Se ne parla tanto, della sottocultura otaku: c'è chi se ne identifica sfoggiando l'appartenenza a tale gruppo come una medaglia, ma c'è anche chi si offende a venire considerato tale, sapendo bene la concezione estremamente negativa che tale termine ha in Giappone.
Ma perchè gli otaku sono così malvisti (o, almeno, lo erano fino a qualche anno fa) in Giappone? Le motivazioni sono molteplici, ma una delle principali, se non la principale in assoluto, è la scia di odio e paura che lasciò dietro di sè la serie di omicidi di bambine di età compresa tra 4 e 7 anni ad opera di Tsutomu Miyazaki, collezionista di anime noto al mondo come l'assassino otaku.
Tsutomu Miyazaki nacque prematuro il 21 agosto 1962 a Itsukaichi, Tokyo, con una malformazione ai polsi che gli rendeva impossibile piegare le mani rispetto alle braccia: per muovere le mani in su era costretto a ruotare l'intero braccio. Questo problema fisico perseguitò il piccolo Tsutomu fin dall'asilo, quando un compagno di classe lo prese in giro per le sue buffe mani; da quel momento, in tutte le foto di famiglia iniziò a nascondere sempre le mani e tenere quasi sempre gli occhi chiusi.
Alle elementari era un bambino invisibile: tranquillo, solitario, era incapace di fare amicizia con gli altri e rimproverava le sue mani per la sua completa incapacità di raggiungere qualsiasi risultato. Fu in quel periodo che si sviluppò la sua passione per i manga.
Miyazaki era un ragazzo studioso, tanto da essere stato il primo studente della sua scuola media a passare l'esame di ammissione al liceo Meidai Nakano, affiliato all'università Meiji. Il suo sogno di entrare all'università e diventare insegnante, tuttavia, sfumò quando all'ultimo anno si posizionò 40° su 56 studenti, non ottenendo la raccomandazione per l'università. Il motivo del fallimento fu probabilmente la perdita di interesse di Miyazaki verso lo studio e il dedicare molto del suo tempo al disegno di un manga amatoriale, tuttavia lui incolpò ancora una volta le sue mani.
Miyazaki, dopo un master di tre anni in un college, iniziò a lavorare in una tipografia di un conoscente di suo padre. Dopo aver risparmiato tre milioni di yen in tre anni, si ritrasferì nel suo quartiere natale, andando a vivere con la sorella maggiore in un bilocale a fianco della fabbrica del padre.
Tsutomu non aveva un buon rapporto con la famiglia. Il padre era concentrato unicamente sul lavoro e nella sua passione per la fotografia; anche la madre era molto presa dal lavoro, facendo tuttavia di tanto di tanto dei regali al figlio. Ogni volta che il ragazzo cercava di parlare con loro dei suoi problemi, veniva mandato via o ignorato. Le due sorelli minori, invece, trovavano Tsutomu semplicemente repellente. Solo il nonno sembrava mostrare interesse nei confronti del ragazzo.
Miyazaki non si trovava a suo agio con le ragazze della sua età, probabilmente a causa della sua immaturità fisica (il suo pene era largo quanto una matita e lungo quanto una stuzzicadenti, a quanto racconta un suo insegnante delle superiori). Ciononostante i suoi appetiti sessuali sembravano essere sopra la media: al college era solito riprendere gli allenamenti di tennis femminili da angolature ginecologiche e iniziò a lamentarsi delle censure presenti nelle riviste per adulti. Nel 1984 passò alla pornografia infantile, più nelle sue corde.
L'evento che sancì la trasformazione di Miyazaki fu la morte del nonno Shokichi, l'unico adulto con cui aveva un rapporto di affetto. Tsutomu arrivò a divorare alcune delle sue ossa cremate credendo che finchè fossero rimasti dei resti terreni suo nonno non si sarebbe potuto reincarnare.
Con la sua scomparsa, morì l'unico vero legame tra Tsutomu e la società.
Il rapporto col resto della famiglia si distrusse: sbattè contro il muro la testa di una delle sorelle minori dopo che questa lo accusò di averla spiata farsi il bagno, e picchiò la madre quando gli consigliò di dedicare più tempo al lavoro e meno ai suoi video. Il padre aveva da tempo smesso di cercare un modo per comunicare con lui.
Il 22 agosto 1988 avvenne il primo rapimento, ai danni di Mari Konno, bambina di quattro anni residente a Saitama, nel complesso di appartamenti del Villaggio Iruma.
La bambina stava tornando a casa dopo aver giocato a casa di un amica, quando Miyazaki accostò l'auto vicino alla bambina chiedendole se non volesse salire e andare in un posto divertente.
La portò in un sentiero di montagna, ma quando si accorse del suo crescente fastidio e della sua stanchezza, entrò in panico: la strada era frequentata, e se la bambina avesse iniziato a piangere avrebbe potuto avere problemi. Non volendo riconsegnarla alla famiglia, le mise le mani intorno alla gola e la strangolò; dopodiche, la svestì e l'accarezzò con molta riverenza, per poi rivestirla e riportarla di nascosto nella sua macchina.
Il corpo venne lasciato a decomporsi, non prima di averne amputato mani e piedi, che Miyazaki conservò nel suo armadio; le ossa della bambina vennero cremate e conservate.
Allertata la sera stessa del giorno in cui Mari era scomparsa, la polizia interrogò senza sosta gli abitanti della zona e appese 50.000 volantini con la foto della bambina: alcuni testimoni affermarono di aver visto la bambina camminare insieme ad un uomo sconosciuto.
Dopo aver espresso pubblicamente la speranza che Mari fosse ancora viva, la madre Yukie ricevette una lettera con scritto “Ci sono diavoli in giro”. La famiglia Konno iniziò anche a ricevere numerose chiamate telefoniche anonime: quando rispondevano, la persona all'altro capo riagganciava; quando non rispondevano, il telefono continuava a suonare anche per venti minuti.
Non avendo tuttavia ricevuto richieste di riscatto o rinvenuto alcun cadavere, la polizia catalogò il caso come "persona scomparsa", consigliando però alle famiglie di non perdere di vista i bambini.
Da quel momento, fino all'arresto di Miyazaki, tutti i genitori del luogo iniziarono ad accompagnare ogni giorno i propri figli all'asilo, preoccupati per quanto era successo a Mari.
