Kimba - Il leone bianco
Dopo aver conosciuto un autore titanico come Tezuka con la sua ultima opera compiuta, ovvero quel capolavoro che è La storia dei tre Adolf, è stato più che naturale per me cercare di ripercorrere la carriera dell'autore sin dalle origini: quale modo migliore di farlo se non affrontando il celebre Jungle Taitei, il più "antico" tra i manga di Tezuka editi in Italia?
Attenzione: presenza di lievi spoiler.
La trama di Kimba, questo il titolo di fama internazionale, può essere riassunta come segue: è la storia di un piccolo cucciolo di leone bianco (nelle intenzioni dell'autore il suo manto sarebbe stato giallognolo ma, per problemi tecnici con l'inchiostro, alla fine sulla carta risultò color bianco per l'appunto; il resto è storia) i cui genitori muoiono nel giro di poche pagine all'inizio del primo volume. Kimba viene quindi sballottato da un continente all'altro, entrando dapprima a far parte della comunità degli uomini, con alcuni dei quali stringe una salda amicizia, e assumendo in seguito il ruolo di re degli animali nella sua terra natale. Il suo cammino per diventare re sarà costellato di tragedie e perdite, ma sarà anche intriso di lotte e valori quali l'amicizia e il sacrificio per gli altri. Sullo sfondo, il mistero della pietra "moonlight" serve in realtà da mero pretesto per collegare i personaggi umani e animali tra loro e attirare il lettore con una piccola dose di mistero, scenari di grandi monti nebbiosi e animali di altre epoche...
Sebbene Kimba rappresenti un classico racconto di formazione piacevole da leggere, tuttavia non mancano numerose ingenuità a livello di nessi temporali e narrativi, nonché dal punto di vista di un'eccessiva umanizzazione degli animali: per chi come me è cresciuto guardando il più famoso "cugino e successore" americano Il re leone, è piuttosto semplice accettare tout court il fatto che gli animali dell'opera in questione parlino; d'altro canto però il lettore più moderno potrebbe faticare a digerire che Kimba e i suoi amici a quattro zampe si comportano come dei bipedi, si vestono come le persone, costruiscono (!) vere e proprie ziggurat meglio dei Babilonesi e si affannano a scuola per imparare, riuscendoci, la lingua degli uomini. Ad ogni modo, se si prende in considerazione il fatto che la pubblicazione di Kimba risale ai primissimi Anni Cinquanta e che allora il maestro non aveva ancora compiuto i trent'anni di età, allora si potrebbe affrontare la lettura di Kimba con maggiore cognizione di causa e soprattutto con un'ottica diversa. Nonostante le apparenze, non siamo di fronte a un manga rivolto esclusivamente ai bambini: non a caso alcuni riferimenti verbali (un animale pronuncia la parola "orge") e numerose morti e scene con pellicce dagli occhi fissi certamente palesano l'intenzione dell'autore di rivolgersi a un pubblico più ampio. Pur tenendo conto del suo valore letterario (concedetemi il termine: penso che una buona parte delle opere di Tezuka se lo meriti) non mi sentirei di consigliare Kimba a tutti, ma ciò non toglie che si tratti di un gradevole manga di intrattenimento in grado di riservare anche più di una sorpresa.
Attenzione: presenza di lievi spoiler.
La trama di Kimba, questo il titolo di fama internazionale, può essere riassunta come segue: è la storia di un piccolo cucciolo di leone bianco (nelle intenzioni dell'autore il suo manto sarebbe stato giallognolo ma, per problemi tecnici con l'inchiostro, alla fine sulla carta risultò color bianco per l'appunto; il resto è storia) i cui genitori muoiono nel giro di poche pagine all'inizio del primo volume. Kimba viene quindi sballottato da un continente all'altro, entrando dapprima a far parte della comunità degli uomini, con alcuni dei quali stringe una salda amicizia, e assumendo in seguito il ruolo di re degli animali nella sua terra natale. Il suo cammino per diventare re sarà costellato di tragedie e perdite, ma sarà anche intriso di lotte e valori quali l'amicizia e il sacrificio per gli altri. Sullo sfondo, il mistero della pietra "moonlight" serve in realtà da mero pretesto per collegare i personaggi umani e animali tra loro e attirare il lettore con una piccola dose di mistero, scenari di grandi monti nebbiosi e animali di altre epoche...
