La La La At Rock Bottom
Nato nel 1976 nella prefettura di Aichi, il regista Nobuhiro Yamashita debutta nel 1999 con "Hazy Life", premiato al Festival di Rotterdam nel 2000. Nel 2005 "Linda Linda Linda", film musicale con Bae Doone nei panni della cantante, è stato presentato al Festival di Toronto ricevendo un grande consenso di pubblico. Il 2015 è la volta del toccante "La La La at Rock Bottom", originale variazione sul tema dell'amnesia, condito con massicce dosi di rock e interpretato da due giovani astri nascenti del firmamento del cinema nipponico: Subaru Shibutani, cantante del gruppo musicale Kanjani Eight e attore nella serie "Eight Ranger", e Fumi Nikaido ("The World of Kanako", "Why Don't You Play in Hell? "), già vincitrice del Premio Marcello Mastroianni come miglior attrice al Festival Internazionale del Cinema di Venezia nel 2012 per "Himizu". Il palcoscenico è la città di Osaka con la variopinta umanità dei suoi abitanti. Il titolo giapponese "Misono Universe" si riferisce al Misono, storico edificio del '55 divenuto simbolo della città, all'interno del quale vi è il famoso club Universe che normalmente ospita band dal vivo e in cui sono girate numerose scene del film.
La storia esordisce durante un concerto di musicisti soul/rock di mezza età in una piazza di Osaka, quando un tipo dallo sguardo assente e dall'aspetto malconcio sale sul palco e afferra il microfono eseguendo una canzone a cappella con sorprendente trasporto. Subito dopo si accascia al suolo come un sacco di patate. Grazie alle cure di Kasumi, giovane manager della band, lo sconosciuto riprende conoscenza, ma sembra afflitto da totale amnesia, non ricorda nulla, nemmeno il suo nome, eccetto il testo della canzone che ha appena cantato. La ragazza, che ha notato il suo innato talento, lo invita a unirsi alla band come voce solista con il soprannome di Pooch e lo ospita a casa di suo nonno che soffre di demenza senile. Malgrado il suo talento, Pooch è un'anima inquieta e, quando il suo oscuro passato comincia ad affiorare, Kasumi si ritroverà tra le mani molto più di un solista inaffidabile.
Quando due diverse identità si incontrano, qualcosa di interessante accade sicuramente. Su questa tesi sembra basarsi la trama di "La La La at Rock Bottom". Come in quasi tutti i film precedenti del regista, nel ruolo principale abbiamo un eroe frustrato che vive ai margini della società. L'amnesia (e il conseguente reboot esistenziale) è usato come espediente narrativo per giungere a esiti per niente scontati. Ma la vera forza del film sta nel tocco del regista più che nelle pieghe inaspettate dello script. Il suo sguardo si sofferma spesso sui margini della società, con sprazzi di comicità teatrale e scanzonata nello spirito e nei modi caratteristici della gente di Osaka. Come nel suo cult generazionale "Linda Linda Linda", ancora una volta è il rock a fare da trait d'union per due esistenze parallele che altrimenti non si sarebbero mai incrociate. Impareggiabile narratore del mondo dei teenager, Yamashita usa la musica anche per esprimere tutto l'impeto e la passione giovanile.