Erano passate sei settimane dalla scomparsa di Mari Konno, quando Miyazaki colpì nuovamente. Il 3 ottobre 1988, mentre stava andando in macchina a Hanno, nella prefettura di Saitama, Miyazaki vide un'alunna di prima elementare, Masami Yoshizawa, camminare sul marciapiede accanto alla strada. La convinse a salire in macchina e poi la portò sulla stessa collina dove aveva compiuto il primo delitto. Questa volta Miyazaki non si limitò a strangolare la vittima, ma stuprò il cadavere ancora caldo di Masami. Quando questo ebbe un sussulto improvviso, si spaventò e scappò dal luogo del delitto in tutta fretta, lasciando il corpo di Masami a neanche 100 metri da dove si trovava quello di Mari.
La polizia si mise subito alla ricerca della bambina interrogando gli abitanti del luogo e spargendo poster segnaletici con la foto di Masami, ma il risultato fu il medesimo che con Mari Konno. Sebbene si sospettasse un collegamento tra i due casi, l'assenza del cadavere o di richieste di riscatto fecero dichiarare anche questo un caso di persona scomparsa.
Passarono altri due mesi, quando il 3 dicembre avvenne il terzo delitto. Questa volta le cose andarono diversamente dai primi due casi. Non solo Miyazaki fu vicino a venire scoperto, ma il cadavere fu ritrovato poco dopo la scomparsa.
Come nei precedenti casi, la bambina, Erika Nanba, si imbattè nell'automobile del suo assassino mentre stava tornando a casa e venne convinta a salire. Dopo essere giunti al parcheggio del Naguri Youth Nature House la bambina, in lacrime, venne costretta a spogliarsi nel sedile posteriore mentre Miyazaki le scattava fotografie. Proprio in quel momento una macchina passò nel parcheggio, illuminando per un momento la faccia dell'uomo con i propri fari.
Miyazaki non venne scoperto, e subito dopo strangolò anche la sua terza vittima; nascose i vestiti nella foresta dietro il parcheggio e avvolse con cura il cadavere in un lenzuolo che mise nel bagagliaio. Mentre tornava a casa, tuttavia, si distrasse dalla guida e una delle ruote della macchina si incastrò in un canale di scolo. Miyazaki corse nella foresta a nascondere il cadavere di Erika, trovando al ritorno due uomini vicino alla sua macchina. Mentre apriva il bagagliaio per rimettere il lenzuolo - ora vuoto - spiegò il suo problema ai due uomini, che lo aiutarono a liberare la ruota.
Il giorno dopo la polizia di Kawagoe iniziò le ricerche di Erika Nanba. Supponendo fin da subito che la scomparsa fosse correlata a quella di Mari e Masami, la prefettura di Saitama organizzò un centro operazioni speciali interamente dedicato a risolvere il caso delle tre bambine scomparse.
Il giorno successivo, un lavoratore del Naguri Youth Nature House scoprì alcuni vestiti da bambina nella foresta: centinaia di poliziotti iniziarono a perlustrare l'area, fino al ritrovamento del cadavere, con mani e piedi legati con un nastro di nylon.
Non vennero trovati altri indizi nei dintorni, tuttavia i due uomini che avevano aiutato Miyazaki a liberare la ruota fornirono una descrizione accurata dell'uomo. Purtroppo, sbagliarono a identificarne la macchina, fornendo alla polizia un modello diverso, che scoprì l'errore solo dopo aver perquisito più di 6000 vetture.
La scoperta del cadavere di Erika Nanba spinse a rivalutare i precedenti casi di Mari e Masami. Ci si trovava di fronte a potenziali omicidi. C'erano inoltre diverse similitudini tra i vari casi: tutte le tre ragazze vivevano a meno di 30 Km di distanza tra loro, tutte le famiglie erano state perseguitate da ripetute chiamate anonime e dopo una settimana dalla scomparsa, anche la famiglia di Erika Nanba aveva ricevuto una lettera recitante: “Erika. Freddo. Tosse. Gola. Riposo. Morte”. Si iniziò seriamente a considerare l'esistenza di un serial killer di bambine nella prefettura di Saitama.
Mentre la preoccupazione di genitori e insegnanti cresceva in tutta Saitama, la polizia rinnovò gli sforzi nella ricerca dei corpi di Mari e Masami, senza alcun risultato.
Il 6 febbraio 1989, Shigeo Konno, il padre di Mari, ritrovò davanti alla porta di casa una scatola contenente polvere, terra, resti di ossa carbonizzate, 10 piccoli denti, foto di vestiti da bambina e una lettera scritta con ritagli di giornale: “Mari. Cremata. Ossa. Investigare. Prova.”
I denti vennero immediatamente fatti analizzare, tuttavia il Dr. Toshio Suzuki sostenne che probabilmente non appartenevano a Mari, notizia che venne divulgata in una conferenza stampa. Poco tempo dopo, però, non solo il Dr. Suzuki cambiò idea, ma le analisi sui resti delle ossa confermarono che si trattava dei resti della piccola Mari.
Nel frattempo, Miyazaki seguiva avidamente tutti gli sviluppi riguardanti il suo caso, e appena seppe del primo verdetto del Dr. Suzuki, inviò una lettera di tre pagine allo Yomiuri Shinbun, intitolata “Confessione criminale” e firmata Yuko Imada.
“Ho messo io la scatola di cartone con i resti di Mari davanti a casa sua. Ho fatto tutto io, dall'inizio dell'incidente fino alla fine. Ho visto la conferenza stampa della polizia dove hanno detto che i resti non sono di Mari. Alla videocamera, la madre ha detto che il verdetto le ha dato nuova speranza che Mari possa essere ancora viva. Allora ho saputo che dovevo scrivere questa confessione, cosi che la madre di Mari non continuasse a sperare invano.”
La polizia ufficializzò il caso di Mari come omicidio, diffuse migliaia di volantini riportanti spezzoni della lettera in tutta la zona in cui vivevano le bambine, e iniziò a studiare gli indizi ottenuti. Si riuscì a identificare la macchina fotografica con cui erano state scattate le foto dei vestiti di Mari, il tipo di cartone in cui erano stati consegnati i resti, e anche il tipo di carta utilizzata per le lettere. Tutti indicavano un legame dell'assassino con qualche tipografia.
