Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Anno nuovo ma appuntamento con le recensioni che non ci abbandona di certo. Iniziamo l'anno con titoli di una certa rilevanza: Mononoke, Memories e Millennium Actress.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Anno nuovo ma appuntamento con le recensioni che non ci abbandona di certo. Iniziamo l'anno con titoli di una certa rilevanza: Mononoke, Memories e Millennium Actress.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Mononoke
8.0/10
Mononoke è una serie del 2007 prodotta dalla Toei Animation e magistralmente diretta da Kenji Nakamura, regista di "Ayakashi: japanese classic horror". Quest'opera è considerabile infatti come una sorta di spin-off degli ultimi tre episodi di Ayakashi (intitolati: “Bake Neko”), un insieme di vicende parallele strutturate sulla medesima ambientazione e concentrate attorno all'enigmatica figura del farmacista (Kusuriuri), impegnato in un misterioso viaggio.
Mononoke è una di quelle serie che attirano immediatamente l'attenzione per la loro realizzazione tecnica e grafica. Questa infatti si discosta decisamente dai canoni tipici dell'animazione moderna per cercare invece un'identità e originalità proprie, traendo ampiamente ispirazione dalle stampe giapponesi tradizionali, sia per quanto riguarda gli ambienti sia per la ricchezza dei dettagli e delle decorazioni, elementi che impreziosiscono il tutto andando a comporre un incredibile e stupefacente mosaico di colori e figure, le quali sembrano come dipinte su pergamena. Si percepisce una palpabile atmosfera dal sapore “antico” che contribuisce al fascino esotico e misterioso che avvolge l'intera opera.
Senza timore alcuno la si può definire un'opera sperimentale, che interseca uno stile narrativo graffiante e travolgente, avvalorato e arricchito da una repertorio musicale d'eccezione, con una maniacale cura per i dettagli, rintracciabile persino nella realizzazione delle gocce di pioggia e dei fiocchi di neve.
Un'altra apprezzabile caratteristica si può rilevare circa la fattura del charachter design, spesso volutamente esagerato e caricaturale, in modo tale da evidenziare con efficacia le emozioni e le peculiarità caratteriali dei personaggi. Notevole anche il riferimento al teatro giapponese tradizionale, enfatizzato dall'aprirsi e chiudersi delle porte, tanto che sembra di assistere a una rappresentazione teatrale.
L'opera si struttura su cicli autoconclusivi di due o tre episodi l'uno, per un totale di cinque racconti.
Come già accennato in precedenza, la serie si concentra nel narrare le vicende di un enigmatico personaggio di cui poco si conosce, nemmeno il nome. Fin dal primo episodio viene svelato che si tratta di un “farmacista”, intento nel suo peregrinare per il mondo alla ricerca di sovrannaturali e pericolose creature denominate "mononoke". Esse nascono dal rancore, dai rimpianti, dall'odio e dalla disperazione delle persone, trascendono il mondo reale e portano distruzione ovunque si rechino, in cerca della loro vendetta; per questo si rende necessario purificarle. Arduo è perseguire tale fine, poiché occorrono tre indispensabili informazioni in merito a questi spiriti per poterli sopraffare: se ne deve conoscere “forma”, “verità” e “rimpianto”. In questo modo viene offerto uno spunto per sviscerare a fondo i personaggi dei vari racconti, in particolare si rivela importante ricostruire il passato e la vicenda psicologica che soggiace alla genesi del mononoke, elementi imprescindibili al fine del suo annientamento. Espediente piuttosto brillante, dunque, per infondere all'opera una notevole profondità e suggestività, merito anche del contributo offerto dalla sceneggiatura, incisiva ma illuminante, oltre che dal tono piuttosto tragico delle varie vicessitudini raccontate.
Fondamentale è la regia, capace di dosare perfettamente i silenzi, i momenti di stasi e di azione, forgiando in questo modo una perfetta atmosfera di tensione e d'insostenibile attesa per la manifestazione degli eventi. Ogni scena è un tassello che va a comporre e a chiarire la verità dell'oscuro orrore che si cela nei più reconditi anfratti dell'animo umano.
Il linguaggio visivo del regista non esita a impreziosire il tutto con elementi metaforici e simbolici di grande stile, conferendo in tal modo una maggiore suggestività ed espressività alla narrazione; è encomiabile anche la teatralità dei momenti dedicati al combattimento, coinvolgenti e sbalorditivi.
Per concludere, rintengo che Mononoke sia un'ottima serie dalle venature horror, che si distingue però anche per una forte componente psicologica e tragica. Un lavoro impreziosito da una regia azzimata e da un apparato estetico assai suggestivo. Non posso non invitare caldamente alla visione di questa serie così particolare e fuori dai normali schemi, non fatevi condizionare dalla sua estetica che, a prima vista, potrebbe fare storcere il naso a più di qualcuno. Mononoke rappresenta una ventata d'aria fresca nel mondo dell'animazione degli ultimi tempi, magari ci fossero più serie di questo tipo.
