Può un uomo da solo salvare 6.000 persone? Se ritiene che sia quello che è giusto fare, sì, lo può fare. Questa che vado a raccontarvi è la storia poco conosciuta di Chiune Sugihara, l'unico giapponese ad essere stato insignito, dall’Ente israeliano per la Memoria della Shoah, del riconoscimento di Giusto tra le nazioni e ad avere il suo nome inciso nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem di Gerusalemme.
 

Tutto inizia nel settembre del 1939, quando la Germania invade la Polonia: è l'inizio della Seconda Guerra Mondiale e presto una parte dell'Europa orientale finisce sotto il controllo del Terzo Reich.
Per questo migliaia di lituani e polacchi di origine ebrea cercano di sfuggire in qualunque modo alle persecuzioni naziste e in tanti arrivano a Kaunas, in Lituania, paese annesso all'Unione Sovietica nel giugno del 1940. In questa città sono in molti a recarsi presso il Consolato giapponese nella speranza di ottenere un visto che consenta loro di salire sulla Transiberiana e, attraversando tutta la Russia, arrivare in Giappone e da qui cercare un rifugio sicuro negli Stati Uniti o altrove. Ed è qui che queste persone trovano Chiune Sugihara, vice console.
 

L'uomo chiede ai suoi superiori, attraverso numerosi telegrammi presso il Ministero degli Affari Esteri, come deve comportarsi in un tale frangente e si sente rispondere di accordare il visto solo a chi ha il denaro e i documenti necessari che attestino la loro volontà di usare il Giappone solo come paese di transito verso altre nazioni.
Ma Sugihara ha saputo dalle autorità sovietiche che il Consolato nipponico di Kaunas sarà chiuso di lì ad un mese e così decide di concedere tutti i visti che riuscirà a firmare prima della sua obbligata partenza.
Iniziano così i ventinove giorni più difficili della sua carriera: tra il 31 luglio e il 28 agosto del 1940 Sugihara firma 2.139 visti, grazie ai quali si calcola che abbia salvato più di 6.000 ebrei (e quindi in qualche modo i loro 40.000 discendenti) mettendo a repentaglio la propria vita, quella della sua famiglia e soprattutto sacrificando la carriera.
 

Per ognuno di quei 29 giorni, Sugihara firma tanti visti quanti quelli che si facevano normalmente in un mese. Ogni tanto la moglie Yukiko gli massaggia la mano dolente. Anche quando il Consolato deve chiudere i battenti, l'uomo non si arrende: porta la famiglia alla stazione e nel frattempo continua a firmare visti fin sul treno, lanciando gli ultimi, ancora in bianco, dal finestrino.
Quando la guerra finisce, Sugihara è a Bucarest; da qui è trasferito presso un campo di prigionia (ricordiamoci che il Giappone ha perso il conflitto) e rientra in patria ad aprile del 1947. A giugno le sue dimissioni sono registrate presso il Ministero, ma in realtà è palese che sia stato fatto fuori dal corpo diplomatico perché ha disobbedito agli ordini.
 

"Erano esseri umani, e avevano bisogno di aiuto. Potevo disobbedire al mio governo, ma non potevo disobbedire a Dio".

Questo era quello che soleva spesso ripetere Sugihara a chi gli chiedeva perché avesse fatto quello che aveva fatto. Ma non erano in molti a conoscere la sua storia finché uno di quelli che aveva salvato, Yoshua Nishri, dopo aver dedicato molti anni alla sua ricerca, lo trova nel 1968 a Fujisawa, nella prefettura di Kanagawa, dove vive con la sua famiglia dal 1947, lavorando per una ditta giapponese che esporta in Russia. L'incontro presso l'ambasciata è molto emozionante e commovente, Sugihara non ha mai avuto la possibilità di conoscere la sorte di coloro a cui aveva donato un visto.
Quando Nishri chiede all'uomo cosa avrebbe potuto fare per sdebitarsi con lui, l'ex console esprime il desiderio di far studiare uno dei suoi figli presso un'università israeliana. La settimana successiva tutto è pronto per accogliere il ragazzo e nel 1970 tutta la famiglia va in visita ufficiale ad Israele.
 

Nel 1985 l’Ente israeliano per la Memoria della Shoah gli riconosce il titolo di Giusto tra le nazioni. L’anno successivo Sugihara muore, lasciando a sua moglie e ai suoi figli il compito di tramandare la sua storia.
Ed è quello che fanno: la moglie Yukiko è la prima a raccontare la storia di Sempo (chiamato così a Kaunas perché nessuno riusciva a pronunciare il suo nome di battesimo) in un libro pubblicato nel 1995 "Visas for Life" (mai tradotto in italiano). Nel 1991 il Ministero degli Affari Esteri Giapponese lo reintegra nelle sue funzioni seppur a titolo postumo. Il figlio Nobuki ancora l'estate scorsa ha intrapreso un tour in Israele per assicurarsi l’appoggio di Tel Aviv per erigere un piccolo monumento dedicato a suo padre a Fujisawa.
 

Infine è uscito nell'autunno del 2015 il film "Persona non grata", diretto dal regista nippoamericano Cellin Gluck e prodotto dalla Nippon Tv. Sebbene secondo il figlio Nobuki, la vita di suo padre sia stata molto romanzata, la pellicola ha permesso anche al grande pubblico di scoprire la figura di Chiune Sugihara, interpretato da Toshiaki Karasawa.
Il titolo è un riferimento alla vita dell'uomo prima della Seconda Guerra Mondiale: nel 1924 Sugihara era stato assegnato in Manciuria, ma il governo giapponese voleva in realtà usare la sua conoscenza della lingua e della cultura russa per strappare ai sovietici il controllo di una ferrovia.
 

Mosca perciò lo dichiarò "persona non grata" accusandolo di spionaggio e Sugihara perse per sempre le speranze di realizzare il suo sogno, cioè  diventare ambasciatore giapponese a Mosca.
Secondo il regista, quest’esperienza lo aiutò ad immedesimarsi con i sentimenti provati dagli ebrei, cacciati da ogni luogo.


Fonti consultate:
IlFoglio
Nippon-ChiuneSugihara
Nippon-PersonaNonGrata