Il 24 marzo del 1985, esattamente quarant’anni fa, iniziava su Fuji TV l’adattamento animato di Touch di Mitsuru Adachi, che durerà per due anni, fino al marzo del 1987, per 101 episodi complessivi.
Nel 1985, ormai il genere della commedia scolastica/sentimentale è sdoganato, così come quello di Mitsuru Adachi, il cui Touch è alle battute finali sulle pagine di Shounen Sunday della Shogakukan. La storia di Tatsuya, Kazuya e Minami faceva parte dei “Big Three” della rivista, insieme a Lamù/Urusei yatsura di Rumiko Takahashi e Puroresu Superstar Retsuden di Ikki Kajiwara e Kunichika Harada (quest’ultimo si era concluso nel 1983, mentre gli altri due suoi colleghi continuavano la loro corsa con successo), perciò era scontato l'arrivo di una serie animata. Tuttavia, Touch non è stato il primo adattamento di un’opera di Adachi, ma l’apice di un percorso iniziato già qualche tempo prima.

 

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In primis, c’è stato il live action di Hiatari Ryoko del 1982, trasmesso su Nippon Television in 19 episodi. Nonostante il cast di prim’ordine che comprendeva personaggi molto famosi dell’epoca come l’idol Takayuki Takemoto, Midori Kiuchi o Asei Kobayashi, non ha avuto molto successo ed è stato molto criticato per la poca aderenza al manga originale, a cui aveva aggiunto molti personaggi nuovi e vicende scritte appositamente per la tv. Aveva, tuttavia, colto sin da subito l’atmosfera giusta per trattare un manga di Adachi: ci vuole l’epoca Showa, ci vuole una caffetteria vecchio stile, ci vogliono amori adolescenziali, una scuola, studenti col gakuran, un gruppo di amici, il baseball e soprattutto una colonna sonora d’eccezione, che ricordi con testi un po’ malinconici gli anni dell’adolescenza. Le sigle, cantate dallo stesso Takemoto, parlano chiaro, in particolar modo la ending “Nido to nai toki ni” (“Tempi che non torneranno più”), che racconta di giorni dove fioriscono amori, dove scorrono sudore e lacrime, ma che non torneranno più, perciò vanno goduti adesso.

 

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Segue poi l’anime di Miyuki della Kitty Films, realizzato far il 1983 e il 1984, che riesce a colpire i suoi spettatori e a scolpirsi nell’immaginario collettivo facendo tesoro di ciò che il drama di Hiatari Ryoko aveva capito. E così, forte, del fatto che la Kitty Films era una casa d’animazione legata a una casa discografica, Miyuki batte tantissimo sul pedale della musica, a cominciare da “Omoide ga ippai” (“Tantissimi ricordi”) degli H2O, la sigla di chiusura della prima tranche di episodi. Una ballad dal ritmo malinconico che parla dei ricordi dell’adolescenza e di una ragazza che all’epoca era ancora una Cenerentola in cerca del suo principe che si incamminava sulla scala  che portava all’età adulta. “Omoide ga ippai” è oggi una canzone famosissima, conosciuta e ricordata con nostalgia da qualsiasi adulto giapponese, citata dallo stesso autore nel finale del manga e oggi conosciuta anche dai più giovani grazie alla recentissima cover di Sumire Uesaka per Alya sometimes hides her feelings in Russian, ed è uno dei motivi del successo di Miyuki, ancora oggi ricordato e amato dagli adulti giapponesi.


L’anime viene lasciato interrotto, concludendosi con soli 37 episodi e senza coprire neanche metà del manga, ma riesce a rendere bene le atmosfere del fumetto e viene molto amato dal suo pubblico. Merito della presenza nel cast principale dell’allora popolarissima Hiromi Tsuru (qui Miyuki Kashima, sarà poi, fra le altre, anche Bulma di Dragon Ball e Madoka di Kimagure Orange Road), delle belle atmosfere, della frizzante Miyuki Wakamatsu doppiata da una giovanissima esordiente Yoko Oginome (criticatissima all’epoca come doppiatrice, ma debutterà come cantante appena l’anno successivo, e dopo due firmerà il successone “Dancing Hero”, ancora oggi suonato a qualsiasi matsuri estivo). Soprattutto, è il legame di Miyuki con la musica a rendere quella breve ma intensa serie animata un jukebox di un’epoca ormai lontana, con canzoni raffinatissime e belle chicche che spuntano qua e là a sorpresa nei vari episodi, soprattutto ogni volta che i personaggi accendono la radio, la tv o sono in una caffetteria. Brani oggi famosissimi, anche un po’ adulti, malinconici, al limite dell’enka, come “Kanashii Iroyane” (“Tetti tristi”) di Masaki Ueda, “Tsumari, aishiteru” (“Insomma, ti amo”) di Takao Kisugi, la celeberrima e tristissima “Kasa ga nai” (“Non ho l’ombrello”) di Yosui Inoue o, perché no, l’assurda “Otoko wa Umanosuke” (“Umanosuke, il vero uomo”), tema del wrestler Umanosuke Ueda cantato da Kenichi Nagisa. Quella di Miyuki è una colonna sonora stranissima, ricchissima di brani famosi dell’epoca che non assoceresti mai a una storia d’amore fra adolescenti, ma hanno arricchito tantissimo la visione dell’anime, tanto da portare alla creazione di OAV a parte con clip show riassuntivi che fanno da videoclip alle canzoni.
Un anime strano, ma efficace, perché è riuscito nonostante tutto a restare impresso nella memoria dei giapponesi e ha dato un segnale chiaro e forte allo staff che si sarebbe occupato delle future trasposizioni di Adachi: gli adattamenti di Adachi si fanno così, con canzoni malinconiche che ti fanno venire nostalgia dell’adolescenza anche se tu che li guardi in tv sei ancora un adolescente.

