Una delle figure che si associa spesso al Giappone è quella del samurai, guerriero fedele fino alla morte al suo padrone. In tempi moderni il suo ruolo è stato assunto dall'impiegato o dipendente di una grande azienda che sacrifica tutto se stesso per il bene della ditta, con un senso di abnegazione difficile da trovare altrove.
Non sempre la realtà corrisponde al 100% a questo stereotipo, spesso è più un obbligo sociale che un essere votati alla causa, ma è indubbio che questo spirito di sacrificio resti negli animi dei giapponesi, figlio di un codice etico e morale ispirato appunto alla figura del guerriero. Avrete sicuramente sentito nominare il Bushidō: vediamo dunque di scoprire come nasce e come è arrivato ai giorni nostri.
Il termine Bushidō (武士道) è composto da due kanji, Bushi 武士 e Dō 道. Il primo indica in questo contesto "guerriero" mentre il secondo può essere tradotto come "via", "cammino", ma anche inteso come "morale", "dottrina". Quindi il termine Bushidō significa letteralmente "la via del guerriero" o, meglio, "la morale del guerriero". Questo termine in realtà è comparso però relativamente tardi: nel Medioevo infatti il codice di condotta bushi era descritto come kyûba no michi (la via del tiro con l'arco e dell'equitazione) oppure come yumiya toru mi no narai (usanze per chi usa l'arco).
Il termine Bushidō sarà usato per la prima volta nel Kôyô gunkan, considerato il manuale della scuola di arti marziali Takeda-ryû. In questi scritti, che includono 20 pergamene, il termine Bushidō è usato più di 30 volte. Questo testo, distribuito tra i guerrieri come manuale di insegnamento per le arti marziali sarà alla base della divulgazione del termine Bushidō.
Tuttavia, l'identità del suo autore rimane incerta: esistono due teorie al riguardo. La prima indica come autore Kôsaka Danjô Masanobu, vassallo di Takeda Shingen che ne iniziò la stesura dopo la sconfitta della battaglia di Nagashino nel 1575. La seconda invece sceglie come autore Obata Kanhyôe Kagenori, servitore dei samurai e studioso delle arti marziali della Takeda-ryû, che avrebbe iniziato a scriverlo intorno al 1615.
Il bushidô descritto nel Kôyô gunkan pone particolarmente l'accento sull'importanza delle imprese militari sul campo di battaglia e sul coraggio delle truppe.
Nel testo si afferma inoltre che assumere ruoli amministrativi nel governo o darsi al commercio, non sfrutta sufficientemente i talenti di una persona che pratica il Bushidō. Il testo sottolinea che il Bushidō consiste nel trasformare se stessi in una lancia sul campo di battaglia. Il vero atto di nascita del Bushidō risale però alla seconda metà del 1600, quando Tsuramoto Tashiro raccolse le regole del monaco-samurai Yamamoto Tsunetomo (1659-1719) nel noto testo Hagakure (letteralmente "nascosto tra le foglie").
Col passare del tempo però il Bushidō si evolverà ponendo maggior enfasi sulla forza interna piuttosto che su quella esterna, finendo per essere sinonimo della morale di un individuo. Questo fu sicuramente in parte dovuto al fatto che finalmente il Giappone conobbe un lungo periodo di pace durante l'era Tokugawa. Più di 200 anni senza conflitti nazionali o internazionali erano una cosa rara, quindi anche la via del guerriero cambiò, passando quindi dal dare estrema importanza al coraggio sul campo di battaglia a qualcosa di più legato all'integrità morale.
Questo periodo di pace prolungata finì per mettere in discussione l'esistenza degli stessi bushi in quanto tali. Non erano più solo guerrieri, ma avevano incarichi di funzionari nel governo occupandosi di ordine pubblico o di polizia, aiutando a stabilire leggi e un sistema giudiziario nel paese.
Inoltre divennero responsabili di altre funzioni sociali estremamente varie come la riparazione e la manutenzione delle infrastrutture di trasporto, il controllo delle inondazioni, i sistemi di irrigazione, lo sviluppo di nuovi terreni agricoli e il miglioramento di quelli esistenti, la prevenzione degli incendi, la promozione dell'industria e persino la fornitura di farmaci e le cure mediche. In Europa, questo tipo di funzione non ricadeva sui cavalieri, una differenza significativa con il Bushidō.
