Mandata in onda da Fuji TV nell'inverno 2022, la serie televisiva Don't Call it Mystery dedicata all'omonimo e celebrato manga di Yumi Tamura è disponibile per la visione anche nel nostro Paese dal maggio 2022 tramite la piattaforma Viki.
Prima di lasciarvi alle nostre impressioni, ricordiamo alcune peculiarità del suo manga di origine:
Totonou Kuno è uno studente universitario con il complesso riguardante i suoi capelli ricci. Non ha amici o una ragazza, ma ha una buona memoria ed è un abile osservatore, cosa che lo porta a trarre conclusioni da un dato insieme di fatti. Un caso di omicidio avvenuto in un parco nelle vicinanze di casa sua, la cui vittima è uno studente universitario che frequentava la sua stessa scuola, fa diventare Kuno il primo sospettato dell'omicidio. Mentre viene interrogato dagli polizia, il giovane viene a conoscenza di indizi nascosti dietro l'omicidio e anche delle preoccupazioni personali degli investigatori. Ma quando viene ritrovata un'arma, che contiene le impronte digitali di Totonou Kuno, le cose si complicano.
Prima di lasciarvi alle nostre impressioni, ricordiamo alcune peculiarità del suo manga di origine:
- Dopo il suo debutto in patria nel 2017 come manga josei pubblicato sulla rivista Flowers di Shogakukan, l'opera di Yumi Tamura è stata oggetto di un crescente apprezzamento da parte del pubblico nipponico;
- essa è sempre presente nelle classifiche settimanali dei manga più venduti in Giappone a ogni rilascio periodico di nuovi volumetti;
- il manga conta 18 milioni di copie in circolazione raggiunte in breve tempo, ed è infine approdato anche nel nostro Paese per J-Pop Manga con il titolo Don't Call it Mystery dall'estate 2023;
- a settembre 2023 è inoltre uscita nei cinema giapponesi una pellicola live action incentrata sull'arco narrativo di Hiroshima del manga, proseguendo così le vicende del drama e dell'opera originale.
Le storie investigative hanno sempre quel fascino misterioso che incuriosisce lo spettatore e riesce a trasportarlo in un mondo, sì cruento, ma estremamente stimolante, anche solo per cercare di trovare la soluzione del caso prima del protagonista.
Che sia un manga, un anime o un live action, se ben fatto e se rispecchia dei codici precisi, ovvero un protagonista interessante -volendo anche sopra le righe- una buona struttura narrativa, dei casi avvincenti che sanno coinvolgere e un gruppo di comprimari intriganti- il successo è quasi sempre assicurato. Tutti questi elementi, non a caso, sono fattori che sono presenti nel live action di Don't Call it Mystery.
Basato sul manga josei di Yumi Tamura il cui titolo originale è Mystery to Iunakare, ancora in corso di pubblicazione ed edito da noi da J-POP, Don't call it mystery si distingue dagli altri prodotti a tema investigativo proprio grazie al suo “bizzarro” protagonista, lo studente universitario Totono Kuno, oltre ad una peculiarità per nulla banale, anzi definirei anche abbastanza intelligente: una parlantina verbosa che, per l'appunto, non è banale.
Il suo protagonista, Totono Kuno, si distingue così dai suoi “colleghi investigatori” sia per la componente estetica che per quella caratteriale, risultando, agli occhi dello spettatore, un protagonista alquanto singolare.
Dalla folta chioma riccioluta sua peculiare caratteristica, anche se da lui poco amata, questo "buffo" protagonista si ritrova, suo malgrado, sempre coinvolto in vari e misteriosi casi di omicidio, che grazie al suo spiccato intelletto -e alla sua loquace parlantina- riesce sempre a decifrare riuscendo a consegnare sempre il colpevole alla giustizia.
Vedendo le dodici puntate di Don't call it mystery, reperibile da noi sulla piattaforma a pagamento Viki, si intuisce che il nostro giovane protagonista è probabilmente affetto da un disturbo dello spettro autistico, anche se questo aspetto non è stato ancora del tutto chiarito. Tale patologia rende Totono distaccato ma anche molto tenero, diretto, attento e genuino nell’approcciarsi col prossimo.
Lui, infatti, ha una qualità innata tanto semplice quanto sopravvalutata ai più: quella di ascoltare sempre, con attenzione, quello che i suoi interlocutori gli dicono. Questo fa sì che egli riesca ad osservare i vari casi da un punto di vista differente, ragionare fuori dagli schemi, riuscendo in questo modo a notare quei piccoli ma fondamentali dettagli che sono sempre la chiave di volta per chiudere il caso in questione.
Sin dalla prima puntata si entra subito nel vivo dell’investigazione, lo spettatore fa la conoscenza di Totono -interpretato da un bravissimo Masaki Suda- in maniera alquanto bizzarra; cioè con l’arresto del giovane accusato di aver ucciso uno studente del campus che frequenta. Inizia così il suo primo caso da risolvere, in una sorta di botta e risposta che porterà il giovane studente non solo a difendersi ma anche a comprendere meglio tutto quello che lo circonda. Ma la cosa che sorprende maggiorante lo spettatore è quella che la maggior parte della puntata è ambientata nella sola stanza degli interrogatori, risultando comunque avvincente e per nulla noiosa.
Infatti, anche se buona parte dei casi siano svolti in ambienti pressoché chiusi e i dialoghi risultino particolarmente verbosi e veloci, la serie appare comunque estremamente godibile e per nulla difficoltosa. Questo è sicuramente un ulteriore punto a favore di questo live action che ha saputo arricchire la già buona storia del manga, rendendola ancora più dinamica, coinvolgente e “calorosa” -sì, perché risulta impossibile non legarsi ai suoi personaggi.
Le parti dove Totono interagisce con il resto del cast sono il vero punto forte di questo drama. Oltre ai poliziotti, con il quale si interfaccerà di frequente nel corso delle puntate, degni di nota risultano essere altri due importanti personaggi.
La prima è la misteriosa Raika -interpretata dalla bravissima Mugi Kadowaki, che qui davvero lascia lo spettatore a bocca aperta- personaggio con la quale Totono instaura un rapporto speciale e malinconico, mentre l’altro è Garo Inudō -interpretato dal valente Eita- una sorta di nemesi per il protagonista; i due sembrano stranamente legati l’uno all’altro in una sorta di amore/odio reciproco.
Nel corso dei vari episodi si alterneranno casi molto coinvolgenti, spesso anche legati tra loro in più episodi, che hanno davvero un buon ritmo, scandito benissimo sia dalla OST che dal montaggio. Vi sono, però, anche alcuni episodi -mi riferisco soprattutto agli ultimi- che seppur sviluppati egregiamente, posizionati alla fine della serie, tendono a frenare un po’ il ritmo incalzante della serie risultando ahimè “lenti”.
Tale frammentazione del ritmo si percepisce molto durante la visione il che ha reso gli ultimi episodi -almeno per me- non “consoni” a chiudere una serie che, fino a quel momento, coinvolge e lascia col fiato sospeso per tutto il tempo.