L'11 marzo 1989, sette mesi dalla scomparsa di Mari, la famiglia Konno potè celebrarne il funerale, grazie ai resti consegnati dall'assassino. Durante la cerimonia, il padre Shigeo lanciò un appello:
Al ritorno a casa, i genitori di Mari trovarono una nuova lettera di Yoku Imada, intitolata semplicemente Confessione:
“Prima che me ne rendessi conto, il cadavere della bambina era diventato rigido. Volevo incrociare le sue braccia sopra le sue tette, ma non si volevano piegare... Molto presto, su tutto il corpo iniziarono a formarsi delle macchie rosse... grandi macchie rosse. Come la bandiera di Hinomaru. O come se voi aveste ricoperto il suo intero corpo con dei sigilli rossi... Dopo un po', il corpo era ricoperto da smagliature. Era così rigido prima, ma ora sembrava come se fosse pieno d'acqua. E puzzava. Quanto puzzava. Come nulla voi abbiate mai annusato in questo intero, grande, mondo.”
Nell'estate del 1989 Miyazaki stava diventando sempre più inquieto, saltando sempre più spesso il lavoro e passando giornate intere a editare video in camera sua. L'1 giugno vide delle bambine giocare davanti ad una scuola elementare e ne convinse una a togliersi i calzoni, iniziando a fotografarla. Miyazaki venne messo in fuga da alcuni vicini che lo inseguirono.
Il quarto delitto sarebbe avvenuto di lì a pochi giorni. Il 6 giugno, in un parco vicino al campo da tennis di Ariake, vicino Tokyo, Miyazaki vide Ayako Nomoto, una bambina di 5 anni che giocava da sola. All'inizio le chiese semplicemente di posare per qualche fotografia; Ayako accettò. Dopo un po', le chiese di fare qualche foto anche dentro la macchina, e quando le porse una gomma da masticare, Ayako fece un commento sulle sue mani deformi. Miyazaki s'infuriò e iniziò a stringere il collo di Ayako “Questo è quello che succede alle bambine che dicono cose del genere”. Dopo qualche minuto, per essere sicuro fosse morta, la imbavagliò e le legò la braccia con una corda, per poi metterla nel bagagliaio della propria automobile. Mentre tornata a casa, Miyazaki si fermò a noleggiare una videocamera e, per la prima volta, portò il cadavere direttamente a casa propria. Dopo averla svestita e pulita, la filmò tra le gambe, per poi riprendere se stesso masturbarsi di fronte a lei. Infine, la nascose sotto tre lenzuola.
Dopo due giorni la puzza del cadavere era divenuta insopportabile. Miyazaki tagliò la testa, le braccia e i piedi e abbandonò il resto del corpo in un bagno pubblico vicino al cimitero di Hanno. Seppellì le mani nel suo giardino dietro casa, non prima di averne divorato una parte, e seppellì il resto nella collana di Mitakeya, a 230 metri da casa sua.
Il torso venne ritrovato cinque giorni dopo la morte, e presto identificato come quello di Ayako.
Nonostante gli enormi sforzi della polizia, fu un civile a porre fine alla carriera del serial killer di bambine. Il 23 luglio 1989 due sorelle stavano giocando vicino a un lavabo in Hachihoji, quando Miyazaki disse alla maggiore, di 9 anni, di restare lì, mentre convinceva la minore a seguirla fino alla riva del fiume. La sorella tuttavia corse a casa ad avvertire il padre dell'accaduto. Il padre, accorso sul posto, si trovò di fronte un uomo sconosciuto che puntava una macchina fotografica tra le gambe della figlia nuda. Miyazaki venne bloccato, riuscendo a fuggire fino alla propria macchina dove venne arrestato dalla polizia, che lo aspettava dopo esser stata avvertita dell'accaduto. Ufficialmente Miyazaki venne arrestato per aver costretto un minore a commettere atti indecenti, ma tutti erano convinti di aver finalmente catturato il serial killer di bambine, tanto che i giornalisti corsero a riprendere la casa di Miyazaki ancora prima che ci andasse la polizia. Nei mesi successivi, Miyazaki confessò tutti i quattro delitti da lui commessi; aggiunse inoltre di aver mangiato pezzi di due dei cadaveri e di aver bevuto il sangue di uno di questi. Gli investigatori rinvennero anche alcuni filmati pornografici delle sue vittime (sia vive che morte) tra i tanti video presenti in casa sua. Tutti i cadaveri delle bambine vennero ritrovati e riconsegnati alle famiglie.
Il padre di Tsutomu si rifiutò di assumere un avvocato per difendere suo figlio, in quanto non sarebbe stato corretto nei confronti dei parenti delle vittime. Junji Suzuki e Keiji Iwakura si offrirono per difendere Miyazaki durante il processo, costruendo la loro strategia sull'incapacità di Miyazaki di distinguere tra giusto e sbagliato, avendo quindi una responsabilità limitata di quanto avvenuto. L'obiettivo era di evitare la condanna a morte a favore dell'ergastolo.
La prima valutazione psicologica, effettuata a metà settembre dai psichiatri dell'Agenzia Nazionale di Polizia, era stata che Miyazaki non mostrava alcun apparente disordine mentale. La difesa chiese tuttavia una seconda valutazione, più accurata. La corte acconsentì alla richiesta, e un gruppo di psicologi venne assegnato allo studio del caso di Miyazaki. Vennero attestate un gran numero di ossessioni: pedofilia, necrofilia, sadismo, feticismo e cannibalismo; si ritenne inoltre che l'uomo fosse prima un pedofilo e solo secondariamente un assassino: l'omicidio era la conclusione del suo atto d'amore nei confronti delle bambine, un modo per riuscire a possederle.
Tuttavia, per quanto concerneva la consapevolezza di Miyazaki, c'erano opinioni discordanti. Alcuni sostenevano che Miyazaki fosse completamente estraniato dalla realtà, che vivesse in un mondo suo, privo di senso di colpa, e quindi non potesse venire considerato responsabile delle azioni da lui commesse.
Nel frattempo, Miyazaki trascorreva le sue giornate in cella felicemente, guardando anime e leggendo manga, in modo non molto diverso da quanto faceva prima dell'arresto. Scrisse anche ai propri genitori: una feroce lettera d'accusa al padre, a cui attribuiva tutta la colpa per quello che era successo, e una più mite alla madre, con cui si scusò per averla fatta soffrire e a cui disse di ricordarsi di cambiare l'olio alla sua macchina altrimenti non avrebbe potuto usarla. Dopo aver espresso pubblicamente il suo senso di colpa per non aver prestato maggior attenzione al proprio figlio, il padre di Tsutomu Miyazaki si tolse la vita.
Il verdetto finale fu che, sebbene soffrisse di personalità multiple e di schizofrenia, al momento dei delitti Miyazaki era pienamente consapevole della gravità delle sue azioni, e che quindi la responsabilità degli omicidi gli andava assegnata interamente.
