Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
In occasione dell'imminente trasmissione al cinema di Akira, ci dedichiamo ad opere di natura fantascientifica: Akira, 009-1 e Paprika.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
In occasione dell'imminente trasmissione al cinema di Akira, ci dedichiamo ad opere di natura fantascientifica: Akira, 009-1 e Paprika.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Akira
10.0/10
L'alba della nuova animazione
Scritto e diretto da Katsuhiro Otomo, autore e disegnatore dell'omonimo manga, questo lungometraggio del 1988 ha il grande merito di avere diffuso il linguaggio degli anime nei circuiti cinematografici oltre la frontiera nipponica e di averlo portato a un livello di fruizione più maturo e adulto. Per la prima volta in un film di animazione i personaggi usano uno slang crudo e volgare e si assiste a brutali scene di ordinaria violenza enfatizzata dal realismo del linguaggio registico.
Ambientato in un futuro post apocalittico nella megalopoli di Neo-Tokyo in preda al caos, dove bande di giovani motociclisti si sfidano tra le sconfinate periferie suburbane in corse e lotte all'ultimo sangue, il film sprigiona un clima rude e selvaggio e sembra ispirarsi agli scenari cupi e decadenti di pellicole come 'Fuga da New York', 'Mad Max' e 'I guerrieri della notte'.
Nell'adattamento alla sceneggiatura viene sacrificato non poco della trama del manga sull'altare della sala di proiezione. D'altro canto il ritmo della narrazione fila liscio senza intoppi con un frenetico crescendo delle scene d'azione fino al parossistico e allucinante gran finale.
La regia si allontana dal linguaggio tipico degli anime che fino ad allora si serviva quasi esclusivamente di scorrimenti, zoomate e inquadrature fisse, per un approccio più alla occidentale e una regia più "naturale" che avvicina 'Akira' ai film live per l'uso della fotografia e per i movimenti di camera.
Per quanto riguarda la realizzazione tecnico/artistica è da attribuire a questo film l'introduzione della CGI (seppure si tratta dei primi rudimenti) sovrapposta alle animazioni e del pre-recording, la tecnica che prevede le sedute di doppiaggio prima della realizzazione dei disegni definitivi, in modo da adattare perfettamente il labiale dei personaggi animati. Pionieristica anche la scelta di riunire in comitato i maggiori marchi a livello di produzione.
La straripante e sontuosa colonna sonora di Shoji Yamashiro, eseguita dall'ensemble Geinoh Yamashiro Gumi, è un trionfo di contaminazione e sperimentazione e merita un discorso a parte: si va da composizioni dominanti di ritmiche tribali a minimaliste e oniriche gemme strumentali fino a solenni eruzioni vocali, autentici mantra che perlustrano le possibilità della voce come strumento e aumentano il senso d'immersione nell'atmosfera del film. La ricerca è imperniata su un suggestivo coacèrvo di stili folklorici da varie parti del mondo e successivamente integrate con l'elettronica. Questa commistione di tradizione e modernità amplifica le visioni messianiche di Otomo.
Potente e visionario, innovativo e originale, 'Akira' rappresenta una pietra miliare, un punto di riferimento per i cineasti di fantascienza degli anni a venire, un film epocale che fissa diversi capisaldi nel cinema di animazione.
Scritto e diretto da Katsuhiro Otomo, autore e disegnatore dell'omonimo manga, questo lungometraggio del 1988 ha il grande merito di avere diffuso il linguaggio degli anime nei circuiti cinematografici oltre la frontiera nipponica e di averlo portato a un livello di fruizione più maturo e adulto. Per la prima volta in un film di animazione i personaggi usano uno slang crudo e volgare e si assiste a brutali scene di ordinaria violenza enfatizzata dal realismo del linguaggio registico.
Ambientato in un futuro post apocalittico nella megalopoli di Neo-Tokyo in preda al caos, dove bande di giovani motociclisti si sfidano tra le sconfinate periferie suburbane in corse e lotte all'ultimo sangue, il film sprigiona un clima rude e selvaggio e sembra ispirarsi agli scenari cupi e decadenti di pellicole come 'Fuga da New York', 'Mad Max' e 'I guerrieri della notte'.
Nell'adattamento alla sceneggiatura viene sacrificato non poco della trama del manga sull'altare della sala di proiezione. D'altro canto il ritmo della narrazione fila liscio senza intoppi con un frenetico crescendo delle scene d'azione fino al parossistico e allucinante gran finale.
La regia si allontana dal linguaggio tipico degli anime che fino ad allora si serviva quasi esclusivamente di scorrimenti, zoomate e inquadrature fisse, per un approccio più alla occidentale e una regia più "naturale" che avvicina 'Akira' ai film live per l'uso della fotografia e per i movimenti di camera.
Per quanto riguarda la realizzazione tecnico/artistica è da attribuire a questo film l'introduzione della CGI (seppure si tratta dei primi rudimenti) sovrapposta alle animazioni e del pre-recording, la tecnica che prevede le sedute di doppiaggio prima della realizzazione dei disegni definitivi, in modo da adattare perfettamente il labiale dei personaggi animati. Pionieristica anche la scelta di riunire in comitato i maggiori marchi a livello di produzione.
La straripante e sontuosa colonna sonora di Shoji Yamashiro, eseguita dall'ensemble Geinoh Yamashiro Gumi, è un trionfo di contaminazione e sperimentazione e merita un discorso a parte: si va da composizioni dominanti di ritmiche tribali a minimaliste e oniriche gemme strumentali fino a solenni eruzioni vocali, autentici mantra che perlustrano le possibilità della voce come strumento e aumentano il senso d'immersione nell'atmosfera del film. La ricerca è imperniata su un suggestivo coacèrvo di stili folklorici da varie parti del mondo e successivamente integrate con l'elettronica. Questa commistione di tradizione e modernità amplifica le visioni messianiche di Otomo.