Mononoke è una di quelle serie che attirano immediatamente l'attenzione per la loro realizzazione tecnica e grafica. Questa infatti si discosta decisamente dai canoni tipici dell'animazione moderna per cercare invece un'identità e originalità proprie, traendo ampiamente ispirazione dalle stampe giapponesi tradizionali, sia per quanto riguarda gli ambienti sia per la ricchezza dei dettagli e delle decorazioni, elementi che impreziosiscono il tutto andando a comporre un incredibile e stupefacente mosaico di colori e figure, le quali sembrano come dipinte su pergamena. Si percepisce una palpabile atmosfera dal sapore “antico” che contribuisce al fascino esotico e misterioso che avvolge l'intera opera.
Senza timore alcuno la si può definire un'opera sperimentale, che interseca uno stile narrativo graffiante e travolgente, avvalorato e arricchito da una repertorio musicale d'eccezione, con una maniacale cura per i dettagli, rintracciabile persino nella realizzazione delle gocce di pioggia e dei fiocchi di neve.
Un'altra apprezzabile caratteristica si può rilevare circa la fattura del charachter design, spesso volutamente esagerato e caricaturale, in modo tale da evidenziare con efficacia le emozioni e le peculiarità caratteriali dei personaggi. Notevole anche il riferimento al teatro giapponese tradizionale, enfatizzato dall'aprirsi e chiudersi delle porte, tanto che sembra di assistere a una rappresentazione teatrale.
L'opera si struttura su cicli autoconclusivi di due o tre episodi l'uno, per un totale di cinque racconti.
Come già accennato in precedenza, la serie si concentra nel narrare le vicende di un enigmatico personaggio di cui poco si conosce, nemmeno il nome. Fin dal primo episodio viene svelato che si tratta di un “farmacista”, intento nel suo peregrinare per il mondo alla ricerca di sovrannaturali e pericolose creature denominate "mononoke". Esse nascono dal rancore, dai rimpianti, dall'odio e dalla disperazione delle persone, trascendono il mondo reale e portano distruzione ovunque si rechino, in cerca della loro vendetta; per questo si rende necessario purificarle. Arduo è perseguire tale fine, poiché occorrono tre indispensabili informazioni in merito a questi spiriti per poterli sopraffare: se ne deve conoscere “forma”, “verità” e “rimpianto”. In questo modo viene offerto uno spunto per sviscerare a fondo i personaggi dei vari racconti, in particolare si rivela importante ricostruire il passato e la vicenda psicologica che soggiace alla genesi del mononoke, elementi imprescindibili al fine del suo annientamento. Espediente piuttosto brillante, dunque, per infondere all'opera una notevole profondità e suggestività, merito anche del contributo offerto dalla sceneggiatura, incisiva ma illuminante, oltre che dal tono piuttosto tragico delle varie vicessitudini raccontate.
Fondamentale è la regia, capace di dosare perfettamente i silenzi, i momenti di stasi e di azione, forgiando in questo modo una perfetta atmosfera di tensione e d'insostenibile attesa per la manifestazione degli eventi. Ogni scena è un tassello che va a comporre e a chiarire la verità dell'oscuro orrore che si cela nei più reconditi anfratti dell'animo umano.
Il linguaggio visivo del regista non esita a impreziosire il tutto con elementi metaforici e simbolici di grande stile, conferendo in tal modo una maggiore suggestività ed espressività alla narrazione; è encomiabile anche la teatralità dei momenti dedicati al combattimento, coinvolgenti e sbalorditivi.
Per concludere, rintengo che Mononoke sia un'ottima serie dalle venature horror, che si distingue però anche per una forte componente psicologica e tragica. Un lavoro impreziosito da una regia azzimata e da un apparato estetico assai suggestivo. Non posso non invitare caldamente alla visione di questa serie così particolare e fuori dai normali schemi, non fatevi condizionare dalla sua estetica che, a prima vista, potrebbe fare storcere il naso a più di qualcuno. Mononoke rappresenta una ventata d'aria fresca nel mondo dell'animazione degli ultimi tempi, magari ci fossero più serie di questo tipo.
Memories
9.0/10
Tre episodi, tre stili nel disegnare e raccontare una storia. Tre diverse visioni di un futuro futuribile, un presente possibile, un immaginario e funambolico mondo di guerra. Memories. Ricordi.
Il primo episodio si aggrappa all'anima, ambientato in uno spazio profondo dove quattro astronauti addetti al recupero di rifiuti spaziali rispondono a un SOS. Il cimitero di navi che trovano dove sono diretti non li spaventa, lasciandoli proseguire nella loro ricerca... di cosa? Dei ricordi, di quelle memorie che si sono depositate in questo posto sperduto nello spazio. Sarà la loro una scoperta dei loro ricordi, di ciò che hanno lasciato, il tutto in un crescendo di azioni e fotogrammi, il tutto immerso in questo spazio infinito e silenzioso che emerge anche negli spazi più angusti di quella strana stazione che ha inviato l'SOS. Il finale è quasi "kubrickiano", da "2001: Odissea nello Spazio": una perla, un capolavoro che lascia senza parole. Meraviglioso.