Con la Restaurazione Meiji (1866-1869), il Bushidō si trasformò ancora e trovò come nuovo punto fondante il rispetto assoluto dell'autorità dell'imperatore, diventando così uno dei capisaldi del nazionalismo giapponese.
Due furono soprattutto i principi del Bushidō che vennero usati in questo periodo: l'assoluto disprezzo per il nemico che si arrende (che causò i trattamenti brutali e denigranti a cui i giapponesi sottoposero i prigionieri nel corso della seconda guerra mondiale) e l'inaccettabilità etica della resa unita alla ricerca di una morte onorevole in combattimento che spinsero molti soldati a diventare kamikaze e a morire in nome dell'Imperatore.
D'altronde all'interno dell'Hagakure compare una frase che avallava questo sacrificio: "Il fondamento della via del Samurai è la risoluta accettazione della morte". Molti quindi interpretarono il bushidô come un codice che sosteneva la morte soprattutto in vista di un bene superiore. In realtà il significato era tutt'altro: attraverso una costante consapevolezza della morte è possibile raggiungere uno stato di libertà che trascende la vita e la morte, realizzando così pienamente la propria vocazione di guerriero.
Ma a parte il ruolo avuto durante i secoli, in concreto cosa professa il Bushidō? Nel Kashôki, libro scritto nel 1642 dal guerriero Saitô Chikamori, vassallo del clan Mogami, è così descritto:
"L'essenza del bushido è non mentire, non ingannare, non essere ossequioso, non essere superficiale, non essere avido, non essere scortese, non essere presuntuoso, non essere arrogante, non calunniare, non essere infedele, essere in buoni rapporti con i compagni, non essere eccessivamente preoccupato per gli eventi, ascoltare gli altri, mostrare compassione, avere un forte senso del dovere. Per essere un buon samurai, devi essere disposto a dare più della tua vita".
Ispirato alle dottrine del buddhismo e del confucianesimo, il Bushidō si fonda su sette concetti cardine, ai quali il samurai deve scrupolosamente attenersi:
義, Gi: Onestà e Giustizia
Essere scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi. Il vero samurai non ha incertezze: vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yu: Eroico Coraggio
Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma questo significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
仁, Jin: Compassione
L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una. La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.
礼, Rei: Gentile Cortesia
I samurai non hanno motivi per comportarsi in modo crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini. Il miglior combattimento è quello evitato.
誠, Makoto: Completa Sincerità
Quando un samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Vi è un solo giudice dell'onore del samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
Per il samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.
Tutti questi principi, grazie al Kashôki, travalicarono la classe dei samurai e dei guerrieri arrivando alla popolazione generale diventando così una cultura etica della nazione. Il libro infatti fu scritto usando un inguaggio e un alfabeto comprensibile da chiunque avesse ricevuto un'istruzione elementare, quindi anche da adolescenti e donne.
Verso la fine del XVII fu pubblicato anche il "Kokon ezukushi bushido": illustrato da Hishikawa Moronobu, spesso considerato il "fondatore" delle ukiyo-e, era rivolto ai bambini e raccontava leggende popolari eroiche di guerrieri con una semplice descrizione per ogni illustrazione.
In questo modo i precetti morali quali non mentire, non essere codardi, agire fedelmente fino alla fine, modificarono notevolmente il comportamento delle masse, soprattutto nelle transazioni commerciali, dando impulso ad un'etica del lavoro profondamente radicata che a volte però in alcuni contesti può diventare esasperante.
Fonte consultata:
Nippon
Non sempre la realtà corrisponde al 100% a questo stereotipo, spesso è più un obbligo sociale che un essere votati alla causa, ma è indubbio che questo spirito di sacrificio resti negli animi dei giapponesi, figlio di un codice etico e morale ispirato appunto alla figura del guerriero. Avrete sicuramente sentito nominare il Bushidō: vediamo dunque di scoprire come nasce e come è arrivato ai giorni nostri.