Alcuni trovano i film di Yamashita estremamente lenti, senza particolari indizi su dove la trama andrà a parare. Altri sostengono che sia un brillante regista con una visione personale e un grande senso dell'umorismo. Sicuramente non è un tipo di regista da blockbuster, tuttavia in questo caso pare che abbia tentato una strizzatina d'occhio al grande pubblico, scegliendo come attore protagonista proprio quel Subaru Shibutani, cantante della popolare band giapponese dei Kanjani Eight, il gruppo di Osaka che ha attirato più di 780.000 spettatori con quaranta concerti solo nel 2013. Ad ogni buon conto il regista spoglia il suo attore della sua consueta immagine radiosa, creando un personaggio per sottrazione, scabro e privo di fascino appariscente, aiutato in questo dallo stesso Shibutani con la sua interpretazione introversa ed essenziale, lontana anni luce dall'esibizionismo della maggior parte dei pop idol. Fumi Nikaido non è da meno dando prova di grande duttilità e vestendo i panni dimessi e per niente glamour di Kasumi, personaggio complesso che unisce al contempo una sicurezza quasi materna alla fragilità tipica dell'adolescenza. La relazione al centro del film è sottile, complicata, descritta in modo minimalista, prevedibile negli esiti ma tutt'altro che stereotipata. La disperata malinconia dei due protagonisti non è mai data in pasto a scene patetiche e forzatamente lacrimevoli, è invece suggerita delicatamente attraverso i piccoli gesti della vita di tutti i giorni. Un silenzioso primo piano può rivelare lo stato emotivo di un personaggio più di mille espedienti. Questa è una delle cifre stilistiche di Yamashita, il suo personale modo di esprimere un romanticismo sussurrato, fatto di primi piani e lunghe inquadrature fisse, come quella che incornicia uno dei momenti più emblematici del film, quando i due protagonisti competono nello sputare semi di anguria con la giocosità e l'innocenza di due bambini.
Ricordarsi di non avere niente di cui essere orgogliosi nella vita è una delle cose più difficili che un uomo possa affrontare.
La storia esordisce durante un concerto di musicisti soul/rock di mezza età in una piazza di Osaka, quando un tipo dallo sguardo assente e dall'aspetto malconcio sale sul palco e afferra il microfono eseguendo una canzone a cappella con sorprendente trasporto. Subito dopo si accascia al suolo come un sacco di patate. Grazie alle cure di Kasumi, giovane manager della band, lo sconosciuto riprende conoscenza, ma sembra afflitto da totale amnesia, non ricorda nulla, nemmeno il suo nome, eccetto il testo della canzone che ha appena cantato. La ragazza, che ha notato il suo innato talento, lo invita a unirsi alla band come voce solista con il soprannome di Pooch e lo ospita a casa di suo nonno che soffre di demenza senile. Malgrado il suo talento, Pooch è un'anima inquieta e, quando il suo oscuro passato comincia ad affiorare, Kasumi si ritroverà tra le mani molto più di un solista inaffidabile.
Quando due diverse identità si incontrano, qualcosa di interessante accade sicuramente. Su questa tesi sembra basarsi la trama di "La La La at Rock Bottom". Come in quasi tutti i film precedenti del regista, nel ruolo principale abbiamo un eroe frustrato che vive ai margini della società. L'amnesia (e il conseguente reboot esistenziale) è usato come espediente narrativo per giungere a esiti per niente scontati. Ma la vera forza del film sta nel tocco del regista più che nelle pieghe inaspettate dello script. Il suo sguardo si sofferma spesso sui margini della società, con sprazzi di comicità teatrale e scanzonata nello spirito e nei modi caratteristici della gente di Osaka. Come nel suo cult generazionale "Linda Linda Linda", ancora una volta è il rock a fare da trait d'union per due esistenze parallele che altrimenti non si sarebbero mai incrociate. Impareggiabile narratore del mondo dei teenager, Yamashita usa la musica anche per esprimere tutto l'impeto e la passione giovanile.
Alcuni trovano i film di Yamashita estremamente lenti, senza particolari indizi su dove la trama andrà a parare. Altri sostengono che sia un brillante regista con una visione personale e un grande senso dell'umorismo. Sicuramente non è un tipo di regista da blockbuster, tuttavia in questo caso pare che abbia tentato una strizzatina d'occhio al grande pubblico, scegliendo come attore protagonista proprio quel Subaru Shibutani, cantante della popolare band giapponese dei Kanjani Eight, il gruppo di Osaka che ha attirato più di 780.000 spettatori con quaranta concerti solo nel 2013. Ad ogni buon conto il regista spoglia il suo attore della sua consueta immagine radiosa, creando un personaggio per sottrazione, scabro e privo di fascino appariscente, aiutato in questo dallo stesso Shibutani con la sua interpretazione introversa ed essenziale, lontana anni luce dall'esibizionismo della maggior parte dei pop idol. Fumi Nikaido non è da meno dando prova di grande duttilità e vestendo i panni dimessi e per niente glamour di Kasumi, personaggio complesso che unisce al contempo una sicurezza quasi materna alla fragilità tipica dell'adolescenza. La relazione al centro del film è sottile, complicata, descritta in modo minimalista, prevedibile negli esiti ma tutt'altro che stereotipata. La disperata malinconia dei due protagonisti non è mai data in pasto a scene patetiche e forzatamente lacrimevoli, è invece suggerita delicatamente attraverso i piccoli gesti della vita di tutti i giorni. Un silenzioso primo piano può rivelare lo stato emotivo di un personaggio più di mille espedienti. Questa è una delle cifre stilistiche di Yamashita, il suo personale modo di esprimere un romanticismo sussurrato, fatto di primi piani e lunghe inquadrature fisse, come quella che incornicia uno dei momenti più emblematici del film, quando i due protagonisti competono nello sputare semi di anguria con la giocosità e l'innocenza di due bambini.
