Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

In occasione dell'imminente trasmissione al cinema di Akira, ci dedichiamo ad opere di natura fantascientifica: Akira, 009-1 e Paprika.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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10.0/10
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L'alba della nuova animazione

Scritto e diretto da Katsuhiro Otomo, autore e disegnatore dell'omonimo manga, questo lungometraggio del 1988 ha il grande merito di avere diffuso il linguaggio degli anime nei circuiti cinematografici oltre la frontiera nipponica e di averlo portato a un livello di fruizione più maturo e adulto. Per la prima volta in un film di animazione i personaggi usano uno slang crudo e volgare e si assiste a brutali scene di ordinaria violenza enfatizzata dal realismo del linguaggio registico.

Ambientato in un futuro post apocalittico nella megalopoli di Neo-Tokyo in preda al caos, dove bande di giovani motociclisti si sfidano tra le sconfinate periferie suburbane in corse e lotte all'ultimo sangue, il film sprigiona un clima rude e selvaggio e sembra ispirarsi agli scenari cupi e decadenti di pellicole come 'Fuga da New York', 'Mad Max' e 'I guerrieri della notte'.
Nell'adattamento alla sceneggiatura viene sacrificato non poco della trama del manga sull'altare della sala di proiezione. D'altro canto il ritmo della narrazione fila liscio senza intoppi con un frenetico crescendo delle scene d'azione fino al parossistico e allucinante gran finale.
La regia si allontana dal linguaggio tipico degli anime che fino ad allora si serviva quasi esclusivamente di scorrimenti, zoomate e inquadrature fisse, per un approccio più alla occidentale e una regia più "naturale" che avvicina 'Akira' ai film live per l'uso della fotografia e per i movimenti di camera.
Per quanto riguarda la realizzazione tecnico/artistica è da attribuire a questo film l'introduzione della CGI (seppure si tratta dei primi rudimenti) sovrapposta alle animazioni e del pre-recording, la tecnica che prevede le sedute di doppiaggio prima della realizzazione dei disegni definitivi, in modo da adattare perfettamente il labiale dei personaggi animati. Pionieristica anche la scelta di riunire in comitato i maggiori marchi a livello di produzione.

La straripante e sontuosa colonna sonora di Shoji Yamashiro, eseguita dall'ensemble Geinoh Yamashiro Gumi, è un trionfo di contaminazione e sperimentazione e merita un discorso a parte: si va da composizioni dominanti di ritmiche tribali a minimaliste e oniriche gemme strumentali fino a solenni eruzioni vocali, autentici mantra che perlustrano le possibilità della voce come strumento e aumentano il senso d'immersione nell'atmosfera del film. La ricerca è imperniata su un suggestivo coacèrvo di stili folklorici da varie parti del mondo e successivamente integrate con l'elettronica. Questa commistione di tradizione e modernità amplifica le visioni messianiche di Otomo.

Potente e visionario, innovativo e originale, 'Akira' rappresenta una pietra miliare, un punto di riferimento per i cineasti di fantascienza degli anni a venire, un film epocale che fissa diversi capisaldi nel cinema di animazione.



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Se desiderate ardentemente vedere un anime di spionaggio e l'unico titolo che conoscete è "Najica Blitz Tactics", vi prego, non c'è bisogno di darsi fuoco. C'è una luce in fondo al tunnel e questa luce è l'anime che sto per recensire.
"009-1" è una miniserie di dodici episodi tratta da un manga degli anni sessanta di Shotaro Ishinomori, uno dei mostri sacri del fumetto giapponese e autore di innumerevoli storie, tra cui si annovera il suo capolavoro "Cyborg 009". Nonostante la presenza dello stesso numero nel titolo, "009-1" non ha nulla a che fare con il capolavoro di Ishinomori. Quest'anime del 2006 infatti narra le vicende di Mylene Hoffmann, un'agente segreto che opera in un mondo che nella serie si immagina ancora diviso in due blocchi, il Blocco Est e il Blocco Ovest. Orfana di due esuli in fuga da oriente, diventerà da adulta una spia al servizio della libertà del Blocco Ovest.