Il termine Bushidō (武士道) è composto da due kanji, Bushi 武士 e Dō 道. Il primo indica in questo contesto "guerriero" mentre il secondo può essere tradotto come "via", "cammino", ma anche inteso come "morale", "dottrina". Quindi il termine Bushidō significa letteralmente "la via del guerriero" o, meglio, "la morale del guerriero". Questo termine in realtà è comparso però relativamente tardi: nel Medioevo infatti il codice di condotta bushi era descritto come kyûba no michi (la via del tiro con l'arco e dell'equitazione) oppure come yumiya toru mi no narai (usanze per chi usa l'arco).
Il termine Bushidō sarà usato per la prima volta nel Kôyô gunkan, considerato il manuale della scuola di arti marziali Takeda-ryû. In questi scritti, che includono 20 pergamene, il termine Bushidō è usato più di 30 volte. Questo testo, distribuito tra i guerrieri come manuale di insegnamento per le arti marziali sarà alla base della divulgazione del termine Bushidō.
Tuttavia, l'identità del suo autore rimane incerta: esistono due teorie al riguardo. La prima indica come autore Kôsaka Danjô Masanobu, vassallo di Takeda Shingen che ne iniziò la stesura dopo la sconfitta della battaglia di Nagashino nel 1575. La seconda invece sceglie come autore Obata Kanhyôe Kagenori, servitore dei samurai e studioso delle arti marziali della Takeda-ryû, che avrebbe iniziato a scriverlo intorno al 1615.
Il bushidô descritto nel Kôyô gunkan pone particolarmente l'accento sull'importanza delle imprese militari sul campo di battaglia e sul coraggio delle truppe.
Nel testo si afferma inoltre che assumere ruoli amministrativi nel governo o darsi al commercio, non sfrutta sufficientemente i talenti di una persona che pratica il Bushidō. Il testo sottolinea che il Bushidō consiste nel trasformare se stessi in una lancia sul campo di battaglia. Il vero atto di nascita del Bushidō risale però alla seconda metà del 1600, quando Tsuramoto Tashiro raccolse le regole del monaco-samurai Yamamoto Tsunetomo (1659-1719) nel noto testo Hagakure (letteralmente "nascosto tra le foglie").
Col passare del tempo però il Bushidō si evolverà ponendo maggior enfasi sulla forza interna piuttosto che su quella esterna, finendo per essere sinonimo della morale di un individuo. Questo fu sicuramente in parte dovuto al fatto che finalmente il Giappone conobbe un lungo periodo di pace durante l'era Tokugawa. Più di 200 anni senza conflitti nazionali o internazionali erano una cosa rara, quindi anche la via del guerriero cambiò, passando quindi dal dare estrema importanza al coraggio sul campo di battaglia a qualcosa di più legato all'integrità morale.
Questo periodo di pace prolungata finì per mettere in discussione l'esistenza degli stessi bushi in quanto tali. Non erano più solo guerrieri, ma avevano incarichi di funzionari nel governo occupandosi di ordine pubblico o di polizia, aiutando a stabilire leggi e un sistema giudiziario nel paese.
Inoltre divennero responsabili di altre funzioni sociali estremamente varie come la riparazione e la manutenzione delle infrastrutture di trasporto, il controllo delle inondazioni, i sistemi di irrigazione, lo sviluppo di nuovi terreni agricoli e il miglioramento di quelli esistenti, la prevenzione degli incendi, la promozione dell'industria e persino la fornitura di farmaci e le cure mediche. In Europa, questo tipo di funzione non ricadeva sui cavalieri, una differenza significativa con il Bushidō.
Con la Restaurazione Meiji (1866-1869), il Bushidō si trasformò ancora e trovò come nuovo punto fondante il rispetto assoluto dell'autorità dell'imperatore, diventando così uno dei capisaldi del nazionalismo giapponese.
Due furono soprattutto i principi del Bushidō che vennero usati in questo periodo: l'assoluto disprezzo per il nemico che si arrende (che causò i trattamenti brutali e denigranti a cui i giapponesi sottoposero i prigionieri nel corso della seconda guerra mondiale) e l'inaccettabilità etica della resa unita alla ricerca di una morte onorevole in combattimento che spinsero molti soldati a diventare kamikaze e a morire in nome dell'Imperatore.