Don't call it mystery risulta essere in ogni modo un ottimo live action di tipo investigativo, che incuriosisce e incanta lo spettatore sin da subito grazie al suo atipico protagonista - alla quale ci si affeziona subito- e ad un folto e preparato cast di personaggi secondari che sono veri e propri coprotagonisti.
Ogni episodio è sapientemente narrato - sempre ricchi di colpi di scena e misteriose e imprevedibili rivelazioni- e il lavoro di sceneggiatura -a opera di Tomoko Aizawa- riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi.
Il ritmo è ottimo, anche se tende a perdersi un poco verso il finale, come lo è anche la OST -che spazia da brani classici a brani moderni proprio come la theme song Chameleon eseguita dai King Gnu- che risultano solenni e dolci allo stesso tempo.
Essendo il manga ancora in corso di conseguenza anche il drama vive la stessa situazione, ma questo non è in assoluto un difetto. La serie, infatti, tende a chiudere tutti i casi presenti, oltre a dare le risposte alle domande che si pone, ma lascia comunque uno spiraglio atto a sviluppare e proseguire la serie in futuro.
Pertanto chi desidera godersi una serie investigativa un po’ diversa da solito dove l’azione non è tutto, non può che approcciarsi a questo live action che sa intrattenere e, a suo modo, far riflettere su temi e situazioni che non sempre sono quello che sembrano e dove la differenza tra bianco e nero non è mai così netta come si vuol far credere.
Voto complessivo: 78
Che sia un manga, un anime o un live action, se ben fatto e se rispecchia dei codici precisi, ovvero un protagonista interessante -volendo anche sopra le righe- una buona struttura narrativa, dei casi avvincenti che sanno coinvolgere e un gruppo di comprimari intriganti- il successo è quasi sempre assicurato. Tutti questi elementi, non a caso, sono fattori che sono presenti nel live action di Don't Call it Mystery.
Basato sul manga josei di Yumi Tamura il cui titolo originale è Mystery to Iunakare, ancora in corso di pubblicazione ed edito da noi da J-POP, Don't call it mystery si distingue dagli altri prodotti a tema investigativo proprio grazie al suo “bizzarro” protagonista, lo studente universitario Totono Kuno, oltre ad una peculiarità per nulla banale, anzi definirei anche abbastanza intelligente: una parlantina verbosa che, per l'appunto, non è banale.
Il suo protagonista, Totono Kuno, si distingue così dai suoi “colleghi investigatori” sia per la componente estetica che per quella caratteriale, risultando, agli occhi dello spettatore, un protagonista alquanto singolare.
Dalla folta chioma riccioluta sua peculiare caratteristica, anche se da lui poco amata, questo "buffo" protagonista si ritrova, suo malgrado, sempre coinvolto in vari e misteriosi casi di omicidio, che grazie al suo spiccato intelletto -e alla sua loquace parlantina- riesce sempre a decifrare riuscendo a consegnare sempre il colpevole alla giustizia.
Vedendo le dodici puntate di Don't call it mystery, reperibile da noi sulla piattaforma a pagamento Viki, si intuisce che il nostro giovane protagonista è probabilmente affetto da un disturbo dello spettro autistico, anche se questo aspetto non è stato ancora del tutto chiarito. Tale patologia rende Totono distaccato ma anche molto tenero, diretto, attento e genuino nell’approcciarsi col prossimo.
Lui, infatti, ha una qualità innata tanto semplice quanto sopravvalutata ai più: quella di ascoltare sempre, con attenzione, quello che i suoi interlocutori gli dicono. Questo fa sì che egli riesca ad osservare i vari casi da un punto di vista differente, ragionare fuori dagli schemi, riuscendo in questo modo a notare quei piccoli ma fondamentali dettagli che sono sempre la chiave di volta per chiudere il caso in questione.
Sin dalla prima puntata si entra subito nel vivo dell’investigazione, lo spettatore fa la conoscenza di Totono -interpretato da un bravissimo Masaki Suda- in maniera alquanto bizzarra; cioè con l’arresto del giovane accusato di aver ucciso uno studente del campus che frequenta. Inizia così il suo primo caso da risolvere, in una sorta di botta e risposta che porterà il giovane studente non solo a difendersi ma anche a comprendere meglio tutto quello che lo circonda. Ma la cosa che sorprende maggiorante lo spettatore è quella che la maggior parte della puntata è ambientata nella sola stanza degli interrogatori, risultando comunque avvincente e per nulla noiosa.
Infatti, anche se buona parte dei casi siano svolti in ambienti pressoché chiusi e i dialoghi risultino particolarmente verbosi e veloci, la serie appare comunque estremamente godibile e per nulla difficoltosa. Questo è sicuramente un ulteriore punto a favore di questo live action che ha saputo arricchire la già buona storia del manga, rendendola ancora più dinamica, coinvolgente e “calorosa” -sì, perché risulta impossibile non legarsi ai suoi personaggi.
Le parti dove Totono interagisce con il resto del cast sono il vero punto forte di questo drama. Oltre ai poliziotti, con il quale si interfaccerà di frequente nel corso delle puntate, degni di nota risultano essere altri due importanti personaggi.
La prima è la misteriosa Raika -interpretata dalla bravissima Mugi Kadowaki, che qui davvero lascia lo spettatore a bocca aperta- personaggio con la quale Totono instaura un rapporto speciale e malinconico, mentre l’altro è Garo Inudō -interpretato dal valente Eita- una sorta di nemesi per il protagonista; i due sembrano stranamente legati l’uno all’altro in una sorta di amore/odio reciproco.
Nel corso dei vari episodi si alterneranno casi molto coinvolgenti, spesso anche legati tra loro in più episodi, che hanno davvero un buon ritmo, scandito benissimo sia dalla OST che dal montaggio. Vi sono, però, anche alcuni episodi -mi riferisco soprattutto agli ultimi- che seppur sviluppati egregiamente, posizionati alla fine della serie, tendono a frenare un po’ il ritmo incalzante della serie risultando ahimè “lenti”.
Tale frammentazione del ritmo si percepisce molto durante la visione il che ha reso gli ultimi episodi -almeno per me- non “consoni” a chiudere una serie che, fino a quel momento, coinvolge e lascia col fiato sospeso per tutto il tempo.
Don't call it mystery risulta essere in ogni modo un ottimo live action di tipo investigativo, che incuriosisce e incanta lo spettatore sin da subito grazie al suo atipico protagonista - alla quale ci si affeziona subito- e ad un folto e preparato cast di personaggi secondari che sono veri e propri coprotagonisti.
Ogni episodio è sapientemente narrato - sempre ricchi di colpi di scena e misteriose e imprevedibili rivelazioni- e il lavoro di sceneggiatura -a opera di Tomoko Aizawa- riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi.
