Il Signore degli Anelli
Ho visto questo film animato vintage per curiosità perché ne avevo sentito parlare. Questo è l'adattamento animato de "Il Signore degli Anelli", famosa opera di Tolkien, questo film prova a trasportare gli spettatori nelle profondità di un mondo fantasy complesso come quello di Tolkien, ma si rivela, purtroppo, un'esperienza visiva al di sotto delle aspettative. Nonostante l'ambizioso tentativo di dare vita alle avventure di Frodo e della Compagnia dell'Anello, il film scivola in una serie di imprecisioni narrative e scelte stilistiche discutibili, lasciando un retrogusto amaro anche nei fan più accaniti della saga di Tolkien.
L'animazione, elemento cardine di un film di questo genere, si presenta fin da subito come un punto non proprio positivo. I personaggi, pur presentando tratti somatici riconoscibili, mancano di quell'espressività e profondità che li renderebbero memorabili. Le sequenze d'azione, seppur numerose, risultano spesso confuse e frammentarie, offrendo allo spettatore una visione poco chiara degli eventi.
La narrazione, fin da subito, si presenta frammentata e il tentativo di condensare in un unico film la complessità della trama originale si rivela fallimentare, portando alla perdita di molte sequenze presenti nei libri. I personaggi secondari, che nei romanzi di Tolkien rivestono un ruolo fondamentale, vengono qui relegati a ruoli marginali, privando la storia di quell'intreccio di vicende e relazioni che la rende così ricca e coinvolgente.
Il mondo fantasy creato da Tolkien, con le sue creature, i suoi paesaggi mozzafiato e la sua complessa mitologia, viene qui rappresentato in modo superficiale, anche sé alcune sequenze del film ricalcano alcuni parti dei libri abbastanza fedelmente. Ma la mancanza di approfondimento dei temi e delle ambientazioni lascia lo spettatore con la sensazione di aver assistito a una semplice fiaba anche un po' confusa, priva di quella profondità e complessità che caratterizza l'opera originale.
Quindi questo adattamento animato de "Il Signore degli Anelli" si rivela un'esperienza incapace di rendere giustizia alla maestosità dell'opera di Tolkien.
L'animazione, elemento cardine di un film di questo genere, si presenta fin da subito come un punto non proprio positivo. I personaggi, pur presentando tratti somatici riconoscibili, mancano di quell'espressività e profondità che li renderebbero memorabili. Le sequenze d'azione, seppur numerose, risultano spesso confuse e frammentarie, offrendo allo spettatore una visione poco chiara degli eventi.
La narrazione, fin da subito, si presenta frammentata e il tentativo di condensare in un unico film la complessità della trama originale si rivela fallimentare, portando alla perdita di molte sequenze presenti nei libri. I personaggi secondari, che nei romanzi di Tolkien rivestono un ruolo fondamentale, vengono qui relegati a ruoli marginali, privando la storia di quell'intreccio di vicende e relazioni che la rende così ricca e coinvolgente.
Il mondo fantasy creato da Tolkien, con le sue creature, i suoi paesaggi mozzafiato e la sua complessa mitologia, viene qui rappresentato in modo superficiale, anche sé alcune sequenze del film ricalcano alcuni parti dei libri abbastanza fedelmente. Ma la mancanza di approfondimento dei temi e delle ambientazioni lascia lo spettatore con la sensazione di aver assistito a una semplice fiaba anche un po' confusa, priva di quella profondità e complessità che caratterizza l'opera originale.
Quindi questo adattamento animato de "Il Signore degli Anelli" si rivela un'esperienza incapace di rendere giustizia alla maestosità dell'opera di Tolkien.
Il mio incontro col signore degli anelli, la mitica trilogia di John Ronald Reuel Tolkien avvenne durante la mia adolescenza (un secolo fa quindi) e non fu caratterizzato da amore a prima vista: all'epoca non ero appassionato di lettura quanto lo ero del calcetto per cui leggermi tre tomi mi sembrava un impresa titanica. All'epoca era mio fratello che impazziva per il libro e aveva trasmesso anche a me la sua curiosità: così lo cominciavo, andavo avanti per un po' e poi, immancabilmente smettevo. Non è che non mi piacesse: lo ritenevo solo troppo lungo rispetto al poco tempo che dedicavo la lettura. Con gli anni poi, sono diventato un lettore insaziabile e il signore degli anelli me lo sarò finito almeno tre volte.