D'altronde all'interno dell'Hagakure compare una frase che avallava questo sacrificio: "Il fondamento della via del Samurai è la risoluta accettazione della morte". Molti quindi interpretarono il bushidô come un codice che sosteneva la morte soprattutto in vista di un bene superiore. In realtà il significato era tutt'altro: attraverso una costante consapevolezza della morte è possibile raggiungere uno stato di libertà che trascende la vita e la morte, realizzando così pienamente la propria vocazione di guerriero.
Ma a parte il ruolo avuto durante i secoli, in concreto cosa professa il Bushidō? Nel Kashôki, libro scritto nel 1642 dal guerriero Saitô Chikamori, vassallo del clan Mogami, è così descritto:
"L'essenza del bushido è non mentire, non ingannare, non essere ossequioso, non essere superficiale, non essere avido, non essere scortese, non essere presuntuoso, non essere arrogante, non calunniare, non essere infedele, essere in buoni rapporti con i compagni, non essere eccessivamente preoccupato per gli eventi, ascoltare gli altri, mostrare compassione, avere un forte senso del dovere. Per essere un buon samurai, devi essere disposto a dare più della tua vita".
Ispirato alle dottrine del buddhismo e del confucianesimo, il Bushidō si fonda su sette concetti cardine, ai quali il samurai deve scrupolosamente attenersi:
義, Gi: Onestà e Giustizia
Essere scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi. Il vero samurai non ha incertezze: vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yu: Eroico Coraggio
Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma questo significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
仁, Jin: Compassione
L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una. La compassione di un samurai va dimostrata soprattutto nei riguardi delle donne e dei fanciulli.
礼, Rei: Gentile Cortesia
I samurai non hanno motivi per comportarsi in modo crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini. Il miglior combattimento è quello evitato.
誠, Makoto: Completa Sincerità
Quando un samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Vi è un solo giudice dell'onore del samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
Per il samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.
Tutti questi principi, grazie al Kashôki, travalicarono la classe dei samurai e dei guerrieri arrivando alla popolazione generale diventando così una cultura etica della nazione. Il libro infatti fu scritto usando un inguaggio e un alfabeto comprensibile da chiunque avesse ricevuto un'istruzione elementare, quindi anche da adolescenti e donne.
Verso la fine del XVII fu pubblicato anche il "Kokon ezukushi bushido": illustrato da Hishikawa Moronobu, spesso considerato il "fondatore" delle ukiyo-e, era rivolto ai bambini e raccontava leggende popolari eroiche di guerrieri con una semplice descrizione per ogni illustrazione.
In questo modo i precetti morali quali non mentire, non essere codardi, agire fedelmente fino alla fine, modificarono notevolmente il comportamento delle masse, soprattutto nelle transazioni commerciali, dando impulso ad un'etica del lavoro profondamente radicata che a volte però in alcuni contesti può diventare esasperante.
Fonte consultata:
Nippon
Menzione d'onore per le immagini tratte dai film di Kurosawa.
Consiglio vivamente la lettura dell'Hagakure, che come spesso accade per i manuali militari estremorientali è anche e soprattutto un testo filosofico e poetico, come si può evincere anche da omaggi e tributi in vari media come lo splendido film Ghost Dog di Jim Jarmusch.
Molti quindi interpretarono il bushidô come un codice che sosteneva la morte soprattutto in vista di un bene superiore. In realtà il significato era tutt'altro: attraverso una costante consapevolezza della morte è possibile raggiungere uno stato di libertà che trascende la vita e la morte, realizzando così pienamente la propria vocazione di guerriero.
Diciamo che l'uomo da sempre tenta di giustificare i suoi intenti e le sue intenzioni modificando a proprio piacimento i concetti.
Detto questo tante grazie ad @Hachi194 per l'ennesimo ed interessante articolo sulla cultura giapponese.
Comunquee per completezza ho trovato i medesimi valori nei romanzi del ciclo arturiano
Stavo pensando esattamente la stessa cosa, curioso come con questi valori cosi sbandierati l'esercito giapponese si macchio' di crimini di guerra prima e durante la seconda guerra mondiale.
