Haikara-san ga Tōru the Movie
Quando devo affrontare un rebuilt di una serie classica sono sempre preda di una sana preoccupazione e di un sano scetticismo. Specialmente in questo caso, dato che abbiamo a che fare con un anime che è entrato nel cuore di tanti, che unisce amore, umorismo, vita militare, ricostruzione storica, personaggi che bucano lo schermo. Oltre ad un numero alto di puntate ma che furono concluse ex abrupto, dato il calo drammatico dello share. Il tutto poi, shakerato in due film cinematografici e con la pretesa di narrare il vero finale della serie televisiva. Tutto facile e sereno, quindi? E invece la bilogia cinematografica vince alla grande la scommessa rendendo l’anima di Mademoiselle Anne alla perfezione. Certo molti personaggi sono stati tagliati terribilmente, in primis il mitico Ushigoro, molto viene lasciato come riempitivo all’occhio dello spettatore veterano. Ma il risultato finale è comunque ottimo anche per un neofita della serie. Anche il finale, la parte innovativa dello spettacolo viene raccontato molto bene e in modo soddisfacente. Certo, il grande terremoto del Kanto viene illustrato in un modo che strizza terribilmente l’occhio alla tragedia atomica, ma ciò non costituisce alcun problema. L’anima di Anne, ragazza del suo tempo e femminista ante litteram, che odia i lavori domestici ma ama gli alcolici non è invecchiato minimamente, dandoci la prova di come gli eroi dell’animazione sappiano essere sempre attuali. La grafica è eccezionale, compensando così il vero punto debole della serie originale, scarsa da questo punto di vista già alla sua epoca. Ottima regia e colonna sonora. Voto 9, consigliatissimo.
Rimango della ferma opinione che bisogna fare molta attenzione a maneggiare i clamorosi successi degli anni '70, perché se no si rischia di andare incontro a infuocate rimostranze da parte dei puristi più agguerriti, col conseguente rischio di incappare in tracocenti patatrac. E qui stiamo parlando non di un manga qualunque, ma di "Haikara-san ga Tooru" un'opera che ha fatto e continua a fare breccia nel cuore dei lettori di entrambi i sessi, là dove pochi altri vi sono riusciti.
Si tratta di un divertente e articolato spaccato dell'era Taisho, a metà tra commedia e drammone sentimentale. 'Haikara' è a tutti gli effetti un nomignolo scherzoso affibiato alle donne anticonformiste che seguivano gli stilemi occidentali: in pratica è la pronuncia giapponese della definizione 'High Collar'. Fughiamo subito ogni dubbio! La pecca principale di questo primo film riassuntivo di novanta minuti - nato per celebrare il quarantennale della messa in onda di "Passa la Ragazza alla Moda" - è proprio il character design. Ebbene sì, sono riusciti a deturpare il tratto della bravissima Waki Yamato. La sfrontata ed energica Hanamura è quasi irriconoscibile, è più bassa di statura e con un grazioso nasino all'insù, in pratica sembra una leggiadra ragazzina moe piuttosto che la goffa diciassettenne combinaguai vista nei tankobon e nel rispettivo adattamento televisivo (non a caso, da noi in Italia, la prima puntata era stata intitolata "Un vero maschiaccio"). Forse era necessario l'apporto o la consulenza di un grande veterano, come ad esempio Tsutomu Shibayama, autore dei settei della vecchia serie. Più probabile che si tratti di una mirata scelta commerciale dettata dai piani alti di Warner Japan, uno dei maggiori promotori del progetto. Oggigiorno, specie se destinato al pubblico dei cosiddetti millennials, tutto deve essere carino e attraente a partire dai personaggi, passando dal materiale promozionale (cartonati, PV e visual), fino a doppiatori e doppiatrici. D'altro canto hanno sempre avuto la monomania per tutto ciò che è kawaii. Ergo, tramontata definitivamente l'epoca dei meisaku e della feuilleton realistica, con il genere shojo in continua evoluzione, che ha perso l'univocità di un tempo, è in atto un ultimo disperato tentativo da parte della Nippon Animation di riguadagnarsi una fetta di fandom migrato verso altri lidi.