Quando, però, ancora avevo un rapporto di amore e odio col capolavoro del maestro Tolkien, una sera mentre sfogliavo Sorrisi e canzoni notai per caso che, su Rai due mi pare, alle due di notte (!!) era in programmazione un film che si intitolava, appunto, "Il signore degli anelli". Feci notare la cosa a mio fratello che, non potendo per motivi di studio fare così tardi, mi chiese il favore di registrarglielo. Ed io fui ben lieto di farlo: dato che non riuscivo ad andare avanti con il libro mi aspettavo di conoscere l'intera storia da questo film.
E così, quando cominciò la trasmissione ero lì comodo in poltrona prontissimo a godermi lo spettacolo. Non sapevo assolutamente di cosa si trattasse: così ebbi una prima sorpresa quando mi accorsi che si trattava "solo" di un cartone animato. E disegnato pure male per giunta. Ma anche così a me andava più che bene, e dopo i primi brividi lungo la schiena durante il prologo iniziale, nel quale veniva raccontata la storia della nascita degli anelli e la battaglia culminata con lo scontro fra Isildur e Sauron, parti che ovviamente già conoscevo, mi lasciai prendere dalla visione. Fino ad arrivare alla delusione finale: la narrazione si interrompeva intorno alla metà de "Le Due Torri": nemmeno stavolta sarei stato in grado di conoscere l'intera storia. E col tempo devo dire che è stato meglio così: la lettura del libro mi ha dato una soddisfazione senza paragoni, che nemmeno la trilogia di Jackson è riuscita ad avvicinare.
Quanto a questo film, si tratta di un lavoro del 1978, per cui non si può pretendere da esso più di tanto. Quei disegni, se proposti oggi, sarebbero qualcosa di veramente imbarazzante; l'aderenza della trama col libro di Tolkien è accettabile ma resta il fatto che si tratta di un lavoro incompleto il cui seguito non verrà mai realizzato. Però non posso parlarne male, il ricordo di quelle sensazioni che nonostante tutto mi ha trasmesso a quel tempo non possono essere dimenticate. Per cui almeno la sufficienza a quest'opera io mi sento di poterglielo attribuire.
Quando, però, ancora avevo un rapporto di amore e odio col capolavoro del maestro Tolkien, una sera mentre sfogliavo Sorrisi e canzoni notai per caso che, su Rai due mi pare, alle due di notte (!!) era in programmazione un film che si intitolava, appunto, "Il signore degli anelli". Feci notare la cosa a mio fratello che, non potendo per motivi di studio fare così tardi, mi chiese il favore di registrarglielo. Ed io fui ben lieto di farlo: dato che non riuscivo ad andare avanti con il libro mi aspettavo di conoscere l'intera storia da questo film.
E così, quando cominciò la trasmissione ero lì comodo in poltrona prontissimo a godermi lo spettacolo. Non sapevo assolutamente di cosa si trattasse: così ebbi una prima sorpresa quando mi accorsi che si trattava "solo" di un cartone animato. E disegnato pure male per giunta. Ma anche così a me andava più che bene, e dopo i primi brividi lungo la schiena durante il prologo iniziale, nel quale veniva raccontata la storia della nascita degli anelli e la battaglia culminata con lo scontro fra Isildur e Sauron, parti che ovviamente già conoscevo, mi lasciai prendere dalla visione. Fino ad arrivare alla delusione finale: la narrazione si interrompeva intorno alla metà de "Le Due Torri": nemmeno stavolta sarei stato in grado di conoscere l'intera storia. E col tempo devo dire che è stato meglio così: la lettura del libro mi ha dato una soddisfazione senza paragoni, che nemmeno la trilogia di Jackson è riuscita ad avvicinare.