Potente e visionario, innovativo e originale, 'Akira' rappresenta una pietra miliare, un punto di riferimento per i cineasti di fantascienza degli anni a venire, un film epocale che fissa diversi capisaldi nel cinema di animazione.
Zero Zero Nine One
8.0/10
Se desiderate ardentemente vedere un anime di spionaggio e l'unico titolo che conoscete è "Najica Blitz Tactics", vi prego, non c'è bisogno di darsi fuoco. C'è una luce in fondo al tunnel e questa luce è l'anime che sto per recensire.
"009-1" è una miniserie di dodici episodi tratta da un manga degli anni sessanta di Shotaro Ishinomori, uno dei mostri sacri del fumetto giapponese e autore di innumerevoli storie, tra cui si annovera il suo capolavoro "Cyborg 009". Nonostante la presenza dello stesso numero nel titolo, "009-1" non ha nulla a che fare con il capolavoro di Ishinomori. Quest'anime del 2006 infatti narra le vicende di Mylene Hoffmann, un'agente segreto che opera in un mondo che nella serie si immagina ancora diviso in due blocchi, il Blocco Est e il Blocco Ovest. Orfana di due esuli in fuga da oriente, diventerà da adulta una spia al servizio della libertà del Blocco Ovest.
Nonostante i continui riferimenti alla Guerra Fredda (tema attualissimo ai tempi della realizzazione del manga), non ci si deve certo aspettare lo stesso trasporto emotivo a favore del Blocco Ovest che si è sempre visto nei film di azione o spionaggio americani. L'anime infatti mette bene in luce, tramite un'ottima scrittura degli episodi, la grande innovazione narrativa che i primi autori di manga, come Osamu Tezuka e per l'appunto Ishinomori, apportarono al mondo dei fumetti: l'assenza di nette distinzioni tra buoni e cattivi. Nel mondo di "009-1" infatti i due blocchi non vengono rappresentati per ciò che anelano essere, ovvero da una parte la bandiera della libertà e dall'altra il paradiso in Terra della giustizia sociale, ma per quello che sono nella cruda realtà delle cose: due contendenti in lotta per l'annientamento reciproco. La stessa protagonista inoltre non fa trapelare mai alcun attaccamento a nessun tipo di ideale. È una spia fredda e calcolatrice e, come spesso ricorda al nemico di turno che sconfigge, lei ogni volta vince perché è sempre la meno sentimentale tra i due.
Questo disincanto di fondo della serie ben si sposa con le ben congegnate trame dei dodici episodi, i quali sanno offrire allo spettatore tutti i cliché narrativi del genere spionistico, come azione, intrighi, sesso e tecnologie fuori da ogni grazia di Dio (la stessa "009-1" ha in dotazione una mitragliatrice... nel seno!).
Dal punto di vista tecnico, sono rimasta molto piacevolmente colpita dalla sofisticatezza con cui è stato realizzato quest'anime. Essendo tratto da un manga di più di quarant'anni fa, l'ottima idea dei realizzatori è stata quella d'immergere completamente la serie in un'atmosfera a dir poco vintage che richiamasse in ogni dettaglio i canoni estetici di quell'epoca. Ad esempio il character design non è stato stravolto a favore del gusto degli anno zero, ma è stato riproposto il tratto originale di Ishinomori, accentuandone le peculiarità e limando invece quei tratti che avrebbero fatto storcere il naso allo spettatore di quest'epoca. Il risultato sono personaggi dall'aspetto assolutamente rétro ma estremamente godibili a vedersi. Senza poi contare il design delle automobili, degli abiti dei protagonisti e la colonna sonora tutta che sono una miniera di rimandi all'epoca del boom economico. C'è persino una puntata ambientata a Roma, e gran parte della storia si sviluppa guarda caso davanti alla Fontana di Trevi, il luogo simbolo della Dolce Vita.
È un peccato dunque che i realizzatori non abbiano avuto maggiori ambizioni riguardo a questo interessante personaggio. Solo dodici episodi innanzitutto lasciano veramente con l'amaro in bocca vista la qualità del tutto. Inoltre un'altra pecca a mio avviso è la completa assenza di una linea gialla narrativa che leghi gli episodi tra di loro. Infatti, a parte alcuni dettagli legati tra loro all'interno dei vari episodi, tutti gli altri sono rigorosamente stand alone, e anche se scritti eccellentemente, non soddisfano certo la voglia nello spettatore di saperne di più sul passato e sulla figura di 009-1, o sulla situazione politica in cui si trova a vivere. Ovviamente c'è un episodio dedicato alla vita di Mylene, ma sembra stato messo giusto per dare un contentino visto che è piazzato a metà serie letteralmente con lo sputo.
Comunque sia è un'ottima serie che consiglio caldamente a chiunque ami l'animazione di qualità o non conosca Shotaro Ishinomori.
"009-1" è una miniserie di dodici episodi tratta da un manga degli anni sessanta di Shotaro Ishinomori, uno dei mostri sacri del fumetto giapponese e autore di innumerevoli storie, tra cui si annovera il suo capolavoro "Cyborg 009". Nonostante la presenza dello stesso numero nel titolo, "009-1" non ha nulla a che fare con il capolavoro di Ishinomori. Quest'anime del 2006 infatti narra le vicende di Mylene Hoffmann, un'agente segreto che opera in un mondo che nella serie si immagina ancora diviso in due blocchi, il Blocco Est e il Blocco Ovest. Orfana di due esuli in fuga da oriente, diventerà da adulta una spia al servizio della libertà del Blocco Ovest.