Imparagonabile è il secondo episodio, assurdo e canzonatorio, dove un povero impiegato si trova a essere inconsapevole causa di un disastro incredibile: preoccupante analisi di un disastro solo immaginario ma possibile, dove l'inefficienza dei dirigenti di una ditta farmaceutica, i segreti tenuti tali, l'intervento dell'esercito, tutto trama per fermare una forza naturale (anzi, artificiale) distruttiva oltre ogni immaginazione. Il tutto per consegnare un plico di "memorie" a chi quei documenti li avrebbe sfruttati a crisi cessata.
Il terzo episodio è un altro capolavoro di possibilità umane: un futuro in cui il mondo è in perenne guerra, dove i bambini studiano come sparare con il cannone, ma soprattutto come meglio colpire il nemico. Città iper-armate, mobili, subiscono danni e perdite. Eppure non si vedono, si spara eseguendo ordini, e si producono altri proiettili per sparare ancora: a chi, non si sa; perché, non si sa. Si è in guerra, si spara per proteggere una patria senza terra, un mondo senza piante, dove il piccolo protagonista è un membro integrato e integrante della società. Si spara dalle 9 alle 17, poi si stacca, si torna a casa, dalla famiglia sicura grazie al fuoco amico. E nella memoria solo i colpi di cannone.
"Memories" è davvero un film interessante e ben fatto, non tutto degno di quello che è, e resta il mio pezzo preferito, il primo episodio, ma è decisamente gradevole, sicuramente degno d'essere visto e vissuto fino in fondo.
Il primo episodio si aggrappa all'anima, ambientato in uno spazio profondo dove quattro astronauti addetti al recupero di rifiuti spaziali rispondono a un SOS. Il cimitero di navi che trovano dove sono diretti non li spaventa, lasciandoli proseguire nella loro ricerca... di cosa? Dei ricordi, di quelle memorie che si sono depositate in questo posto sperduto nello spazio. Sarà la loro una scoperta dei loro ricordi, di ciò che hanno lasciato, il tutto in un crescendo di azioni e fotogrammi, il tutto immerso in questo spazio infinito e silenzioso che emerge anche negli spazi più angusti di quella strana stazione che ha inviato l'SOS. Il finale è quasi "kubrickiano", da "2001: Odissea nello Spazio": una perla, un capolavoro che lascia senza parole. Meraviglioso.
Imparagonabile è il secondo episodio, assurdo e canzonatorio, dove un povero impiegato si trova a essere inconsapevole causa di un disastro incredibile: preoccupante analisi di un disastro solo immaginario ma possibile, dove l'inefficienza dei dirigenti di una ditta farmaceutica, i segreti tenuti tali, l'intervento dell'esercito, tutto trama per fermare una forza naturale (anzi, artificiale) distruttiva oltre ogni immaginazione. Il tutto per consegnare un plico di "memorie" a chi quei documenti li avrebbe sfruttati a crisi cessata.
Il terzo episodio è un altro capolavoro di possibilità umane: un futuro in cui il mondo è in perenne guerra, dove i bambini studiano come sparare con il cannone, ma soprattutto come meglio colpire il nemico. Città iper-armate, mobili, subiscono danni e perdite. Eppure non si vedono, si spara eseguendo ordini, e si producono altri proiettili per sparare ancora: a chi, non si sa; perché, non si sa. Si è in guerra, si spara per proteggere una patria senza terra, un mondo senza piante, dove il piccolo protagonista è un membro integrato e integrante della società. Si spara dalle 9 alle 17, poi si stacca, si torna a casa, dalla famiglia sicura grazie al fuoco amico. E nella memoria solo i colpi di cannone.
"Memories" è davvero un film interessante e ben fatto, non tutto degno di quello che è, e resta il mio pezzo preferito, il primo episodio, ma è decisamente gradevole, sicuramente degno d'essere visto e vissuto fino in fondo.
Millennium Actress
7.0/10
“Stupore e tremori”: con questa espressione i Giapponesi dettano la condotta che deve adottare il comune mortale quando gli viene concesso l'onore di ritrovarsi al cospetto dell'Imperatore, in segno di rispetto nei confronti della sua persona. È più o meno con questo spirito che ho deciso di avvicinarmi alle opere del compianto Satoshi Kon, iniziando, appunto, da questo titolo.
Difficile dire cosa sia andato storto, fatto sta che ho come avuto l'impressione che la scintilla sia scoccata senza però giungere a destinazione. Non mi resta che provare a estirpare dalla mia bocca il tipico sapore amarognolo dell'occasione perduta, cosa non facile ma che mi sento in dovere di fare in nome di tutto il buono che anche un palato ancora grezzo come il mio ha saputo individuare in quest'opera. “<i>E vorrei anche vedere!</i>”, potrebbe a questo punto soggiungere qualche estimatore di Kon, colto nell'atto di scrostare la terra umidiccia dalla lama della sua ascia di guerra.