Alcuni hanno ritenuto le lettere inviate alle famiglie delle vittime come una rivalsa verso quella società che l'aveva emarginato e criticato; secondo diversi psicologici, invece, Miyazaki non aveva alcun interesse nel pensiero della società, essendosi costruito una sua società ideale nella propria mente, una società di cui egli era il nucleo. Anche tutti gli assassini da lui compiuti, nella sua visione del mondo, non erano in alcun modo diversi da un videogioco, le vittime erano come personaggi di un manga. Confessò di aver ucciso degli animali in passato, per gioco. Aveva buttato un gatto in un fiume, e ne aveva bollito un altro nell'acqua bollente. Aveva anche strangolato il suo stesso cane.
Negli anni successivi la condizione mentale di Miyazaki andò via via peggiorando: iniziò ad avere allucinazioni, disse di sentire una voce che tentava di fargli del male, e divenne quasi psicopatico. Non si pentì però mai dei suoi crimini e si rifiutò di chiedere scusa alle famiglie delle vittime, e iniziò ad accusare un immaginario uomo-ratto dei delitti commessi.
Tsutomu Miyazaki venne condannato a morte diverse volte, ma fu effettivamente impiccato solamente nel 2008, dopo una lunga serie di ricorsi falliti. Erano trascorsi 19 anni dal suo arresto. Le ultime parole che disse al suo psicologico furono: “Dì al mondo che sono una persona gentile”.
Ufficialmente nati nel 1983 negli articoli discriminatori di Akio Nakamori sulla rivista Manga Burikko, all'epoca gli otaku non erano ancora così malvisti come sarebbero successivamente diventati. Sì, la società giapponese aveva già una bassa opinione di questi “bambinoni” che “facevano ore di coda per vedere un film di Gundam o tenevano nel portafogli immagini di Minky Momo o Nanako”, ma la vera esplosione dell'odio nei loro confronti avvenne principalmente a causa degli eventi legati a Tsutomu Miyazaki. Lo stesso termine “otaku”, prima noto principalmente tra gli appassionati e addetti ai lavori, si diffuse tra la popolazione proprio a causa del clamore mediatico seguito all'evento.
Dopo l'arresto del serial killer di bambine, infatti, nella sua casa venne ritrovata una collezione di 5763 videocassette, perlopiù anime (molti pornografici) e film horror, tra cui viene citata la raccolta di film Guinea Pig, nota per la sua estrema violenza e il realismo degli effetti speciali. I giornalisti approfittarono dell'occasione, soprannominando Miyazaki assassino otaku, facendo leva sul suo essere otaku per meglio veicolare l'odio della popolazione verso di lui.
E insieme all'odio verso di lui, crebbe l'odio verso tutta la categoria. Nakamori Akio, il giornalista che aveva battezzato gli otaku col proprio nome, scrisse un libro dedicato alla storia di Miyazaki in cui faceva largo uso del termine otaku, spesso in modo dispregiativo o denigratorio.
Al Comiket di quell'anno un reporter della TBS disse, indicando la folla di presenti: “Guardate! Qui ci sono 100.000 Tsutomu Miyazaki.”
E sempre nel 1989 venne pubblicato Otaku no hon, libro incentrato sulla figura dell'otaku con numerosi articoli dedicati. Chiaramente, anche in questo caso non veniva data una visione positiva degli otaku.
Ci sarebbero voluti due decenni perchè il termine otaku venisse ripulito della deriva quasi criminale a cui era stato associato dopo gli eventi di Miyazaki; da un lato grazie a opere come Densha otoko, che mostravano una figura più apprezzabile, meno deteriore, degli otaku, dall'altro grazie al Cool Japan, movimento con cui il governo giapponese iniziò a sfruttare anime, manga e tutte le sottoculture otaku ad esso relative per esportare la propria industria culturale nazionale nel resto del mondo. Anche se, ancora oggi, molti giornalisti giapponesi restano fortemente critici nei confronti della cultura otaku e dei suoi appartenenti.
Recentemente, sono nate teorie secondo le quali buona parte della collezione di Tsutomu Miyazaki non fosse realmente sua, ma fosse stata inserita dai giornalisti allo scopo di incentivare l'odio nei confronti dell'assassino, oppure che molte delle opere non fossero di natura (pedo)pornografica, ma opere più "innocue" (ad esempio Dokaben).
Fonti consultate:
- Murderpedia (raccolta di articoli su Tsutomu Miyazaki)
- Japantoday
- Japanese-world
- Generazione otaku. Uno studio della postmodernità di Hiroki Azuma
- Otakuzoku no kenkyuu (traduzione degli articoli originali di Akio Nakamori sugli otaku)
- Debating Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons di P.W. Galbraith
Ma perchè gli otaku sono così malvisti (o, almeno, lo erano fino a qualche anno fa) in Giappone? Le motivazioni sono molteplici, ma una delle principali, se non la principale in assoluto, è la scia di odio e paura che lasciò dietro di sè la serie di omicidi di bambine di età compresa tra 4 e 7 anni ad opera di Tsutomu Miyazaki, collezionista di anime noto al mondo come l'assassino otaku.
ATTENZIONE! L'ARTICOLO SEGUENTE CONTIENE IMMAGINI CHE POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ.
TSUTOMU MIYAZAKI, UN BAMBINO INVISIBILE
Tsutomu Miyazaki nacque prematuro il 21 agosto 1962 a Itsukaichi, Tokyo, con una malformazione ai polsi che gli rendeva impossibile piegare le mani rispetto alle braccia: per muovere le mani in su era costretto a ruotare l'intero braccio. Questo problema fisico perseguitò il piccolo Tsutomu fin dall'asilo, quando un compagno di classe lo prese in giro per le sue buffe mani; da quel momento, in tutte le foto di famiglia iniziò a nascondere sempre le mani e tenere quasi sempre gli occhi chiusi.
Alle elementari era un bambino invisibile: tranquillo, solitario, era incapace di fare amicizia con gli altri e rimproverava le sue mani per la sua completa incapacità di raggiungere qualsiasi risultato. Fu in quel periodo che si sviluppò la sua passione per i manga.
Miyazaki era un ragazzo studioso, tanto da essere stato il primo studente della sua scuola media a passare l'esame di ammissione al liceo Meidai Nakano, affiliato all'università Meiji. Il suo sogno di entrare all'università e diventare insegnante, tuttavia, sfumò quando all'ultimo anno si posizionò 40° su 56 studenti, non ottenendo la raccomandazione per l'università. Il motivo del fallimento fu probabilmente la perdita di interesse di Miyazaki verso lo studio e il dedicare molto del suo tempo al disegno di un manga amatoriale, tuttavia lui incolpò ancora una volta le sue mani.