Nonostante i continui riferimenti alla Guerra Fredda (tema attualissimo ai tempi della realizzazione del manga), non ci si deve certo aspettare lo stesso trasporto emotivo a favore del Blocco Ovest che si è sempre visto nei film di azione o spionaggio americani. L'anime infatti mette bene in luce, tramite un'ottima scrittura degli episodi, la grande innovazione narrativa che i primi autori di manga, come Osamu Tezuka e per l'appunto Ishinomori, apportarono al mondo dei fumetti: l'assenza di nette distinzioni tra buoni e cattivi. Nel mondo di "009-1" infatti i due blocchi non vengono rappresentati per ciò che anelano essere, ovvero da una parte la bandiera della libertà e dall'altra il paradiso in Terra della giustizia sociale, ma per quello che sono nella cruda realtà delle cose: due contendenti in lotta per l'annientamento reciproco. La stessa protagonista inoltre non fa trapelare mai alcun attaccamento a nessun tipo di ideale. È una spia fredda e calcolatrice e, come spesso ricorda al nemico di turno che sconfigge, lei ogni volta vince perché è sempre la meno sentimentale tra i due.
Questo disincanto di fondo della serie ben si sposa con le ben congegnate trame dei dodici episodi, i quali sanno offrire allo spettatore tutti i cliché narrativi del genere spionistico, come azione, intrighi, sesso e tecnologie fuori da ogni grazia di Dio (la stessa "009-1" ha in dotazione una mitragliatrice... nel seno!).
Dal punto di vista tecnico, sono rimasta molto piacevolmente colpita dalla sofisticatezza con cui è stato realizzato quest'anime. Essendo tratto da un manga di più di quarant'anni fa, l'ottima idea dei realizzatori è stata quella d'immergere completamente la serie in un'atmosfera a dir poco vintage che richiamasse in ogni dettaglio i canoni estetici di quell'epoca. Ad esempio il character design non è stato stravolto a favore del gusto degli anno zero, ma è stato riproposto il tratto originale di Ishinomori, accentuandone le peculiarità e limando invece quei tratti che avrebbero fatto storcere il naso allo spettatore di quest'epoca. Il risultato sono personaggi dall'aspetto assolutamente rétro ma estremamente godibili a vedersi. Senza poi contare il design delle automobili, degli abiti dei protagonisti e la colonna sonora tutta che sono una miniera di rimandi all'epoca del boom economico. C'è persino una puntata ambientata a Roma, e gran parte della storia si sviluppa guarda caso davanti alla Fontana di Trevi, il luogo simbolo della Dolce Vita.
È un peccato dunque che i realizzatori non abbiano avuto maggiori ambizioni riguardo a questo interessante personaggio. Solo dodici episodi innanzitutto lasciano veramente con l'amaro in bocca vista la qualità del tutto. Inoltre un'altra pecca a mio avviso è la completa assenza di una linea gialla narrativa che leghi gli episodi tra di loro. Infatti, a parte alcuni dettagli legati tra loro all'interno dei vari episodi, tutti gli altri sono rigorosamente stand alone, e anche se scritti eccellentemente, non soddisfano certo la voglia nello spettatore di saperne di più sul passato e sulla figura di 009-1, o sulla situazione politica in cui si trova a vivere. Ovviamente c'è un episodio dedicato alla vita di Mylene, ma sembra stato messo giusto per dare un contentino visto che è piazzato a metà serie letteralmente con lo sputo.
Comunque sia è un'ottima serie che consiglio caldamente a chiunque ami l'animazione di qualità o non conosca Shotaro Ishinomori.
Paprika - Sognando un sogno
7.0/10
In un vicino futuro la scienza ha permesso, con i suoi progressi, addirittura di "registrare" i sogni delle persone, per poterli poi visionare e analizzare in ambito psichiatrico. Non entrate ancora ufficialmente in produzione, le apparecchiature predefinite a tal scopo diverranno un'arma di terrore quando saranno trafugate e usate, da un misterioso terrorista, per far "sognare a occhi aperti" gli individui, portandoli così alla follia. La dottoressa Atsuko Chiba, sotto le vesti del suo avatar "onirico" Paprika, inizierà a indagare...
Si sa, quello visionario è sempre stato il campo tematico prediletto da Kon. Per questo non stupisce riconoscere in "Paprika", il suo ultimo lungometraggio da regista, l'apoteosi finale della sua poetica, una storia che parla di sogni ed è ambientata nel loro mondo. Opera impersonale basata, come "Perfect Blue", su un soggetto non originale - in questo caso l'omonimo thriller letterario di Yasutaka Tsutsui -, ma realizzata con tutta la cura estetica e tecnica proprie del regista, "Paprika" ancora una volta parla, con classe, della sua adorata realtà metafisica.