Ricordarsi di non avere niente di cui essere orgogliosi nella vita è una delle cose più difficili che un uomo possa affrontare.
Kasumi, una ragazzina ritrovatasi a dover gestire il negozio dei genitori e a convivere con un nonnino ormai rintronato, si rimbocca le maniche e manda avanti la propria vita animandola con la pittoresca band degli Akainu, che 'dirige' con ferma tenerezza. E all'improvviso si imbatte in un 'randagio', un uomo smarrito e in preda a un'amnesia che gli ha rubato il passato. Kasumi lo invita senza indugi a costruirsi un futuro. A "Pochi", il nomignolo da cagnolino con cui la ragazza ribattezza lo sconosciuto, è rimasto qualcosa a cui aggrapparsi: il canto. Yamashita sembra volerci dire che la voce è il corpo dell'anima: ecco perché chi canta può toccare l'anima con mano. E "Pochi"/Shigeo riesce a farlo con un'intensità che lascia esterrefatta Kasumi. La musica è davvero la linfa vitale che fluisce nelle corde di uno Shibutani convincentissimo sia nel cantato che nella recitazione. Se a Pochi manca il passato e Kasumi è ferma al giorno della morte del padre, entrambi possono ritrovare un modo di stare al mondo: il presente può essere stretto tra le dita di una mano, il passato e il futuro si possono custodire dentro una scatola. La memoria, il presente, la speranza: tutto può diventare musica. Se la voce è il primo modo di fare musica, il soffio dell'armonica è un prolungamento della voce di Shibutani, capace di assumere le tinte più varie, dalla forza emotiva di "Old Diary" fino alla intensa "Kioku". Una conferma graditissima la giovane Fumi Nikaido, attrice dalla forza delicata. Il film è un tributo ad Osaka fin dal titolo, e ci porta dritti al centro della palpitante umanità della metropoli del Kansai. Il messaggio della pellicola è un inno alla speranza: «Ame futte chi ga katamaru naraba» dice Kokoro Odoreba, uno dei brani che dolcemente trascinano il film... dopo la pioggia, la terra si compatta, i legami, dopo le difficoltà, si rafforzano.
A volte, rompere gli schemi è il metodo più efficace per attirare l'attenzione su di sé.
Sin dalla sua nascita nel 1972, l'IFFR o Festival Internazionale del film di Rotterdam è paragonabile per importanza alle vetrine di Cannes, Venezia, Berlino e Locarno, ma ha voluto porsi come una rassegna che si erge a baluardo delle avanguardie, che punta a titoli alternativi, poco commerciali ma innovativi, con un occhio di riguardo alle produzioni del cinema d'Oriente. Poco red carpet e molta sostanza, insomma: un ponte che collega registi e produttori a un pubblico variegato e curioso, nella città olandese che ha fatto dell'accoglienza la sua bandiera sin dai rigori del Medioevo europeo.
La singolarità delle proposte dell'IFFR di Rotterdam è stata confermata anche dall'edizione 2015: accanto alla proiezione del "As the Gods will" di Takashi Miike, già presentato al recente Festival del film di Roma, e a una rosa di altri titoli e cortometraggi nipponici, una speciale visibilità l'ha ottenuta la première internazionale del film "Misono Universe" di Nobuhiro Yamashita, internazionalizzato in "La la la at Rock Bottom", nelle sale giapponesi a partire dal 14 febbraio 2015.