Quanto a questo film, si tratta di un lavoro del 1978, per cui non si può pretendere da esso più di tanto. Quei disegni, se proposti oggi, sarebbero qualcosa di veramente imbarazzante; l'aderenza della trama col libro di Tolkien è accettabile ma resta il fatto che si tratta di un lavoro incompleto il cui seguito non verrà mai realizzato. Però non posso parlarne male, il ricordo di quelle sensazioni che nonostante tutto mi ha trasmesso a quel tempo non possono essere dimenticate. Per cui almeno la sufficienza a quest'opera io mi sento di poterglielo attribuire.
Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende.
Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra.
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende.
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.
Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien è un libro che tutti, almeno di fama, conoscono: una maestosa narrazione epica in cui si mescolano e si intrecciano tematiche religiose, mitopoiesi, amore per i miti e le letterature germaniche, invenzioni linguistiche e spirito romantico, ma anche una pietra miliare del genere fantasy, che esisteva già prima (si pensi alle avventure di Conan il barbaro e di Solomon Kane scritte da Howard, a certi racconti di Lovecraft o al romanzo The Worm Ouroboros di Eddison) ma che proprio col fondamentale lavoro tolkeniano trova un nuovo modello, che sarà in verità fin troppo abusato e imitato, portando alla fioritura, con la complicità di giochi di ruolo come Dungeon & Dragons che da Tolkien pescano a piene mani, di una messe di romanzi abitati da Elfi, Nani, signori oscuri che vogliono conquistare il mondo per semplice ambizione.
Ma lo scopo di questa recensione non è parlare della storia del genere fantasy, bensì della sua prima trasposizione cinematografica che venne fatta nel 1978 da Ralph Baksi, ossia il lungometraggio d'animazione The Lord of the Rings. Non era però il primo tentativo in assoluto di trasporre in animazione un'opera tolkeniana, perché proprio l'anno prima Jules Bass e Arthur Rankin Jr. avevano diretto The Hobbit. E non era nemmeno il primo tentativo di trarre dal capolavoro di Tolkien un film: ci avevano pensato per primi i Beatles, fra il 1967 e il 1968, cercando invano di coinvolgere Stanley Kubrick, che ammise invece di non aver mai letto il libro e propose piuttosto il nome di Michelangelo Antonioni; poi ci fu il progetto di John Boorman, fortunatamente mai andato in porto perché la sceneggiatura scritta insieme a Rospo Pallenberg era talmente piena di stramberie e scene di sesso che il risultato forse sarebbe apparso ridicolo anche se si fosse trattato di un soggetto originale. Come tutti sanno, alla fine è stato Peter Jackson a realizzare la grande impresa, con una trilogia di grande successo, premiata con ben 17 Oscar e, nonostante qualche licenza di troppo rispetto al testo tolkeniano, davvero spettacolare e pregevole.
Nonostante Tolkien avesse scritto Il Signore degli Anelli come romanzo unico e la divisione nei tre volumi La Compagnia dell'Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re fosse stata dettata da ragioni puramente editoriali (nel dopoguerra la difficile reperibilità della carta e i suoi costi elevati impedivano di pubblicare un unico volume di 1000 pagine e resero obbligatoria la pubblicazione in tre volumi), tant'è vero che è sbagliato parlare di "trilogia" riferendosi ai libri (semmai lo si può fare parlando dei film realizzati da Jackson), comprimere in un solo film tutta la storia della distruzione dell'Unico Anello e del ritorno dell'erede di Isildur sarebbe stato impossibile. La scelta di Bakshi fu dunque quella di coprire col primo film gli eventi de La Compagnia dell'Anello e della prima metà de Le Due Torri (fino alla battaglia del Trombatorrione), col secondo invece la rimanente metà de Le Due Torri (ossia le vicende di Frodo e Sam dopo l'incontro con Gollum) e Il Ritorno del Re. Purtroppo l'insuccesso al botteghino e i bassi profitti del film pregiudicheranno la realizzazione di un sequel da parte di Bakshi; nel 1980 Bass e Rankin Jr. realizzano per la televisione britannica The Return of the King, che però non si pone come continuazione del film di Bakshi, ha uno stile differente (soprattutto nell'aspetto dei personaggi) e si limita a riassumere le vicende dei primi due volumi per poi concentrarsi unicamente sul terzo.