Sebbene Kimba rappresenti un classico racconto di formazione piacevole da leggere, tuttavia non mancano numerose ingenuità a livello di nessi temporali e narrativi, nonché dal punto di vista di un'eccessiva umanizzazione degli animali: per chi come me è cresciuto guardando il più famoso "cugino e successore" americano Il re leone, è piuttosto semplice accettare tout court il fatto che gli animali dell'opera in questione parlino; d'altro canto però il lettore più moderno potrebbe faticare a digerire che Kimba e i suoi amici a quattro zampe si comportano come dei bipedi, si vestono come le persone, costruiscono (!) vere e proprie ziggurat meglio dei Babilonesi e si affannano a scuola per imparare, riuscendoci, la lingua degli uomini. Ad ogni modo, se si prende in considerazione il fatto che la pubblicazione di Kimba risale ai primissimi Anni Cinquanta e che allora il maestro non aveva ancora compiuto i trent'anni di età, allora si potrebbe affrontare la lettura di Kimba con maggiore cognizione di causa e soprattutto con un'ottica diversa. Nonostante le apparenze, non siamo di fronte a un manga rivolto esclusivamente ai bambini: non a caso alcuni riferimenti verbali (un animale pronuncia la parola "orge") e numerose morti e scene con pellicce dagli occhi fissi certamente palesano l'intenzione dell'autore di rivolgersi a un pubblico più ampio. Pur tenendo conto del suo valore letterario (concedetemi il termine: penso che una buona parte delle opere di Tezuka se lo meriti) non mi sentirei di consigliare Kimba a tutti, ma ciò non toglie che si tratti di un gradevole manga di intrattenimento in grado di riservare anche più di una sorpresa.
La storia di <i>Jungle taitei</i>, in Italia <i>Kimba il leone bianco</i>, si apre con la morte del padre del giovane leoncino mentre cerca di salvare la moglie, intrappolata da alcuni bracconieri intenzionati a rivenderla ad un circo. Il piccolo Kimba nasce proprio sulla nave che sta portando sua madre in città per essere venduta, così, per evitargli il suo stesso destino, lei lo spinge a tuffarsi in mare e a tornare in Africa per continuare a proteggere tutte le creature della giungla come aveva fatto fino a quel momento il suo defunto coniuge. Il cucciolo si getta tra le onde e riesce a raggiungere le coste dell'Arabia e qui incontra Kenichi, un ragazzino che finisce per adottarlo ed educarlo alla vita moderna di città. Ma questo periodo di tranquillità non durerà molto, il momento in cui dovrà farsi carico del suo ruolo di principe della giungla si fa sempre più vicino...
Nonostante <i>Kimba</i> sia una delle opere più famose di Tezuka e le vicende del piccolo leoncino risultino una lettura piacevole anche ai nostri giorni, tuttavia quella di <i>Jungle Taitei</i> è una storia che si dimostra troppo legata all'epoca in cui fu scritta e che con il passare del tempo ha cominciato a mostrare tutti i suoi limiti. Se infatti da una parte le svariate e fantasiose avventure di Kimba ed i suoi amici nella giungla riescono a risultare ancora interessanti e a non annoiare, dall'altra i momenti in cui i protagonisti diventano gli uomini non sono minimamente all'altezza delle prime. Questo essenzialmente a causa di un cast di personaggi in larga parte stereotipati (con l'eccezione di Higeoyagi e Ham Egg) e di un perno centrale, cui tutti loro volenti o nolenti girano attorno, che ha perso la sua efficacia negli anni, ovvero la ricerca della Moonlight, una fantomatica pietra dall'energia immensa che si ipotizza essere la causa della deriva dei continenti.
Posso capire come negli anni cinquanta in Giappone una cosa del genere potesse avere successo, in fondo uscire dal paese era per la maggioranza della popolazione, compreso lo stesso Tezuka, solo un miraggio ed un mistero che si intrecciava con le moderne teorie scientifiche, ambientato in una terra esotica, con personaggi alla moda, di certo doveva stuzzicare la fantasia di più di una persona. Purtroppo però una rappresentazione del genere oggigiorno ha perso molto del suo fascino, basti pensare a Kenichi, il tipico eroe senza macchia e senza paura che, guarda caso, nel corso della storia si ritrova a dover salvare la sua bella principessina indifesa (e viziata) dai guai che lei stessa ha combinato. E che dire dei comprimari? I "bianchi" sono tutti cacciatori, persino chi non ha mai preso in mano un'arma da fuoco si sente in dovere di portarsi dietro un fucile ed improvvisarsi pistolero provetto quando si avventura nella giungla. I "neri" sono in numero davvero esiguo, tanto da farci dubitare di trovarci davvero in Africa, ed ovviamente svolgono lavori umili oppure fanno parte di una delle tribù indigene "non civilizzate" sparse per la giungla.