Ciò detto, tuttavia, affermare che <i>Millennium Actress</i> non mi sia piaciuto sarebbe inesatto: direi piuttosto che non mi è piaciuto nel modo in cui mi aspettavo che mi sarebbe piaciuto - che è molto diverso. Ma procediamo con ordine.
Per festeggiare il settantesimo anniversario della fondazione dello studio cinematografico presso il quale lavora, Genya Tachibana decide di realizzare un documentario su Chiyoko Fujiwara, attrice fra le più brillanti del cinema nipponico del dopoguerra. Da trent'anni la donna conduce una vita da reclusa nell'eremo dove ha deciso di trascorrere il resto dei suoi giorni dopo l'addio ai riflettori, avvenuto quando era ancora all'apice della carriera; ciononostante il mito della sua bellezza e bravura è ben lungi dallo sfiorire, soprattutto nel cuore di Genya, che la venera fin dai tempi del suo apprendistato nell'illustre casa di produzione. Oltretutto ha qualcosa da consegnarle, ossia una vecchia chiave a cui non immagina neppure quanto la vecchia diva sia legata. Il suo legittimo proprietario è un giovane pittore che Chiyoko, all'epoca ancora una ragazzina, aveva aiutato a sfuggire alla repressione di matrice fascista che caratterizzò i primissimi anni del periodo Shōwa (1926-1989); non potendo tenerla con sé, il ragazzo l'aveva incaricata di custodirla fino al loro incontro successivo, impegno a cui la giovane, follemente innamorata di lui, tenne fede fino a quando la chiave andò perduta. La sua decisione di diventare attrice è da imputarsi proprio alla speranza che lui la vedesse sullo schermo e, riconoscendola, provasse a mettersi in contatto con lei, cosa che non accadde mai. Adesso la donna è pronta ad affrontare quella parte del suo passato che aveva deciso di dimenticare, aprendo completamente il proprio cuore a un sempre più commosso Genya.
Sarò sincera: ho sempre nutrito un'istintiva insofferenza verso questo genere di storie e nei confronti dei <i>memoir</i> generale. Questo, tuttavia, non significa che sia solita precludermi la visione o la lettura di determinate opere soltanto per questo motivo: credo di avere già oltrepassato l'età in cui potevo ancora permettermi di giudicare un libro dalla sua copertina senza passare per una persona superficiale. Nella fattispecie negarmi la visione di un film di Kon -il mio <i>primo</i> Kon- per una simile sciocchezza mi sembrava doppiamente delittuoso. Il risultato? Un arrosto senza arte né parte, circondato da fitte ed elaborate volute di fumo, certamente molto belle a vedersi, ma non altrettanto nutrienti. E di questo mi dispiaccio profondamente, perché il comparto tecnico è davvero di tutto rispetto: grazie alla perizia di Kon, infatti, lo spettatore si ritrova ben presto coinvolto assieme a Genya e a Kyōji, il suo collaboratore, nel turbine dei ricordi della Chiyoko, un caleidoscopio di fatti ed emozioni in cui realtà e finzione si confondono di continuo grazie alla prepotenza del sentimento da lei provato per il giovane rivoluzionario. Ogni cosa, nei film che si ritrova a interpretare nel corso della sua carriera, le parla di quell'amore disgraziato che le ha cambiato la vita.
Attraverso le eroine e cui Chiyoko presta corpo, cuore e voce, la vediamo trascendere i confini del tempo e dello spazio in una corsa disperata contro il fato inclemente, una corsa di cui forse, in cuor suo, conosce già l'esito. Ciononostante Chiyoko fa di tutto per rimanere fedele a se stessa e all'amato, proprio come Genya rimane fedele al sentimento che prova per lei e che troverà nell'onirica ricostruzione degli eventi salienti della vita della donna un terreno assai fertile. Non importa in che epoca e in quali vesti, lui sarà sempre lì a immolarsi per permetterle di sopravvivere e di continuare a rincorrere il suo sogno.
Per il personaggio di Chiyoko il regista si è ispirato a due grandi attrici giapponesi, Setstuko Hara e Hideko Takamine. La prima, nata con il nome di Masae Aida e soprannominata “La vergine eterna”, fu attiva dal 1935 al 1963, anno in cui si ritirò improvvisamente senza mai più concedere un'intervista o una fotografia; la seconda debuttò nel 1929 a soli cinque anni e concluse la sua carriera esattamente cinquant'anni dopo, lasciando i riflettori per dedicarsi alla scrittura di saggi molto apprezzati per la loro arguzia.
Cosa posso dire? Probabilmente mi aspettavo più cinema e meno sogni, un lungometraggio in cui forma e sostanza fossero più bilanciati. In particolare mi ha delusa la profonda staticità di Chiyoko, la cui corsa verso il suo sogno d'amore mi è sembrata più una successione di timidi salti sul posto che altro. In questo Genya le fa compagnia per buona parte del film, per poi riuscire a trovare la forza di spiccare un balzo tale da permettergli di raggiungere in maniera concreta l'oggetto della sua incrollabile ammirazione. Inutile dire che a farne le spese è la trama, a parer mio scandalosamente inconsistente per un prodotto così ricco di potenziale.