In effetti, quale modo migliore di promuovere un film musicale se non raccontandolo attraverso quella stessa musica? Ed ecco quindi che l'Oude Luxor Theater della città ha ospitato un vero e proprio concerto dal vivo, in seguito alla proiezione, che ha fatto magistralmente rivivere le ballate anni '70 suonate e cantate nel film.
Un carcere, uno sguardo vuoto, un pestaggio violento. Dopodiché, la regia di Nobuhiro Yamashita ci introduce il protagonista svenuto sull'asfalto, gonfio di botte e coperto di sangue. Si rialza da terra, si guarda attorno: con sé non ha nulla, e non ricorda nulla. Vaga scombussolato, giungendo in un parco ove una scalcagnata band di ex-giovincelli sta intrattenendo i passanti con canzoni popolari.
E' l'istinto ad agire: senza pensarci due volte il protagonista afferra il microfono e canta a squarciagola. Lo fa come se per tutta la vita non avesse fatto davvero altro, e continuerà a farlo una volta che Kasumi, unica testa pensante e manager del gruppo Akainu, lo trascinerà a casa con sé.
Lei è solo una ragazzina, ma ha già dovuto lasciarsi alle spalle diverse persone importanti e accollarsi poi il peso di troppe responsabilità: il negozio dei genitori, un nonno rintronato, di grande appetito e buon cuore, la sgangherata band degli Akainu e per finire persino lo sconosciuto senza memoria raccattato al parco e ribattezzato "Pochi", come il suo cane ormai scomparso. Per le quattro cose che per Kasumi contano per davvero nella vita è disposta a tutto, e proprio per questo non ha alcuna remora a lanciare Pochi su un palco al cospetto del pubblico, e farlo cantare, esterrefatta di fronte alla sua potenza vocale.
"Da allora, per lei il tempo si è fermato."
"Per me invece è il contrario"
Il tempo di Kasumi e quello di Pochi scorrono in maniera diversa, ma poco per volta i due raggiungono un sottile equilibrio, sostenuto dalla musica e lenitivo per entrambi.
Pochi raccoglie e conserva oggetti apparentemente insignificanti come una serie di lastre mediche, un plettro, una pistola giocattolo: frammenti di una vita perduta, forse non così encomiabile. Non ha memoria, eppure scopre che la memoria del suo corpo ricorda melodie che dalla coscienza erano svanite; si affida a quelle per disfarsi del limbo entro cui si è risvegliato, per incamminarsi verso una nuova direzione.
L'epifania giunge di colpo, inaspettata, persino un po' traditrice.
Riprendere in mano il passato non è facile, però nemmeno il negazionismo di una vita di delinquenza è una risposta: nell'impossibilità d'intravedere una luce o un collegamento tra i due, la rabbia è legittima. S'insinua con prepotenza, annichilendo le illusioni di un'esistenza diversa.
Goliardia, musica e gangster: questo il riassunto della pellicola in tre concetti. Ma a voler essere ancora più sintetici, potremmo trovare un unico filo rosso per l'intero film sotto la parola "legami".
"Non hai un passato, costruisciti un futuro."
Il rocambolesco finale è di nuovo tutto in musica.
Di per sé, la storia pare affidarsi più su un canovaccio iper-collaudato che nel proporre qualcosa di mai visto prima, eppure il regista del celeberrimo "Linda Linda Linda" fa ancora una volta la differenza e sposa magistralmente ambo le cose; il segreto della felice riuscita di "La la la at Rock Bottom" è invero quasi tutto qui, in uno staff tecnico davvero di prim'ordine.
Nei personaggi non v'è traccia di buonismo, in verità.
La goliardica band degli Akainu e la sottile determinazione esercitata su di loro e su Pochi dalla giovane Kasumi sono i due soli strumenti di humour di cui Yamashita e la sceneggiatura di Tomoe Kanno ("La ragazza che saltava nel tempo") si servono per stemperare una storia altrimenti assai poco edificante. Ci riescono piuttosto bene, dosando con attenzione tutti gli elementi a disposizione e componendo così un film che scorre con scioltezza dall'inizio alla fine, senza momenti di stanca, impreziosito semmai da un leggero ma costante crescendo emozionale, che culmina in un finale dirompente.
