Mi ritrovo qui, dopo quasi due anni, in quello che sembra un appuntamento più o meno fisso che già so che si ripeterà presto. È strano quando si ritrova una persona a te cara dopo tanto tempo, soprattutto se sai che lei è spesso invischiata tra mille problemi, però allo stesso tempo non vedi l’ora di sapere tutto e ascoltarla per ore, con la consapevolezza che già così la stai aiutando.

La Mia Fuga Alcolica – Scappando dalla Realtà (Genjitsu Tōhi Shitetara Boroboro ni Natta Hanashi), è il terzo volume autobiografico di Kabi Nagata. Volume unico pubblicato nel 2019 in patria da East Press e arrivato quest’anno in Italia grazie, come sempre, a J-POP. Anche questo volume come i precedenti è stato tradotto da Carlotta Spiga. Cliccando qui troverete la recensione su La Mia Prima Volta e cliccando qui, invece, troverete la recensione per Lettere A Me Stessa.

L'edizione è 15x21, brussorato, a colori, per 136 pagine.
 
La mia fuga alcolica recensione animeclick



Pancreatite Acuta

Boom, così. Questa è la prima cosa che scopriamo, ci viene buttato in faccia come se stessimo parlando del titolo di un nuovo manga annunciato. Che Kabi Nagata stia spesso male, ahinoi, non ci sorprende; in questi anni abbiamo già vissuto suoi ricoveri, suoi malanni fisici e mentali, il suo odio e il suo amore nei confronti del mondo, della famiglia e di se stessa. È riuscita a sviscerare in modo sempre attento e puntuale ogni piccolo strato della sua anima, rendendola un’artista facilmente apprezzabile per un pubblico internazionale (come testimonia la candidatura per gli Eisner Award e la vittoria agli Harvey Award, citata anche in questo volume), perché i dolori di Kabi Nagata sono comprensibili, sono reali, sono lontani dalla visione che il pubblico generalista ha del giapponese “tutto lavoro e zero lamentele” o... “tante lamentele ma anche tanto lavoro senza mai considerare la propria salute”. Kabi è una piagnona, e va bene così, siamo felici di scoprire le sue cicatrici, a patto che non si riaprano.

Questo non doveva essere un fumetto autobiografico. I primi due lavori avevano fatto piangere i suoi genitori (“e non in senso buono”) e sempre di più è cresciuta in lei l’idea di concentrarsi esclusivamente su un soggetto di fantasia; come spesso accade non siamo noi a decidere che percorso debba prendere la nostra vita, l’arte non è qualcosa che si possa facilmente indirizzare verso una parte o un’altra. Va dato atto che Kabi ci ha davvero provato a disegnare qualcosa di diverso, ha contattato diversi editori, ha creato storie brevi ma, evidentemente, in questa fase della sua vita il suo estro non si può che esprimere in questo modo.

Questa è la storia dei venti giorni di ricovero di Kabi Nagata e di come alla fine è venuta a patti con se stessa comprendendo di dover continuare con i fumetti autobiografici… e sinceramente non c’è molto da dire a proposito.
 
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Mi spiego meglio. Se nel primo volume lei ha riassunto ben dieci anni della sua vita come se fosse un memoir, con vezzi stilistici propri di un’autrice che stava pubblicando online senza pensare alle conseguenze dei suoi gesti, nel secondo volume ha continuato il suo percorso di auto-analisi utilizzando l’interessantissimo stratagemma narrativo delle “lettere a se stessa”, portando un’interessante evoluzione stilistica, seppur messa in secondo piano dallo stato mentale dell’autrice che spesso ha messo in ombra la sua abilità tecnica esaltando però la purezza del racconto (la qualità dei disegni regrediva di pari passo con il suo stato psico-fisico). Il fatto che questo fumetto sia stato creato quando il suo ricovero si fosse già concluso ci permette di ammirare una Kabi quasi inedita: il tratto è sempre chiaro, bellissimo, pulito, coerente dall’inizio alla fine, per la prima volta esattamente come ci si aspetta da un’opera edita e pubblicata in tutto al mondo; allo stesso tempo manca il guizzo che può nascere solo dalla catarsi e che aveva reso i suoi manga speciali.