Ovviamente quest'ultimo aspetto è dettato da degli stereotipi che a quell'epoca erano molto diffusi, specialmente in un paese che non aveva molti contatti con il resto del mondo. Presumibilmente Tezuka aveva semplicemente imitato gli stili di vita di quella gente come li aveva visti in quei "buoni" prodotti che non venivano colpiti dalla censura, di certo è ridicolo accusarlo di essere stato razzista quando in tutte le sue opere si è sempre schierato contro ogni forma di discriminazione. Anche il capo della tribù di indigeni che si scontra con Pandja, il padre di Kimba, in effetti viene rappresentato in maniera molto dignitosa.
Questi difetti sono sicuramente seccanti, ciò non toglie che <i>Kimba</i> non sia solo questo ed anzi abbia molto da offrire se letto senza troppe pretese. L'opera tratta numerosi temi, tra i quali spiccano senza dubbio l'amore ed il rispetto per la vita, l'amicizia, l'armonia e l'unità della collettività come soluzione ai problemi dei singoli, la morte, onnipresente lungo tutta la storia e che trova nell'eroico sacrificio del protagonista uno sbocco necessario ed inevitabile.
In effetti una delle cose più interessanti di <i>Jungle taitei</i> è proprio la lotta interiore di Kimba tra la sua natura innata di belva feroce e quella acquisita di felino domestico, una lotta che si riflette anche nel suo desiderio di cercare di civilizzare la giungla, permettendo a tutti gli animali di vivere senza essere costretti ad uccidersi l'un l'altro e nello stesso tempo senza perdere le caratteristiche che li rendono quello che sono, una lotta che trova il suo culmine nel tragico finale, che forse per questo riesce dopo così tanto tempo ad essere ancora commovente.
<i>Kimba</i> è sicuramente un ottimo manga, seppur non esente da un discreto numero di difetti non certo marginali, che consiglio a chiunque ami Tezuka o <i>Il Re Leone</i>. Infatti il film della Disney prende parecchi spunti da quest'opera e, benché sia decisamente meno complesso, riesce a superare il prodotto di partenza, svecchiandolo ed esaltandone i numerosi pregi. Se tuttavia non avete mai letto nulla di questo autore forse <i>Jungle taitei</i> non è il miglior fumetto con il quale potreste cominciare, <i>Ayako</i> è un punto di partenza decisamente migliore.
Nonostante <i>Kimba</i> sia una delle opere più famose di Tezuka e le vicende del piccolo leoncino risultino una lettura piacevole anche ai nostri giorni, tuttavia quella di <i>Jungle Taitei</i> è una storia che si dimostra troppo legata all'epoca in cui fu scritta e che con il passare del tempo ha cominciato a mostrare tutti i suoi limiti. Se infatti da una parte le svariate e fantasiose avventure di Kimba ed i suoi amici nella giungla riescono a risultare ancora interessanti e a non annoiare, dall'altra i momenti in cui i protagonisti diventano gli uomini non sono minimamente all'altezza delle prime. Questo essenzialmente a causa di un cast di personaggi in larga parte stereotipati (con l'eccezione di Higeoyagi e Ham Egg) e di un perno centrale, cui tutti loro volenti o nolenti girano attorno, che ha perso la sua efficacia negli anni, ovvero la ricerca della Moonlight, una fantomatica pietra dall'energia immensa che si ipotizza essere la causa della deriva dei continenti.
Posso capire come negli anni cinquanta in Giappone una cosa del genere potesse avere successo, in fondo uscire dal paese era per la maggioranza della popolazione, compreso lo stesso Tezuka, solo un miraggio ed un mistero che si intrecciava con le moderne teorie scientifiche, ambientato in una terra esotica, con personaggi alla moda, di certo doveva stuzzicare la fantasia di più di una persona. Purtroppo però una rappresentazione del genere oggigiorno ha perso molto del suo fascino, basti pensare a Kenichi, il tipico eroe senza macchia e senza paura che, guarda caso, nel corso della storia si ritrova a dover salvare la sua bella principessina indifesa (e viziata) dai guai che lei stessa ha combinato. E che dire dei comprimari? I "bianchi" sono tutti cacciatori, persino chi non ha mai preso in mano un'arma da fuoco si sente in dovere di portarsi dietro un fucile ed improvvisarsi pistolero provetto quando si avventura nella giungla. I "neri" sono in numero davvero esiguo, tanto da farci dubitare di trovarci davvero in Africa, ed ovviamente svolgono lavori umili oppure fanno parte di una delle tribù indigene "non civilizzate" sparse per la giungla.