Miyazaki, dopo un master di tre anni in un college, iniziò a lavorare in una tipografia di un conoscente di suo padre. Dopo aver risparmiato tre milioni di yen in tre anni, si ritrasferì nel suo quartiere natale, andando a vivere con la sorella maggiore in un bilocale a fianco della fabbrica del padre.
LE DIFFICOLTÀ RELAZIONALI CON LA FAMIGLIA E LE DONNE ADULTE
Tsutomu non aveva un buon rapporto con la famiglia. Il padre era concentrato unicamente sul lavoro e nella sua passione per la fotografia; anche la madre era molto presa dal lavoro, facendo tuttavia di tanto di tanto dei regali al figlio. Ogni volta che il ragazzo cercava di parlare con loro dei suoi problemi, veniva mandato via o ignorato. Le due sorelli minori, invece, trovavano Tsutomu semplicemente repellente. Solo il nonno sembrava mostrare interesse nei confronti del ragazzo.
Miyazaki non si trovava a suo agio con le ragazze della sua età, probabilmente a causa della sua immaturità fisica (il suo pene era largo quanto una matita e lungo quanto una stuzzicadenti, a quanto racconta un suo insegnante delle superiori). Ciononostante i suoi appetiti sessuali sembravano essere sopra la media: al college era solito riprendere gli allenamenti di tennis femminili da angolature ginecologiche e iniziò a lamentarsi delle censure presenti nelle riviste per adulti. Nel 1984 passò alla pornografia infantile, più nelle sue corde.
L'evento che sancì la trasformazione di Miyazaki fu la morte del nonno Shokichi, l'unico adulto con cui aveva un rapporto di affetto. Tsutomu arrivò a divorare alcune delle sue ossa cremate credendo che finchè fossero rimasti dei resti terreni suo nonno non si sarebbe potuto reincarnare.
Con la sua scomparsa, morì l'unico vero legame tra Tsutomu e la società.
Il rapporto col resto della famiglia si distrusse: sbattè contro il muro la testa di una delle sorelle minori dopo che questa lo accusò di averla spiata farsi il bagno, e picchiò la madre quando gli consigliò di dedicare più tempo al lavoro e meno ai suoi video. Il padre aveva da tempo smesso di cercare un modo per comunicare con lui.
Mi sentivo tutto solo.
Ogni volta che vedevo una bambina giocare da sola era quasi come rivedere me stesso.
Ogni volta che vedevo una bambina giocare da sola era quasi come rivedere me stesso.
IL PRIMO RAPIMENTO: MARI KONNO (4 ANNI)
Il 22 agosto 1988 avvenne il primo rapimento, ai danni di Mari Konno, bambina di quattro anni residente a Saitama, nel complesso di appartamenti del Villaggio Iruma.
La bambina stava tornando a casa dopo aver giocato a casa di un amica, quando Miyazaki accostò l'auto vicino alla bambina chiedendole se non volesse salire e andare in un posto divertente.
La portò in un sentiero di montagna, ma quando si accorse del suo crescente fastidio e della sua stanchezza, entrò in panico: la strada era frequentata, e se la bambina avesse iniziato a piangere avrebbe potuto avere problemi. Non volendo riconsegnarla alla famiglia, le mise le mani intorno alla gola e la strangolò; dopodiche, la svestì e l'accarezzò con molta riverenza, per poi rivestirla e riportarla di nascosto nella sua macchina.
Il corpo venne lasciato a decomporsi, non prima di averne amputato mani e piedi, che Miyazaki conservò nel suo armadio; le ossa della bambina vennero cremate e conservate.
Allertata la sera stessa del giorno in cui Mari era scomparsa, la polizia interrogò senza sosta gli abitanti della zona e appese 50.000 volantini con la foto della bambina: alcuni testimoni affermarono di aver visto la bambina camminare insieme ad un uomo sconosciuto.
Dopo aver espresso pubblicamente la speranza che Mari fosse ancora viva, la madre Yukie ricevette una lettera con scritto “Ci sono diavoli in giro”. La famiglia Konno iniziò anche a ricevere numerose chiamate telefoniche anonime: quando rispondevano, la persona all'altro capo riagganciava; quando non rispondevano, il telefono continuava a suonare anche per venti minuti.
Non avendo tuttavia ricevuto richieste di riscatto o rinvenuto alcun cadavere, la polizia catalogò il caso come "persona scomparsa", consigliando però alle famiglie di non perdere di vista i bambini.
Da quel momento, fino all'arresto di Miyazaki, tutti i genitori del luogo iniziarono ad accompagnare ogni giorno i propri figli all'asilo, preoccupati per quanto era successo a Mari.
LE NUOVE VITTIME: MASAMI YOSHIZAWA (7 ANNI) E ERIKA NANBA (4 ANNI)
Erano passate sei settimane dalla scomparsa di Mari Konno, quando Miyazaki colpì nuovamente. Il 3 ottobre 1988, mentre stava andando in macchina a Hanno, nella prefettura di Saitama, Miyazaki vide un'alunna di prima elementare, Masami Yoshizawa, camminare sul marciapiede accanto alla strada. La convinse a salire in macchina e poi la portò sulla stessa collina dove aveva compiuto il primo delitto. Questa volta Miyazaki non si limitò a strangolare la vittima, ma stuprò il cadavere ancora caldo di Masami. Quando questo ebbe un sussulto improvviso, si spaventò e scappò dal luogo del delitto in tutta fretta, lasciando il corpo di Masami a neanche 100 metri da dove si trovava quello di Mari.
La polizia si mise subito alla ricerca della bambina interrogando gli abitanti del luogo e spargendo poster segnaletici con la foto di Masami, ma il risultato fu il medesimo che con Mari Konno. Sebbene si sospettasse un collegamento tra i due casi, l'assenza del cadavere o di richieste di riscatto fecero dichiarare anche questo un caso di persona scomparsa.
Passarono altri due mesi, quando il 3 dicembre avvenne il terzo delitto. Questa volta le cose andarono diversamente dai primi due casi. Non solo Miyazaki fu vicino a venire scoperto, ma il cadavere fu ritrovato poco dopo la scomparsa.