Se la cosa fosse riconducibile al solo fanatismo i giapponesi di oggi non avrebbero problemi ad ammettere le loro colpe passate.
Infatti, ho spesso notato come per esempio in diverse versioni animate, si vede come i giapponesi abbiano una visione romantica del loro ruolo in guerra, quasi cavaleresca.
Le forze armate imperiali (esercito e marina)
Le Jieitai sono le forze d'autodifesa messe sù dopo la guerra di Corea
Bah. Io vedo solo stuoli di giovani plagiati all'inverosimile per proseguire una guerra persa in partenza e per far da scudo umano alla classe ultramilitarista che l'ha scatenata in nome di una presunta divinità vivente (che per inciso, nemmeno erano convinti fosse tagliato per il ruolo e gli preferivano il fratello).
L'incarnazione dell'adagio di Voltaire:
"Chi è capace di farti credere assurdità è capace di farti compiere atrocità"
Nessuna ammirazione, solo tanta pena.
edit: spell check
Il Bushido, un termine molto ambivalente a mio avviso. Da una parte visto porta onore e rispetto, dall’altra porta alla totale sottomissione al padrone/datore di lavoro. La troppa devozione al dovere fa sì che l’individuo smette di essere tale e diventa un mero ingranaggio di un sistema più grande.
Mi chiedo questo quanto abbia inciso sulla percezione nostra di un Giappone (ma dell'Asia Orientale in generale) collettivista dove all'individuo resta poco spazio e soprattutto privato, oltre che malato di stacanovismo
Errore di scrittura, era Tokugawa.
All'epoca in cui esistevano samurai e signori da servire aveva un senso profondo il Bushido, che rispetto e lodo. Se quel rapporto si è trasformato in quello di oggi, fra datori di lavoro e dipendenti, malato, sbagliato, qualcosa è andato male. Non vi è alcun rispetto se alla spada, ad un regno, ad una storia, all'onore, si è sostituito il solo denaro. (Non è detto che la realtà in cui si vive debba essere la realtà in cui si dovrebbe vivere, leggasi: mettere sempre tutto in discussione.)
Grazie per la segnalazione, corretto
no, questa è retorica cristiano/platonica:
"Sia invece il vostro parlare sì sì, no no, il più viene dal maligno" Matteo 5, 17-37
"Non sprecate parole come i pagani che credono di essere ascoltati a furia di parole" Matteo 6, 7
il mio giudizio, se permetti, si fonda su
questa serie di interviste ad ex-kamikaze non chiamati al servizio
questo libro che illustra l'ostinazione e l'irriducibilità dei militari a proseguire la guerra (con pure una piccola sorpresa circa il codice di condotta dell'esercito redatto nel 1941 proprio A SEGUITO delle atrocità commesse in Cina)
questa biografia di Hirohito (un po' datata e innocentista per i miei gusti ma comunque utile ad inquadrare la sua figura)
e sì, davanti a generazioni bruciate in un massacro utile solo ad ingrossare l'ego di pochi, non posso che provare pena, un po' come questo personaggio di un film schifosamente filofascista e guerrafondaio
(almeno secondo Hayao Miyazaki).
premesso che sono per la libera impresa (nei limiti dell'umano):
che differenza c'è tra un legame segnato dalla spada e uno segnato dalla penna?
perché servire un feudatario signore della guerra dovrebbe essere preferibile al megadirettore locale di turno?
(e soprattutto, se il denaro vi fa così schifo, perché non lo date a me? XD)
ma i samurai non erano esattamente "una società di filosofi" (cit.) si ricordi la pratica dello tsujigiri, ovvero uccidere qualche passante inerme solo per provare una nuova spada o tecnica. Fu solo durante gli anni di pace con i Tokugawa che i samurai (ormai quasi disoccupati) si dedicarono alle arti.
Lo stesso Miyamoto Musashi usava una "tecnica particolare" nei duelli... arrivare in ritardo XD ovviamente lo faceva di proposito per innervosire l'avversario.
Per i kamikaze il discorso è più complesso, c'era dentro un po' di tutto, da chi ci credeva a chi era plagiato, spesso con drammi su drammi, giovani che si immolavano per le famiglie e famiglie che si suicidano così che il loro familiare pilota potesse suicidarsi senza pensare ai propri cari che lasciava indietro.