Tocca ammettere, ahimè, che il soggetto, al di là del tema onirico, si riconduce a una qualsiasi delle incarnazioni di "Ghost in the Shell" (un terrorista/hacker tramite sogni/virus si introduce nella psiche di moltitudini di persone per farle impazzire, e per andare a stanarlo Motoko/Paprika entra lei stessa nel cyberspazio/sogno), generando un generale senso di déjà-vu che impedisce al film di ambire a un'eccessiva originalità, ma il senso di già visto è decisamente smussato dal delizioso tocco visionario del regista, che qui trova, per ovvie ragioni, l'occasione di esprimere senza freni esibitori la sua carica allucinata. "Paprika" è sintetizzabile, in effetti, come un tripudio di fantasmagorica follia, un trip cervellotico di eserciti di giocattoli dalle movenze convulse, di bambole inquietanti e di elettrodomestici posseduti che si muovono, in gruppo, sullo sfondo di amene musiche da circo; ma anche di visioni più sottili e inquietanti, date da timori ancestrali che possono essere moniti per il futuro o anche scorci di vita reale, un frammentarsi di reale e intangibile che rende la storia, altresì semplicistica, caotica. Perché sì, "Paprika" si riduce essenzialmente alle indagini di due gruppi di personaggi (la protagonista e il detective Toshimi Konakawa) per scoprire il misterioso boogeyman che sta facendo impazzire le persone, ma entrambi si muovono per la maggior parte nel confine tra realtà del sogno: difficile stabilire quando agiscono nella vita reale e quando no, e questa voluta scelta per spiazzare lo spettatore porta la visione a risultare fin da subito impegnativa e, per questo, stimolante.
Immersi così nelle atmosfere del film, si apprezza come di consueto la bravura di Kon nell'ammaliare l'occhio con visioni surreali, da incubo e da fiaba, ben sorrette dalle - come al solito - eccellenti animazioni Madhouse, ma duole constare come alla fine, pur con un ottimo gradimento generale e la piacevole "fatica" di seguire la trama nelle sue "false piste", quest'ultima si riveli, stringando, ancora più semplicistica di quello che già è, preferendo spingere, nel finale, sul pedale dello spettacolo grafico per sopperire a una conclusione che si poteva dare con mezz'ora di anticipo. "The bigger the better" si dice: ecco quindi che le atmosfere bizzarre e inquietanti fanno posto a cattivi-macchietta e pure a distruzioni apocalittiche e caos, fusioni tra realtà, ecc. capaci di distruggere il mondo, un parossismo che fa cadere le braccia e sembra pure indegno del regista, fortunatamente non così orribile da ridimensionare tutto il film.
Convincono, infatti, quegli scorci del "vero" Kon, intimista e umano, che qua e là ritroviamo: nell'eroina bitchy alla ricerca di una dimensione esistenziale più serena; nel frustrato detective Konakawa, che deve affrontare i fantasmi dolorosi del passato; nell'amore sincero che può sbocciare anche per un gigantesco obeso. Tratti di Kon che danno sollievo e dignità a un prodotto forse un po' troppo eccessivo nella forma ma, per resa e atmosfere, degno del nome che porta.
Si sa, quello visionario è sempre stato il campo tematico prediletto da Kon. Per questo non stupisce riconoscere in "Paprika", il suo ultimo lungometraggio da regista, l'apoteosi finale della sua poetica, una storia che parla di sogni ed è ambientata nel loro mondo. Opera impersonale basata, come "Perfect Blue", su un soggetto non originale - in questo caso l'omonimo thriller letterario di Yasutaka Tsutsui -, ma realizzata con tutta la cura estetica e tecnica proprie del regista, "Paprika" ancora una volta parla, con classe, della sua adorata realtà metafisica.
Tocca ammettere, ahimè, che il soggetto, al di là del tema onirico, si riconduce a una qualsiasi delle incarnazioni di "Ghost in the Shell" (un terrorista/hacker tramite sogni/virus si introduce nella psiche di moltitudini di persone per farle impazzire, e per andare a stanarlo Motoko/Paprika entra lei stessa nel cyberspazio/sogno), generando un generale senso di déjà-vu che impedisce al film di ambire a un'eccessiva originalità, ma il senso di già visto è decisamente smussato dal delizioso tocco visionario del regista, che qui trova, per ovvie ragioni, l'occasione di esprimere senza freni esibitori la sua carica allucinata. "Paprika" è sintetizzabile, in effetti, come un tripudio di fantasmagorica follia, un trip cervellotico di eserciti di giocattoli dalle movenze convulse, di bambole inquietanti e di elettrodomestici posseduti che si muovono, in gruppo, sullo sfondo di amene musiche da circo; ma anche di visioni più sottili e inquietanti, date da timori ancestrali che possono essere moniti per il futuro o anche scorci di vita reale, un frammentarsi di reale e intangibile che rende la storia, altresì semplicistica, caotica. Perché sì, "Paprika" si riduce essenzialmente alle indagini di due gruppi di personaggi (la protagonista e il detective Toshimi Konakawa) per scoprire il misterioso boogeyman che sta facendo impazzire le persone, ma entrambi si muovono per la maggior parte nel confine tra realtà del sogno: difficile stabilire quando agiscono nella vita reale e quando no, e questa voluta scelta per spiazzare lo spettatore porta la visione a risultare fin da subito impegnativa e, per questo, stimolante.
Immersi così nelle atmosfere del film, si apprezza come di consueto la bravura di Kon nell'ammaliare l'occhio con visioni surreali, da incubo e da fiaba, ben sorrette dalle - come al solito - eccellenti animazioni Madhouse, ma duole constare come alla fine, pur con un ottimo gradimento generale e la piacevole "fatica" di seguire la trama nelle sue "false piste", quest'ultima si riveli, stringando, ancora più semplicistica di quello che già è, preferendo spingere, nel finale, sul pedale dello spettacolo grafico per sopperire a una conclusione che si poteva dare con mezz'ora di anticipo. "The bigger the better" si dice: ecco quindi che le atmosfere bizzarre e inquietanti fanno posto a cattivi-macchietta e pure a distruzioni apocalittiche e caos, fusioni tra realtà, ecc. capaci di distruggere il mondo, un parossismo che fa cadere le braccia e sembra pure indegno del regista, fortunatamente non così orribile da ridimensionare tutto il film.