Ovviamente quest'ultimo aspetto è dettato da degli stereotipi che a quell'epoca erano molto diffusi, specialmente in un paese che non aveva molti contatti con il resto del mondo. Presumibilmente Tezuka aveva semplicemente imitato gli stili di vita di quella gente come li aveva visti in quei "buoni" prodotti che non venivano colpiti dalla censura, di certo è ridicolo accusarlo di essere stato razzista quando in tutte le sue opere si è sempre schierato contro ogni forma di discriminazione. Anche il capo della tribù di indigeni che si scontra con Pandja, il padre di Kimba, in effetti viene rappresentato in maniera molto dignitosa.
Questi difetti sono sicuramente seccanti, ciò non toglie che <i>Kimba</i> non sia solo questo ed anzi abbia molto da offrire se letto senza troppe pretese. L'opera tratta numerosi temi, tra i quali spiccano senza dubbio l'amore ed il rispetto per la vita, l'amicizia, l'armonia e l'unità della collettività come soluzione ai problemi dei singoli, la morte, onnipresente lungo tutta la storia e che trova nell'eroico sacrificio del protagonista uno sbocco necessario ed inevitabile.
In effetti una delle cose più interessanti di <i>Jungle taitei</i> è proprio la lotta interiore di Kimba tra la sua natura innata di belva feroce e quella acquisita di felino domestico, una lotta che si riflette anche nel suo desiderio di cercare di civilizzare la giungla, permettendo a tutti gli animali di vivere senza essere costretti ad uccidersi l'un l'altro e nello stesso tempo senza perdere le caratteristiche che li rendono quello che sono, una lotta che trova il suo culmine nel tragico finale, che forse per questo riesce dopo così tanto tempo ad essere ancora commovente.
<i>Kimba</i> è sicuramente un ottimo manga, seppur non esente da un discreto numero di difetti non certo marginali, che consiglio a chiunque ami Tezuka o <i>Il Re Leone</i>. Infatti il film della Disney prende parecchi spunti da quest'opera e, benché sia decisamente meno complesso, riesce a superare il prodotto di partenza, svecchiandolo ed esaltandone i numerosi pregi. Se tuttavia non avete mai letto nulla di questo autore forse <i>Jungle taitei</i> non è il miglior fumetto con il quale potreste cominciare, <i>Ayako</i> è un punto di partenza decisamente migliore.
Mi sono avvicinata a questo fumetto con in mente un vago ricordo del cartone animato, molto amato durante l’infanzia. Ora non so se i miei ricordi siano molto sbiaditi o se effettivamente il manga si discosti molto dall’anime, fatto sta che mi sono trovata di fronte a un’opera ben diversa da quella che immaginavo. Innanzitutto, il target a cui si rivolge: ero convinta che fosse dedicato a un pubblico infantile o adolescenziale, un po’ come Astroboy e la Principessa Zaffiro… E invece ho tutta l’impressione che non sia così. Kimba è davvero difficile da classificare, è una via di mezzo fra le favole di Esopo con animali antropomorfi che però la sapevano lunga, le fiabe per bambini in cui gli animali parlano e stanno insieme allegramente, e un trattato sociale dedicato ad un pubblico d’adulti che ne riesca a intravedere il senso in mezzo alle allegorie. È una giostra di dialoghi, descrizioni, azioni, situazioni che passano dalla banalità della spiegazione per bambini alla violenza psicologica sostenibile soltanto da un adulto. Chi mai l’avrebbe immaginata una tale ricchezza in un manga come questo?
