nudo nella vasca, ma fare il bagno alle terme è davvero rilassante e confortevole.
Al complesso dove sono andato io non mancava davvero nulla. C'erano vari tipi di vasche, in una stanza interna o in un bel giardinetto all'aperto, con idromassaggio o senza, più o meno calde. Nell'edificio delle terme c'erano anche un piccolo barbiere e vari distributori, di bibite o di oggetti per il bagno.
Ho avuto modo di provare anche i bagni termali di un paio di alberghi a Kyoto e Tokyo, accessoriati come e più del complesso di Okazaki, anche se lì c'era una vasca sola e molta meno gente.
Come ultimo compito da svolgere per il corso, mi è toccato scrivere una composizione, poi trasformata in una presentazione di Power Point da mostrare a compagni e professori, sulla comparazione di elementi del Giappone e del proprio paese d'origine.
Il mio progetto, dato che già tutti avevano parlato di cucina e discutere di quanto la metropolitana di Roma sia più brutta rispetto a quella di Tokyo non mi sembrava così interessante, ha avuto come argomento il modo in cui i fumetti e i cartoni animati giapponesi sono concepiti in patria e in Italia.
Proiettare la sigla di Sailor Moon e il cristallo del cuore in Giappone, mentre ne spiegavo le differenze con la sigla giapponese, davanti a una platea proveniente da vari paesi del mondo che non capiva un acca di italiano ma dopo due minuti già canticchiava la melodia, è stata, probabilmente, una delle cose più epiche che mi è capitato di fare nella vita.
C'è da dire che la scuola ci ha indubbiamente messo del suo, nel farmi "pesare" il mio ritorno in Italia, organizzando una cerimonia di chiusura del trimestre dove agli studenti che tornavano al loro paese toccava tenere un discorso di commiato a professori, staff, compagni ed amici che invece restavano, con tanto di filmato che raccoglieva foto del trimestre appena passato insieme e una canzone strappalacrime in sottofondo.
Essendo una persona dalla lacrime facile, io ho cominciato a commuovermi già alla prima nota, per continuare durante tutta la cerimonia. Il colpo di grazia mi è stato dato dal classico foglio con i saluti dei compagni di classe, quello che nei fumetti e nei cartoni animati danno sempre ai personaggi che si diplomano o si trasferiscono e che non pensavo fosse una cosa "reale".
Chiaramente, il mio foglio dei saluti era pieno zeppo di adesivi e disegni delle guerriere Sailor, fra i tanti commoventi pensieri scritti dai miei compagni di classe.
Last but not least, come ultimo ricordo insieme ai compagni di classe, siamo riusciti a organizzare un piacevole pomeriggio al karaoke. Era una delle cose che più desideravo provare in Giappone ed esserci riuscito mi ha reso talmente felice che credo di aver monopolizzato il microfono per circa metà delle canzoni che abbiamo eseguito.
Siamo andati in un karaoke della popolare catena Cote d'azur. Ci sono un po' di magagne burocratiche necessarie per registrarsi prima di poter entrare a cantare, ma sono presenti anche diversi sconti per gli studenti e/o le comitive.
Una volta presa la camera, si può usufruire senza limite del distributore di bevande mentre si canta.
Cantare al karaoke in Giappone è qualcosa di straordinario, molto diverso e molto più bello di quello che si può immaginare pensando ai karaoke nostrani.
Nella tracklist del Cote d'azur c'era veramente di tutto. Mancavano solo, comprensibilmente, pezzi italiani, ma non stento a credere che vi fosse praticamente qualsiasi pezzo esistente in giapponese o in inglese.
Fra i pezzi che ci siamo divertiti a cantare, ridendo come pazzi per un intero pomeriggio, "Moon Pride" di Sailor Moon Crystal, "Pegasus Fantasy" di Saint Seiya, "Butterfly" di Digimon Adventure, "Ready" di One Piece, "Youkai Taisou Daiichi" di Youkai Watch (una canzone attualmente popolarissima in Giappone), la canzone portante di Totoro, "My heart will go on" di Celine Dion, "Can you feel the love tonight?" di Elton John (una delle mie canzoni preferite, cantarla in un vero karaoke giapponese è stata un'emozione indescrivibile), "Listen to your heart" dei Roxette, "Soul Man" dei Blues Brothers, "Eye of the tiger" dei Survivor, "Right here waiting for you" di Richard Marx.
Ma qual è la musica che va di moda adesso in Giappone? Come già detto in altre occasioni, difficile stabilirlo, quando vivi in una città che musicalmente sembra chiusa in una voragine e isolata dal mondo sin dal 1999. Fra le poche eccezioni c'è però "Dragon Night" dei Sekai no owari, una canzone che sta riscuotendo un ottimo successo, tanto da venire programmata spesso e volentieri alle radio ed essere persino presente nell'ultimissimo Taiko no tatsujin.