Le esilaranti gag e i siparietti demenziali si contano sulla punta delle dita, niente buffi vampiri né dischi volanti o altre assurdità, esteticamente tutto è in linea con i canoni preconfezionati ultrastilosi degli anime odierni (non vi dico che fine ha fatto la scena dell'operetta... liquidata in due minuti scarsi... ahimè). Altre sequenze clou, come previsto, sono state sacrificate oppure velocizzate e il complesso dei big eyed (pupille sbrillucicanti) ha colpito anche i nonni di Shinobu. In compenso la svitata professoressa di Benio e la governante di casa Ijuuin hanno mantenuto la stessa fisionomia. Ushigoro è relegato al mero ruolo di macchietta e anche l'effemminato Ranmaru, mattatore assoluto di diversi episodi, si vede pochino. Gli sceneggiatori si sono persi per strada alcuni dialoghi, una rilettura più accurata avrebbe permesso di sistematizzare meglio lo storyboard. A parte questo, la trama è rimasta pressoché inalterata e non ho niente da ridire a riguardo, visto che di grandi modifiche non ne ho notate; è una narrazione tipica delle soap, con la tenace protagonista sempre al centro dell'attenzione, parecchio movimentata e piuttosto piacevole da seguire (merito degli intrecci orditi dall'autrice). Per ovvie ragioni di tempistica, purtroppo, è stata limitata l'incursione della voce fuori campo, la quale spiegava allo spettatore gli eventi e i cambiamenti radicali avvenuti in quello spicchio di XX secolo nella società nipponica.
Nonostante lo staff sia formato dalle giovani leve della storica casa di produzione, i fondali risultano molto belli e dettagliati (non fanno rimpiangere le nubi ad acquerello, i paesaggi color tempera che sfumano al tramonto e le altre raffinatezze alle quali ci avevano abituato gli artisti dell'atelier di Takamura Mukuo); l'animazione è fluida e priva di tremolii e sfarfallamenti di sorta, anche se alcuni flashback sono presentati con poco appaganti frame statici; le uniche cose, a mio personalissimo avviso, veramente fastidiose sono alcune tonalità cromatiche, un po' troppo accese e sgargianti per il periodo storico di cui si parla (posso sbagliare, ma non credo che a cavallo del 1920 andassero di moda haori dall'intensità lilla fluo e accecanti kimono tinta rosa shocking... Ho come l'impressione che ormai quasi tutti utilizzino la stessa palette impostata in fabbrica).
Promosso con riserva. Tutta questa corsa al fashion assieme all'esasperato processo di 'carinizzazione' per rendere tutto più innocuo non mi mandano di certo in sollucchero. Sarebbe come rifare il lifting a Oscar Françoise disegnandola con una improbabile divisa fucsia e un paio di occhioni extralarge tipo "AIR" o roba similare, e non è detto che prima o poi non accada. Speriamo il più tardi possibile!