Per chi volesse approfondire può leggere i libri di Leonardo Vittorio Arena
Samurai ascesa e declino di una grande casta di guerrieri
e
Kamikaze l'epopea dei guerrieri suicidi
Sei più giapponese di meXD
Quando si parla di di soldi mi viene in mente sempre Chōji Suitengu (non so se conosci). I soldi non sono un valore assoluto e certo, sono un'invenzione dell'uomo e pertanto assoggettabili a tanti rischi. In un'isola sperduta un ricco che non ha altre qualità morirebbe di fame in pochi giorni, etc.
Ma non era quello che intendevi, scusa la divagazione, parli del legame fra passato e presente, come se fosse lo stesso, ed è quello che sicuramente penseranno molti giapponesi. Essere un samurai era un onore, erano addestrati per esserlo, eccellevano in molti campi, non è che dovevano uccidere per essere considerati dei "grandi", lo erano già. Erano persone da ammirare. Il problema di fondo è che non ci rendiamo conto di quale realtà parliamo, non basta vederci/leggerci Kenshin o i 13 assassini di Takashi Miike (o i precedenti), due nomi a caso, i primi che mi sono venuti a mente, non i migliori esempi, per capire. Sto facendo un discorso generale, nulla contro nessuno. Non siamo loro, non la pensiamo come loro, non capiamo, ed è normale, è giusto.
"perché servire un feudatario signore della guerra dovrebbe essere preferibile al megadirettore locale di turno?"
Una sola differenza, una sola parola, la parola "onore".
Dei famigli con più "qualità" quindi?
E che vuol dire "onore"? Mettersi alle dipendenze di qualcuno? per diritto di nascita poi?
Un Daimyo senza i suoi samurai sperduto sulla già citata isola deserta è poi così differente?
Dopotutto questi avevano pure loro terre da amministrare da cui spremere una rendita e lo shogunato ha fatto di tutto per tenere tutti in riga.
(A scanso di equivoci, non sono sarcastico)
Una cosa che ho notato, però, è che molti giovani giapponesi non conoscono la Via.
"E che vuol dire "onore"? Mettersi alle dipendenze di qualcuno? per diritto di nascita poi?"
Onore definizione della Treccani "il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui", Sulla questione del diritto nascita quanti samurai avrebbero voluto abbandonare un nuovo signore che per nascita era subentrato al precedente, magari persone che non meritavano per nulla il comando, ma parlando di queste occasioni, il legame stesso era qualcosa di molto superiore alle persone per cui quel legame esisteva.
"Un Daimyo senza i suoi samurai sperduto sulla già citata isola deserta è poi così differente?"
Quindi il Daimyo sta ai suoi samurai come l'imprenditore sta ai suoi soldi e non ai suoi dipendenti? Concordo, ma è anche questo il punto.
Non solo il ciclo arturiano ma anche le chanson de geste relative ai paladini di Carlo Magno in primis Orlando o Voglio cantare del mio Cid in spagna sulla figura del Cid Campeador dove i nobili di corte fanno una brutta figura perché mancano dell' "onore" a differenza di altri personaggi. Comunque il codice della cavalleria era non molto differente da quello dei samurai e anche in Giappone Guglielmo il Maresciallo si sarebbe fatto un nome come guerriero ma come la cavalleria vera medioevale europea non avrebbe rispettato le regole. In fondo Don Chisciotte era animato da buoni propositi ma chi gli stava attorno lo considerava pazzo....
All'epoca, mi fu fatto notare come in realtà questi siano dei "precetti" che sono stati imposti prima ai samurai, poi ai kamikaze, senza che magari li sentissero realmente loro (le lettere che i giovani kamikaze scrivevano alla famiglia prima di andare in battaglia, dove rivelavano tutta la loro paura della morte, parlano chiaro). Ho poi sempre pensato, e non sono l'unico, che la devozione alla causa (sia essa il signore, l'imperatore, la nazione) che avevano i giapponesi nell'epoca feudale o tra la fine dell'800 e la prima metà del '900 si sia poi riversata nella devozione degli attuali adulti giapponesi nei confronti del loro lavoro.
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