Nonostante i continui riferimenti alla Guerra Fredda (tema attualissimo ai tempi della realizzazione del manga), non ci si deve certo aspettare lo stesso trasporto emotivo a favore del Blocco Ovest che si è sempre visto nei film di azione o spionaggio americani. L'anime infatti mette bene in luce, tramite un'ottima scrittura degli episodi, la grande innovazione narrativa che i primi autori di manga, come Osamu Tezuka e per l'appunto Ishinomori, apportarono al mondo dei fumetti: l'assenza di nette distinzioni tra buoni e cattivi. Nel mondo di "009-1" infatti i due blocchi non vengono rappresentati per ciò che anelano essere, ovvero da una parte la bandiera della libertà e dall'altra il paradiso in Terra della giustizia sociale, ma per quello che sono nella cruda realtà delle cose: due contendenti in lotta per l'annientamento reciproco. La stessa protagonista inoltre non fa trapelare mai alcun attaccamento a nessun tipo di ideale. È una spia fredda e calcolatrice e, come spesso ricorda al nemico di turno che sconfigge, lei ogni volta vince perché è sempre la meno sentimentale tra i due.
Questo disincanto di fondo della serie ben si sposa con le ben congegnate trame dei dodici episodi, i quali sanno offrire allo spettatore tutti i cliché narrativi del genere spionistico, come azione, intrighi, sesso e tecnologie fuori da ogni grazia di Dio (la stessa "009-1" ha in dotazione una mitragliatrice... nel seno!).

Dal punto di vista tecnico, sono rimasta molto piacevolmente colpita dalla sofisticatezza con cui è stato realizzato quest'anime. Essendo tratto da un manga di più di quarant'anni fa, l'ottima idea dei realizzatori è stata quella d'immergere completamente la serie in un'atmosfera a dir poco vintage che richiamasse in ogni dettaglio i canoni estetici di quell'epoca. Ad esempio il character design non è stato stravolto a favore del gusto degli anno zero, ma è stato riproposto il tratto originale di Ishinomori, accentuandone le peculiarità e limando invece quei tratti che avrebbero fatto storcere il naso allo spettatore di quest'epoca. Il risultato sono personaggi dall'aspetto assolutamente rétro ma estremamente godibili a vedersi. Senza poi contare il design delle automobili, degli abiti dei protagonisti e la colonna sonora tutta che sono una miniera di rimandi all'epoca del boom economico. C'è persino una puntata ambientata a Roma, e gran parte della storia si sviluppa guarda caso davanti alla Fontana di Trevi, il luogo simbolo della Dolce Vita.

È un peccato dunque che i realizzatori non abbiano avuto maggiori ambizioni riguardo a questo interessante personaggio. Solo dodici episodi innanzitutto lasciano veramente con l'amaro in bocca vista la qualità del tutto. Inoltre un'altra pecca a mio avviso è la completa assenza di una linea gialla narrativa che leghi gli episodi tra di loro. Infatti, a parte alcuni dettagli legati tra loro all'interno dei vari episodi, tutti gli altri sono rigorosamente stand alone, e anche se scritti eccellentemente, non soddisfano certo la voglia nello spettatore di saperne di più sul passato e sulla figura di 009-1, o sulla situazione politica in cui si trova a vivere. Ovviamente c'è un episodio dedicato alla vita di Mylene, ma sembra stato messo giusto per dare un contentino visto che è piazzato a metà serie letteralmente con lo sputo.
Comunque sia è un'ottima serie che consiglio caldamente a chiunque ami l'animazione di qualità o non conosca Shotaro Ishinomori.



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In un vicino futuro la scienza ha permesso, con i suoi progressi, addirittura di "registrare" i sogni delle persone, per poterli poi visionare e analizzare in ambito psichiatrico. Non entrate ancora ufficialmente in produzione, le apparecchiature predefinite a tal scopo diverranno un'arma di terrore quando saranno trafugate e usate, da un misterioso terrorista, per far "sognare a occhi aperti" gli individui, portandoli così alla follia. La dottoressa Atsuko Chiba, sotto le vesti del suo avatar "onirico" Paprika, inizierà a indagare...