Il ritmo è ottimo, anche se tende a perdersi un poco verso il finale, come lo è anche la OST -che spazia da brani classici a brani moderni proprio come la theme song Chameleon eseguita dai King Gnu- che risultano solenni e dolci allo stesso tempo.
Essendo il manga ancora in corso di conseguenza anche il drama vive la stessa situazione, ma questo non è in assoluto un difetto. La serie, infatti, tende a chiudere tutti i casi presenti, oltre a dare le risposte alle domande che si pone, ma lascia comunque uno spiraglio atto a sviluppare e proseguire la serie in futuro.
Pertanto chi desidera godersi una serie investigativa un po’ diversa da solito dove l’azione non è tutto, non può che approcciarsi a questo live action che sa intrattenere e, a suo modo, far riflettere su temi e situazioni che non sempre sono quello che sembrano e dove la differenza tra bianco e nero non è mai così netta come si vuol far credere.
Voto complessivo: 78
Autore: CloveRed
La fama di Mystery to iu nakare (Don't Call it Mystery) precede di gran lunga quella del drama realizzato nel 2022 da Fuji TV; quest'ultimo, tuttavia, non solo non si fa spaventare da cotanta nomea, ma ci aggiunge semmai parecchio del suo per sommare lode alla gloria e offrirne così la consacrazione definitiva.
Per chi fosse già avvezzo alle dinamiche delle serie TV che fondono il mistero al genere poliziesco, Don't Call it Mystery è una proposta che difficilmente si può ignorare: un po' per il suo singolare protagonista dalla folta capigliatura ricciuta e dall'arguto pensiero sempre ottimamente argomentato, un po' per le intuizioni sulle scelte registico-musicali, un po' per il brillante staff tecnico e il cast coinvolto, il drama possiede già sulla carta diversi elementi -atipici e non- attraverso i quali riesce a incuriosire, a distinguersi e a farsi ben ricordare.
In primo luogo, se il manga ci presenta il suo protagonista completamente fuori dagli schemi, ovvero il pacato ma logorroico studente universitario Totonou Kuno, il drama sceglie di farlo interpretare all'istrionico attore Masaki Suda: il giovane è anche cantante e musicista, ha lavorato con artisti del calibro di Kenshi Yonezu e Aimyon ed è sposato con Nana Komatsu, una delle attrici più glamour del momento, con cui forma una coppia oggetto di ammirazione e attenzione costante da parte dei media. Suda è anche doppiatore perché è sua, ad esempio, la voce dell'airone nell'omonimo film di Hayao Miyazaki; mai un passo falso, egli è ciò che si può definire dunque un vero e proprio mostro di bravura, uno di quei nomi che nella terra del Sol Levante equivalgono a una certezza assoluta.
Un sondaggio indetto dalla Nikkei Entertainment, con la classifica degli attori maschili sotto i 35 anni più potenti e influenti nel mondo dello spettacolo, lo incorona infatti al primo posto, davanti ad altri nomi altrettanto noti e altrettanto talentuosi.
Quando viene opzionato per il ruolo di Kuno, Suda si trovava in un momento della sua carriera in cui stava valutando di allontanarsi da opere tratte da manga, che a volte si presentano un po' costrette e vincolano anche la libertà d'interpretazione attoriale. Una volta che gli è stata presentata l'offerta per Kuno, tuttavia, Suda accetta immediatamente, colpito da una figura la cui fama gli era già nota grazie all'apprezzato manga; egli ha fatto sapere inoltre che, nel lavorare sul ruolo, ha inteso rimanere fedele al linguaggio con cui la mangaka Tamura fa parlare Kuno, conscio dell'intenso slancio da lei infuso nella sua opera.
Chi meglio di un fenomeno come lui, dunque, per incarnare il bizzarro fenomeno protagonista del manga?
Ad assumere il controllo totale delle pieghe della storia è infatti Kuno, tanto inconsueto nell'aspetto quanto nei modi di fare, ed è così che i suoi atipici meccanismi di pensiero vengono tradotti nel drama in prolissi e acuti dialoghi che Suda virtuosamente restituisce con una limpidezza e una immediatezza che lasciano -letteralmente- senza parole.
Al pari dello spettatore, anche i personaggi che nella storia iniziano a ruotare attorno a lui rimangono spiazzati dalla lucidità dei suoi costrutti mentali. Impossibile non rimanere soggiogati già nel primo episodio, quando ci si rende conto che l'intera storia si svolge tutta nell'angusto spazio di una sala interrogatori e ciò malgrado il pensiero viaggia, la mente coglie la straordinaria colonna sonora di musica classica che accompagna le vicende e l'attenzione è ancora una volta là dove deve essere: tutta per lui, Totonou Kuno e le mirabili giravolte indotte dai suoi pensieri.
Tradurre un'opera in un altro formato non è mai facile, e alla mente il primo pensiero è sempre lo stesso: saprà essere una trasposizione valida almeno quanto la sua opera di origine?
Così come nel manga, è evidente che anche nel drama il protagonista rubi costantemente la scena a chi lo circonda, eppure è altrettanto evidente come la serie TV non sia mera ombra del manga bensì riesca a offrire molto più di questo, oltre all'incredibile one man show di Suda.
Il merito va senz'altro allo staff coinvolto, partendo dalla direzione del talentuoso Hiroaki Matsuyama (Honey & Clover, Heartbroken Chocolatier, Nobunaga Concerto) con la sceneggiatura di Tomoko Aizawa (Trace, Sexy Tanaka-san).
I due avevano già lavorato insieme in Trace: Kasouken no Otoko, e in particolare l'esperienza di Matsuyama su ottime opere a sfondo mystery-psicologico-poliziesco si estende anche a ben due serie di Liar Game, Kagi no Kakatta Heya, The Killer Inside.
Gli attori che affiancano Suda danno tutti prova di saper tenere testa al suo invidiabile talento, e non è poco affatto: dalla brava Sairi Itō (che da qui inizia a farsi notare al grande pubblico, per poi venire chiamata a interpretare la protagonista del drama di successo Tora ni Tsubasa) al versatile Matsuya Onoe, e dalle sottili prove di Mugi Kadowaki e Eita (Eita Nagayama) sui rispettivi personaggi di Reika e Garo, fino alle tante celebri comparse, diventa semmai estremamente difficile rinvenire in loro la benché minima sbavatura.
A inserirli in maniera ancor più immersiva nella storia provvede la trascinante colonna sonora del bravo Ken Arai (Kagi no Kakatta Heya, Shitsuren Chocolatier, Kiseiju - L'ospite indesiderato), oltre naturalmente alla bella Chameleon dei King Gnu a titolo di theme song della serie; a loro si affianca, come già accennato, la spumeggiante colonna sonora di musica classica, capace di sostenere in maniera davvero vibrante l'eclettismo di pensiero di Kuno.
Approdato -forse anche un po' a sorpresa- in streaming su Viki nel nostro Paese quando ancora il manga risultava inedito, il drama Don't call it mystery può dunque ben farsi vanto di non aver bisogno che sia il manga a spingerne la visione.