Convincono, infatti, quegli scorci del "vero" Kon, intimista e umano, che qua e là ritroviamo: nell'eroina bitchy alla ricerca di una dimensione esistenziale più serena; nel frustrato detective Konakawa, che deve affrontare i fantasmi dolorosi del passato; nell'amore sincero che può sbocciare anche per un gigantesco obeso. Tratti di Kon che danno sollievo e dignità a un prodotto forse un po' troppo eccessivo nella forma ma, per resa e atmosfere, degno del nome che porta.
In ogni caso, sinceri complimenti ai tre recensori che rientrano tra i miei preferiti di Animeclick.it
P.S: quanto vorrei una riedizione di "Paranoia Agent"
Anche gli altri due lavori, pur con le pecche e le limitazioni che vengono segnalate, potrebbero decisamente essere di mio gusto e meritare di essere viste. Quando troverò il tempo di guardare tutte le cose che ho in lista d'attesa?
"seguire la trama nelle sue "false piste", quest'ultima si riveli, stringando, ancora più semplicistica di quello che già è, preferendo spingere, nel finale, sul pedale dello spettacolo grafico per sopperire a una conclusione che si poteva dare con mezz'ora di anticipo."
Personalmente l'ho valutato ( ritmo che porta al finale ) al contrario. La suspance non è per forza data da un colpo di scena e in Paprika mi sembra che sia, visivamente, portata a conclusione ottimamente. Non è un sopperire perché come si è sottolineato la trama è esile di per se.
Mercoledì ovviamente me lo andrò a vedere al cinema in 2K e come prima visione penso che sarà uno spettacolo!!!! *_*
Tornando alle recensioni anche Paprika è in lista tra le cose da vedere. Mi pare troppo interessante...soprattutto da quando mi hanno detto che Inception ha preso parecchio da qui.
Grossomodo concordo con la recensione di God su Paprika. C'è da dire che l'apertura del film è tra le più belle di sempre.
Proverò a rivederlo.
La recensione è davvero ottima comunque, anche se un voto al di sotto dell'8 per Paprika non riesco a vedercelo.
Paprika-Sognando un Sogno, questo film lo vorrei in BD (se lo trovo...). Non concordo con il 7, io gli dai un 8. Premetto che non ho visto Ghost in The Shell, quindi scarsità di originalità, non so notarla.
Il film è il più estremo di Satoshi Kon, la sua poetica si spinge all'eccesso, e la sua poetica sul legame tra illusione (sogni) e realtà, si spinge all'eccesso.
I primi 4-5 minuti sono stupendi, regia, fotografia, colonna sonora (cavolo sublime quest'ultima) ad alti livelli. Non è il film di Satoshi Kon più riuscito, però...
Facendo una classifica dei film di Kon Satoshi:
- Millennium Actress : Voto 9 (Il film suo più personale, interessante e riuscito)
- Perfect Blue : Voto 8,5 ( Un mezzo miracolo ha compiuto Kon, girandolo con zero soldi, un film che si basa tutto sulla regia perchè la sceneggiatura è banalotta. Qua si vede la mano di un regista che prendendo un soggetto di base scontato, lo narra a modo suo)
- Paprika - Sognando un sogno : Voto 8
- Tokyo Godfathers : Voto 7.5 (Non vedo cosa c'entri nella poetica di Satoshi Kon...God mi disse l'umanità tra i personaggi, è sempre poetica di Kon, ma io non riesco ad individuarla negli altri 3 film).
Comunque maledetta la morte che si è portato via un grande talento come Satoshi Kon a soli 46 anni...
Per me è un grandissimo film innovatore del genere, e lo dimostra il fatto che Christopher Nolan si sia ispirato ad esso per la sceneggiatura del suo capolavoro Inception.
Un 8 pieno non glielo toglie nessuno!
Sul voto ad Akira non concordo, la storia ha diverse falle e viene spiegato troppo poco o in modo troppo frettoloso. Potrà effettivamente essere un cult e avere avuto un certo peso nella storia dell'animazione, ma a me non mi ha convinto. L'unica cosa che salvo è l'ambientazione e le animazioni.
Qui le schede:
http://www.animeclick.it/anime.php?titolo=Skull+Man
http://www.animeclick.it/anime.php?titolo=Jinzou+Ningen+Kikaider+the+Animation
Paprika l'ho trovato pretenzioso, a tratti confusionario. Come Se Kon stesse iniziando a prendersi troppo sul serio. Per me i suoi capolavori rimarrano sempre Perfect Blue e Millennium Actress
Per il resto grazie della pubblicazione!
Nolan si è ispirato ad esso per un paio di scene,la sceneggiatura l'aveva in mente sin da Memento (anni 2000), Paprika è del 2006...
Pur non avendo ancora visto il lungometraggio in questione, come potrei non essere d'accordo con quel che ha scritto Bob71, infatti Akira è una di quelle storie che hanno segnato la storia dell'animazione giapponese, e che hanno contribuito alla sua diffusione in occidente.
Beh, God ha ragione. "Perfect Blue" è una lucida e avveniristica (il fenomeno era appena in espansione) disamina della cultura otaku, approfondita poi nel cerchio fan-idolo-illusione in "Millennium actress". Per non parlare dello straordinario affresco pop che è "Paranoia Agent", che è quasi un documentario della società giapponese contemporanea. E da femmina trovo che abbia colto in Mima, Chiyoko, Chiwa e Tsuruko l'essere "donna" in tutte le sue sfaccettature, tra luci e ombre. D'altronde, la dinamica sogni-realtà parrebbe vuota di significato senza un'approfondita indagine della natura umana a monte.