Per rendere più comprensibile l'antefatto alla base della vicenda, che Tolkien sviluppava in lunghe digressioni della narrazione e in voluminose appendici alla fine del suo romanzo, Bakshi realizza un vero e proprio prologo, in cui assistiamo alla forgiatura degli Anelli, alla guerra dei Numenoreani della Terra di Mezzo contro Sauron, alla maledizione di Isildur che sceglie di tenere per sé l'Unico Anello e muore, fino al ritrovamento di questo da parte prima di Gollum e poi di Bilbo Baggins. La sceneggiatura del film di Bakshi si rivela piuttosto fedele al romanzo, anche più di quanto farà Jackson con i suoi film: è rispettato, ad esempio, il timeskip di ben 17 anni fra il compleanno di Bilbo, in cui Frodo ottiene l'Anello, e la sua effettiva partenza, insieme al fedele Sam e ai due scapestrati cugini Merry e Pipino, per Granburrone. Certo, anche Bakshi si prende delle libertà, facendo svolgere il ruolo di Erkenbrand a Eomer, vestendo in maniera diversa alcuni personaggi rispetto alle descrizioni dei libri, rendendo Aragorn fisicamente simile a un indiano d'America e Boromir identico a un vichingo (almeno nei film di Jackson sono più simili alle controparti cartacee), oppure cambiando il nome di Saruman (che fra l'altro è vestito di rosso, ma non era detto il Bianco?) in Aruman per evitare fraintendimenti e confusioni con Sauron; tuttavia questo non è niente in confronto agli svarioni del doppiaggio italiano, fra pronunce sbagliate (Gollam? Bagghin?), cambi di razze (da quando Gimli è un Silvano?) e traduzioni errate di alcune parole (così, alla locanda di Brea, Frodo non rovescia le birre ma gli orsi!). E con una certa tristezza bisogna anche sottolineare l'assenza di Tom Bombadil, personaggio che a molti potrà non piacere ma che rappresenta forse l'elemento più affascinante e insieme misterioso del mondo creato da Tolkien. È interessante notare che molte delle variazioni di Bakshi rispetto al testo tolkeniano (prologo del film, assenza di Tom Bombadil, sostituzione di Erkenbrand con Eomer) saranno riprese anni dopo da Peter Jackson, quasi fedelmente.
La maggiore particolarità della pellicola resta la tecnica utilizzata da Bakshi, detta rotoscopio, in cui le animazioni vengono realizzate ricalcando le scene a partire da immagini filmate in precedenza, allo scopo di rendere il tutto più realistico. Bakshi aveva usato questo metodo già con Wizards, nel 1977, e continuerà a usarlo anche nei suoi lavori successivi, fra cui American Pop e Fire and Ice. A uno spettatore odierno alcuni risultati dell'applicazione del rotoscopio fanno sorridere, visto che l'animazione si è evoluta a tal punto da poter essere realistica anche ricorrendo ad altri metodi, ad esempio alla CG; ma per l'epoca costituì indubbiamente una novità e un ulteriore pregio della pellicola.
Per gli amanti dell'opera di Tolkien, la visione di questo film d'animazione è obbligatoria. Pur prendendosi qualche licenza e pur realizzando solo metà del progetto che aveva in mente, Bakshi riesce a ricreare la magia della Terra di Mezzo, che non è soltanto teatro di epici scontri fra valorosi guerrieri e orripilanti orchi, fra vecchi maghi e mostruosi demoni fiammeggianti, ma anche e soprattutto una terra ricca di fascino fiabesco e di mistero.
Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra.
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende.
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.
Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien è un libro che tutti, almeno di fama, conoscono: una maestosa narrazione epica in cui si mescolano e si intrecciano tematiche religiose, mitopoiesi, amore per i miti e le letterature germaniche, invenzioni linguistiche e spirito romantico, ma anche una pietra miliare del genere fantasy, che esisteva già prima (si pensi alle avventure di Conan il barbaro e di Solomon Kane scritte da Howard, a certi racconti di Lovecraft o al romanzo The Worm Ouroboros di Eddison) ma che proprio col fondamentale lavoro tolkeniano trova un nuovo modello, che sarà in verità fin troppo abusato e imitato, portando alla fioritura, con la complicità di giochi di ruolo come Dungeon & Dragons che da Tolkien pescano a piene mani, di una messe di romanzi abitati da Elfi, Nani, signori oscuri che vogliono conquistare il mondo per semplice ambizione.