Impeccabile il taglio musicale improntato da Kyoko Kitahara ("Wolf Children", "Detroit Metal City"), ma non appare meno palpitante la rappresentazione sagace, a tratti drammatica e a tratti sensibilissima di una quotidianità nipponica ordinaria come poche, quasi scolorita, e proprio per tale ragione intrisa di struggente fascino.
Il titolo stesso del film è un omaggio al Kansai: "Misono" è il nome di un edificio storico nella zona di Sennichimae, lo "Universe" era invece un cabaret di spicco da poco rinnovato. Tra i curatori della produzione ricordiamo in questo senso Norifumi Ataka ("Norwegian Wood") e Takashi Satoh ("A Story of Yonosuke").
E' un film, questo, che susciterà groppi in gola ma anche tante risate, perché è tenero il brio con cui gli Akainu, di sfondo, rubano più volte la scena ai due protagonisti. Così facendo, la tensione viene a sciogliersi e di nuovo il processo è reso più fluido attraverso le parti musicate, benché vi siano scene prive di dialoghi che risultano nel complesso parimenti evocative.
Può sembrare, anche, che quella dello smarrito ma ispirato Pochi sia una figura confezionata su misura del Subaru Shibutani che nel film lo interpreta, e che in qualità di esponente di spicco della band pop-rock Kanjani8 è invero più cantante che attore; eppure il dubbio svanisce subito. La sua è una recitazione calda e convincente, capace di sovrapporsi con facilità alla figura del protagonista, decretandolo a personaggio a tutto tondo, proprio perché la musica li accomuna; non perché Pochi sia Shibutani, ma perché quest'ultimo lo sente muoversi dentro. Nei due uomini fluisce con un vigore quasi ardente quella medesima linfa vitale che è la musica.
La voce di Shibutani non serba alcuna incertezza, non reca una sola ombra: si lascia andare, dispiegandosi con quell'implacabile leggerezza che solo il vero talento riesce a regalare.
Accanto a lui, la giovanissima ma già applaudita Fumi Nikaido (Himizu) si mostra piuttosto naturale nella sua rappresentazione della tenace Kasumi, ed è una felice conferma per un'attrice che nel 2012 al Festival del cinema di Venezia aveva ricevuto il Premio Marcello Mastroianni, prima giapponese ad aggiudicarsi un riconoscimento destinato agli artisti emergenti.
Il film cita anche, in maniera indiretta, alcuni gruppi musicali indie del Kansai che rimangono per ora anonimi: le loro effigi, prese a prestito da un acuto Yamashita, popolano il mondo di "Misono Universe" di loghi bizzarri e spensierati e di magliette da tifo scanzonato abbinate a costumi forse rubati al Takarazuka.
Nel concerto live seguito alla première, attraverso il suono dell'armonica Subaru Shibutani reclama l'attenzione del cinema al completo su di sé. Accompagnato dai TAKOYAKI all stars, una band di professionisti giunti appositamente dal Giappone, le note del "Piano Man" di Billy Joel si riverberano nel teatro attraverso la voce cristallina di Shibutani: alcuni passaggi del testo vengono ri-arrangiati ad hoc in omaggio a Rotterdam e al suo pubblico internazionale lì presente. E di colpo non è più un cinema: è un concerto dal vivo che quasi per magia catapulta di nuovo i presenti all'interno di questo piccolo, grande film:
"Sing you a song, I'm a Japanese man, singing for Rotterdam!"
Sin dalla sua nascita nel 1972, l'IFFR o Festival Internazionale del film di Rotterdam è paragonabile per importanza alle vetrine di Cannes, Venezia, Berlino e Locarno, ma ha voluto porsi come una rassegna che si erge a baluardo delle avanguardie, che punta a titoli alternativi, poco commerciali ma innovativi, con un occhio di riguardo alle produzioni del cinema d'Oriente. Poco red carpet e molta sostanza, insomma: un ponte che collega registi e produttori a un pubblico variegato e curioso, nella città olandese che ha fatto dell'accoglienza la sua bandiera sin dai rigori del Medioevo europeo.