 

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E così è, infatti, stato fatto l’adattamento di Nine, tre film per la tv trasmessi fra il 1983 e il 1984 su Fuji TV, realizzati sull’onda del successo di Miyuki. Chi ha letto il manga originale, scritto da Adachi fra il 1978 e il 1980, sa che questo contiene già in nuce qualsiasi elemento che caratterizzerà i manga futuri dell’autore: il gruppo di amici, la squadra di baseball, la scuola, lo sport e l’amore, il lanciatore e il ricevitore grande, grosso e buontempone, i rivali sul campo da gioco e in amore...
L’adattamento di Nine fa tesoro dei precedenti e, paradossalmente, contiene già in nuce tutti gli elementi che faranno la fortuna del successivo Touch: è prodotto dal Group Tac, ha la regia di Gisaburo Sugii e le colonne sonore firmate da Hiroaki Serizawa, che canta anche diverse canzoni per i film. E lo stile è sempre quello che Hiatari Ryoko e Miyuki avevano inaugurato: ballad malinconiche che parlano di amori, di adolescenza, di sogni, con testi e ritmi struggenti. In particolare, la ending dei tre film, “Manatsu no runner” (“Corridore di mezza estate”), composta da Serizawa e cantata da Mariko Kurata, è la summa di tutto: “Siamo tutti corridori di mezza estate, che portano sulle spalle il peso della propria adolescenza, col corpo pieno di ferite e il cuore pieno di sogni”. La corsa di mezza estate è quella dei giocatori di baseball verso il Koushien, campionato nazionale delle scuole superiori che si gioca ad agosto, nel bel mezzo delle vacanze estive, e sogno di qualsiasi studente giapponese che gioca a baseball, perciò metafora ultima dell’adolescenza e dei giorni del liceo da vivere con intensità durante la gioventù e da rimpiangere con nostalgia una volta adulti. C’è tutta la narrativa di Adachi, ci sono tutti i motivi per cui Adachi è tanto caro agli attuali adulti giapponesi, in questo testo, e infatti “Manatsu no runner” sarà riutilizzata in versione remake, con un diverso arrangiamento, un testo diverso e il titolo di "Ai ga nemuru hi made - Manatsu no runner" ("Fino al giorno in cui l'amore non dormirà - Corridore di mezza estate"), cantata dallo stesso Serizawa, nel successivo anime di Hiatari Ryoko, mentre in Touch ne comparirà una versione “evoluta” chiamata “Eien no runner” (“Eterno corridore”), una canzone differente ma assai simile nel testo e nelle tematiche.

 