Come nei precedenti casi, la bambina, Erika Nanba, si imbattè nell'automobile del suo assassino mentre stava tornando a casa e venne convinta a salire. Dopo essere giunti al parcheggio del Naguri Youth Nature House la bambina, in lacrime, venne costretta a spogliarsi nel sedile posteriore mentre Miyazaki le scattava fotografie. Proprio in quel momento una macchina passò nel parcheggio, illuminando per un momento la faccia dell'uomo con i propri fari.
Miyazaki non venne scoperto, e subito dopo strangolò anche la sua terza vittima; nascose i vestiti nella foresta dietro il parcheggio e avvolse con cura il cadavere in un lenzuolo che mise nel bagagliaio. Mentre tornava a casa, tuttavia, si distrasse dalla guida e una delle ruote della macchina si incastrò in un canale di scolo. Miyazaki corse nella foresta a nascondere il cadavere di Erika, trovando al ritorno due uomini vicino alla sua macchina. Mentre apriva il bagagliaio per rimettere il lenzuolo - ora vuoto - spiegò il suo problema ai due uomini, che lo aiutarono a liberare la ruota.
Il giorno dopo la polizia di Kawagoe iniziò le ricerche di Erika Nanba. Supponendo fin da subito che la scomparsa fosse correlata a quella di Mari e Masami, la prefettura di Saitama organizzò un centro operazioni speciali interamente dedicato a risolvere il caso delle tre bambine scomparse.
Il giorno successivo, un lavoratore del Naguri Youth Nature House scoprì alcuni vestiti da bambina nella foresta: centinaia di poliziotti iniziarono a perlustrare l'area, fino al ritrovamento del cadavere, con mani e piedi legati con un nastro di nylon.
Non vennero trovati altri indizi nei dintorni, tuttavia i due uomini che avevano aiutato Miyazaki a liberare la ruota fornirono una descrizione accurata dell'uomo. Purtroppo, sbagliarono a identificarne la macchina, fornendo alla polizia un modello diverso, che scoprì l'errore solo dopo aver perquisito più di 6000 vetture.
UN FILO COMUNE: IL RITROVAMENTO DI MARI KONNO
La scoperta del cadavere di Erika Nanba spinse a rivalutare i precedenti casi di Mari e Masami. Ci si trovava di fronte a potenziali omicidi. C'erano inoltre diverse similitudini tra i vari casi: tutte le tre ragazze vivevano a meno di 30 Km di distanza tra loro, tutte le famiglie erano state perseguitate da ripetute chiamate anonime e dopo una settimana dalla scomparsa, anche la famiglia di Erika Nanba aveva ricevuto una lettera recitante: “Erika. Freddo. Tosse. Gola. Riposo. Morte”. Si iniziò seriamente a considerare l'esistenza di un serial killer di bambine nella prefettura di Saitama.
Mentre la preoccupazione di genitori e insegnanti cresceva in tutta Saitama, la polizia rinnovò gli sforzi nella ricerca dei corpi di Mari e Masami, senza alcun risultato.
Il 6 febbraio 1989, Shigeo Konno, il padre di Mari, ritrovò davanti alla porta di casa una scatola contenente polvere, terra, resti di ossa carbonizzate, 10 piccoli denti, foto di vestiti da bambina e una lettera scritta con ritagli di giornale: “Mari. Cremata. Ossa. Investigare. Prova.”
I denti vennero immediatamente fatti analizzare, tuttavia il Dr. Toshio Suzuki sostenne che probabilmente non appartenevano a Mari, notizia che venne divulgata in una conferenza stampa. Poco tempo dopo, però, non solo il Dr. Suzuki cambiò idea, ma le analisi sui resti delle ossa confermarono che si trattava dei resti della piccola Mari.
Nel frattempo, Miyazaki seguiva avidamente tutti gli sviluppi riguardanti il suo caso, e appena seppe del primo verdetto del Dr. Suzuki, inviò una lettera di tre pagine allo Yomiuri Shinbun, intitolata “Confessione criminale” e firmata Yuko Imada.
“Ho messo io la scatola di cartone con i resti di Mari davanti a casa sua. Ho fatto tutto io, dall'inizio dell'incidente fino alla fine. Ho visto la conferenza stampa della polizia dove hanno detto che i resti non sono di Mari. Alla videocamera, la madre ha detto che il verdetto le ha dato nuova speranza che Mari possa essere ancora viva. Allora ho saputo che dovevo scrivere questa confessione, cosi che la madre di Mari non continuasse a sperare invano.”
La polizia ufficializzò il caso di Mari come omicidio, diffuse migliaia di volantini riportanti spezzoni della lettera in tutta la zona in cui vivevano le bambine, e iniziò a studiare gli indizi ottenuti. Si riuscì a identificare la macchina fotografica con cui erano state scattate le foto dei vestiti di Mari, il tipo di cartone in cui erano stati consegnati i resti, e anche il tipo di carta utilizzata per le lettere. Tutti indicavano un legame dell'assassino con qualche tipografia.
L'11 marzo 1989, sette mesi dalla scomparsa di Mari, la famiglia Konno potè celebrarne il funerale, grazie ai resti consegnati dall'assassino. Durante la cerimonia, il padre Shigeo lanciò un appello:
“Le sue mani e i suoi piedi non sembrano essere tra le spoglie. Quando lei salirà in cielo, non sarà in grado di camminare o mangiare. Vi prego di riportarci il resto delle sue spoglie.”
Al ritorno a casa, i genitori di Mari trovarono una nuova lettera di Yoku Imada, intitolata semplicemente Confessione:
“Prima che me ne rendessi conto, il cadavere della bambina era diventato rigido. Volevo incrociare le sue braccia sopra le sue tette, ma non si volevano piegare... Molto presto, su tutto il corpo iniziarono a formarsi delle macchie rosse... grandi macchie rosse. Come la bandiera di Hinomaru. O come se voi aveste ricoperto il suo intero corpo con dei sigilli rossi... Dopo un po', il corpo era ricoperto da smagliature. Era così rigido prima, ma ora sembrava come se fosse pieno d'acqua. E puzzava. Quanto puzzava. Come nulla voi abbiate mai annusato in questo intero, grande, mondo.”
L'ULTIMA VITTIMA: AYAKO NOMOTO (5 ANNI)
Nell'estate del 1989 Miyazaki stava diventando sempre più inquieto, saltando sempre più spesso il lavoro e passando giornate intere a editare video in camera sua. L'1 giugno vide delle bambine giocare davanti ad una scuola elementare e ne convinse una a togliersi i calzoni, iniziando a fotografarla. Miyazaki venne messo in fuga da alcuni vicini che lo inseguirono.