La singolarità delle proposte dell'IFFR di Rotterdam è stata confermata anche dall'edizione 2015: accanto alla proiezione del "As the Gods will" di Takashi Miike, già presentato al recente Festival del film di Roma, e a una rosa di altri titoli e cortometraggi nipponici, una speciale visibilità l'ha ottenuta la première internazionale del film "Misono Universe" di Nobuhiro Yamashita, internazionalizzato in "La la la at Rock Bottom", nelle sale giapponesi a partire dal 14 febbraio 2015.
In effetti, quale modo migliore di promuovere un film musicale se non raccontandolo attraverso quella stessa musica? Ed ecco quindi che l'Oude Luxor Theater della città ha ospitato un vero e proprio concerto dal vivo, in seguito alla proiezione, che ha fatto magistralmente rivivere le ballate anni '70 suonate e cantate nel film.
Un carcere, uno sguardo vuoto, un pestaggio violento. Dopodiché, la regia di Nobuhiro Yamashita ci introduce il protagonista svenuto sull'asfalto, gonfio di botte e coperto di sangue. Si rialza da terra, si guarda attorno: con sé non ha nulla, e non ricorda nulla. Vaga scombussolato, giungendo in un parco ove una scalcagnata band di ex-giovincelli sta intrattenendo i passanti con canzoni popolari.
E' l'istinto ad agire: senza pensarci due volte il protagonista afferra il microfono e canta a squarciagola. Lo fa come se per tutta la vita non avesse fatto davvero altro, e continuerà a farlo una volta che Kasumi, unica testa pensante e manager del gruppo Akainu, lo trascinerà a casa con sé.
Lei è solo una ragazzina, ma ha già dovuto lasciarsi alle spalle diverse persone importanti e accollarsi poi il peso di troppe responsabilità: il negozio dei genitori, un nonno rintronato, di grande appetito e buon cuore, la sgangherata band degli Akainu e per finire persino lo sconosciuto senza memoria raccattato al parco e ribattezzato "Pochi", come il suo cane ormai scomparso. Per le quattro cose che per Kasumi contano per davvero nella vita è disposta a tutto, e proprio per questo non ha alcuna remora a lanciare Pochi su un palco al cospetto del pubblico, e farlo cantare, esterrefatta di fronte alla sua potenza vocale.
"Da allora, per lei il tempo si è fermato."
"Per me invece è il contrario"
Il tempo di Kasumi e quello di Pochi scorrono in maniera diversa, ma poco per volta i due raggiungono un sottile equilibrio, sostenuto dalla musica e lenitivo per entrambi.
Pochi raccoglie e conserva oggetti apparentemente insignificanti come una serie di lastre mediche, un plettro, una pistola giocattolo: frammenti di una vita perduta, forse non così encomiabile. Non ha memoria, eppure scopre che la memoria del suo corpo ricorda melodie che dalla coscienza erano svanite; si affida a quelle per disfarsi del limbo entro cui si è risvegliato, per incamminarsi verso una nuova direzione.
L'epifania giunge di colpo, inaspettata, persino un po' traditrice.
Riprendere in mano il passato non è facile, però nemmeno il negazionismo di una vita di delinquenza è una risposta: nell'impossibilità d'intravedere una luce o un collegamento tra i due, la rabbia è legittima. S'insinua con prepotenza, annichilendo le illusioni di un'esistenza diversa.
Goliardia, musica e gangster: questo il riassunto della pellicola in tre concetti. Ma a voler essere ancora più sintetici, potremmo trovare un unico filo rosso per l'intero film sotto la parola "legami".
"Non hai un passato, costruisciti un futuro."
Il rocambolesco finale è di nuovo tutto in musica.
Di per sé, la storia pare affidarsi più su un canovaccio iper-collaudato che nel proporre qualcosa di mai visto prima, eppure il regista del celeberrimo "Linda Linda Linda" fa ancora una volta la differenza e sposa magistralmente ambo le cose; il segreto della felice riuscita di "La la la at Rock Bottom" è invero quasi tutto qui, in uno staff tecnico davvero di prim'ordine.