E' difficile tornare in Italia dopo tre mesi passati in Giappone. Non fosse per gli scatoloni stracolmi di fumetti a cui ancora devo trovare una collocazione nella mia libreria, direi che è stato tutto un sogno.
Mi manca molto, adesso, la tranquilla Okazaki.
Mi manca girare per le sue librerie gigantesche, per i negozi di giocattoli, per i supermercati stracolmi di cibi trash. Mi manca il venerdì pomeriggio passato al parco sotto i pruni o a perdersi nell'immensa libreria del centro commerciale per poi comprare una pizza al ristorante italiano, pagare la bolletta in un conbini che ti piazza a tradimento alla radio il tema di Indiana Jones e poi farsi due risate guardando anime brutti insieme all'amica italiana che è partita con me. Mi mancano i taiyaki al cioccolato bianco, le korokke, il ristorante Bikkuri Donkey che, a seconda della collocazione, mandava alla radio solo musica occidentale degli anni '90 o '50.
Mi manca ballare "Let's go, onmyouji!" al MaiMai in sala giochi, leggere Hotman cercando di tradurne i mille termini tecnici e nel frattempo resistere alle lacrime di commozione, prendere il té insieme agli amici del taiko.
Mi manca alzarmi la mattina presto per guardare gli anime in tv accoccolato nel mio caldo futon mangiando Pocky.
Mi manca la scuola, col tuo professore che per spiegarti il verbo "aiutare" inscena un gioco di ruolo dove tu sei Kamen Rider che deve salvare una ragazza da un cattivo.
Mi mancano la riflessiva Kyoto coi suoi templi e la sua tranquillità e la folle Tokyo coi suoi grattacieli, la folla, le luci e la musica.
Ho impressa nella mente la mia ultima notte in Giappone, quel pittoresco notturno di Akihabara fra grattacieli e ciliegi in fiore che ho ritrovato, identico a come l'ho visto io, nel video della bella "Ryoukiteki na kisu wo watashi ni shite" dei Gesu no kiwami otome, canzone di questa estate che mi è stata fatta conoscere da un mio compagno di classe.
Ero partito con mille ansie e mille dubbi, ma quel paese così strano e insieme così bello ha finito per distruggerli colpendoli a tutta forza con una bacchetta per il taiko.
Mi dispiace un po' di non aver potuto girare molto per luoghi più turistici o famosi, ma nella mia piccola Okazaki me la sono passata egregiamente, facendo esperienze divertenti, interessanti, utili ed indimenticabili che mi hanno restituito quell'amore per il Giappone che si stava affievolendo a furia di fissare ideogrammi brutti e cattivi sui libri di testo cercando di impararli per osmosi.
Tornerò in Giappone? Sicuramente sì, mi piacerebbe tantissimo poter tornare a Okazaki e completare gli altri trimestri del corso di lingua e ci sto facendo più di un pensiero.
Per il momento, mi accontenterò di tornare nella mia piccola fumetteria di fiducia, che ho tre mesi di manga arretrati da comprare, serbando nel cuore il ricordo di questo bel sogno che, spero, diventi la base per qualcosa di ancora più bello in un futuro non troppo lontano.
Come ho detto in altra sede, la cosa che più mi sconvolge è quella specie di arancino immerso in quella brodaglia pomodorosa! XD Bellissimo l'angolino manga con Yona e Natsume! *___* E quei ciliegi in fiore.... aaaah bello tutto!
Il matsuri, che invidia! Ci sono davvero le bancarelle con le maschere dei supereroi e della pesca dei pesciolini rossi! Manca solo la foto della ragazzina pucciosa in kimono intenta a mangiarsi una mela caramellata a completare l'immagine.
L'oggettistica SM fotografata è molto carina, invece brivido e raccapriccio per quelle orribili maglie (foto 53), ma davvero qualcuno se ne va in giro sfoggiando roba del genere?
stile per questo reportage! Massima stima a te, e spero tu riesca a
tornare in Giappone per proseguire gli studi e raggiungere tutti
gli obiettivi che ti sei prefissato. Complimenti!
@ Ninlil
Non ho mangiato l'ume né mi è capitato di parlarne con qualcuno
Le foto si possono vedere dalla pagina Facebook di Animeclick, dato che ho poi usato il kimono anche all'ultimo Romics.
Quanto ai "macaroni-western" anch'io li ho corretti, ma in Giappone si chiamano così, mi han detto
@ Arashi
"Crocchetta di riso in stile siciliano"... che, sugo e dimensioni abnormi a parte, era pure buona
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