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Quando, nel 1985, inizia Touch, il Giappone è pronto per un adattamento che contiene in sé tutto questo, ma che, a differenza di Miyuki e Nine, risulta molto più curato dal lato grafico, poiché non si rifà a manga precedenti dove lo stile di disegno dell’autore era ancora acerbo e perché gli anime della seconda metà degli anni ‘80 hanno una cura molto maggiore nei riguardi di animazioni e disegni, soprattutto per quanto riguarda gli sfondi, che non sono più disegnati in maniera stilizzata e cartoonesca ma realistica e curata nei minimi dettagli, e questo è un elemento importantissimo per Touch.
Era uno dei manga più popolari del momento, l’autore era già famoso, sapevano già come adattarlo, perciò sull’anime si puntava molto. Fuji TV gli riserva uno spazio d’eccezione, quello delle 19.00 della domenica, già noto come lo “Spazio delle commedie di Shounen Sunday”, perché aveva ospitato adattamenti di altre commedie provenienti dalla stessa rivista, Sasuga no Sarutobi (1982 – 1984) e Gu Gu Ganmo (1984 – 1985). Lo staff, si è detto, è lo stesso dei film di Nine, quindi l’anime è realizzato dal Group Tac, la regia è di Gisaburo Sugii e Hiroko Tokita (che, qualche anno dopo, si occuperà della regia di Yawara, altro classico della commedia anni ‘80), le musiche sono di Hiroaki Serizawa.
Non poteva essere una serie breve, non poteva durare al massimo solo un anno, perché Touch è un racconto di formazione che, su carta, incantava numerosi lettori e c’erano ancor più numerosi telespettatori pronti ad appassionarsi con la crescita dei personaggi, con i loro sogni sportivi e la risoluzione delle loro vicende sentimentali. E non era nemmeno una commedia come tutte le altre, non era scanzonato come Miyuki o Hiatari Ryoko: Touch è un’opera molto profonda, dove la risoluzione della vicenda amorosa è meno scontata di quanto sembri perché va di pari passo con i successi dei personaggi in ambito sportivo e con la loro maturazione interiore. Soprattutto, Touch ha quell’evento che rimette in discussione tutto, aprendo nuovi spiragli per una trama che non è mai scontata e ti offre sempre nuovi punti di vista da cui guardare i personaggi, perciò alla commedia si affianca anche una componente drammatica che andava tenuta in considerazione.
Oltretutto, Touch è per Adachi un’opera più matura delle precedenti, dove lo stile si è ormai affinato e diventato quello caratteristico di questo autore, fatto di silenzi, non detti, frasi interrotte a metà, sguardi che dicono più di mille parole, inquadrature sui personaggi che riflettono in silenzio e molte inquadrature di paesaggi ritratti in maniera molto realistica. Velocizzarne il ritmo per condensare la storia in pochi episodi avrebbe completamente snaturato l’opera, non era possibile. Perciò, Touch è stato trattato da tutto lo staff dell’anime coi guanti di velluto, con una fedeltà pressoché totale al materiale di riferimento, alle sue atmosfere, al suo stile, rendendolo un’opera unica nel suo genere e una pietra di paragone per successivi adattamenti di commedie sentimentali per un pubblico maschile.

 

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Per due anni di programmazione, 101 episodi (in realtà, gli episodi effettivi sono un po’ meno, perché sparsi qua e là ci sono ben quattro riassuntivi), il Giappone si fa incantare di nuovo dalla storia di Tatsuya, Kazuya e Minami, raccontata sin dall’inizio con una cura particolare in tutti i suoi aspetti. Si sceglie uno stile di disegno che segue alla lettera quello di Adachi, senza variarlo né abbellirlo. Addirittura, i disegni dell’anime “evolvono” col passare degli episodi, esattamente come quelli del manga, invece di essere sin da subito allineati allo stile dell’Adachi del tempo, così come invece sarà fatto col successivo Hiatari Ryoko (che, essendo tratto da un manga molto più vecchio, aveva dei disegni originali molto più acerbi), e anche la grafica, le animazioni, la cura dei disegni migliora notevolmente col passare degli episodi. Touch deve essere così, col suo stile particolare, e di quello stile tutto viene mantenuto: la fisionomia dei personaggi, la resa delle scene umoristiche, ma soprattutto lo stile narrativo. Touch è un anime lento, dove, come nel manga, spesso a parlare sono gli sguardi, i silenzi, i paesaggi e particolari scorci che perciò devono essere realistici al 100%. Quello di Touch non è un Giappone da cartone animato, è in tutto e per tutto il Giappone degli anni ‘80, quello ricordato con tanta nostalgia dagli attuali adulti e che in realtà, per certi versi, è ancora lì. Uno straniero che ha visto Touch e si reca in Giappone si troverà inspiegabilmente “a casa” anche a chilometri di distanza, perché certi scorci, certi suoni, certi elementi del Giappone di tutti i giorni gli sembreranno estremamente familiari e solo in un secondo momento capirà che è perché li ha visti in Touch: le viuzze con le villette, le caffetterie con il cartello “Key Coffee” che servono spaghetti Napolitan e non hanno mai clienti tranne quelli abituali (gli attuali adulti giapponesi e persino lo stesso Adachi si lamentano che questo tipo di caffetterie siano ormai scomparse, ma basta cercare e in realtà sono ancora lì, anche quarant’anni dopo), le scuole con l’immancabile suono della campanella che segna la fine delle lezioni, i passaggi a livello e i suoni dei treni che passano, il frinire delle cicale. Touch ha intere scene prive di musiche o dialoghi, dove si spendono interi secondi a inquadrare la casa dei gemelli, il bar del papà di Minami, la scuola, il campo di baseball, un prato bagnato da gocce di pioggia, uno stadio, un passaggio a livello. Gli unici suoni che senti sono quelli del Giappone: un cane che abbaia o una sirena in lontananza, il suono della mazza da baseball che impatta sulla palla o del tamburo della tifoseria durante le partite, un treno che passa e le cicale, soprattutto le cicale. Non c’è estate in Giappone senza cicale, non c’è Touch senza estate, perciò non c’è Touch senza cicale, tanto che persino Osomatsu-san ne fa la parodia, mostrando un simil-Tatsuya (Tatsuo Uebayashi) che non riesce a dichiararsi all’amata simil-Minami (Nanami Asaoka) perché il suono delle cicale è troppo forte da coprire le sue parole.
In particolar modo, tutte queste caratteristiche esplodono negli episodi estivi e dunque nel trittico 25-26-27, gli episodi relativi a “quell’evento”, che sono narrati con estrema grazia ed eleganza, riuscendo a scolpirsi in maniera indelebile nella memoria di chiunque li abbia visti, staff compreso, che ha realizzato una vera e propria cerimonia dal vivo in onore di un certo personaggio (dove il suo doppiatore, Keiichi Nanba, mentre tutti volevano celebrare il suo personaggio, ne ha approfittato per annunciare il fidanzamento con la già citata collega Hiromi Tsuru), ed entrando a far parte della cultura popolare giapponese. Provate a cantare una delle sigle di Touch al karaoke, e vedrete come potrà capitarvi che il video di accompagnamento sia tratto proprio da questi episodi.