Nei personaggi non v'è traccia di buonismo, in verità.
La goliardica band degli Akainu e la sottile determinazione esercitata su di loro e su Pochi dalla giovane Kasumi sono i due soli strumenti di humour di cui Yamashita e la sceneggiatura di Tomoe Kanno ("La ragazza che saltava nel tempo") si servono per stemperare una storia altrimenti assai poco edificante. Ci riescono piuttosto bene, dosando con attenzione tutti gli elementi a disposizione e componendo così un film che scorre con scioltezza dall'inizio alla fine, senza momenti di stanca, impreziosito semmai da un leggero ma costante crescendo emozionale, che culmina in un finale dirompente.
Impeccabile il taglio musicale improntato da Kyoko Kitahara ("Wolf Children", "Detroit Metal City"), ma non appare meno palpitante la rappresentazione sagace, a tratti drammatica e a tratti sensibilissima di una quotidianità nipponica ordinaria come poche, quasi scolorita, e proprio per tale ragione intrisa di struggente fascino.
Il titolo stesso del film è un omaggio al Kansai: "Misono" è il nome di un edificio storico nella zona di Sennichimae, lo "Universe" era invece un cabaret di spicco da poco rinnovato. Tra i curatori della produzione ricordiamo in questo senso Norifumi Ataka ("Norwegian Wood") e Takashi Satoh ("A Story of Yonosuke").
E' un film, questo, che susciterà groppi in gola ma anche tante risate, perché è tenero il brio con cui gli Akainu, di sfondo, rubano più volte la scena ai due protagonisti. Così facendo, la tensione viene a sciogliersi e di nuovo il processo è reso più fluido attraverso le parti musicate, benché vi siano scene prive di dialoghi che risultano nel complesso parimenti evocative.
Può sembrare, anche, che quella dello smarrito ma ispirato Pochi sia una figura confezionata su misura del Subaru Shibutani che nel film lo interpreta, e che in qualità di esponente di spicco della band pop-rock Kanjani8 è invero più cantante che attore; eppure il dubbio svanisce subito. La sua è una recitazione calda e convincente, capace di sovrapporsi con facilità alla figura del protagonista, decretandolo a personaggio a tutto tondo, proprio perché la musica li accomuna; non perché Pochi sia Shibutani, ma perché quest'ultimo lo sente muoversi dentro. Nei due uomini fluisce con un vigore quasi ardente quella medesima linfa vitale che è la musica.
La voce di Shibutani non serba alcuna incertezza, non reca una sola ombra: si lascia andare, dispiegandosi con quell'implacabile leggerezza che solo il vero talento riesce a regalare.
Accanto a lui, la giovanissima ma già applaudita Fumi Nikaido (Himizu) si mostra piuttosto naturale nella sua rappresentazione della tenace Kasumi, ed è una felice conferma per un'attrice che nel 2012 al Festival del cinema di Venezia aveva ricevuto il Premio Marcello Mastroianni, prima giapponese ad aggiudicarsi un riconoscimento destinato agli artisti emergenti.
Il film cita anche, in maniera indiretta, alcuni gruppi musicali indie del Kansai che rimangono per ora anonimi: le loro effigi, prese a prestito da un acuto Yamashita, popolano il mondo di "Misono Universe" di loghi bizzarri e spensierati e di magliette da tifo scanzonato abbinate a costumi forse rubati al Takarazuka.
Nel concerto live seguito alla première, attraverso il suono dell'armonica Subaru Shibutani reclama l'attenzione del cinema al completo su di sé. Accompagnato dai TAKOYAKI all stars, una band di professionisti giunti appositamente dal Giappone, le note del "Piano Man" di Billy Joel si riverberano nel teatro attraverso la voce cristallina di Shibutani: alcuni passaggi del testo vengono ri-arrangiati ad hoc in omaggio a Rotterdam e al suo pubblico internazionale lì presente. E di colpo non è più un cinema: è un concerto dal vivo che quasi per magia catapulta di nuovo i presenti all'interno di questo piccolo, grande film:
"Sing you a song, I'm a Japanese man, singing for Rotterdam!"