Si tratta di un divertente e articolato spaccato dell'era Taisho, a metà tra commedia e drammone sentimentale. 'Haikara' è a tutti gli effetti un nomignolo scherzoso affibiato alle donne anticonformiste che seguivano gli stilemi occidentali: in pratica è la pronuncia giapponese della definizione 'High Collar'. Fughiamo subito ogni dubbio! La pecca principale di questo primo film riassuntivo di novanta minuti - nato per celebrare il quarantennale della messa in onda di "Passa la Ragazza alla Moda" - è proprio il character design. Ebbene sì, sono riusciti a deturpare il tratto della bravissima Waki Yamato. La sfrontata ed energica Hanamura è quasi irriconoscibile, è più bassa di statura e con un grazioso nasino all'insù, in pratica sembra una leggiadra ragazzina moe piuttosto che la goffa diciassettenne combinaguai vista nei tankobon e nel rispettivo adattamento televisivo (non a caso, da noi in Italia, la prima puntata era stata intitolata "Un vero maschiaccio"). Forse era necessario l'apporto o la consulenza di un grande veterano, come ad esempio Tsutomu Shibayama, autore dei settei della vecchia serie. Più probabile che si tratti di una mirata scelta commerciale dettata dai piani alti di Warner Japan, uno dei maggiori promotori del progetto. Oggigiorno, specie se destinato al pubblico dei cosiddetti millennials, tutto deve essere carino e attraente a partire dai personaggi, passando dal materiale promozionale (cartonati, PV e visual), fino a doppiatori e doppiatrici. D'altro canto hanno sempre avuto la monomania per tutto ciò che è kawaii. Ergo, tramontata definitivamente l'epoca dei meisaku e della feuilleton realistica, con il genere shojo in continua evoluzione, che ha perso l'univocità di un tempo, è in atto un ultimo disperato tentativo da parte della Nippon Animation di riguadagnarsi una fetta di fandom migrato verso altri lidi.
Le esilaranti gag e i siparietti demenziali si contano sulla punta delle dita, niente buffi vampiri né dischi volanti o altre assurdità, esteticamente tutto è in linea con i canoni preconfezionati ultrastilosi degli anime odierni (non vi dico che fine ha fatto la scena dell'operetta... liquidata in due minuti scarsi... ahimè). Altre sequenze clou, come previsto, sono state sacrificate oppure velocizzate e il complesso dei big eyed (pupille sbrillucicanti) ha colpito anche i nonni di Shinobu. In compenso la svitata professoressa di Benio e la governante di casa Ijuuin hanno mantenuto la stessa fisionomia. Ushigoro è relegato al mero ruolo di macchietta e anche l'effemminato Ranmaru, mattatore assoluto di diversi episodi, si vede pochino. Gli sceneggiatori si sono persi per strada alcuni dialoghi, una rilettura più accurata avrebbe permesso di sistematizzare meglio lo storyboard. A parte questo, la trama è rimasta pressoché inalterata e non ho niente da ridire a riguardo, visto che di grandi modifiche non ne ho notate; è una narrazione tipica delle soap, con la tenace protagonista sempre al centro dell'attenzione, parecchio movimentata e piuttosto piacevole da seguire (merito degli intrecci orditi dall'autrice). Per ovvie ragioni di tempistica, purtroppo, è stata limitata l'incursione della voce fuori campo, la quale spiegava allo spettatore gli eventi e i cambiamenti radicali avvenuti in quello spicchio di XX secolo nella società nipponica.
Nonostante lo staff sia formato dalle giovani leve della storica casa di produzione, i fondali risultano molto belli e dettagliati (non fanno rimpiangere le nubi ad acquerello, i paesaggi color tempera che sfumano al tramonto e le altre raffinatezze alle quali ci avevano abituato gli artisti dell'atelier di Takamura Mukuo); l'animazione è fluida e priva di tremolii e sfarfallamenti di sorta, anche se alcuni flashback sono presentati con poco appaganti frame statici; le uniche cose, a mio personalissimo avviso, veramente fastidiose sono alcune tonalità cromatiche, un po' troppo accese e sgargianti per il periodo storico di cui si parla (posso sbagliare, ma non credo che a cavallo del 1920 andassero di moda haori dall'intensità lilla fluo e accecanti kimono tinta rosa shocking... Ho come l'impressione che ormai quasi tutti utilizzino la stessa palette impostata in fabbrica).
Promosso con riserva. Tutta questa corsa al fashion assieme all'esasperato processo di 'carinizzazione' per rendere tutto più innocuo non mi mandano di certo in sollucchero. Sarebbe come rifare il lifting a Oscar Françoise disegnandola con una improbabile divisa fucsia e un paio di occhioni extralarge tipo "AIR" o roba similare, e non è detto che prima o poi non accada. Speriamo il più tardi possibile!