Innanzitutto è protagonista il concetto di MORTE: non a livello visivo, ma a livello concettuale e narrativo il fumetto ne è intriso. Vorrei soffermarmi un attimo su questo aspetto. Oggi tanto i bambini quanto, sempre di più, anche gli adulti, percepiscono il concetto di morte in maniera distorta, spettacolarizzata da molti telefilm, film, videogiochi e anche ormai dalla cronaca dei tg, alleggerita di ogni sostanzioso significato che non sia “tanto sangue, tanto combattimento, tanta tragedia, tanto splatter, tanti morti ma tanto sono finti o non ci riguardano”. Anche il contrasto, la lotta fisica, la violenza, sono vissuti come spettacolo e divertimento: guardiamo Dragon Ball, dove tutti si picchiano e se si muore si resuscita con le magiche sfere, guardiamo Lost, o CSI o non so che altro. Qui in questo manga, in realtà, la morte non si guarda negli occhi, in maniera diretta, spavalda e menefreghista, oppure angosciante e ansiogena come nell’horror. È come un’aria pesante e naturalissima che accompagna la lettura, che la nutre di un senso, che pesa come contrappeso in una bilancia sulle azioni dei protagonisti. È una morte reale e realmente sentita, in cui non ci sono fantocci-oggetto da sacrificare, ma una necessità e desiderio di vita da difendere. Quello che nel rifacimento disneyano de “Il re leone” (notoriamente ispirato a Kimba come anche le affinità dei due nomi dei leoncini protagonisti manifestano) verrà chiamato hollywoodianamente “il cerchio della vita”, nel manga originale è qualcosa di veramente profondo e complicato, un equilibrio difficilissimo fra la vita e la morte, fra l’azione e la rassegnazione… E non solo: fra la civiltà e la bestialità. Questi sono i temi portanti di tutta la saga che passa di padre in figlio (leoni) e che fanno di Kimba un capolavoro dell’allegoria.
Se vogliamo guardare oltre al tema naturalista della lotta fra gli animali buoni e i cacciatori cattivi (che è una semplificazione immotivata), scopriremo che gli argomenti nevralgici su cui ruota il tutto sono: la cultura e la scienza fanno la civiltà? Quand’è che una società è definibile come “civile”? Quand’è che un uomo raggiunge la dignità propria di un essere umano? Quand’è che la morte all’interno della società è importante per la vita e quando invece è specchio di una profonda ingiustizia? Abbiamo due mondi in contrasto: quello degli animali, che ispirati dal loro re illuminato cercano una convivenza pacifica e civile con parvenze (spesso fallimentari) di acculturamento democratico, e quello degli esseri umani capaci di essere cacciatori avidi, più brutali e selvaggi degli animali stessi, ma anche preziosi alleati che hanno armi potentissime e inarrivabili per “gli incivili” quali le conoscenze scientifiche, la cultura, ecc. Dove sono i buoni e dove i cattivi? Quali i giusti e quali i manigoldi? Dove sta la linea di confine fra ciò che è legittimo e ciò che è illegittimo, dunque, in una società cosiddetta “civile”? E a che punto una società può essere definita effettivamente tale? Questi e molti altri interrogativi conducono le vicende di Kimba per tutto l’arco della sua vita, in una splendida allegoria delle nostre società e dei profili caratteriali, nonché dei ruoli sociali, che le costituiscono.
Non è un manga per bambini, di certo, e se lo leggessero, su tante scene più dure o su tanti concetti più profondi e psicologicamente violenti, si perderebbero di sicuro. Ma l’adulto deve essere messo in guardia sui tanti dialoghi, pressapochezze di ordine temporale, ingenuità e semplicità di disegni che permeano tutta l’opera facendola apparire (a mio avviso erroneamente) come rivolta ai bambini. Bisogna insomma, secondo me, essere preparati psicologicamente alla lettura di un fumetto di questo tipo, perché altrimenti si potrebbe rimanere con l’amaro in bocca. Per quanto riguarda la collocazione del target, infatti, trovo che sia assolutamente indefinibile; caratteristica forse tipica, questa, proprio dei “primi manga della storia”, quelli di questo grande maestro Osamu Tezuka che risultano precursori di interi generi e filoni poi ulteriormente sviluppati nel tempo e per questo recentemente più evoluti e migliorati. In questo senso Kimba, se soprassediamo sullo stile di disegno retrò e la temporalità della narrazione che sembra procedere di tanto in tanto un po’ “a scatti”, a mio avviso è un’opera di letteratura degna di nota al di là del suo essere “manga”, ma proprio per l’intensità dei suoi contenuti.