:( ! Mi raccomando non perdeteveli!
Su Paprika sono su un'altra lunghezza d'onda rispetto al giudizio espresso nella recensione, in particolare non condivido alcuni passaggi, come il paragone (suggestivo ma un po forzato) con Ghost in the shell (più adatto quello con Inception), e l'analisi sommaria sul finale che, a mio avviso, risulta molto convincente come climax, e soprattutto aderisce legittimamente a quell'immaginario catastrofico di psicosi collettiva tanto caro alla tradizione iconografica del Giappone post atomica. Personalmente lo reputo un film da dieci e lode (come del resto l'opera omnia di Kon), uno dei migliori thriller psicoanalitici in circolazione, forse non un testamento, dato che il nostro aveva in testa altre opere prima di lasciarci, ma una summa della sua poetica certamente sì.
In Paprika la dimensione onirica e quella fisica sono dapprima distinte, poi compenetrate, fino alla sovrapposizione, al ribaltamento dei due piani, e infine vengono scisse per riportare l'ordine (apparente). Impostazione tipica per Kon.
In GITS no. Lì la scissione tra mondo fisico e mondo virtuale è cancellata alle fondamenta: ontologicamente, per così dire. Non è più possibile alcuna distinzione tra i due. Non è mai stata possibile. L'illusione dell'esistenza di quel confine, il confine tra reale e virtuale, già labile all'inizio, si scioglie sotto lo scacco imposto dal Signore dei Pupazzi. I sensi non permettono di distinguere tra reale e virtuale. La memoria stessa può venire manomessa, ricreata da zero, il tuo passato può anche essere nient'altro che un sogno. E si annega nell'ambiguità percettiva. Impostazione tipica per Oshii.
Entrambe le meccaniche, quella di Paprika e quella di GITS, si riflettono nelle trame che, al netto di eventuali punti di convergenza, più che altro pretestuosi, muovono idee indipendenti l'una dall'altra e conducono a esiti opposti.
Se poi ti riferivi alle altre incarnazioni di GITS, caschiamo peggio ancora.
Riguardo invece al "vero" Kon, credo tu non abbia capito che il "vero" Kon è esattamente quello di Paprika, film per la cui realizzazione ha avuto totale libertà creativa e una valigia di soldi. Del soggetto e dei personaggi di tutti i suoi precedenti progetti, del dato emozionale, se così lo vuoi chiamare, a Kon non è mai interessato molto se non in funzione dei tre veri 'punti caldi' della sua poetica: la messinscena, la tecnica narrativa e il sovvertimento dei codici, siano essi dell'animazione, sociali, morali o altro. Anche in Tokyo Godfathers, il film che molti daltonici considerano il suo titolo più "tradizionale", non si preoccupa di altro.
Paprika è "solo" l'apoteosi del Kon regista e autore. E "solo" altri due nomi dell'animazione giapponese sono stati in grado di concepire e dare vita a qualcosa del genere. Se non si capisce questo non si può comprendere la grandezza di Paprika e quale genio ci sta dietro.
Sui paralleli Paprika-Gits. Ovviamente è tacito che cyberspazio e mondo dei sogni non sono la stessa cosa e che, come fai notare, nel finale le due storie prendono direzioni differenti. Ma io con le similitudini non mi riferisco al tema della percezione bensì allo spunto di partenza che dà il via a tutto, alla fabula vera e propria (almeno fino all'80% della storia, salvo trovare finale diverso): io dall'inizio fino quasi alla fine ho avuto deja vu continui guardando il film, non riesco a non trovare Paprika una rielaborazione "onirica" di Gits. Cambierà il finale ma lo svolgimento mi sembra il medesimo. Probabile che Kon (o meglio, l'autore del romanzo) non ne avesse intenzione, ma le similitudini dal pdv delle idee e del setting mi sembrano fin troppo simili, solo che cambiano le ambientazioni e le finalità (come del resto dici anche tu, ma imho non è che se il messaggio è diverso le cose non si possono accumunare, un po' come fare l'esempio di Gundam 0079 e Gundam SEED che per il 70% sono identici spaccati e poi differiscono giusto per il finale, ma l'uno rimane chiaramente il remake dell'altro).
Della "poetica" di Kon che mi dici, sono considerazioni tue personali o informazioni ufficiali (e in quel caso mi adeguerò)? No, perchè di Kon ho visto e letto quasi tutto, Paranoia Agent escluso (film ma anche tutti i manga, ricordiamoci che non è solo un regista), e trovo difficile saper cogliere un punto comune che leghi tutti ma proprio i suoi lavori. Per me più che trovare similitudini in sovvertimento dei codici e messa in scena (cosa che ad esempio non vale nei suoi manga, che non hanno nulla di diverso da qualsiasi altro) bisogna cercarle negli aspetti narrativi. La sua produzione imho si può categorizzare in due gruppi molti distinti con poche affinità tra loro: quella basata su storie ironiche, folli e scanzonate (quasi tutti i manga e Tokyo Godfathers) e quella basata sulla percezione realtà/sogno (Perfect Blue, Millennium Actress, Paprika, Good morning). Spesso e volentieri tutti i due filoni hanno in comune personaggi molto umani e atmosfere intimiste/poetiche, ma anche questa non è la regola che vale sempre.
Comunque, detto tutto questo, sono d'accordo che Paprika sia uno dei film in assoluto più rappresentativi di Kon. Solo, questo non me lo rende personalmente il più riuscito. Mi sono annoiato parecchio, reputo di gran lunga più riuscito Millennium Actress tra quelli "onirici".