Si sa, quello visionario è sempre stato il campo tematico prediletto da Kon. Per questo non stupisce riconoscere in "Paprika", il suo ultimo lungometraggio da regista, l'apoteosi finale della sua poetica, una storia che parla di sogni ed è ambientata nel loro mondo. Opera impersonale basata, come "Perfect Blue", su un soggetto non originale - in questo caso l'omonimo thriller letterario di Yasutaka Tsutsui -, ma realizzata con tutta la cura estetica e tecnica proprie del regista, "Paprika" ancora una volta parla, con classe, della sua adorata realtà metafisica.

Tocca ammettere, ahimè, che il soggetto, al di là del tema onirico, si riconduce a una qualsiasi delle incarnazioni di "Ghost in the Shell" (un terrorista/hacker tramite sogni/virus si introduce nella psiche di moltitudini di persone per farle impazzire, e per andare a stanarlo Motoko/Paprika entra lei stessa nel cyberspazio/sogno), generando un generale senso di déjà-vu che impedisce al film di ambire a un'eccessiva originalità, ma il senso di già visto è decisamente smussato dal delizioso tocco visionario del regista, che qui trova, per ovvie ragioni, l'occasione di esprimere senza freni esibitori la sua carica allucinata. "Paprika" è sintetizzabile, in effetti, come un tripudio di fantasmagorica follia, un trip cervellotico di eserciti di giocattoli dalle movenze convulse, di bambole inquietanti e di elettrodomestici posseduti che si muovono, in gruppo, sullo sfondo di amene musiche da circo; ma anche di visioni più sottili e inquietanti, date da timori ancestrali che possono essere moniti per il futuro o anche scorci di vita reale, un frammentarsi di reale e intangibile che rende la storia, altresì semplicistica, caotica. Perché sì, "Paprika" si riduce essenzialmente alle indagini di due gruppi di personaggi (la protagonista e il detective Toshimi Konakawa) per scoprire il misterioso boogeyman che sta facendo impazzire le persone, ma entrambi si muovono per la maggior parte nel confine tra realtà del sogno: difficile stabilire quando agiscono nella vita reale e quando no, e questa voluta scelta per spiazzare lo spettatore porta la visione a risultare fin da subito impegnativa e, per questo, stimolante.

Immersi così nelle atmosfere del film, si apprezza come di consueto la bravura di Kon nell'ammaliare l'occhio con visioni surreali, da incubo e da fiaba, ben sorrette dalle - come al solito - eccellenti animazioni Madhouse, ma duole constare come alla fine, pur con un ottimo gradimento generale e la piacevole "fatica" di seguire la trama nelle sue "false piste", quest'ultima si riveli, stringando, ancora più semplicistica di quello che già è, preferendo spingere, nel finale, sul pedale dello spettacolo grafico per sopperire a una conclusione che si poteva dare con mezz'ora di anticipo. "The bigger the better" si dice: ecco quindi che le atmosfere bizzarre e inquietanti fanno posto a cattivi-macchietta e pure a distruzioni apocalittiche e caos, fusioni tra realtà, ecc. capaci di distruggere il mondo, un parossismo che fa cadere le braccia e sembra pure indegno del regista, fortunatamente non così orribile da ridimensionare tutto il film.

Convincono, infatti, quegli scorci del "vero" Kon, intimista e umano, che qua e là ritroviamo: nell'eroina bitchy alla ricerca di una dimensione esistenziale più serena; nel frustrato detective Konakawa, che deve affrontare i fantasmi dolorosi del passato; nell'amore sincero che può sbocciare anche per un gigantesco obeso. Tratti di Kon che danno sollievo e dignità a un prodotto forse un po' troppo eccessivo nella forma ma, per resa e atmosfere, degno del nome che porta.