Il quarto delitto sarebbe avvenuto di lì a pochi giorni. Il 6 giugno, in un parco vicino al campo da tennis di Ariake, vicino Tokyo, Miyazaki vide Ayako Nomoto, una bambina di 5 anni che giocava da sola. All'inizio le chiese semplicemente di posare per qualche fotografia; Ayako accettò. Dopo un po', le chiese di fare qualche foto anche dentro la macchina, e quando le porse una gomma da masticare, Ayako fece un commento sulle sue mani deformi. Miyazaki s'infuriò e iniziò a stringere il collo di Ayako “Questo è quello che succede alle bambine che dicono cose del genere”. Dopo qualche minuto, per essere sicuro fosse morta, la imbavagliò e le legò la braccia con una corda, per poi metterla nel bagagliaio della propria automobile. Mentre tornata a casa, Miyazaki si fermò a noleggiare una videocamera e, per la prima volta, portò il cadavere direttamente a casa propria. Dopo averla svestita e pulita, la filmò tra le gambe, per poi riprendere se stesso masturbarsi di fronte a lei. Infine, la nascose sotto tre lenzuola.
Dopo due giorni la puzza del cadavere era divenuta insopportabile. Miyazaki tagliò la testa, le braccia e i piedi e abbandonò il resto del corpo in un bagno pubblico vicino al cimitero di Hanno. Seppellì le mani nel suo giardino dietro casa, non prima di averne divorato una parte, e seppellì il resto nella collana di Mitakeya, a 230 metri da casa sua.
Il torso venne ritrovato cinque giorni dopo la morte, e presto identificato come quello di Ayako.
L'ARRESTO DEL SERIAL KILLER DI BAMBINE
Nonostante gli enormi sforzi della polizia, fu un civile a porre fine alla carriera del serial killer di bambine. Il 23 luglio 1989 due sorelle stavano giocando vicino a un lavabo in Hachihoji, quando Miyazaki disse alla maggiore, di 9 anni, di restare lì, mentre convinceva la minore a seguirla fino alla riva del fiume. La sorella tuttavia corse a casa ad avvertire il padre dell'accaduto. Il padre, accorso sul posto, si trovò di fronte un uomo sconosciuto che puntava una macchina fotografica tra le gambe della figlia nuda. Miyazaki venne bloccato, riuscendo a fuggire fino alla propria macchina dove venne arrestato dalla polizia, che lo aspettava dopo esser stata avvertita dell'accaduto. Ufficialmente Miyazaki venne arrestato per aver costretto un minore a commettere atti indecenti, ma tutti erano convinti di aver finalmente catturato il serial killer di bambine, tanto che i giornalisti corsero a riprendere la casa di Miyazaki ancora prima che ci andasse la polizia. Nei mesi successivi, Miyazaki confessò tutti i quattro delitti da lui commessi; aggiunse inoltre di aver mangiato pezzi di due dei cadaveri e di aver bevuto il sangue di uno di questi. Gli investigatori rinvennero anche alcuni filmati pornografici delle sue vittime (sia vive che morte) tra i tanti video presenti in casa sua. Tutti i cadaveri delle bambine vennero ritrovati e riconsegnati alle famiglie.
Il padre di Tsutomu si rifiutò di assumere un avvocato per difendere suo figlio, in quanto non sarebbe stato corretto nei confronti dei parenti delle vittime. Junji Suzuki e Keiji Iwakura si offrirono per difendere Miyazaki durante il processo, costruendo la loro strategia sull'incapacità di Miyazaki di distinguere tra giusto e sbagliato, avendo quindi una responsabilità limitata di quanto avvenuto. L'obiettivo era di evitare la condanna a morte a favore dell'ergastolo.
MALVAGITÁ O PAZZIA? PROCESSO E CONDANNA DELL'ASSASSINO OTAKU
La prima valutazione psicologica, effettuata a metà settembre dai psichiatri dell'Agenzia Nazionale di Polizia, era stata che Miyazaki non mostrava alcun apparente disordine mentale. La difesa chiese tuttavia una seconda valutazione, più accurata. La corte acconsentì alla richiesta, e un gruppo di psicologi venne assegnato allo studio del caso di Miyazaki. Vennero attestate un gran numero di ossessioni: pedofilia, necrofilia, sadismo, feticismo e cannibalismo; si ritenne inoltre che l'uomo fosse prima un pedofilo e solo secondariamente un assassino: l'omicidio era la conclusione del suo atto d'amore nei confronti delle bambine, un modo per riuscire a possederle.
Tuttavia, per quanto concerneva la consapevolezza di Miyazaki, c'erano opinioni discordanti. Alcuni sostenevano che Miyazaki fosse completamente estraniato dalla realtà, che vivesse in un mondo suo, privo di senso di colpa, e quindi non potesse venire considerato responsabile delle azioni da lui commesse.
Nel frattempo, Miyazaki trascorreva le sue giornate in cella felicemente, guardando anime e leggendo manga, in modo non molto diverso da quanto faceva prima dell'arresto. Scrisse anche ai propri genitori: una feroce lettera d'accusa al padre, a cui attribuiva tutta la colpa per quello che era successo, e una più mite alla madre, con cui si scusò per averla fatta soffrire e a cui disse di ricordarsi di cambiare l'olio alla sua macchina altrimenti non avrebbe potuto usarla. Dopo aver espresso pubblicamente il suo senso di colpa per non aver prestato maggior attenzione al proprio figlio, il padre di Tsutomu Miyazaki si tolse la vita.
Il verdetto finale fu che, sebbene soffrisse di personalità multiple e di schizofrenia, al momento dei delitti Miyazaki era pienamente consapevole della gravità delle sue azioni, e che quindi la responsabilità degli omicidi gli andava assegnata interamente.
Alcuni hanno ritenuto le lettere inviate alle famiglie delle vittime come una rivalsa verso quella società che l'aveva emarginato e criticato; secondo diversi psicologici, invece, Miyazaki non aveva alcun interesse nel pensiero della società, essendosi costruito una sua società ideale nella propria mente, una società di cui egli era il nucleo. Anche tutti gli assassini da lui compiuti, nella sua visione del mondo, non erano in alcun modo diversi da un videogioco, le vittime erano come personaggi di un manga. Confessò di aver ucciso degli animali in passato, per gioco. Aveva buttato un gatto in un fiume, e ne aveva bollito un altro nell'acqua bollente. Aveva anche strangolato il suo stesso cane.