 

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La lezione del live action di Hiatari Ryoko e degli anime di Miyuki e Nine è stata ben appresa, e perciò anche Touch pone un fortissimo accento sulla sua colonna sonora, composta da un Hiroaki Serizawa in gran spolvero che ha fatto le prove generali con Nine e che, invece, adesso, può fare del suo meglio. Ce ne accorgiamo già dall’inizio, dalla prima, storica, opening. Che, in realtà, non doveva esserci, doveva essere un’altra canzone, ma una volta scritturata la cantante è stata modificata. La cantante in questione è Yoshimi Iwasaki, che era già un’artista famosa, ma che col suo lavoro dedicato a questa serie è esplosa, facendosi conoscere da chiunque in Giappone.
“Touch”, omonima prima sigla d’apertura della serie animata, già ti fa capire come l’opera di Adachi si differenzi dalle altre commedie scolastiche/sentimentali dello stesso periodo. Se “Ushiroyubi Sasaregumi”, la prima sigla d’apertura di High School Kimengumi che partirà qualche mese dopo (come manga era già avviato e popolare), parla in maniera molto allegra di una ragazza innamorata di un ragazzo che viene allontanato da tutti ma di cui lei si sente inspiegabilmente attratta, e se “Night of summerside”, la prima sigla d’apertura di Kimagure Orange Road che partirà un paio d’anni dopo (come manga era già avviato e di crescente successo), è un rock accattivante che parla di amori vissuti ad alta velocità sull’autostrada in una notte d’estate, le sigle di Touch non si discostano mai dalla già citata dimensione della malinconia, narrandoti della nostalgia per un periodo adolescenziale fatto di amori ma anche e soprattutto di tristezza, addii, amori non corrisposti, solitudine. Provate a contare quante volte, fra opening, ending e insert song, le canzoni di Touch contengono le parole “tristezza” e “solitudine”... persino il successivo anime di Hiatari Ryoko, che ha una storia ben più tranquilla, ti piazza lì una opening in formato ballad tristissima dedicata al terzo incomodo che torna in città e canta che, letteralmente “l’amore è solitudine, è scegliere di abbracciare la tristezza”!




“Touch” di Yoshimi Iwasaki si fa portabandiera di questa adolescenza malinconica sin dall’inizio. Non hai scampo, se hai letto il manga sai già cosa ti aspetterà a un certo punto, se non lo hai letto già la sigla te lo farà intuire ma lo capirai a tempo debito, e te lo ricorderà nuovamente a storia già avviata, più di un anno dopo, con la quarta opening, “Hitoribocchi no duet” (“Duetto solitario”), che riprenderà in maniera ancora più chiara certe scene del trittico di episodi 25-26-27, mentre ti canterà di qualcuno che, da solo, in un’aula vuota, suona l’armonica ripensando a un amore che non c’è più e mai potrà concretizzarsi. Sono tutte così le sigle di Touch: la seconda opening già ti mette in chiaro sin dal titolo che “Ai wa hitoribocchi” (“L’amore è solitudine”); la terza, “Che! Che! Che!” ha un ritmo allegro ma il testo ti frega parlandoti di cuori in lacrime; non si salva nemmeno l’ultima, “Jounetsu Monogatari” (“Storia di passione”), perché chi canta “conosce la tristezza” e “se ci fosse una città senza addii, vorrebbe andarci”.
E se già le sigle d’apertura sono così, le ending, che solitamente sono più malinconiche di loro, riescono ad essere ancora più tristi nel loro parlarti di quest’adolescenza ricca di ricordi dolci e amari allo stesso tempo. In particolare, “Seishun” (“Adolescenza”), la seconda ending, ha avuto così tanto successo da venire riutilizzata spesso e volentieri in versione strumentale negli episodi e da venire utilizzata per più episodi del previsto, prima di lasciare il testimone alla terza. Del resto, te lo dice lei stessa “Non andate via, giorni felici; fermati, tempo”. Se non è diventata l’inno degli attuali adulti giapponesi che rimpiangono i giorni felici della propria adolescenza, poco ci manca, e solo perché è stata “Touch” a rubarle il ruolo.