Per questi motivi il mio voto è un 7 sofferto, con la speranza di un lieto fine per i miei prossimi “incontri ravvicinati” con un maestro che, al di là di questa cocente delusione, ho ancora ragione di ritenere più che degno di stupore e tremori.
Difficile dire cosa sia andato storto, fatto sta che ho come avuto l'impressione che la scintilla sia scoccata senza però giungere a destinazione. Non mi resta che provare a estirpare dalla mia bocca il tipico sapore amarognolo dell'occasione perduta, cosa non facile ma che mi sento in dovere di fare in nome di tutto il buono che anche un palato ancora grezzo come il mio ha saputo individuare in quest'opera. “<i>E vorrei anche vedere!</i>”, potrebbe a questo punto soggiungere qualche estimatore di Kon, colto nell'atto di scrostare la terra umidiccia dalla lama della sua ascia di guerra.
Ciò detto, tuttavia, affermare che <i>Millennium Actress</i> non mi sia piaciuto sarebbe inesatto: direi piuttosto che non mi è piaciuto nel modo in cui mi aspettavo che mi sarebbe piaciuto - che è molto diverso. Ma procediamo con ordine.
Per festeggiare il settantesimo anniversario della fondazione dello studio cinematografico presso il quale lavora, Genya Tachibana decide di realizzare un documentario su Chiyoko Fujiwara, attrice fra le più brillanti del cinema nipponico del dopoguerra. Da trent'anni la donna conduce una vita da reclusa nell'eremo dove ha deciso di trascorrere il resto dei suoi giorni dopo l'addio ai riflettori, avvenuto quando era ancora all'apice della carriera; ciononostante il mito della sua bellezza e bravura è ben lungi dallo sfiorire, soprattutto nel cuore di Genya, che la venera fin dai tempi del suo apprendistato nell'illustre casa di produzione. Oltretutto ha qualcosa da consegnarle, ossia una vecchia chiave a cui non immagina neppure quanto la vecchia diva sia legata. Il suo legittimo proprietario è un giovane pittore che Chiyoko, all'epoca ancora una ragazzina, aveva aiutato a sfuggire alla repressione di matrice fascista che caratterizzò i primissimi anni del periodo Shōwa (1926-1989); non potendo tenerla con sé, il ragazzo l'aveva incaricata di custodirla fino al loro incontro successivo, impegno a cui la giovane, follemente innamorata di lui, tenne fede fino a quando la chiave andò perduta. La sua decisione di diventare attrice è da imputarsi proprio alla speranza che lui la vedesse sullo schermo e, riconoscendola, provasse a mettersi in contatto con lei, cosa che non accadde mai. Adesso la donna è pronta ad affrontare quella parte del suo passato che aveva deciso di dimenticare, aprendo completamente il proprio cuore a un sempre più commosso Genya.
Sarò sincera: ho sempre nutrito un'istintiva insofferenza verso questo genere di storie e nei confronti dei <i>memoir</i> generale. Questo, tuttavia, non significa che sia solita precludermi la visione o la lettura di determinate opere soltanto per questo motivo: credo di avere già oltrepassato l'età in cui potevo ancora permettermi di giudicare un libro dalla sua copertina senza passare per una persona superficiale. Nella fattispecie negarmi la visione di un film di Kon -il mio <i>primo</i> Kon- per una simile sciocchezza mi sembrava doppiamente delittuoso. Il risultato? Un arrosto senza arte né parte, circondato da fitte ed elaborate volute di fumo, certamente molto belle a vedersi, ma non altrettanto nutrienti. E di questo mi dispiaccio profondamente, perché il comparto tecnico è davvero di tutto rispetto: grazie alla perizia di Kon, infatti, lo spettatore si ritrova ben presto coinvolto assieme a Genya e a Kyōji, il suo collaboratore, nel turbine dei ricordi della Chiyoko, un caleidoscopio di fatti ed emozioni in cui realtà e finzione si confondono di continuo grazie alla prepotenza del sentimento da lei provato per il giovane rivoluzionario. Ogni cosa, nei film che si ritrova a interpretare nel corso della sua carriera, le parla di quell'amore disgraziato che le ha cambiato la vita.
Attraverso le eroine e cui Chiyoko presta corpo, cuore e voce, la vediamo trascendere i confini del tempo e dello spazio in una corsa disperata contro il fato inclemente, una corsa di cui forse, in cuor suo, conosce già l'esito. Ciononostante Chiyoko fa di tutto per rimanere fedele a se stessa e all'amato, proprio come Genya rimane fedele al sentimento che prova per lei e che troverà nell'onirica ricostruzione degli eventi salienti della vita della donna un terreno assai fertile. Non importa in che epoca e in quali vesti, lui sarà sempre lì a immolarsi per permetterle di sopravvivere e di continuare a rincorrere il suo sogno.