È un’opera comunque estremamente interessante, dopo tutti questi anni il rapporto che si ha tra l’autrice e il lettore è quello di amicizia, è il minimo che dobbiamo nei confronti di una persona che si è denudata di fronte a noi e ci ha raccontato ogni suo piccolo segreto. Se Kabi parla noi ascoltiamo, con interesse e con trasporto, e ci emozioniamo con lei, che non venga in mente di dire il contrario. A mio avviso è un’autrice che andrebbe lodata di continuo per il suo modo di scrivere, di disegnare e per la libertà con la quale riesce a mostrarsi di fronte a noi e a se stessa, seppur patendo sempre le pene dell’inferno.

Il conflitto “Artista contro Arte”, così come quello “Artista contro Artista”, risulta essere il concetto più interessante di tutta l’opera, non perché (ribadisco) il resto non lo sia ma perché oltre questi temi il resto è a tratti un elencare avvenimenti ed eventi, una cronistoria che per quanto sia interessante e curata ci si chiede dove debba andare a parare, la semplice differenza tra narrare degli eventi ed elencarli, appunto. Che Kabi stia abbastanza bene, per fortuna, lo sappiamo da prima di leggere questo volume dato che è stato annunciato un altro albo da tempo (e che presto leggeremo sempre grazie a J-POP), che lei sia una ragazza con problemi di alcolismo è chiaro ma questa non è una storia “coming of age” o di “self-improvement”, non troverete una morale girando la penultima pagina. Non ho intenzione di spoilerare nulla (tranne l’ovvio: è viva) ma non troverete una Kabi che fa chissà quali sacrifici atavici per migliorare il suo stile di vita, perché lei alla fine è sempre se stessa e se sia un bene o un male non sarò di certo io a dirlo.
 
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“Scappando dalla Realtà”, ma alla fine non è quello che fa da sempre? Abbiamo potuto imparare che la sua vita è una sequela di fughe, tutte abbastanza fallimentari, un continuo ritornare al punto di partenza però con qualche consapevolezza in più, e in questo terzo lavoro non c’è alcuna differenza a proposito. Se vogliamo proprio dire una differenza è che, al contrario dei lavori precedenti, qui è la stessa autrice che dice tra le righe che gli eventi narrati questa volta sono stati trattati come un’elucubrazione mentale che le ha permesso di venire a patti con se stessa e affrontare la sua Arte e il suo “io” Artista (come asserito poco sopra); nei primi due lavori abbiamo visto una Kabi Nagata che come unica certezza aveva la sua Arte, aveva il suo lavoro, il suo amore per i fumetti… tutto il resto poi andava nello scatafascio… ma aveva un punto dal quale partire, qui troviamo una donna insicura e che ha perso la voglia di creare ma non la voglia di tentare. Ma è solo una piccola parte di un percorso strutturato più per anticiparci quel che verrà che per farci riflettere su quello che è, perché del resto quando una fuga finisce o ne architetti un’altra o ti penti di averla fatta.

In conclusione, ormai siamo arrivati al terzo volume, se siete qua è perché anche voi apprezzate l’autrice, siete incuriositi sulla sua vita e volete sapere se riuscirà mai a trovare la felicità, cosa importa se la narrazione è meno intrigante del passato e se viene meno fuori il suo tocco artistico personale.

Cara Kabi, perdonami se mi permetto di parlarti spesso in prima persona, ma grazie per averci aggiornato sulla tua vita, grazie per donarci così tanto di te, per il resto non ci resta che aspettare il tuo prossimo lavoro.

 
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