Il successo della serie TV in patria è stato enorme, e a ragion veduta si tratta di un risultato forse prevedibile. Meno scontato è il voler provare noi stessi a offrirgli una chance: non accade poi così di sovente, di poter sovvertire le consuete aspettative sul genere investigativo e del mistero. Perché quindi non provare a mettere anche noi stessi di fronte alla pimpante prova psicologica che Don't Call it Mystery ci offre, del tutto gratuitamente?
Voto complessivo: 93
Per chi fosse già avvezzo alle dinamiche delle serie TV che fondono il mistero al genere poliziesco, Don't Call it Mystery è una proposta che difficilmente si può ignorare: un po' per il suo singolare protagonista dalla folta capigliatura ricciuta e dall'arguto pensiero sempre ottimamente argomentato, un po' per le intuizioni sulle scelte registico-musicali, un po' per il brillante staff tecnico e il cast coinvolto, il drama possiede già sulla carta diversi elementi -atipici e non- attraverso i quali riesce a incuriosire, a distinguersi e a farsi ben ricordare.
In primo luogo, se il manga ci presenta il suo protagonista completamente fuori dagli schemi, ovvero il pacato ma logorroico studente universitario Totonou Kuno, il drama sceglie di farlo interpretare all'istrionico attore Masaki Suda: il giovane è anche cantante e musicista, ha lavorato con artisti del calibro di Kenshi Yonezu e Aimyon ed è sposato con Nana Komatsu, una delle attrici più glamour del momento, con cui forma una coppia oggetto di ammirazione e attenzione costante da parte dei media. Suda è anche doppiatore perché è sua, ad esempio, la voce dell'airone nell'omonimo film di Hayao Miyazaki; mai un passo falso, egli è ciò che si può definire dunque un vero e proprio mostro di bravura, uno di quei nomi che nella terra del Sol Levante equivalgono a una certezza assoluta.
Un sondaggio indetto dalla Nikkei Entertainment, con la classifica degli attori maschili sotto i 35 anni più potenti e influenti nel mondo dello spettacolo, lo incorona infatti al primo posto, davanti ad altri nomi altrettanto noti e altrettanto talentuosi.
Quando viene opzionato per il ruolo di Kuno, Suda si trovava in un momento della sua carriera in cui stava valutando di allontanarsi da opere tratte da manga, che a volte si presentano un po' costrette e vincolano anche la libertà d'interpretazione attoriale. Una volta che gli è stata presentata l'offerta per Kuno, tuttavia, Suda accetta immediatamente, colpito da una figura la cui fama gli era già nota grazie all'apprezzato manga; egli ha fatto sapere inoltre che, nel lavorare sul ruolo, ha inteso rimanere fedele al linguaggio con cui la mangaka Tamura fa parlare Kuno, conscio dell'intenso slancio da lei infuso nella sua opera.
Chi meglio di un fenomeno come lui, dunque, per incarnare il bizzarro fenomeno protagonista del manga?
Ad assumere il controllo totale delle pieghe della storia è infatti Kuno, tanto inconsueto nell'aspetto quanto nei modi di fare, ed è così che i suoi atipici meccanismi di pensiero vengono tradotti nel drama in prolissi e acuti dialoghi che Suda virtuosamente restituisce con una limpidezza e una immediatezza che lasciano -letteralmente- senza parole.
Al pari dello spettatore, anche i personaggi che nella storia iniziano a ruotare attorno a lui rimangono spiazzati dalla lucidità dei suoi costrutti mentali. Impossibile non rimanere soggiogati già nel primo episodio, quando ci si rende conto che l'intera storia si svolge tutta nell'angusto spazio di una sala interrogatori e ciò malgrado il pensiero viaggia, la mente coglie la straordinaria colonna sonora di musica classica che accompagna le vicende e l'attenzione è ancora una volta là dove deve essere: tutta per lui, Totonou Kuno e le mirabili giravolte indotte dai suoi pensieri.
Tradurre un'opera in un altro formato non è mai facile, e alla mente il primo pensiero è sempre lo stesso: saprà essere una trasposizione valida almeno quanto la sua opera di origine?
Così come nel manga, è evidente che anche nel drama il protagonista rubi costantemente la scena a chi lo circonda, eppure è altrettanto evidente come la serie TV non sia mera ombra del manga bensì riesca a offrire molto più di questo, oltre all'incredibile one man show di Suda.
Il merito va senz'altro allo staff coinvolto, partendo dalla direzione del talentuoso Hiroaki Matsuyama (Honey & Clover, Heartbroken Chocolatier, Nobunaga Concerto) con la sceneggiatura di Tomoko Aizawa (Trace, Sexy Tanaka-san).
I due avevano già lavorato insieme in Trace: Kasouken no Otoko, e in particolare l'esperienza di Matsuyama su ottime opere a sfondo mystery-psicologico-poliziesco si estende anche a ben due serie di Liar Game, Kagi no Kakatta Heya, The Killer Inside.
Gli attori che affiancano Suda danno tutti prova di saper tenere testa al suo invidiabile talento, e non è poco affatto: dalla brava Sairi Itō (che da qui inizia a farsi notare al grande pubblico, per poi venire chiamata a interpretare la protagonista del drama di successo Tora ni Tsubasa) al versatile Matsuya Onoe, e dalle sottili prove di Mugi Kadowaki e Eita (Eita Nagayama) sui rispettivi personaggi di Reika e Garo, fino alle tante celebri comparse, diventa semmai estremamente difficile rinvenire in loro la benché minima sbavatura.
A inserirli in maniera ancor più immersiva nella storia provvede la trascinante colonna sonora del bravo Ken Arai (Kagi no Kakatta Heya, Shitsuren Chocolatier, Kiseiju - L'ospite indesiderato), oltre naturalmente alla bella Chameleon dei King Gnu a titolo di theme song della serie; a loro si affianca, come già accennato, la spumeggiante colonna sonora di musica classica, capace di sostenere in maniera davvero vibrante l'eclettismo di pensiero di Kuno.
Approdato -forse anche un po' a sorpresa- in streaming su Viki nel nostro Paese quando ancora il manga risultava inedito, il drama Don't call it mystery può dunque ben farsi vanto di non aver bisogno che sia il manga a spingerne la visione.
Il successo della serie TV in patria è stato enorme, e a ragion veduta si tratta di un risultato forse prevedibile. Meno scontato è il voler provare noi stessi a offrirgli una chance: non accade poi così di sovente, di poter sovvertire le consuete aspettative sul genere investigativo e del mistero. Perché quindi non provare a mettere anche noi stessi di fronte alla pimpante prova psicologica che Don't Call it Mystery ci offre, del tutto gratuitamente?
Voto complessivo: 93
Autore: zettaiLara
Don't Call it Mystery è un drama approdato sulla piattaforma Viki nel 2022, pochi mesi dopo la messa in onda in patria, probabilmente grazie al notevole successo che ha ottenuto nel paese del Sol Levante.