Una critica, in caso, va mossa al senso dell'intreccio, alla logica su cui si basa. A cosa serve, al suo obbiettivo. Se qui le strade si separano le similitudini sono solo di superficie. Poca roba insomma. I déjà-vu ci possono stare ma sono diversi dal plagio o dalla copia carbone. Lasciano il tempo che trovano. Ne ho avuti a treni guardando Inception ma non per questo lo posso fare derivare da Paprika, c'è tutta un'altro significato dietro.
Sulla poetica di Kon mi riferisco solo alla sua filmografia, i manga, boh, non saprei dove metterli, anche perché perlopiù sono opere giovanili, non so quanto rappresentative della sua ricerca formale ed espressiva. Almeno di una ricerca formale ed espressiva pienamente consapevole. Comunque si tratta di un altro medium, infilarli in un unico calderone con i film, specie se parliamo di estetica e stile, non mi convince granché.
Comunque, le informazioni sono relative a quanto ha detto Kon stesso in qualche intervista - se non ricordo male te ne avevo riportato degli stralgi da qualche parte, tipo "A me interessa di più lo story-telling" eccetera. Parlava di Perfect Blue e Millennium Actress.
Su Tokyo Godfathers la riflessione era sulla rappresentazione dei barboni. Protagonisti brutti, scorretti e sporchi, dentro e fuori, con tra loro una drag queen, persino, lontani anni luce dagli stereotipi presentati dall'animazione giapponese. Una rottura degli codici non narrativi ma di altro tipo. Era più preoccupato per quello che per altro. Di andare incontro a un lingiaggio visti la crudezza con cui li aveva raffigurati e l'humor nero che regnava per la pellicola.
Paranoia Agent è proprio il collante della sua filmografia, l'opera che ingloba tutte le sue tendenza anticonformiste, sia quelle che riguardano la messa in scena sia quelle che riguardano i temi e i personaggi.
La critica, cartacea e internettiana, che ho letto concorda in questo, individuando nella vena eversiva di Kon - vena eversiva in senso ampio - la sua impronta stilistica, il suo marchio di fabbrica, per così dire.
Molte volte considera che le storie, gli argomenti che affronta, sono solo un pretesto per sfogare la sua creatività, per sperimentare, per concretizzare le sue idee, le sue trovate ad effetto, per sua stessa ammissione. Per dirne una, il dualismo realtà-illusione gli serve a quello, non gliene frega poi molto come spunto di riflessione a sé stante - a differenza per esempio di quanto vale per Oshii. Incasellare la sua produzione in base a nuclei tematici non funziona molto bene.
"(un terrorista/hacker tramite sogni/virus si introduce nella psiche di moltitudini di persone per farle impazzire, e per andare a stanarlo Motoko/Paprika entra lei stessa nel cyberspazio/sogno)"
Dopo averci ragionato un po', cercando quali altri thriller possano avere tematiche simili e che siano usciti prima del 1993 (anno del romanzo da cui Kon ha tratto Paprika), mi viene in mente solo A Nightmare on Elm Street di Wes Craven. Solo lui, che è pure un film con attori in carne e ossa. È un'unica eccezione, non ne vedo altre prima ad avere un simile soggetto. Ma limitandoci all'animazione è Gits l'unico predecessore di Paprika a trattare queste cose. Non dico che ho la certezza matematica in questo, ma nel caso ti inviterei a farmi qualche esempio con altri titoli.
Comunque non ho certo accusato Paprika di essere una copia carbone o un plagio, ma solo che non è certo l'originalità il suo punto forte, "puzza" davvero troppo di Gits (o opere dalla trama similare, invero ben poche), per quasi tutta la sua durata ho avvertito questi deja vu. O almeno, questo ho colto io. Mi piacerebbe sapere l'opinione di qualcun altro.
La tua intervista ora che me l'hai richiamata la rammento. Beh, sicuramente se ha detto questo vuol dire che gli interessa quello, ma non necessariamente una cosa esclude l'altra. Sarà, come dici te, sbagliato provare a categorizzare un simile artista, ma ripeto, io non riesco a non suddividere nettamente, considerando tutti i campi in cui s'è cimentato, la sua opera omniA. Vedo da un lato opere cazzare, divertenti o ironiche dirette/disegnate in modo del tutto tradizionale, e altre che abbracciano mondi e atmosfere da sogno con una narrazione cadenzata da sequenze oniriche/fantastiche. Non riesco a scindere da qusto. L'unico punto che le accumuna, appunto, l'intimismo o la poesia nei rapporti umani. Ma qui sto solo ripetendomi...
E' un inno all'immaginazione senza freni, alla sregolatezza cui Kon ha dato sfogo a briglia sciolta. Un film solare e gioioso di per sé, in aggiunta innaffiato dalla tipica comicità cerebrale, al vetriolo, del regista. Prendi lo scienziato obeso. Prendi il detective frustrato. Prendi soprattutto le sequenze delle parate.
Cosa sono se non prese in giro della società consumistica contemporanea messe in scena con sadica ironia. Nulla di troppo differente rispetto a quanto fatto in TG o Paranoia Agent.
Millennium Actress idem, anche nei momenti più duri non rinuncia mai alla vena tragicomica, film autoironico per eccellenza, spezza - ed esorcizza - con il sorriso gli stessi drammi che racconta. In proposito bisogna prestare attenzione all'abbondanza di comprimari gigioni e caciaroni atti allo scopo presenti in ogni film.