Ma lo scopo di questa recensione non è parlare della storia del genere fantasy, bensì della sua prima trasposizione cinematografica che venne fatta nel 1978 da Ralph Baksi, ossia il lungometraggio d'animazione The Lord of the Rings. Non era però il primo tentativo in assoluto di trasporre in animazione un'opera tolkeniana, perché proprio l'anno prima Jules Bass e Arthur Rankin Jr. avevano diretto The Hobbit. E non era nemmeno il primo tentativo di trarre dal capolavoro di Tolkien un film: ci avevano pensato per primi i Beatles, fra il 1967 e il 1968, cercando invano di coinvolgere Stanley Kubrick, che ammise invece di non aver mai letto il libro e propose piuttosto il nome di Michelangelo Antonioni; poi ci fu il progetto di John Boorman, fortunatamente mai andato in porto perché la sceneggiatura scritta insieme a Rospo Pallenberg era talmente piena di stramberie e scene di sesso che il risultato forse sarebbe apparso ridicolo anche se si fosse trattato di un soggetto originale. Come tutti sanno, alla fine è stato Peter Jackson a realizzare la grande impresa, con una trilogia di grande successo, premiata con ben 17 Oscar e, nonostante qualche licenza di troppo rispetto al testo tolkeniano, davvero spettacolare e pregevole.
Nonostante Tolkien avesse scritto Il Signore degli Anelli come romanzo unico e la divisione nei tre volumi La Compagnia dell'Anello, Le Due Torri e Il Ritorno del Re fosse stata dettata da ragioni puramente editoriali (nel dopoguerra la difficile reperibilità della carta e i suoi costi elevati impedivano di pubblicare un unico volume di 1000 pagine e resero obbligatoria la pubblicazione in tre volumi), tant'è vero che è sbagliato parlare di "trilogia" riferendosi ai libri (semmai lo si può fare parlando dei film realizzati da Jackson), comprimere in un solo film tutta la storia della distruzione dell'Unico Anello e del ritorno dell'erede di Isildur sarebbe stato impossibile. La scelta di Bakshi fu dunque quella di coprire col primo film gli eventi de La Compagnia dell'Anello e della prima metà de Le Due Torri (fino alla battaglia del Trombatorrione), col secondo invece la rimanente metà de Le Due Torri (ossia le vicende di Frodo e Sam dopo l'incontro con Gollum) e Il Ritorno del Re. Purtroppo l'insuccesso al botteghino e i bassi profitti del film pregiudicheranno la realizzazione di un sequel da parte di Bakshi; nel 1980 Bass e Rankin Jr. realizzano per la televisione britannica The Return of the King, che però non si pone come continuazione del film di Bakshi, ha uno stile differente (soprattutto nell'aspetto dei personaggi) e si limita a riassumere le vicende dei primi due volumi per poi concentrarsi unicamente sul terzo.