Masaki Suda riveste il ruolo di un ragazzo universitario taciturno e solitario, di nome Totono Kuno, che ha una gran passione per il curry. Kuno oltre ad avere una folta e indomabile capigliatura riccia, ha anche un gran cervello capace di districare situazioni ingarbugliate che farebbero dar di matto al più astuto dei poliziotti. Un po’ per caso si ritrova invischiato in un complotto ai suoi danni, e per questo viene indagato e trattenuto dalla polizia per diversi giorni senza avere la possibilità di recarsi neanche dal dentista.
Il primo episodio è magistrale, nonostante Kuno venga più volte messo con le spalle al muro dalla polizia, riesce sempre a trovare la via di fuga e infine a scagionarsi. La cosa più affascinante è che l’intero episodio pilota, è stato girato tutto all’interno della sala di interrogatori della polizia, perciò il nostro universitario, riesce a scagionarsi e capire chi è il vero colpevole solo grazie a deduzioni intelligenti e razionali, saggiamente ponderate dal suo cervello. Infine Kuno riesce a tornare alla sua vita, ma da ora in poi sarà sempre coinvolto dalla polizia, e a volte per pure coincidenze, in casi da risolvere più o meno ingarbugliati o realistici.
Con il proseguire delle puntate, la storia non avanza molto, perlopiù si percepisce una composizione episodica degli avvenimenti, anche se verso la fine si intuisce che un fine conduttore che lega tutti gli avvenimenti c’è. Tuttavia la crescita del nostro protagonista è ben descritta ed evidente e piano piano verranno alla luce lati della sua personalità che forse neanche lui sapeva di avere. Inoltre, a causa proprio di queste disavventure Kuno saprà iniziare ad apprezzare la presenza di altre persone al suo fianco, su tutti la detective che puntualmente lo ingaggia e che pare provare qualche sentimento che va oltre l’amicizia, Seiko Furumitsu, oppure con il misterioso Garo, con il quale instaura un rapporto ambiguo di stima reciproca e forse qualcosa di più; infine con la fragile Raika, con la quale affronterà discorsi esistenziale e filosofici.
Le interpretazioni attoriali sono eccezionali, si capisce subito il motivo del grande successo che ha avuto in Giappone: nulla è lasciato al caso e ogni attore è nel ruolo al 100%.
Tuttavia la scena è tutta di Masaki Suda, che calamita tutta l’attenzione sul protagonista, mettendo su schermo un’interpretazione magistrale, donando profondità ai monologhi interiori e esteriori del protagonista con una naturalezza che lascia senza fiato.
Regia e sceneggiatura fanno un lavoro davvero ottimo, studiate nei minimi dettagli, riescono a creare quella giusta suspense che invoglia lo spettatore a non scostarsi un secondo dallo schermo.
Altra vera protagonista è la colonna sonora, impeccabile. I brani di musica classica servono a sottolineare maggiormente le peculiarità del nostro protagonista, mettendo in luce la sua lucidità e la sua capacità risolutiva anche nei momenti di maggiore tensione. Un vero concerto ottimamente configurato e appagante sotto ogni punto di vista.
La theme song, Chameleon, affidata al gruppo King Gnu, fa il suo lavoro egregiamente e rimane in testa costringendoti a canticchiarla anche inconsapevolmente.
Don’t Call It Mystery è un drama poliziesco come forse ce ne sono tanti altri, ma la capacità di calamitare l’attenzione come è in grado di fare Masaki Suda nei panni di Totono Kuno, non è cosa così frequente. Grazie a lui il drama si lascia seguire e si rimane sempre più vogliosi di continuare la visione anche per conoscere gli effettivi sviluppi della storia e dello strambo personaggio di Kuno.
Voto complessivo: 84
Masaki Suda riveste il ruolo di un ragazzo universitario taciturno e solitario, di nome Totono Kuno, che ha una gran passione per il curry. Kuno oltre ad avere una folta e indomabile capigliatura riccia, ha anche un gran cervello capace di districare situazioni ingarbugliate che farebbero dar di matto al più astuto dei poliziotti. Un po’ per caso si ritrova invischiato in un complotto ai suoi danni, e per questo viene indagato e trattenuto dalla polizia per diversi giorni senza avere la possibilità di recarsi neanche dal dentista.
Il primo episodio è magistrale, nonostante Kuno venga più volte messo con le spalle al muro dalla polizia, riesce sempre a trovare la via di fuga e infine a scagionarsi. La cosa più affascinante è che l’intero episodio pilota, è stato girato tutto all’interno della sala di interrogatori della polizia, perciò il nostro universitario, riesce a scagionarsi e capire chi è il vero colpevole solo grazie a deduzioni intelligenti e razionali, saggiamente ponderate dal suo cervello. Infine Kuno riesce a tornare alla sua vita, ma da ora in poi sarà sempre coinvolto dalla polizia, e a volte per pure coincidenze, in casi da risolvere più o meno ingarbugliati o realistici.
Con il proseguire delle puntate, la storia non avanza molto, perlopiù si percepisce una composizione episodica degli avvenimenti, anche se verso la fine si intuisce che un fine conduttore che lega tutti gli avvenimenti c’è. Tuttavia la crescita del nostro protagonista è ben descritta ed evidente e piano piano verranno alla luce lati della sua personalità che forse neanche lui sapeva di avere. Inoltre, a causa proprio di queste disavventure Kuno saprà iniziare ad apprezzare la presenza di altre persone al suo fianco, su tutti la detective che puntualmente lo ingaggia e che pare provare qualche sentimento che va oltre l’amicizia, Seiko Furumitsu, oppure con il misterioso Garo, con il quale instaura un rapporto ambiguo di stima reciproca e forse qualcosa di più; infine con la fragile Raika, con la quale affronterà discorsi esistenziale e filosofici.
Le interpretazioni attoriali sono eccezionali, si capisce subito il motivo del grande successo che ha avuto in Giappone: nulla è lasciato al caso e ogni attore è nel ruolo al 100%.
Tuttavia la scena è tutta di Masaki Suda, che calamita tutta l’attenzione sul protagonista, mettendo su schermo un’interpretazione magistrale, donando profondità ai monologhi interiori e esteriori del protagonista con una naturalezza che lascia senza fiato.
Regia e sceneggiatura fanno un lavoro davvero ottimo, studiate nei minimi dettagli, riescono a creare quella giusta suspense che invoglia lo spettatore a non scostarsi un secondo dallo schermo.
Altra vera protagonista è la colonna sonora, impeccabile. I brani di musica classica servono a sottolineare maggiormente le peculiarità del nostro protagonista, mettendo in luce la sua lucidità e la sua capacità risolutiva anche nei momenti di maggiore tensione. Un vero concerto ottimamente configurato e appagante sotto ogni punto di vista.
La theme song, Chameleon, affidata al gruppo King Gnu, fa il suo lavoro egregiamente e rimane in testa costringendoti a canticchiarla anche inconsapevolmente.