Per il personaggio di Chiyoko il regista si è ispirato a due grandi attrici giapponesi, Setstuko Hara e Hideko Takamine. La prima, nata con il nome di Masae Aida e soprannominata “La vergine eterna”, fu attiva dal 1935 al 1963, anno in cui si ritirò improvvisamente senza mai più concedere un'intervista o una fotografia; la seconda debuttò nel 1929 a soli cinque anni e concluse la sua carriera esattamente cinquant'anni dopo, lasciando i riflettori per dedicarsi alla scrittura di saggi molto apprezzati per la loro arguzia.
Cosa posso dire? Probabilmente mi aspettavo più cinema e meno sogni, un lungometraggio in cui forma e sostanza fossero più bilanciati. In particolare mi ha delusa la profonda staticità di Chiyoko, la cui corsa verso il suo sogno d'amore mi è sembrata più una successione di timidi salti sul posto che altro. In questo Genya le fa compagnia per buona parte del film, per poi riuscire a trovare la forza di spiccare un balzo tale da permettergli di raggiungere in maniera concreta l'oggetto della sua incrollabile ammirazione. Inutile dire che a farne le spese è la trama, a parer mio scandalosamente inconsistente per un prodotto così ricco di potenziale.
Per questi motivi il mio voto è un 7 sofferto, con la speranza di un lieto fine per i miei prossimi “incontri ravvicinati” con un maestro che, al di là di questa cocente delusione, ho ancora ragione di ritenere più che degno di stupore e tremori.
Mononoke pensavo fosse in qualche modo relato alla principessa Mononoke (che devo comunque vedere) ma ha uno stile di disegno che non piace per nulla, l'ultimo non mi interessa, mentre Memories è un po' che voglio vedermelo.
Complimenti ai recensori !! ^^
Non posso dire che non mi sia piaciuto nel senso stretto del termine, ma per intenderci non è un film che consiglierei.
E' un peccato che non potremo più vedere film di Satoshi Kon...
In ogni caso approfitto dell'occasione per aumentare la mia lista di cose da vedereXD
Non potrei essere più in disaccordo
Con Memories invece sono abbastanza riluttante, data una mia certa antipatia per le opere in cui è coinvolto Otomo, anche se ultimamente il mio interesse per tale titolo è aumentato e conto di dargli una possibilità prima o poi.
Millennium Actress, infine, è un film al quale dovrò dedicare una seconda visione in modo da testare le (positive) impressioni della prima volta.
I primi due, appartenenti al genere sperimentale, non m'interessano molto. Il primo in particolare ha un impatto grafico davvero brutto.
Millenium Actress l'ho aggiunto alle opere da visionare.
Nella parte 3 però, ovvero "Cannon fodder" l'utente qui in questione ha parlato un pò troppo per i miei gusti (un pò spoileroso)...per chi ancora non ha visto questo film..poi non sò ditemi voi
Idem per Millennium actress (che però non è così sconosciuto), con cui non concordo però sulla recensione, perchè ho trovato tutte quelle particolari scelte di Kon azzeccatissime.
Memories da vedere.
Come ti capisco, Ais! Personalmente oltre ai memoir sono insofferente anche alle opere oniriche, visionarie e pretenziose, motivo per cui ho sempre evitato Kon (da quanto ho letto infatti l'ho classificato come quel tipo di regista). Ho visto Memories ma non sapevo che uno dei registi fosse Kon, l'ho scoperto solo a posteriori; comunque l'episodio a cui lui ha collaborato e' stato quello che mi e' piaciuto di meno, mentre ho trovato geniale Stink Bomb, il secondo episodio, quello grottesco in stile Urasawa, che e' stato un po' preso sottogamba dal recensore. Ho comunque intenzione di vedere Tokyo Godfathers, un po' perche' siamo sotto Natale e perche' sperabilmente dovrebbe essere un'opera piu' tradizionale. Millennium Actress mi interessava, pensavo fosse qualcosa sul genere di Sunset Boulevard (film stupendo) ma se e' come scrivi tu credo che aspettera'.
Mononoke non lo conosco, aspettera' anche lui.
Millenium Actress non l'ho visto ma se c'è la firma di Satoshi Kon è quasi una garanzia.
Comunque ogni tanto mi viene in mente di rivedermi memories per intero,e non lo faccio mai. Che sia la volta buona?
Memories lo considero il miglior film di Otomo, da non perdere. A proposito avrei una precisazione per micheles: Kon partecipa come sceneggiatore non come regista.
La critica di Millennium actress è ben scritta ma sono totalmente in disaccordo sul suo contenuto e sul voto finale, che merita molto di più...
sempre per micheles, io l'ho trovato molto simile, se non un vero e proprio omaggio a "Viale del tramonto" (Sunset boulrvard) di Billy Wilder.
E' un film in cui si respira cinema a pieni polmoni dal primo all'ultimo fotogramma. E' colto, raffinato, e incredibilmente originale nella sua struttura e nella sceneggiatura, tutt'altro che un arrosto senza arte né parte. Avercene ancora di film così...