Negli anni successivi la condizione mentale di Miyazaki andò via via peggiorando: iniziò ad avere allucinazioni, disse di sentire una voce che tentava di fargli del male, e divenne quasi psicopatico. Non si pentì però mai dei suoi crimini e si rifiutò di chiedere scusa alle famiglie delle vittime, e iniziò ad accusare un immaginario uomo-ratto dei delitti commessi.
Tsutomu Miyazaki venne condannato a morte diverse volte, ma fu effettivamente impiccato solamente nel 2008, dopo una lunga serie di ricorsi falliti. Erano trascorsi 19 anni dal suo arresto. Le ultime parole che disse al suo psicologico furono: “Dì al mondo che sono una persona gentile”.
L'ODIO VERSO GLI OTAKU SI DIFFONDE: “SONO TUTTI TSUTOMU MIYAZAKI”
Ufficialmente nati nel 1983 negli articoli discriminatori di Akio Nakamori sulla rivista Manga Burikko, all'epoca gli otaku non erano ancora così malvisti come sarebbero successivamente diventati. Sì, la società giapponese aveva già una bassa opinione di questi “bambinoni” che “facevano ore di coda per vedere un film di Gundam o tenevano nel portafogli immagini di Minky Momo o Nanako”, ma la vera esplosione dell'odio nei loro confronti avvenne principalmente a causa degli eventi legati a Tsutomu Miyazaki. Lo stesso termine “otaku”, prima noto principalmente tra gli appassionati e addetti ai lavori, si diffuse tra la popolazione proprio a causa del clamore mediatico seguito all'evento.
Dopo l'arresto del serial killer di bambine, infatti, nella sua casa venne ritrovata una collezione di 5763 videocassette, perlopiù anime (molti pornografici) e film horror, tra cui viene citata la raccolta di film Guinea Pig, nota per la sua estrema violenza e il realismo degli effetti speciali. I giornalisti approfittarono dell'occasione, soprannominando Miyazaki assassino otaku, facendo leva sul suo essere otaku per meglio veicolare l'odio della popolazione verso di lui.
E insieme all'odio verso di lui, crebbe l'odio verso tutta la categoria. Nakamori Akio, il giornalista che aveva battezzato gli otaku col proprio nome, scrisse un libro dedicato alla storia di Miyazaki in cui faceva largo uso del termine otaku, spesso in modo dispregiativo o denigratorio.
Al Comiket di quell'anno un reporter della TBS disse, indicando la folla di presenti: “Guardate! Qui ci sono 100.000 Tsutomu Miyazaki.”
E sempre nel 1989 venne pubblicato Otaku no hon, libro incentrato sulla figura dell'otaku con numerosi articoli dedicati. Chiaramente, anche in questo caso non veniva data una visione positiva degli otaku.
Ci sarebbero voluti due decenni perchè il termine otaku venisse ripulito della deriva quasi criminale a cui era stato associato dopo gli eventi di Miyazaki; da un lato grazie a opere come Densha otoko, che mostravano una figura più apprezzabile, meno deteriore, degli otaku, dall'altro grazie al Cool Japan, movimento con cui il governo giapponese iniziò a sfruttare anime, manga e tutte le sottoculture otaku ad esso relative per esportare la propria industria culturale nazionale nel resto del mondo. Anche se, ancora oggi, molti giornalisti giapponesi restano fortemente critici nei confronti della cultura otaku e dei suoi appartenenti.
Recentemente, sono nate teorie secondo le quali buona parte della collezione di Tsutomu Miyazaki non fosse realmente sua, ma fosse stata inserita dai giornalisti allo scopo di incentivare l'odio nei confronti dell'assassino, oppure che molte delle opere non fossero di natura (pedo)pornografica, ma opere più "innocue" (ad esempio Dokaben).
Fonti consultate:
- Murderpedia (raccolta di articoli su Tsutomu Miyazaki)
- Japantoday
- Japanese-world
- Generazione otaku. Uno studio della postmodernità di Hiroki Azuma
- Otakuzoku no kenkyuu (traduzione degli articoli originali di Akio Nakamori sugli otaku)
- Debating Otaku in Contemporary Japan: Historical Perspectives and New Horizons di P.W. Galbraith
Anche questo articolo l'ho letto a frammenti e già mi è bastato, un'altro non lo reggo. Ok come dice Ironic "aspetti poco piacevoli" del Giappone, ma storie come questa è orrore, non "poco piacevole".
L'articolo postato è giustificato dall'argomento Otaku e non sapevo che il disprezzo della società derivasse da questo fatto. Ringrazio per l'informazione e mi complimento con Slanzard, ma allo stesso tempo spero sia l'ultimo così atroce, per questo sito è decisamente esagerato. Ogni paese ha i sui delitti efferati e ovviamente il Giappone non può certo esimersi, chi non lo pensa e crede che sia il paese dei balocchi sbaglia alla grande, quando i giapponesi danno fuori lo fanno alla grande.
Un'altro articolo come questo non lo leggerò e voi direte.... "e chi se ne frega", ma io ve lo dico lo stesso
no figurati...non è che adesso ci mettiamo a fare articoli di morti e crudeltà, questa aveva senso nel contesto del discorso otaku in Giappone.
Di sicuro si tratteranno altri aspetti del Giappone come quelli politico o di costume o sociali ma non così truci
....meno male, ecco quelli sì che ci vogliono!
@KUMA-29
condivido tutto quello che dici, è proprio così, anch'io ho amici giapponesi ed è assolutamente così, discorsi frivoli e assolutamente privi di ogni spessore.
E' chiaro che ci sono due elementi molto importanti nella storia dell'assassino ma uno di questi è stato deliberatamente ignorato sia dai media che dall'opinione pubblica.
Questo ci sembra aberrante e ingiusto perché ci sentiamo coinvolti e giudicati in quanto appassionati di animazione, ma quanto spesso anche noi cerchiamo di categorizzare in modo drastico una persona che giudichiamo negativamente?
Ho trovato l'articolo molto educativo sotto questo punto di vista, mettendoci per una volta nella posizione opposta a quella in cui solitamente ci sentiamo, o ci mettiamo per convenienza.
Sicuramente quest'uomo non ha dato un buon contributo alla causa degli Otaku, anzi. Come storia è veramente terribile. Quest'uomo era veramente pazzo da tutti i punti di vista. Ha fatto delle cose atroci che suscitano fastidio al solo sfiorare il pensiero. Come dice Hattychan questa storia fa riflettere.
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