Don’t Call It Mystery è un drama poliziesco come forse ce ne sono tanti altri, ma la capacità di calamitare l’attenzione come è in grado di fare Masaki Suda nei panni di Totono Kuno, non è cosa così frequente. Grazie a lui il drama si lascia seguire e si rimane sempre più vogliosi di continuare la visione anche per conoscere gli effettivi sviluppi della storia e dello strambo personaggio di Kuno.
Voto complessivo: 84
Autore: Arwen1990
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Pro
- L'istrionico Masaki Suda sul logorroico protagonista Totono Kuno
- Eccellenti prove attoriali su ottimi personaggi
- La storia del manga si fa ancor più dinamica, calda e coinvolgente
- Ritmo ben scandito dal montaggio
- Regia, sceneggiatura e fotografia studiate nei minimi dettagli
- Colonna sonora di musica sia moderna che classica, spiazzante e impeccabile
Contro
- Gli episodi finali, più lenti, frammentano il ritmo
Gli episodi sono interessanti, alcuni anche più del previsto dal mio punto di vista, ma è il protagonista a magnificare il risultato finale. Suda, ha fatto davvero un ottimo lavoro.
Mi fa piacere che abbiate dedicato il vostro tempo a recensire questo titolo. Credo che meriti una visione.
Grazie a te per aver condiviso qui con noi la tua esperienza con questo drama, io personalmente ne sono contentissima e leggerti mi fa davvero tanto, tanto piacere.
Mystery è un manga che in patria è molto apprezzato (qui da noi probabilmente meno, ma è comunque molto positivo che il manga ci sia infine giunto), ma a mio parere una delle cose belle del drama è il modo in cui sono riusciti a renderlo. Non è semplicemente una "fotocopia" del manga trasposto in 3D, come a volte capita (nel bene e nel male), bensì una serie che riesce a essere fedelissima al materiale originale pur acquisendo una sua propria identità ben precisa e ben definita in versione live action (penso ad esempio all'uso davvero atipico della colonna sonora). Io poi sono appassionata da sempre di gialli, polizieschi, thriller, psicologici e quant'altro; mi piace da matti come i giapponesi sanno renderli in un film o in una serie (in mille modi diversi, s'intende) e mi ha divertito tantissimo vedere in cosa, a sua volta, questo drama è riuscito a distinguersi dai consueti canoni del genere.
Al primo episodio sono rimasta proprio folgorata, e per questo ho subito 1) iniziato a spammarlo 2) pensato che avrei voluto che potessimo recensirlo sul sito. Ci è voluto più tempo del previsto, ma ci siamo riusciti.
Grazie pertanto a te per averci confermato che ne vale assolutamente la pena
Questo è qualcosa che chiaramente tocca corde molto personali. Credo però che negli ultimi anni soprattutto i giapponesi stiano facendo un lavoro importante in tal senso, ci sono parecchi attori e attrici, di ogni età ed estrazione, capaci di recitare in maniera notevole; non so se hai avuto modo di visionare altri drama o film recenti, e in caso affermativo su quale genere, però penso che anche su questo ci sia modo di divertirsi parecchio oggigiorno, ecco.
Per qualunque tipo di consiglio in ogni caso siamo qui, sul sito c'è modo di spulciare parecchio, al bisogno ^^
Non sono in grado di fare paragoni col manga, ma non stento a crederci. Ritmo, inquadrature, atmosfera generale e recitazione, per quel che ricordo, han dimostrato che tutto il cast ha creduto in questo racconto.
Mi piace pensare che quando anche gli addetti ai lavori apprezzano particolarmente l'opera per cui si prestano, si finisce per creare qualcosa che va un po' oltre la narrazione e la mera recitazione e si arriva all'omaggio.
Anch'io ho sempre apprezzato molto i vari (sotto)generi dell'investigazione. Da bambina avevo tre aspirazioni. In una di queste volevo diventare una Kojak in gonnella, comprarmi una Gran Torino e fidanzarmi con Magnum P.I. (anche se qui, i motivi, presumo fossero meno puri)
Uhm.. ho davvero una pessima memoria, ma, al momento, mi vengono in mente:
- Alice in Borderland, che mi è piaciuto davvero tanto, recitazione compresa
- Kindaichi Shounen no Jikenbo 5, dove non ho apprezzato molto le capacità attoriali, ma, in relazione al mood dell'opera, ho pensato che non stonasse affatto l'approccio più dilettantistico
- Love Stage. Ne ho viste due versioni. Le ho trovate entrambe mal realizzate, ma in una delle due, almeno, il classico overacting nipponico trasportato da uno dei due attori protagonisti, mi ha divertita
- Given. Qui, volevo piangere. Non mi è piaciuto per nulla
- GTO. Volevo vedere la versione di un dato attore, ma, non avendola trovata, ho finito per guardarne un'altra che non mi ha colpita particolarmente
- Pornographer + Mood Indigo. Genere non adatto a tutti/e. Grande potenza espressiva, casting ottimamente in parte
- His. Ricordo abbastanza la storia, che infatti mi aveva colpita, ma non bene le prove attoriali. Mi pare (sottolineato) che via via che il film procedeva, migliorasse anche l'interpretazione
- Boku no Ita Jikan. Superbo. La storia ti investe con tutta la violenza di un treno in corsa e il compianto Haruma Miura, trasmette magnificamente il dramma di una malattia tanto infame. Gli altri attori, però, non mi son dispiaciuti, ma non li ho trovati alla sua altezza. Questa serie, però, non credo sia tratta da un manga o una novel.
- Shigatsu no Tokyo wa... (aka Tokyo in April is…) Non speciali, ma convincenti entrambi i protagonisti
- Life: Love on the Line.. uhm.. non saprei. L'attore che sembrava un pulcino watusso, mi ha commossa in più occasioni
- Hanazakari no kimitachi e (aka Hana-Kimi - Ike-para). Che dire?! Mi è bastato riportare il titolo, che mi è venuta voglia di rivederlo! La recitazione era a dir poco dozzinale e sopra le righe, ma proprio per questo il risultato è stato folgorante e stra stra-divertente
Ne avrò visti almeno il doppio, se non il triplo, di questi aggiunti, ma non ricordo i titoli, quindi presumo che non mi abbiano detto molto (o che la mia memoria abbia poca RAM).
Ti ringrazio per i tuoi commenti
Scusate se mi son dilungata.
Ma non dispiacerti assolutamente! Ci mancherebbe! Leggere un commento così mi accende solo di gioia, entusiasmo e voglia di condividere pensieri e opinioni * _ *
Ho anch'io delle riflessioni in merito, ti rispondo non appena possibile.
Di HIS avevi visto il dramino o il film (sequel)?
Ri-ciao. Se lo fai perché ci tieni, sarò contenta di leggerti, ma non sentirti in alcun modo obbligata. Se oltre agli impegni della vita, partecipi anche alla vita del sito, sarai già piuttosto impegnata.