Innanzitutto è protagonista il concetto di MORTE: non a livello visivo, ma a livello concettuale e narrativo il fumetto ne è intriso. Vorrei soffermarmi un attimo su questo aspetto. Oggi tanto i bambini quanto, sempre di più, anche gli adulti, percepiscono il concetto di morte in maniera distorta, spettacolarizzata da molti telefilm, film, videogiochi e anche ormai dalla cronaca dei tg, alleggerita di ogni sostanzioso significato che non sia “tanto sangue, tanto combattimento, tanta tragedia, tanto splatter, tanti morti ma tanto sono finti o non ci riguardano”. Anche il contrasto, la lotta fisica, la violenza, sono vissuti come spettacolo e divertimento: guardiamo Dragon Ball, dove tutti si picchiano e se si muore si resuscita con le magiche sfere, guardiamo Lost, o CSI o non so che altro. Qui in questo manga, in realtà, la morte non si guarda negli occhi, in maniera diretta, spavalda e menefreghista, oppure angosciante e ansiogena come nell’horror. È come un’aria pesante e naturalissima che accompagna la lettura, che la nutre di un senso, che pesa come contrappeso in una bilancia sulle azioni dei protagonisti. È una morte reale e realmente sentita, in cui non ci sono fantocci-oggetto da sacrificare, ma una necessità e desiderio di vita da difendere. Quello che nel rifacimento disneyano de “Il re leone” (notoriamente ispirato a Kimba come anche le affinità dei due nomi dei leoncini protagonisti manifestano) verrà chiamato hollywoodianamente “il cerchio della vita”, nel manga originale è qualcosa di veramente profondo e complicato, un equilibrio difficilissimo fra la vita e la morte, fra l’azione e la rassegnazione… E non solo: fra la civiltà e la bestialità. Questi sono i temi portanti di tutta la saga che passa di padre in figlio (leoni) e che fanno di Kimba un capolavoro dell’allegoria.
Se vogliamo guardare oltre al tema naturalista della lotta fra gli animali buoni e i cacciatori cattivi (che è una semplificazione immotivata), scopriremo che gli argomenti nevralgici su cui ruota il tutto sono: la cultura e la scienza fanno la civiltà? Quand’è che una società è definibile come “civile”? Quand’è che un uomo raggiunge la dignità propria di un essere umano? Quand’è che la morte all’interno della società è importante per la vita e quando invece è specchio di una profonda ingiustizia? Abbiamo due mondi in contrasto: quello degli animali, che ispirati dal loro re illuminato cercano una convivenza pacifica e civile con parvenze (spesso fallimentari) di acculturamento democratico, e quello degli esseri umani capaci di essere cacciatori avidi, più brutali e selvaggi degli animali stessi, ma anche preziosi alleati che hanno armi potentissime e inarrivabili per “gli incivili” quali le conoscenze scientifiche, la cultura, ecc. Dove sono i buoni e dove i cattivi? Quali i giusti e quali i manigoldi? Dove sta la linea di confine fra ciò che è legittimo e ciò che è illegittimo, dunque, in una società cosiddetta “civile”? E a che punto una società può essere definita effettivamente tale? Questi e molti altri interrogativi conducono le vicende di Kimba per tutto l’arco della sua vita, in una splendida allegoria delle nostre società e dei profili caratteriali, nonché dei ruoli sociali, che le costituiscono.
Non è un manga per bambini, di certo, e se lo leggessero, su tante scene più dure o su tanti concetti più profondi e psicologicamente violenti, si perderebbero di sicuro. Ma l’adulto deve essere messo in guardia sui tanti dialoghi, pressapochezze di ordine temporale, ingenuità e semplicità di disegni che permeano tutta l’opera facendola apparire (a mio avviso erroneamente) come rivolta ai bambini. Bisogna insomma, secondo me, essere preparati psicologicamente alla lettura di un fumetto di questo tipo, perché altrimenti si potrebbe rimanere con l’amaro in bocca. Per quanto riguarda la collocazione del target, infatti, trovo che sia assolutamente indefinibile; caratteristica forse tipica, questa, proprio dei “primi manga della storia”, quelli di questo grande maestro Osamu Tezuka che risultano precursori di interi generi e filoni poi ulteriormente sviluppati nel tempo e per questo recentemente più evoluti e migliorati. In questo senso Kimba, se soprassediamo sullo stile di disegno retrò e la temporalità della narrazione che sembra procedere di tanto in tanto un po’ “a scatti”, a mio avviso è un’opera di letteratura degna di nota al di là del suo essere “manga”, ma proprio per l’intensità dei suoi contenuti.