 

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Pur non avendo mai raggiunto la top 10 delle chart di Oricon, la canzone di Yoshimi Iwasaki è riuscita a scolpirsi nella memoria collettiva della generazione che ha visto Touch in tv, ed è stata in qualche modo passata anche alle successive. Non c’è giapponese che abbia passato i quarant’anni che non la conosca, mettetegliela al karaoke e lo farete felicissimo. Nel 1987, la Iwasaki l’ha rilanciata con un mix di tutte le sigle di Touch in versione italo-disco, anche in inglese, senza contare che negli anni è ricomparsa in nuove versioni anche in produzioni più recenti legate all'opera, è presente nei videogiochi musicali Taiko no tatsujin, è stata usata in versione parodia per gli spot tv dei panini di McDonald’s Japan dedicati proprio a Touch, è stata parodiata in La malinconia di Haruhi Suzumiya, è ancora in tutte le classifiche delle anison più amate e più cantate al karaoke, è presente in Mix – Meisei Story, sequel/spin off di Touch, ma soprattutto è tuttora suonata dai club di musica dei licei giapponesi come incoraggiamento per i loro compagni che giocano al baseball al Koushien, e penso che riconoscimento maggiore di questo non possa esistere.

 


Ma la colonna sonora di Touch va ben oltre le sue iconiche sigle, presentando decine di brani di accompagnamento agli episodi, cantati dalla Iwasaki, da Serizawa, dai doppiatori dei personaggi (che hanno fatto anche varie cover delle canzoni della serie raccolti nei due album Touch in Memory). Iconico il tema di Kazuya, “Hoshi no silhouette” (“La silhouette di una stella”), serioso e malinconico, così come quello di Tatsuya, “Kaze no message” ("Il messaggio del vento"), più scanzonato e romantico.
Come Miyuki insegna, poi, ogni volta che i personaggi accendono la tv o sono al Minamikaze, il bar del padre di Minami, ci sono in sottofondo chicche meravigliose, fra le quali possiamo annoverare “Hiatari Ryoko”, opening dell’omonima serie tv che avrebbe sostituito Touch da lì a qualche puntata, “Sebangou no nai ace” (“Asso senza numero”), tema principale del primo film riassuntivo di Touch uscito nel 1986, o una bellissima e inaspettata versione strumentale di “Wine Red no kokoro” (“Cuore rosso come il vino”), successone del 1984 degli Anzen Chitai. Per non parlare di “Kimi no heart ni touch” (“Un tocco al tuo cuore”) di Yuki Kudo, tema principale del musical tratto dall’opera che farà capolino nei teatri giapponesi nel 1987, in concomitanza con la fine dell’anime dove riesce a fare un cameo, o delle bellissime tracce strumentali, in particolar modo quelle che accompagnano le esibizioni di ginnastica artistica di Minami (scene dove anche la qualità delle animazioni impenna). Touch gioca tantissimo con la musica, con i testi delle sue sigle, che aprono e chiudono volutamente le diverse parti della vicenda, come fossero un sipario che si alza o si cala mentre finiscono gli “atti” dello spettacolo.


 