Nel frattempo, mi son venuti in mente altri lavori che ho visto, ma i titoli ancora mi sfuggono. Mentre ci pensavo, però, mi son chiesta quale fosse stato il mio primo approccio al cinema giapponese, ed escludendo opere dal respiro internazionale, quali I sette samurai, credo che "la mia prima volta" fosse con Tetsuo, che vidi in un centro sociale dopo un concerto di una rock band giapponese, tantissimi anni fa. Strepitoso.
Di His ho visto sia la mini serie che il film.
Purtroppo a me piace chiacchierare delle cose che amo, pertanto non preoccuparti
Quello che tu citi è un elenco molto interessante perché vi si possono ritrovare degli elementi in comune e anche delle chiavi di lettura ancora più interessanti.
- Alice in Borderland potremmo definirlo come un esempio di "drama 3.0" (dove 2.0 già indicherebbe un drama sopra la media), ovvero parte di quella serie di titoli nati direttamente per lo streaming 'internazionale', ergo pensati con una prospettiva più ampia e finanziati con moneta ben più sonante di quella (normalmente, mediamente 'risicata' per i nostri standard 'americani') classica giapponese.
Sia le produzioni dirette di Netflix (First Love Hatsukoi, House of Ninjas solo per citare due titoli), sia quelle di Netflix in collaborazione con la TBS (Il rifugio di lion o Who Saw the Peacock Dance in the Jungle? per citare le ultimissime arrivate) sono su questa scia; è a queste che mi riferivo quando citavo di come si stanno spendendo molto i giappi sia per recitazione (nel senso di reclutare un cast più nobilitato) sia per budget stanziati.
- Al contempo però esistono molte produzioni recenti che non sono pensate specificatamente per l'estero o per lo streaming, ma che un po' per senso di emulazione per Netflix, un po' perché lo streaming non possono più ignorarlo (Giappone compreso, non necessariamente pubblico estero), un po' per altri motivi, riescono ad essere fatte molto molto bene sotto ogni punto di vista e non avere davvero nulla da meno rispetto a una buona serie americana o coreana o altro. Molte delle serie di Fuji TV (come Don't call it Mystery), di TBS o della NHK possono tranquillamente essere annoverate in questo conteggio, e alcune/molte di queste arrivano oggi anche a noi (NHK esclusa, non ha fatto accordi streaming ancora con nessuno).
- Kindaichi Shounen no Jikenbo 5: questo è uno dei casi dove il giallo si mischia anche alla commedia, in effetti ne esce un risultato che può piacere ma anche non piacere, è vero. Alla fine, poiché a me i gialli piacciono in quasi ogni salsa, bene o male mi piacciono anche i tanti diversi approcci con cui vengono confezionati, da Hunter al Commissario Rex fino alle varie varianti giappe.
La recitazione in Kindaichi 5 è nella media, è funzionale il giusto, ma non lascia impressionati. Concordo col tuo parere, anche se a me personalmente la modalità molto goffa di Kindaichi è piaciuta molto e l'attore lo trovo bravo malgrado la giovane età;
- GTO --> ipotizzo volessi vedere quella del 1998 con Sorimachi, ma invece hai visto quella del 2012 con Akira?
- Boku no Ita Jikan: è nella mia wishlist da tanto (troppo) tempo), prima o poi riuscirò a recuperarlo. Ma posso immaginare che reggere la bravura di Miura, per il resto del cast, non sempre sia fattibile (a tal proposito ti suggerisco di recuperare Bloody Monday, se ti va. Drama vecchino ma che si comporta molto bene a tutt'oggi, e Miura lì era già bravo ma non era il solo...)
- Love Stage / Given / Pornographer + Mood Indigo / His / Tokyo in April is… / Life: Love on the Line.
Qui purtroppo è un po' come sparare sulla croce rossa, nel senso che dire "BL" in Giappone per molto tempo ha avuto il significato di attori della misericordia, budget inesistente, drama creati per un pubblico che doveva già rendere grazie che ne venisse fatta una trasposizione (pretendere altro era troppo). Ma anche qui molto è cambiato, anzi direi che in pochi anni tutto sommato ci sono stati dei cambi di passo enormi. Lo si vede già anche tra drama e film di HIS.
Come dici tu, passa un solco enorme tra Love Stage e Tokyo in April, sia a livello di fotografia che di recitazione (pur con attori che in ogni caso non sono di quelli memorabili); e nel frattempo anche in un genere trattato prima con i piedi, ora si trovano tanti dramini che magari non possono comunque vantare un budget enorme alle spalle (e quand'è, si nota), ma ben fatti e decisamente su un altro livello. E anche con attorini che sanno stupire in certi casi. Se ti piace il genere, ti possiamo consigliare diversi titoli, su Hidamari ga kikoeru ad esempio ci abbiamo fatto anche una recente recensione.
- Hanazakari no kimitachi e (aka Hana-Kimi - Ike-para). Beh, Hana-Kimi è un mito, non ci sono altre parole per descriverlo XD
E da allora, tutti gli attori protagonisti sono cresciuti tanto, e diventati infinitamente più bravi (Toma lo si può vedere ad esempio in Beyond Goodbye arrivato a novembre su Netflix). Drama così "poveri" ormai se ne vedono pochi, ma esistono tuttora, non solo quelli destinati alle casalinghe disperate; di certo rivedere Hanakimi oggi un po' fa sorridere, perché è "solo" del 2007 ma pare una serie assai più antica; all'epoca il Giappone davvero non poteva competere con le serie occidentali, o anche solo quelle nostrane... oggi però anche i giappi sono cambiati, e oso dire che ci sono davvero tante opere attraverso le quali possiamo osservare questi bei cambiamenti con i nostri occhi
Dicevo sopra per i BL, comunque il dramino (fatto davvero con 2 lire per una sorta di progetto educational di TV Nagoya, se non ricordo male) a me ha colpito perché a dispetto delle 2 lire il risultato, i temi trattati, e tutto sommato anche gli attorini, riescono a farsi ricordare (almeno per me); il film si vede che è realizzato con tutt'altri "potenti mezzi" (per modo di dire, ma facendo il confronto). La fotografia è di tutt'altro spessore, anche le tematiche si fanno più complesse e vibranti, e anche scomode ma ancor più realistiche per certi versi. Il film lo trovo un po' strano, anche. Però bello ^^
Con questa frase mi hai già caricata di simpatia
(Non metto in quote l'elenco che mi hai girato in risposta al mio, ma cerco di risponderti seguendo quel che mi hai scritto)
Indubbiamente le produzioni che possono vantare aspirazioni e budget maggiori riusciranno, nella maggior parte dei casi, a dare il giusto sostegno anche al lato artistico di un'opera, coi risultati che si son visti appunto in Alice in Borderland (il titolo mi piace un monte) o quelli di cui abbiam goduto ai tempi in cui uscì Final Fantasy. È la dura legge del mercato, che ci piaccia o meno, ma è anche vero che spesso ci regala grandi esperienze.
