2001, il visionario e ormai compianto regista del Sol Levante, Satoshi Kon, dona al mondo della cinematografia il suo secondo lungometraggio: Millennium Actress. La sceneggiatura è realizzata ancora una volta con l’aiuto di Sadayuki Murai, mentre la bellissima colonna sonora è frutto dell’estro di Susumu Hirasawa, che diventerà poi stretto collaboratore di Kon in tutte le sue opere future.
Nel partorire il suo secondogenito, il regista di Kushiro non tradisce il proprio stile (già magistralmente sfoderato in occasione del magnifico Perfect Blue) tuttavia il modo in cui questo si manifesta muta non poco, poiché il contesto si rivela completamente differente. Rimane costante il concetto della vicendevole compenetrazione tra reale e immaginario (leitmotiv di tutta la sua filmografia) ma Millennium Actress devia dalla strada dello “psico- thriller” in cui Kon, sfruttando la sua poetica dallo spiccato accento surreale, confonde lo spettatore calandolo in un’atmosfera tesa e pregna di angoscia. Al contrario, il film si connota per un regime assai meno criptico e nettamente più “lineare", ciò che interessa all’autore questa volta è il ricostruire, a modo suo, la vita e la storia dell’ormai ultrasettantenne Chiyoko Fujiwara, attrice molto nota e famosa. Kon adopera la vicenda di Chiyoko come trampolino per imbastire una riflessione ampia e ricca di significato, sfruttando il suo brillante tocco per intrecciare un corpus concettuale notevolmente articolato nella sua caleidoscopica metanarrazione.
Una delle peculiarità di Millennium Actress consiste, per l’appunto, nella bizzarra modalità con cui è narrato. Appare come una sorta di "film dentro al film", che si articola in un’incessante sovrapposizione di due piani apparentemente distinti: la rievocazione della realtà storica così come ricordata dalla protagonista, e gli spaccati delle sue interpretazioni, tramite le quali continua a rileggere e rivivere la sua stessa vita, che quindi si riflette e racconta attraverso lo specchio della sua carriera. Alla ricomposizione della vita di Chiyoko si affianca poi la ricostruzione storica operata dall’autore attraverso i film stessi, fondendo in questo modo i due piani in un tortuoso percorso. Saltando dal dopoguerra all’epoca Meiji, dal periodo feudale ad un fantascientifico futuro, il filo della narrazione continua a subire dei violenti “strappi” di scena, muovendosi da un setting all’altro senza soluzione di continuità e in modo sorprendente. Anche il presente è risucchiato in tale flusso di coscienza, inglobando persino il regista e il cameraman, al contempo sia spettatori sia partecipi di questo suggestivo e colorato tragitto nelle memorie dell’anziana attrice.
Il punto fondamentale delle vicende, che fa da pilastro dell’intero film, è la storia d’amore di Chiyoko. I suoi sentimenti rappresentano il motore del tutto, costituendo sia la ragione per cui la protagonista decide di diventare un’attrice, sia il nucleo dello scorrere degli avvenimenti, che si sostanziano in una continua corsa senza fine per ritrovare l’amore ormai perduto. Tale ossessione non è frutto di un capriccio, o di cocciutaggine, e nemmeno soltanto di una questione relativa ad una non meglio definita “forza dell’amore e dei sentimenti”. Alla fin fine, se si guarda bene, la storia di Chiyoko non è unicamente di Chiyoko: il rincorrere questo desiderio, questa meta che brama raggiungere con tutta se stessa ma che le sfugge continuamente e che non raggiungerà mai, è elemento co-essenziale della ricerca esistenziale di ogni uomo nel tentare di comprendere il significato della propria vita. Tale aspetto dona a Millennium Actress una veste ulteriore, una sfumatura propria quasi del mito, un mito dolce e contemporaneamente amaro, dotato di un’intramontabile modernità. Poiché alla fine, quasi in una sorta di leopardiana illuminazione, Chiyoko si rende conto che ciò che ha amato non è stata tanto la meta del suo amore, quanto il cercare di raggiungerlo, la preminenza del viaggio sulla meta, del percorso rispetto l’obiettivo, il che la rende una figura fortemente metaforica.
Nel partorire il suo secondogenito, il regista di Kushiro non tradisce il proprio stile (già magistralmente sfoderato in occasione del magnifico Perfect Blue) tuttavia il modo in cui questo si manifesta muta non poco, poiché il contesto si rivela completamente differente. Rimane costante il concetto della vicendevole compenetrazione tra reale e immaginario (leitmotiv di tutta la sua filmografia) ma Millennium Actress devia dalla strada dello “psico- thriller” in cui Kon, sfruttando la sua poetica dallo spiccato accento surreale, confonde lo spettatore calandolo in un’atmosfera tesa e pregna di angoscia. Al contrario, il film si connota per un regime assai meno criptico e nettamente più “lineare", ciò che interessa all’autore questa volta è il ricostruire, a modo suo, la vita e la storia dell’ormai ultrasettantenne Chiyoko Fujiwara, attrice molto nota e famosa. Kon adopera la vicenda di Chiyoko come trampolino per imbastire una riflessione ampia e ricca di significato, sfruttando il suo brillante tocco per intrecciare un corpus concettuale notevolmente articolato nella sua caleidoscopica metanarrazione.