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L’estrema cura posta nella realizzazione di Touch ci regala un anime che è estremamente fedele al materiale di partenza. Gli episodi riempitivi sono pochi, cinque o sei su un centinaio, e sono abbastanza ben integrati nella narrazione, andandone a coprire dei buchi o approfondire dei passaggi, con l’unica eccezione di personaggi originali dell'anime come la spasimante di Kotaro o la kohai di Minami al club di ginnastica artistica, per forza di cose destinati a sparire man mano che la storia avanza e si stringe attorno ai protagonisti, senza lasciar loro spazio. Nei primi episodi sono stati introdotti diversi siparietti originali dedicati al cane Panchi, mascotte della serie, e al suo amore non corrisposto per una cagnolina che abita nella casa accanto. La cosa non viene poi sviluppata e ad un certo punto viene lasciata morire, mentre stranisce la scelta di rendere i cagnolini Chicchi e Poppo non i cuccioli di Panchi, ma dei trovatelli raccattati da Tatsuya e Minami.
Molte gag, specie quelle dove l’autore si autocitava o citava altri suoi colleghi (ad esempio il celebre shikishi di Rumiko Takahashi per il quale il capitano del club di pugilato vende Tatsuya a quello di baseball) sono state eliminate o sostituite con citazioni a Yoshimi Iwasaki o ad altre persone che hanno lavorato alla serie tv. L’intento era quello di dare un’atmosfera più seria alla versione animata, che comunque non manca di simpatici siparietti umoristici qua e là.
Le differenze col manga si fanno sentire maggiormente nella seconda metà della serie, dove sono raccolti un maggior numero di episodi originali, scene aggiuntive (la storia passata dell’allenatore Kashiwaba viene ampliata), episodi riassuntivi e tagli rispetto all’opera originale. In particolare, gli ultimi due episodi sono quelli che più si discostano dal manga, pur raccontando nella sostanza le stesse cose. Alla partita finale, che nel manga era molto lunga, mancano molte scene importanti e il modo in cui la sua conclusione è montata all’interno del relativo episodio (a differenza del manga, non è un cliffhanger di fine puntata né si trova a metà preceduta dall’eyecatch) la depotenzia moltissimo rispetto alla versione cartacea, mancando oltretutto l’iconica scena del lancio finale.
Mancano poi, praticamente, gli ultimi due volumi del manga, che mostrano ciò che succede dopo la partita finale. Qualche scena c’è, ma manca il grosso degli eventi: l’incontro con la idol Satoko Sumitomo, la gara di Minami in concomitanza con l’apertura del Koushien, l’operazione dell’allenatore, la dichiarazione (c’è, ma per telefono, non è la stessa cosa), il time skip finale.
La scusa ufficiale è che Adachi abbia parlato al regista Sugii di come abbia dovuto allungare per esigenze editoriali il finale del manga, che quindi era venuto diverso rispetto a quello che aveva in mente, e Sugii abbia voluto restituirglielo nell’anime, ma l’impressione dello spettatore che conosce il manga è che il finale “allungato” era più bello, che nell’anime manchino scene iconiche e importanti per la maturazione dei personaggi e che si potevano evitare quattro episodi riassuntivi per animare meglio il finale, se proprio si voleva restare nei cento episodi.

 

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Nonostante tutto, Touch resta un anime bellissimo, estremamente fedele al materiale di riferimento nonostante qualche piccolezza e qualche defaillance negli ultimi episodi. E’ estremamente lodevole anche il lavoro dei doppiatori originali, oggi diventati famosissimi anche e soprattutto per via di questi ruoli.
Yuji Mitsuya, il doppiatore di Tatsuya, è oggi un attore e personaggio televisivo molto popolare. Negli anni si farà ricordare come Shaka di Virgo in Saint Seiya, come Dr. Tofu in Ranma ½, come direttore del doppiaggio di 5 cm al secondo di Makoto Shinkai, come attivista omosessuale apertamente dichiarato, ma è soprattutto il suo Tatsuya a restare impresso, col suo modo di parlare informale che nasconde una grande sensibilità, e tornerà a dargli voce in prodotti successivi legati a Touch, oltre a cantare una decina di cover delle canzoni della serie nel primo di due album celebrativi. Il secondo è ovviamente firmato da Noriko Hidaka, la doppiatrice di Minami, che ai tempi di Touch era già famosa come attrice e doppiatrice e negli anni sarà anche Akane di Ranma ½ (anche nella versione del 2024), Jean de Il mistero della pietra azzurra, Near in Death Note, Sera in Detective Conan. A Minami resterà legata in maniera indissolubile, tanto da tornare come voce narrante e voce del nuovo cane Panchi in Mix – Meisei Story. La sua Minami che parla di sé in terza persona con voce dolce e decisa allo stesso tempo, perfetta yamato nadeshiko brava in tutto quello che fa e ideale da raggiungere per il suo innamorato, è ancora oggi uno dei personaggi femminili degli anime più amati dai giapponesi.
Keiichi Nanba, Banjo Ginga, Miina Tominaga, Shigeru Chiba, Ryo Horikawa, Hideyuki Tanaka, Hiromi Tsuru, Ryusei Nakao, Kazuhiko Inoue, il doppiatore/rakugoka Kobuhei Hayashiya sono, poi, solo alcuni fra i tantissimi doppiatori famosi dell’epoca che hanno dato la loro voce a personaggi indimenticabili, ancora oggi amatissimi dai giapponesi, tanto da riprendere, quando possibile, il ruolo anche in prodotti successivi come i due film celebrativi Miss Lonely Yesterday – Are kara kimi wa... (“Miss Lonely Yesterday – Da allora, tu...”) e Crossroad – Kaze no yukue (“Crossroad – Il luogo del vento”), il musical teatrale o lo spin off/sequel Mix – Meisei Story.

