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megna1

Episodi visti: 100/127 --- Voto 7
La miriade di frammenti distintivi che compongono questa lunghissima serie TV hanno ognuno il sapore dei dolcetti rustici preparati dalle zie che divoravi da bambino, uno tira l'altro. E fanno subentrare una forte malinconia per quegli anni beati, segnati da quei brevi ma appassionanti proverbi dalla poetica folk non sempre accompagnati da un lieto fine (come vuole la fattuale, contorta mentalità buonista disneyana e statunitense in generale). Senza indorare la pillola insomma, come sarà per le successive - meno lugubri - antologie made in Japan (dove le sceneggiature verranno alleggerite e dotate, ove possibile, del rassicurante "...e vissero felici e contenti").

Lanciata sulla scia dell'inatteso successo di "Furusato Saisei: Nippon no Mukashi Banashi" dalla Dax-International, una piccola compagnia che si era da poco affacciata sul mondo dell'intrattenimento televisivo, vanta una vasta ed eterogenea rassegna di corti firmati da rinomati registi, tra i quali il celeberrimo Rintaro, Masami Hata, Yoshiaki Kawajiri e Masaki Mori. I più ferrati nel campo vintage avranno già capito che dietro le quinte delle annate '76 e '77 si celava lo staff della multiforme Madhouse: sotto vari pseudonimi vi prende parte anche Osamu Dezaki (e solo per la sua visione gotica de "La bella e la bestia" l'intera opera si meriterebbe un voto ben più alto). Quale occasione migliore per assicurarsi un posto di rilievo nell'affollata selva di produzioni seriali come un carosello di tutte (o quasi) le fiabe più popolari del mondo? Troviamo fin da subito l'elemento chiave meisaku, che farà la fortuna di notorie società concorrenti. Alcuni di questi soggetti verranno (o erano già stati) ripresi e approfonditi all'interno del ciclo denominato World Masterpiece Theater. Non si può certo affermare, invece, che nei miseri dieci minuti si potesse articolare la trama più di tanto. In un paio di occasioni non si dovrebbe nemmeno parlare di animazione, dal momento che sullo schermo scorrono solo immagini statiche descritte da una voce fuori campo, questo è il caso de "Il cane delle fiandre" (disegnato interamente da Akio Sugino) o della versione ultra-condensata de "Il principe felice" di Hideo Takayashiki (da non confondere con il raffinato cortometraggio educativo di Yoshiyuki Tomino). Ma la durata ridotta e lo scarno impatto visivo non li rendono meno commoventi agli occhi di grandi e piccini. Talvolta apparendo pure inquietanti come la tragica epopea de "Il Cavaliere della Fiamma" o ancora il macabro "Le scarpette rosse", entrambi di Dezaki. Favole e novelle provenienti dai quattro angoli del globo, alcune a noi del tutto sconosciute, per le quali i Giapponesi si prodigavano a dissotterrarne sempre di nuove da chissà quali polverosi volumi, preservando e diffondendo un vasto patrimonio di tradizioni popolari che con le nuove generazioni rischiano di scomparire. Passaggi forti, come pugni nello stomaco, preziose dottrine con morale annessa e connessa senza mai scadere però nell'eccesso di banale retorica, che torneranno utili nella vita reale. Taluni grotteschi come il segmento intitolato "L'uomo che imbrogliò la morte", altri drammatici e strappalacrime, mi riferisco in modo particolare a "L'usignolo e la rosa rossa", straziante adattamento di un breve racconto di Oscar Wilde a cura di Yoshio Takeuchi. Certuni avvincenti, cert'altri un po' meno. Qualcuno apparentemente insignificante, ma comunque con un importante messaggio subliminale da estrapolare. Si narrano anche le gesta di importanti navigatori e di esimi scrittori. Di classici della letteratura (perlopiù rimaneggiati o appena appena modificati), di scoperte scientifiche e di nobili e valorosi eroi appartenenti al regno animale. Va detto che i diversi gruppi etnici, come neri africani, indiani d'America o mediorientali dell'Asia centrale, vengono rappresentati in un quadro ormai superato, che non ha correlazione con il mondo di oggi.

Si sperimentarono inoltre diversi tipi di tecniche pittoriche, eccetto la computer graphic naturalmente, a quei tempi c'erano a malapena i prototipi dei primi word processor! Pastelli a cera, carboncino, colori a d'olio, tempere, acquerelli vengono abilmente fusi e sapientemente utilizzati con pennelli e aerografo da Shichiro Kobayashi, per ricreare le ambientazioni di alpi svizzere, fiordi norvegesi, capitali europee o di reami incantati e città immaginarie medievaleggianti. Purtroppo, sotto la giurisdizione di Hideo Nishimaki, la seconda parte assorbe la grafica tipica degli anime canonici, perdendo così l'ecletticità dei singoli e la vena artistica che la contraddistingueva delle altre, di conseguenza cominciano a serpeggiare scalmane di nostalgia per i pomposi fondali naïf di Kazusuke Yoshihara e per i personaggi dai lineamenti strampalati presenti agli esordi (per certi versi vagamente simili a quelli di "Festival of Family Classics", co-produzione USA realizzata in casa Mushi, dove aveva militato gran parte del personale della Madhouse).

Nella versione italiana si alternano diverse voci narranti maschili e femminili dal timbro molto pacato e carismatico, che rendono molto bene i sentimenti dei protagonisti. La scaletta degli episodi non segue lo schema originale e risulta essere giunta in Italia completa ma distribuita, doppiata e trasmessa alla rinfusa in tre periodi differenti. Un consiglio, premunitevi di una bella scorta di biscottini fatti in casa, perché si oltrepassa il fatidico traguardo delle cento puntate (che raddoppiano, visto che ogni episodio ne contiene due diversi). Altrimenti potete sempre optare per una maratona di remake e reboot in CGI ordinando una cena a base di cucina molecolare. A ognuno i suoi gusti...