In ogni caso complimenti a tutti gli autori per la pubblicazione in rubrica!
Questo lo sapevo, ho visto anche l'intervista agli autori allegata al DVD. Tra l'altro l'intervista specificava che le sequenze illusorie/oniriche con la storia familiare dell'astronauta e della bambina sono proprio opera di Kon e non erano presenti nel manga originale.
sempre per micheles, io l'ho trovato molto simile, se non un vero e proprio omaggio a "Viale del tramonto" (Sunset boulrvard) di Billy Wilder.
Ah, questo e' interessante, a leggere la recensione di Ais non sembrava affatto.
Su Mononoke posso davvero dire che è una perla rara per palati più esigenti e per chi vuole provare qualcosa di molto originale e di elevato pregio artistico. Diciamo anche per i più "estrosi".^^
Trovo che queste tre opere siano maggiormente aprezzabili da un pubblico più maturo. I ragazzi più giovani potrebbero trovarle meno appetibili, ma non è detto.
Personalmente di Kon ho visto questo e Perfect blue e, sinceramente, ho preferito il secondo pur apprezzando molto anche il primo; di conseguenza sono d'accordo con molte delle critiche fatte e non credo che il buon Kon si rivolterà nella tomba per questo.
Mononoke è molto particolare, sia a livello grafico che narrativo. Proprio per questo gli dedicherò un'occhiata, per poi giudicare personalmente. Invece, Memories l'ho già sentito nominare diverse volte, ma non ha mai saputo attrarmi a tal punto da intraprenderne la visione. Infine, posso dire di essere stato incuriosito dalla fantastica recensione di Millennium Actress, al quale presterò attenzione. Vedrò di recuperarlo a breve e di visionarlo. Complimenti ai recensori!
Per quel che mi riguarda, Millenium Actress rimane il mio film preferito nell'ambito della filmografia di Satoshi Kon. Ho amato lo svolgersi della trama e il tema di fondo: la continua rincorsa dell'Amore perduto da parte di Chiyoko, ben rappresentata dall'alternarsi di realtà e finzione cinematografica (che fa attrevarsare a Chiyoko lo spazio, compreso quello interstellare, e il tempo) così come la fedeltà di Genya, al fianco di Chiyoko da sempre, benchè lei non se ne rendesse conto proprio perchè tesa verso il suo amore impossibile (con tanto di disincanto e disillusione finale). La frase finale di Chiyoko mi ha fatto letteralmente piangere, il senso del film è tutto lì, una frase che svela un intero mondo. Ogni volta che rivedo l'ultima scena, ho i brividi. E dopo quella frase meravigliosa, ecco partire "Rotation", di Susumu Hirasawa (adoro le sue musiche). Chapeau.
Mi dispiace che Satoshi Kon non ci sia più, avrebbe dato ancora tanto all'animazione giapponese.
Sono molto curiosa di giardare "Memories". Grazie, Micerino, non conoscevo questa produzione, e sembra che sia del mio genere, visto che amo le atmosfere un pò surreali, a tratti oniriche, con magari qualche spunto psicologico: sicuramente più riflessione che azione.
Non mi attira invece per niente "Mononoke".
Date le ottime recensioni penso che però darò un'occhiata a tutto
Ben inteso che neanch'io ho mai condiviso la santificazione post mortem, ciò non toglie che il buon gusto imporrebbe di lim(it)are certe esternazioni. A maggior ragione quando sono così affrettate e azzardate. Tant'è che l'analisi della recensione è tutt'altro che inappuntabile ed esente da (madornali) errori. E non sono né il primo né l'unico a ravvisarlo.
sono insofferente anche alle opere oniriche, visionarie e pretenziose, motivo per cui ho sempre evitato Kon
Non discuto sui tuoi gusti personali, ma definire le opere di Kon "pretenziose" è ingeneroso nei confronti di un talento obiettivamente riconoscibile. Un conto è che Kon non ti piace, un conto è definirlo "pretenzioso" - su che basi poi?
PS: "Tokyo Godfathers" sembra più tradizionale; in realtà il genio di Kon è talmente sottile da non essere afferrato immediatamente.
Ottimo Memories.... e capolavoro senza se e senza ma il film di Kon.
definire le opere di Kon "pretenziose" è ingeneroso nei confronti di un talento obiettivamente riconoscibile. Un conto è che Kon non ti piace, un conto è definirlo "pretenzioso" - su che basi poi?
Ma se leggi bene non ho scritto che Kon e' pretenzione: ho scritto
da quanto ho letto l'ho classificato come quel tipo di regista.Si tratta quindi di un pregiudizio riconosciuto. L'unica opera a cui ha partecipato Kon che ho visto e' stato Memories, un po' poco per giudicare l'autore: tuttavia non ha scosso il mio pregiudizio perche' proprio quell'episodio mi e' parso il piu' pretenzioso, specialmente le parti che sono originali di Kon e non presenti nel manga di Otomo (a quanto diceva l'intervista allegata al DVD). Mi riservo di cambiare idea dopo aver visto altre sue opere; pero' il fatto che Kon piaccia a chi apprezza Oshii (che io NON amo) e' un altro punto a suo sfavore. Comunque Tokyo Godfathers lo vedro' a breve e giudichero'. Anche Millennium Actress e' tornato sul mio radar dopo quanto ha detto Bob.