 

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Nei due anni di trasmissione, Touch è stato amatissimo dai giapponesi. L’anime ha sempre avuto ottimi ascolti in tv, assestandosi sempre intorno al 20-30% di share, con la punta dell’episodio 37 che ha ottenuto il 31.9% e solo pochissimi episodi scesi sotto al 20%. Al successo della serie tv seguono ben tre film cinematografici proiettati fra il 1986 e il 1987 che riassumono la storia originale con qualche differenza. Il tema principale del primo film, “Sebangou no nai ace”, cantato dal duo Rough & Ready, nel 1986 ha raggiunto la top 10 della chart di Oricon, mentre quello del terzo, “For the brand new dream”, è dei popolarissimi The Alfee, all’epoca sulla cresta dell’onda grazie alla loro famosissima “Hoshizora no distance” (“La distanza del cielo stellato”) del 1984.
Ai tre film riassuntivi seguono due film sequel originali per la tv, Miss Lonely Yesterday del 1998 e Crossroad del 2001, mentre il sequel ufficiale, Mix – Meisei Story, tratto dal manga che Adachi sta curando dal 2012, è stato al momento trasmesso in due stagioni fra il 2019 e il 2023. Nel 1987, da Touch è stato tratto un film live action per la tv, mentre un altro live action, stavolta per il cinema, è stato prodotto nel 2005.
Tra i mille più oggetti di merchandise tratti dalla serie, non si può dimenticare di citare l’assurdo City Adventure Touch – Mystery of triangle, un... picchiaduro a scorrimento uscito per Nintendo Famicon nel 1987, dove i due gemelli Uesugi si ritrovano ad affrontare mostri vari armati di... palline da baseball da tirargli contro!
Il successo dell’anime porta poi all’immediata creazione di un adattamento animato di Hiatari Ryoko, realizzato dallo stesso staff, che lo sostituirà nello stesso slot su Fuji TV per un altro anno e che richiamerà in sala di doppiaggio Yuji Mitsuya, Kobuhei Hayashiya, Hiromi Tsuru e altri che avevano lavorato a Touch, oltre a donare una continuità stilistica con quanto mostrato nei due anni precedenti.

 

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Quarant’anni dopo, Touch è ancora un’icona per gli attuali adulti giapponesi. E’ ancora ricordato con un’immensa nostalgia, perché rappresenta i sogni che avevano da ragazzi, gli stessi che hanno i ragazzi di oggi. Anche se ha perso un po’ di popolarità rispetto agli anni ‘80, il baseball è ancora il sogno dei liceali giapponesi, che si allenano ancora in scuole e campi identici a quelli di Touch, fanno le flessioni nei parchi la domenica mattina o si allenano a girare la mazza fino al tramonto.
Avranno anche loro una Minami a cui hanno promesso di andare al Koushien? Quello stesso Koushien, il cui stadio l’estate scorsa (2024) ha festeggiato il suo centenario con una grossa campagna pubblicitaria incentrata sui manga che parlavano di baseball, di cui anche Touch è stato un glorioso esponente, è ancora carico di tanti simbolismi. Rappresenta l’adolescenza vissuta dai ragazzi che sognano di andarci per giocare e l’adolescenza perduta degli adulti che da ragazzi magari non sono riusciti a qualificarsi ma continuano a tifare per la loro ex scuola. Per il Koushien, ad agosto, nell’estate giapponese tutto si ferma, le tv smettono di programmare varietà e programmi di cucina e si dedicano a una massiccia copertura mediatica di quello che, ricordiamo, è un torneo di studenti, non professionisti, ma è seguitissimo da tutti, persino dalle cicale che probabilmente friniscono così tanto per sostenere questa o quella squadra. Touch ha messo in animazione tutto questo, sono emozioni che i giapponesi non dimenticheranno neanche da adulti.

 

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E gli Italiani? Touch arriva in Italia nel 1988 su Italia 1, col titolo tanto insensato quanto evocativo di Prendi il mondo e vai, e una generica ma bella sigla firmata da Massimiliano Pani (figlio di Mina) e cantata da Cristina D’Avena. Il manga arriverà dopo, nel 1999 per Star Comics, dopo un’ultima replica in chiaro della serie che resta a tutt’oggi sparita dai palinsesti e sprovvista di un’edizione home video o streaming, eccezion fatta per i due film sequel che sono stati distribuiti in videocassetta e dvd da Yamato Video nei primi anni 2000, coi nomi originali dei personaggi. L’edizione Mediaset della serie tv presenta diverse censure, cambi di nomi (a parte Minami e Harada che hanno mantenuto i loro nomi originali, gli altri personaggi sono Tom, Kim, Giancarlo, Nello, Chicca, Emanuele, il signor Doriano, il signor Roccaforte...) e adattamenti non proprio bellissimi (i nomi delle scuole sono stati sostituiti con più generici “istituto tecnico” o “liceo superiore”... esiste il liceo inferiore?), le canzoni sono state tolte, i dialoghi sono stati alleggeriti e le gag un po’ più piccantelle tagliate. Tuttavia, anche così, resta immutato il fascino della storia e dei personaggi. Mediaset ha trasmesso anche i tre film riassuntivi, sempre con lo stesso adattamento della serie tv, a cui comunque hanno lavorato diversi bravi doppiatori come Luigi Rosa, Donatella Fanfani, Gabriele Calindri, Luca Semeraro, Pietro Ubaldi e molti altri. Una particolarità della nostra versione è che si è voluto riproporre quanto fatto con Giuliano di Kiss me Licia e perciò hanno dato la parola al cane Panchi, che in originale abbaia solamente.