Sul resto delle opere e dei vari accordi che mi hai citato, non posso dir nulla. Non conosco quei titoli e non ho nemmeno lontanamente le tue conoscenze in merito. Tra l'altro, non sono una grande fan di Netflix. La considero, per quella che è la mia limitata esperienza, la piattaforma più sensata e performante, e non posso che ringraziarla per aver smosso le acque che iniziavano a ristagnare dell'intrattenimento e per l'aver messo in moto progetti notevoli, com'è avvenuto, per fare un esempio, quando han tirato fuori un nuovo adattamento al manga di Gō Nagai e ci hanno consegnato quel meraviglioso Devilman Crybaby, ma la ritengo una società troppo avida per promuoverla a braccia aperte. Forse è sciocco fare certe valutazioni, ma mi riservo questo diritto.
Ad ogni modo, mi son segnata Who Saw the Peacock Dance in the Jungle? Potrebbe essere interessante. Grazie.
Ci hai preso in pieno! Non mi pare, dalla sinossi, di aver visto la versione 2012, ma sì, mi interessava quella con Sorimachi e mi son sorbita l'altro attore. Poco male. Arriverà il momento in cui il "fagiuolo" mi cascherà tra le mani XD
Uh.. devo ringraziarti. Avevo già messo gli occhi su questo titolo, ma l'avevo completamente rimosso. Prima o poi lo recupererò.
Uhm.. come spiegarlo? Non sono certa che sia il genere in sé a interessarmi, quanto la sua disfunzionalità. Quanto è successo col boom del fenomeno Boys Love, perché dal mio punto di vista è solo una delle tante, troppe tendenze e non certo una vera e propria apertura all'omosessualità, è la risposta di facciata data da una società che cerca di apparire moderna e ospitale, ma che in sostanza, proprio trasformando in una moda una questione per la quale non è ancora preparata, dimostra tutta la sua ottusità, e questo è ancor più vero per quelle comunità ancora molto ancorate al passato come, dal mio punto di vista, è il Giappone. Auch.. vorrei spiegarlo meglio.. Faccio un passo indietro. Non sono un'amante delle commedie romantiche (tataaan..ahahahha.. mi sa che ne ho fatti 10), tuttavia, le guardo perché spero che mi facciano sognare, un po' come avviene quando guardi un documentario su una località che vorresti visitare.
Non vorrei offendere nessuno, ma tra le rom-com di matrice nipponica, animate o meno, su un centinaio che ne avrò viste (numero sparato a caso), me ne saranno piaciute davvero meno del 10%, questo, a causa della mia età e delle mie personali esperienze tutt'altro che caste, dell'esasperante presenza di stereotipi immessi, della reiterazione delle dinamiche in buona parte dei titoli e dell'eccesso di pudicizia.
In buona parte dei boys love che ho visto, invece, che siano yaoi o shōnen-ai, l'errata e mistificatoria concezione dell'omosessualità, porta a un risultato leggermente diverso. Spesso, i protagonisti sono meno vincolati alla tipica chiusura mentale, partono frequentemente in quarta e, per qualche strana ragione, secernono una quantità tale di ferormoni da convogliare tutti gli umani presenti nel loro raggio d'azione alla gaytitudine. Ora, eticamente parlando, la mia reazione più contenuta e comprensiva a queste facili disposizioni, è un accorato facepalm, tuttavia, non nego che per alcuni versi mi solletichino di più della commedia sentimentale etero, quando questa è troppo standardizzata. Questo, quantomeno, vale per gli anime, sui live action il discorso cambia ancora, ma come ti spiegavo, ne ho visti ben pochi e, in ogni caso, continuo a propendere per l'animazione.
Mi scuso nuovamente per questo lungo off topic.
Questo è verissimo e mi trovo molto d'accordo perché è validissimo anche per l'entertainment nipponico. Anch'io non ne sono fan, ma è indubbio che il suo ingresso nel mondo dei drama giapponesi (dato che coi coreani già ci andava d'accordo da ben prima) abbia dato una scossa in molti sensi, sia per l'avvento di progetti dal buon budget (richiamando al contempo staff giovane e/o talentuoso) sia perché il suo interesse ha permesso/obbligato la concorrenza a non poter solo stare a guardare. Questo di norma va a beneficio di tutti, quindi io ne sono contenta.
Anche se, nello stesso tempo, non sono contenta che 1) tanti titoli drama giappi disp nel catalogo in inglese da noi non arrivano (e chi siamo noi, i figli dell'ultima serva?) 2) rimanga comunque una situazione di monopolio (o quasi) abbastanza sbilanciata.
Mi spiego: ben venga che Viki ci abbia portato Don't call it mystery, che non é propriamente nel suo target di pubblico principale; tuttavia non posso fare a meno di chiedermi e di pensare che se Mystery fosse andato su Netflix, sicuramente lo avrebbero scoperto molte più persone T__T
Poi, sempre per rimanere su Suda e su Miura: se escludiamo quel disgraziato progetto su Attack on Titan, e poche altre cose, a pescare dalla loro filmografia raramente se ne esce delusi, secondo me.
Loro due son proprio quel tipo di attore che potrebbe fare l'albero immobile in un angolo del palco per un'ora, e per lo stesso lasso di tempo rimarresti soggiogata a guardare; sono talmente bravi che quando hanno il ruolo da protagonista non ce n'è per nessuno, e quando sono in secondo piano riescono comunque a farsi notare, con discrezione, senza rubare la scena a nessuno.
E la cosa incredibile è che di attori/trici così giovani e così bravi (oddio, magari un pelino meno, Suda a volte pare inarrivabile) il Giappone ne sta sfornando davvero tanti. E io adoro questa cosa.
Riprendo solo questo quote, ma avrei potuto quotare tutto per intero, perché ho capito molto bene cosa intendi, e in merito a quanto esponi mi trovo d'accordo. Anzi, mi allargo ancor di più nel dire che in generale a me piace proprio vedere le disfunzionalità dei giapponesi nei drama e nei film giapponesi, in tutti i generi o quasi. E' una società che presenta molti problemi, è lenta a cambiare, retrograda e maschilista, ipocrita e incoerente in molti aspetti; ma c'è anche qualcosa di buono, ecco perché vado a nozze su tutto quello che racconta di famiglia, alcune tematiche sociali, slice-of-life, psicologico e così via. Adoro il modo in cui lo raccontano, certo mica tutto è realistico e c'è della fantasia, ci mancherebbe. Ma spesso ritrovo qui elementi, spunti, aneddoti e altri piccoli (grandi) dettagli che in animazione non trovo (non per questo ho smesso di seguire l'animazione giapponese, anzi). Però certo, è soggettivo, chiaro.
Grazie per questa bella chiacchierata, mi è piaciuta tanto ^^
ps: son sicura che prima o poi GTO Sorimachi lo vedremo in streaming, dai 8D
Grazie anche da parte mia
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