Non mi pare manchi l'allegria qui come nel resto, anzi è parte fondamentale dell'opera di un uomo che scherzava sulla sua stessa morte, in punto di morte.
Storia a sé fa Perfect Blue, ma quello doveva essere un film live, tra l'altro è l'esordio, approntato in quattro e quattr'otto, c'è una storia travagliata dietro. Perfect Blue a volere distinguere lui sì lo si può mettere da parte, unica pellicola claustrofobica, morbosa e disturbante fino al midollo.
Questo per dire che se vuoi suddividere rispetto al brio, all'allegria, al lato cazzaro, devi mettere tutto e lasciare fuori solo Perfect Blue.
Tornando al parallelismo Paprika GITS, non capisco davvero.
Parliamo di struttura del thriller. Misteriosi casi d'omicidio o simili, un cattivo che manovra nell'ombra, investigazioni, depistaggi, contatto/svelamento dell'antagonista, risoluzione. In linea di massima le tappe di ogni trama del genere.
Parliamo invece delle similitudini tra le storie. Mi pare che c'è troppa confusione.
Il terrorista/hacker di Paprika non è l'antagonista ma il classico distrattore - il Bane di The Dark Knight Rises per intenderci.
La testa d'uovo a rotelle di Paprika, ovvero l'analogo del Signore dei Pupazzi, mira a fondere mondo onirico e mondo fisico per le sue manie di dominio; il Signore dei Pupazzi manovra le sue pedine per adescare Motoko. Motoko non entra nel cyberspazio per intercettare il Signore dei Pupazzi. Lei si è sempre mossa liberamente tra realtà e spazio virtuale. Anzi, la caccia al Signore dei Pupazzi avviene del mondo fisico e non in quello virtuale, che in GITS ha uno spazio e un'importanza molto più marginali di quanto non abbia il mondo onirico in Paprika.
Poi se ti riferisci ad altro quando dici déjà-vu, non so.
Se proprio vuoi trovare un punto di riferimento per Paprika c'è The Cell di quel regista dal nome impossibile. Lì bene o male le cose funzionano allo stesso modo. Anche in questo film la tecnologia per entrare nei sogni è un pretesto per scatenare la visionarietà del regista. Il thriller in sé è un po' una bazzecola, un pezzo d'arredo o giù di lì, come in Paprika.
Del thriller tu mi stai fornendo le basi che codificano il genere, ma io mi riferivo al soggetto vero e proprio di Paprika, che non è certo da thriller ordinario. Io mi riferisco a "cattivo che uccide/manipola le persone da dentro una dimensione immateriale, e che per andare a combatterlo bisogna entrare nel suo regno". Prima di Paprika, a inventarsi una cosa simile in film, ci stanno giusto Nightmare e Ghost in the shell. Cell che dici, Inception, Nightmare Detective etc sono già usciti ben dopo (il romanzo di Paprika è del 1993).
In merito al tuo penultimo paragrafo, come ho già detto riconosco che le finalità del villain sono diverse, ma se fossero uguali saremmo proprio di fonte a una copia carbone, ci credo che almeno quelle non sono uguali. Comunque in più di un'occasione Motoko finisce con l'investigare su Marionettista/Uomo che ride/Kuze (non ricordo quale dei tre, forse anche tutti) navigando nel cyberspazio e cercando indizi lì. Ad esempio, ricordo che in 2ND GIG legge su una lavagna virtuale le finalità della rivolta di Kuze. Magari non è nel mondo virtuale che li cattura ma è lì che va a indagare, allo stesso modo di Paprika che entra nei sogni. Sono queste le affinità che trovo.
Sulla faccenda Signore dei Pupazzi-testa d'uovo a rotelle, non sono solo le finalità del loro agire a essere diverse, ma è proprio il loro agire a essere diverso. In Paprika, chi s'infila nei sogni del team di ricercatori non è il suddetto mastermind, ma l'ex collaboratore dello scienziato obeso. Non il reale villain quindi, ma un villain fittizio. I ruoli del Signore dei Pupazzi e di testa d'uovo non sono equiparabili poiché differenti nell'economia delle rispettive trame.
Perciò ti dico che i déjà-vu sono legittimi, ma a un'analisi più strutturata tutta questa derivazione non ci sta.
Riguardo agli altri film di Kon, Millennium Actress è un'ulteriore esplorazione della tecnica narrativa usata in Perfect Blue perché al produttore era piaciuto questo stile e lo voleva riproposto nella nuova pellicola. Tokyo Gadfathers invece è una critica - affogata nello humor nero - alla società consumistica nipponica. Questo non lo dico io, l'ha detto lo stesso Kon. Comunque mi sembrava che le due finalità fossero evidenti a prescindere dalle dichiarazioni del regista. O almeno per me lo sono sempre state.
Poi, boh, hai un senso dell'umorismo strano. Ti sembra divertente Tokyo Gadfather che è il più triste dei film di Kon, una storia - mascherata da favola - che ritrae un'umanità senza redenzione, fallita e corrotta, marcia nell'animo e nel corpo. Un quadro impietoso delle derive sociali del Giappone spacciato per commedia di Natale. Io non c'ho trovato niente di divertente, e l'ho visto tre volte.
A differenza di Millennium Actress e Paprika, che mi sembrano molto più solari e gioiosi - le sequenze delle parate sono satira allo stato puro. Le scene oniriche più che grottesche sono un inno alla logica folle dei sogni, all'euforia dei voli pindarici dell'immaginazione, alle associazioni libere create dalla memoria e dall'inconscio. Non mi pare che mirino al thrilling o all'inquietudine, ma allo stupore - e alla derisione di costumi e figure del Giappone contemporaneo, ovvio .
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