Era una serie molto particolare, per i nostri standard. Non avevamo mai visto serie così “realistiche”, che fossero ambientate nel pacifico Giappone degli anni ‘80 (c’erano già state altre serie che mostravano il Giappone, ma era quello poverissimo e lontano degli anni ‘70, o pur essendo contemporanee avevano personaggi e scenari meno realistici). Non era una serie facile, gli mancavano effetti speciali, grandi storie d’amore ricche di baci e colpi di scena, i disegni erano molto particolari, parlava di uno sport che a noi non interessava più di tanto, aveva ritmi molto lenti e ha traumatizzato un’intera generazione col “fattaccio”. Difficile, quindi, per Touch farsi amare in Italia. Non ha, infatti, riscosso lo stesso successo di altre serie sportive più avvincenti (una su tutte Captain Tsubasa) né di altre serie sentimentali in cui era più facile rispecchiarsi (una su tutte Kimagure Orange Road), ma ha avuto il merito di mostrarci il Giappone così com’era, di aver contribuito a farcelo inconsapevolmente amare e incamerare nella mente, rendendocelo poi così estremamente familiare quando lo avremmo visto davvero. Chi ha visto Touch da piccolo probabilmente oggi ne ricorda solo la storia di base, i disegni (che vengono ricondotti a “Prendi il mondo e vai” anche quando si tratta di Hiatari Ryoko, Miyuki, Cross Game o Mix – Meisei Story), il baseball e il “fattaccio”, ma gli è rimasto comunque un segno, vuoi per la storia, vuoi per le atmosfere. E’ una serie che si capisce maggiormente da grandi piuttosto che da bambini e che andrebbe riscoperta, magari nella sua bellissima versione originale. Per noi non significa molto, tranne per quei pochi che ne sono stati attratti da giovani e ne hanno perciò scoperto il manga e l’autore, ma in Giappone è un’icona importantissima che ancora oggi, dopo quarant’anni dalla sua uscita, è amata e ricordata con affetto e nostalgia, simbolo di quell’era Showa che rappresenta l’adolescenza perduta degli attuali adulti.

 

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A livello personale, a Touch devo tante, troppe, cose della mia vita. E’ il simbolo del “mio” Giappone, perché il Giappone che ho visto coi miei occhi è pressoché lo stesso che Touch mi aveva fatto conoscere. Lo penso ogni volta che attraverso il passaggio a livello della stazione di Higashi-Azuma a Tokyo per andare a mangiare nella mia bisteccheria preferita, ogni volta che trovo una tv nella hall di un hotel o di un bagno pubblico che ad agosto trasmette il Koushien, ogni volta che mi siedo in una caffetteria alla stazione di Shinbashi. Mi sento a casa, ed è una casa che ho conosciuto grazie a questa serie. Ho troppi ricordi legati a Touch, ma scelgo di concludere questo articolo con uno dei momenti insieme più alti e imbarazzanti della mia vita. Cantare la sigla di Touch al karaoke è ormai per me la norma, ma un paio di estati fa mi è capitato di cantarla in un locale a Tokyo, dal vivo, col testo scritto su un piccolissimo tablet (e ho potuto farlo solo perché la so a memoria, sennò vai a leggere il testo in ideogrammi senza letture scritte sopra...) e una band improvvisata ad accompagnarmi, formata dal padrone del locale e da un paio di clienti abituali, dopo una cena a base di spaghetti. Kotaro (sì, ho scelto il mio storico nickname in omaggio a un certo ricevitore...) che canta la sigla di Touch, in un locale in Giappone, d’estate, dopo un piatto di spaghetti. Insomma, questo dice già tutto, quanto a simbolismi. Bastava questo, non c’era quasi bisogno di scrivere questo articolo!

 

 

NOTE DELL' AUTORE

Un ringraziamento speciale a Shinichi Anzai, allo staff e ai clienti del bar Moto Roku a Tokyo per il video qui sopra.