P.S. i registi che io amo sono quelli della vecchia scuola come Takahata, Dezaki, Miyazaki, Tomino, ben diversi da autori come Oshii, Kon e Anno. Otomo mi piace di piu' come mangaka che come regista. Come regista a volte eccede con le smanie di gigantismo e la pretesa di stupire a tutti i costi con effetti speciali; penso soprattutto a Steam Boy, ma questa tendenza e' evidente anche in Memories e Akira, che comunque sono buoni film, a differenza di quella ciofeca di Steam Boy.
Onestamente non vedo il legame tra questi 3 - specialmente Anno. Kon è molto diverso da Oshii, meno estremo e quindi anche più facilmente fruibile ad una visione "leggera" o "superficiale". Non a caso quando qualcuno mi chiede di consigliargli un anime, quasi sempre vado con Kon, perchè ritengo che i suoi film possano piacere a tutti (mentre Oshii sono più cauto nel consigliarlo).
Poi comunque trovo alquanto insensato mettersi a paragone registi di animazione seriale e cinematografica, son due mondi completamente diversi.
Si parlava di opere oniriche, visionarie e pretenziose. Poi magari Kon non e' pretenzioso, onorico e visionario, ma ho avuto questa impressione da quello che ho letto e da quello che ho visto in Memories. Se poi mi sbaglio amen, non sarebbe la prima volta.
Uno dei motivi per cui spesso Oshii e Kon vengono accostati secondo me è da ricercarsi proprio in riferimento al cinema d'autore in senso stretto, più che all'animazione in senso lato.
Invidio non poco micheles che si è riservato il piacere di scoprire i film di Kon per la prima volta. Spero di leggere presto una sua recensione a proposito.
Non e' che sia impossibile, pero' storicamente io e il cinema d'autore non siamo mai andati d'accordo. Questo a meno che l'autore non abbia il senso dell'umorismo e del grottesco. Per esempio Bunuel mi piace molto.
"sempre per micheles, io l'ho trovato molto simile, se non un vero e proprio omaggio a "Viale del tramonto" (Sunset boulrvard) di Billy Wilder.
Ah, questo e' interessante, a leggere la recensione di Ais non sembrava affatto."
A leggere la recensione di ais quin Millennium Actress tutto sembra fuorchè Millennium Actress.
x ais quin
Se non gradisci un'Opera scrivi "non mi piace", non c'è bisogno di insultarla.
Sei tu che hai chiamato Millennium Actress "un arrosto senza arte ne' parte". Non credo di insultare te se sottolineo che quella definizione è un insulto al film.
E' pesantuccia come metafora. E pesante resta anche se la spieghi. Dovevi calibrarla meglio, le parole hanno il loro peso. Non è che mi fa più comodo leggere la cosa così, nulla me ne torna.
La recensione di ais l'avevo già letta e avevo già discusso con lei in merito XD Non mi metterò a scrivere panegirici qui
@F.W.N
Sono d'accordo con la tua asserzione circa il fatto che il film debba prendersi come metafora, ma il significato che io le attribuirei non è quello da te espresso ma un'altro leggermente diverso. La vita di Chiyoko essenzialmente richiama metaforicamente la vita di tutti gli uomini: una continua corsa in cui si insegue qualcosa di effimero che, in ultima analisi, si rivela irraggiungibile ma che non si può fare a meno di continuare cercare. ^^
Per mononoke: vi consiglio vivamente di vederlo, almeno uno degli archi autoconclusivi per fervi un'idea. Non fatevi scoraggiare dall'aspetto grafico, che di primo acchito potrebbe far storcere il naso.
Memories lo vidi anni fa e mi piacque tanto, ma sarei curioso di verificare quali sensazioni possa suscitarmi con una rispolverata odierna.
Millennium Actress è stata invece una mazzata emotiva che mi ha tramortito. Mi spiace che non sia stato lo stesso per Ais Quin, la quale però ha comunque motivato a dovere i suoi dubbi. Infatti non capisco il senso di tutto questo polverone, nemmeno gli avesse messo un 5. Il suo voto è comunque molto dignitoso, considerando cosa (non) le ha lasciato l'opera in questione.
Complimenti a tutti i recensori. Continuate così!
Quel qualcosa che si insegue e' anche piu' importante della corsa. La protagonista sa che insegue il suo sogno d'amore e non l'amato, non c'e' tensione all'effimero ma all'astratto. E questo proprio perche' il succo di tutto e' la motivazione dietro all'inseguimento, ossia il senso della vita.
Interpretazione interessante e condivisibile, io lo avevo inteso, in riferimento al senso della vita, come quella cosa che si rincorre sempre ma non si può sperare di raggiungere, ma mi piace molto anche la tua versione^^
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