Una delle peculiarità di Millennium Actress consiste, per l’appunto, nella bizzarra modalità con cui è narrato. Appare come una sorta di "film dentro al film", che si articola in un’incessante sovrapposizione di due piani apparentemente distinti: la rievocazione della realtà storica così come ricordata dalla protagonista, e gli spaccati delle sue interpretazioni, tramite le quali continua a rileggere e rivivere la sua stessa vita, che quindi si riflette e racconta attraverso lo specchio della sua carriera. Alla ricomposizione della vita di Chiyoko si affianca poi la ricostruzione storica operata dall’autore attraverso i film stessi, fondendo in questo modo i due piani in un tortuoso percorso. Saltando dal dopoguerra all’epoca Meiji, dal periodo feudale ad un fantascientifico futuro, il filo della narrazione continua a subire dei violenti “strappi” di scena, muovendosi da un setting all’altro senza soluzione di continuità e in modo sorprendente. Anche il presente è risucchiato in tale flusso di coscienza, inglobando persino il regista e il cameraman, al contempo sia spettatori sia partecipi di questo suggestivo e colorato tragitto nelle memorie dell’anziana attrice.
Il punto fondamentale delle vicende, che fa da pilastro dell’intero film, è la storia d’amore di Chiyoko. I suoi sentimenti rappresentano il motore del tutto, costituendo sia la ragione per cui la protagonista decide di diventare un’attrice, sia il nucleo dello scorrere degli avvenimenti, che si sostanziano in una continua corsa senza fine per ritrovare l’amore ormai perduto. Tale ossessione non è frutto di un capriccio, o di cocciutaggine, e nemmeno soltanto di una questione relativa ad una non meglio definita “forza dell’amore e dei sentimenti”. Alla fin fine, se si guarda bene, la storia di Chiyoko non è unicamente di Chiyoko: il rincorrere questo desiderio, questa meta che brama raggiungere con tutta se stessa ma che le sfugge continuamente e che non raggiungerà mai, è elemento co-essenziale della ricerca esistenziale di ogni uomo nel tentare di comprendere il significato della propria vita. Tale aspetto dona a Millennium Actress una veste ulteriore, una sfumatura propria quasi del mito, un mito dolce e contemporaneamente amaro, dotato di un’intramontabile modernità. Poiché alla fine, quasi in una sorta di leopardiana illuminazione, Chiyoko si rende conto che ciò che ha amato non è stata tanto la meta del suo amore, quanto il cercare di raggiungerlo, la preminenza del viaggio sulla meta, del percorso rispetto l’obiettivo, il che la rende una figura fortemente metaforica.
In conclusione, Millennium Actress è un gioiellino da guardare assolutamente, si tratta di un film per nulla intellettuale e pretenzioso e che, anzi, è massimamente godibile da un pubblico eterogeneo, sia per età che per gusti, visto che propone comunque più livelli di lettura su cui lo spettatore può adagiarsi. L’aspetto tecnico è molto curato, geniale nelle sue soluzioni visive e nelle scelte dei colori, così come nel comparto registico, che a mio avviso offre il meglio di sè proprio nella dimensione dinamica delle scelte dei cambi di scena.
O forse è determinato dal genere differente.
Dopo Magnetic Rose e Perfect Blue, un altro meraviglioso ritratto al femminile da parte del nostro beneamato autore.
Mi piace aggiungere solo che da questo grandissimo film traspare tutta l'erudizione e l'amore di Kon per il mondo del cinema. Cogliere tutte le citazioni di film giapponesi d'epoca che vi sono contenute è una vera sfida. Comunque pare che per la figura della protagonista il regista abbia attinto a due attrici in particolare, Setsuko Hara e Hideko Takamine, mentre la storia d'amore di fondo sembrerebbe ispirata a quella del film Qual è il tuo nome? (Kimi no na wa) di Hideo Oba del 53. E' stato accostato a Sunset Boulevard (Il viale del tramonto) del '50, l'immortale capolavoro di Billy Wilder, un paragone forse un po' esagerato ma nient'affatto peregrino.
@AkiraSakura perchè non è troppo nicchioso xD
Bob mi ha preceduto. Non aggiungo altro. Altro che Leopardi..
Meitei
Lo sapevo che ci sarebbe stato un fraintendimento su quel "lineare", ecco perché l'ho pure messo tra virgolette. In quale universo io avrei scritto "scenario lineare"? Quel "lineare" sta in contrapposizione a criptico e si riferisce al regime del film in contrapposizione rispetto a perfect blue.
Bob ha parlato di fonti di ispirazione, che c'entra leopardi? Non l'ho mica additato come fonte di ispirazione.
Anche se è trascorso un bel po' di anni da quando l'ho visto, Millennium Actress è il primo film del regista che ho guardato. Sebbene non sia il mio preferito tra i capolavori di Satoshi Kon, mi è rimasto in mente la bellezza della regia.
film...mea culpa sto perdendo colpi!
Quindi ho rimediato e me lo sono andato a rivedere! Che dire: una
perla di rara bellezza, regia e sceneggiatura magistralmente orchestrate,
con un finale struggente ma superlativo!
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.