Per rendere più comprensibile l'antefatto alla base della vicenda, che Tolkien sviluppava in lunghe digressioni della narrazione e in voluminose appendici alla fine del suo romanzo, Bakshi realizza un vero e proprio prologo, in cui assistiamo alla forgiatura degli Anelli, alla guerra dei Numenoreani della Terra di Mezzo contro Sauron, alla maledizione di Isildur che sceglie di tenere per sé l'Unico Anello e muore, fino al ritrovamento di questo da parte prima di Gollum e poi di Bilbo Baggins. La sceneggiatura del film di Bakshi si rivela piuttosto fedele al romanzo, anche più di quanto farà Jackson con i suoi film: è rispettato, ad esempio, il timeskip di ben 17 anni fra il compleanno di Bilbo, in cui Frodo ottiene l'Anello, e la sua effettiva partenza, insieme al fedele Sam e ai due scapestrati cugini Merry e Pipino, per Granburrone. Certo, anche Bakshi si prende delle libertà, facendo svolgere il ruolo di Erkenbrand a Eomer, vestendo in maniera diversa alcuni personaggi rispetto alle descrizioni dei libri, rendendo Aragorn fisicamente simile a un indiano d'America e Boromir identico a un vichingo (almeno nei film di Jackson sono più simili alle controparti cartacee), oppure cambiando il nome di Saruman (che fra l'altro è vestito di rosso, ma non era detto il Bianco?) in Aruman per evitare fraintendimenti e confusioni con Sauron; tuttavia questo non è niente in confronto agli svarioni del doppiaggio italiano, fra pronunce sbagliate (Gollam? Bagghin?), cambi di razze (da quando Gimli è un Silvano?) e traduzioni errate di alcune parole (così, alla locanda di Brea, Frodo non rovescia le birre ma gli orsi!). E con una certa tristezza bisogna anche sottolineare l'assenza di Tom Bombadil, personaggio che a molti potrà non piacere ma che rappresenta forse l'elemento più affascinante e insieme misterioso del mondo creato da Tolkien. È interessante notare che molte delle variazioni di Bakshi rispetto al testo tolkeniano (prologo del film, assenza di Tom Bombadil, sostituzione di Erkenbrand con Eomer) saranno riprese anni dopo da Peter Jackson, quasi fedelmente.
La maggiore particolarità della pellicola resta la tecnica utilizzata da Bakshi, detta rotoscopio, in cui le animazioni vengono realizzate ricalcando le scene a partire da immagini filmate in precedenza, allo scopo di rendere il tutto più realistico. Bakshi aveva usato questo metodo già con Wizards, nel 1977, e continuerà a usarlo anche nei suoi lavori successivi, fra cui American Pop e Fire and Ice. A uno spettatore odierno alcuni risultati dell'applicazione del rotoscopio fanno sorridere, visto che l'animazione si è evoluta a tal punto da poter essere realistica anche ricorrendo ad altri metodi, ad esempio alla CG; ma per l'epoca costituì indubbiamente una novità e un ulteriore pregio della pellicola.
Per gli amanti dell'opera di Tolkien, la visione di questo film d'animazione è obbligatoria. Pur prendendosi qualche licenza e pur realizzando solo metà del progetto che aveva in mente, Bakshi riesce a ricreare la magia della Terra di Mezzo, che non è soltanto teatro di epici scontri fra valorosi guerrieri e orripilanti orchi, fra vecchi maghi e mostruosi demoni fiammeggianti, ma anche e soprattutto una terra ricca di fascino fiabesco e di mistero.
Un buon prodotto per la sua epoca, certamente il lavoro più sobrio fatto da quello sperimentatore un po' trash di Bakshi, che in carriera ha dimostrato di apprezzare personaggi anarchici, sopra le righe, con citazioni di elementi storici delicati, contesti urbani degradati e fusioni tecniche tra attori veri e disegni. Mi è parso un lavoro discretamente fedele e forse (dico forse perché non ho letto il menir letterario) in certi punti più della pellicola di Jackson, vista la differenza temporale con cui Frodo custodisce l'anello prima di partire dalla contea. Purtroppo, un po' per la durata, un po' per le tinte scure e per l'abbondanza del rotoscopio pixellante amato dal regista, suggestivo ma non proprio gradevole alla lunga, il film tende ad annoiare. Quando lo vidi, da ragazzino, faticai a reggere le palpebre e non andai oltre l'accampamento notturno della compagnia. Tra i pregi dell'opera ritengo positivo il vedere uno stile occidentale così genuino (un po' alla Masters), che non tenta di abbellire troppo i protagonisti per farli piacere, ma Aragorn con la gonnellina e Boromir vichingo oggi non si possono vedere.
Un prodotto per grandi, ingiustamente interrotto, ma consigliabile solo ai fan più sfegatati del peso massimo del fantasy.
Un prodotto per grandi, ingiustamente interrotto, ma consigliabile solo ai fan più sfegatati del peso massimo del fantasy.