Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi si torna agli anni '80, con Il mio vicino Totoro, Goshogun e Goku Midnight Eye.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi si torna agli anni '80, con Il mio vicino Totoro, Goshogun e Goku Midnight Eye.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Il mio vicino Totoro
10.0/10
Elogio della semplicità
Il 16 aprile 1988, con una formula di distribuzione alquanto inusuale, escono contemporaneamente nelle sale giapponesi ben due film dello Studio Ghibli al prezzo di un unico biglietto. Si tratta di "Una tomba per le lucciole" e "Il mio vicino Totoro", rispettivamente per la regia dei sodali e cofondatori dello stesso studio Isao Takahata e Hayao Miyazaki. I due film - così diversi eppure così vicini come due facce di una stessa medaglia - riscossero un notevole successo e grande risonanza tra i fan e gli addetti ai lavori, ma non realizzarono grossi incassi al botteghino. Tuttavia Totoro fece la fortuna dello studio nel ramo merchandising, divenendone il logo ufficiale e il simbolo stesso di un'intera poetica.
Satsuki e Mei sono due sorelle, di undici e quattro anni, appena trasferitesi con il padre in un piccolo villaggio di campagna per potere stare più vicini alla madre ricoverata in ospedale. La piccola Mei, esplorando i paraggi della nuova casa, s'imbatte in un maestoso albero di canfora attorniato da corde di paglia di riso (simbolo scintoista di purificazione) all'interno del quale vive un enorme creatura soffice e pelosa: è Totoro, uno spirito 'kami' della foresta. Questi si rivelerà buono e amichevole, e verrà in soccorso della piccolina quando questa, avventuratasi da sola a consegnare un dono alla sua mamma, si smarrirà nel dedalo dei sentieri campestri.
Il candore e la purezza d'animo consentono ai bambini di vivere in una dimensione magica e immaginifica spesso incomprensibile a certi adulti, i quali, ingabbiati nella routine e nei ritmi della vita moderna, dimenticano di essere stati essi stessi fanciulli. La grandezza di Miyazaki, riconosciuta sia per la bellezza formale delle sue immagini sia per la profondità dei suoi messaggi ambientalisti, consiste anche nella sua sensibilità più unica che rara nel trattare il tema dell'infanzia.
In questo caso l'autore, che racconta una storia in parte autobiografica, ci dimostra come dalle piccole cose possano nascere grandi e sorprendenti scoperte e come un normalissimo episodio di vita quotidiana possa trasformarsi in una straordinaria avventura ricca d'incredibili eventi e mirabolanti prodigi, se solo lo si guarda con gli occhi giocosi e meravigliati di un bambino.
L'amore del regista per i suoi personaggi è palpabile nei teneri ritratti delle due sorelline: Mei con la sua dolce ingenuità e la sua incrollabile curiosità è l'incarnazione stessa della gioia di vivere; Satsuki, matura e consapevole, aiuta responsabilmente il padre nelle difficoltà, ma non dimentica di essere una bambina, si trova perfettamente in sintonia con la sorellina e insieme vivono l'avventura con Totoro.
Ma il "dio degli anime" riserva sempre un posto di riguardo anche ai 'giovani con le rughe', qui rappresentati da Nanny che, nonostante il peso dell'età, lavora ancora nelle risaie, aiuta la famiglia Kusakabe nei lavori domestici e bada a Mei in assenza del padre e della sorella. È molto amata dalle bambine ed è lei a rivelare la natura dei Susuwatari (i nerini del buio): in tutta l'opera di Miyazaki il rapporto degli anziani con i piccoli è diretto e naturale, poiché l'età li ha riavvicinati, in una sorta di ciclico ricongiungimento della vecchiaia all'infanzia.
Immerso in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà, "Totoro" è un elogio della vita bucolica, una fiaba moderna e delicatamente infantile che ha molto da insegnare anche agli adulti. Vi sono espressi i temi classici della poetica 'miyazakiana' avvolti in un tepore intimista: l'amore per la natura, la gentilezza d'animo, la spiritualità di matrice scintoista e la nostalgia verso un passato idilliaco in cui l'uomo viveva in armonia con l'ambiente.
L'icona del grande albero, metafora della maestosità della natura, pur non essendo funzionale al racconto, è un simbolo importantissimo per il maestro: con la sua aura protettiva e materna è una costante nel suo universo narrativo già dai tempi della storica serie "Heidi", 1974, di cui curò lo scene design dei tre enormi abeti che sovrastano e proteggono la baita del nonno.
Da un punto di vista puramente stilistico le geniali invenzioni, le incredibili creature di fantasia, la grazia con cui sono tratteggiati i personaggi, la magia delle ambientazioni, l'intelligenza e la creatività di alcune scene fanno di questo film un autentico capolavoro di poesia: la sequenza del primo incontro di Mei con i tre 'spiriti', la notturna danza propiziatoria e l'apparizione del Nekobus sotto la pioggia battente sono momenti di grande cinema, di una bellezza stupefacente!
Il sapiente lavoro sui colori di Nobuko Mitsuta e le ispirate musiche di Joe Hisaishi vanno a incorniciare idealmente questo dolcissimo 'miracolo' animato.
Ci sono voluti vent'anni per poterlo vedere in una distribuzione italiana ottusamente in ritardo visti anche gli ammiratori eccellenti (Akira Kurosawa inserì "Totoro" nella sua personale lista dei cento film più significativi della storia del cinema e John Lasseter lo omaggia esplicitamente nel premio oscar "Toy Story 3"); ma bisogna riconoscere che in tutto questo tempo la freschezza e la garbata semplicità di "Tonari no Totoro" sono rimaste intatte e fanno di questo titolo una piccola pietra miliare nella storia degli anime e una visione indispensabile per ogni appassionato di animazione tout court.
Un classico da vedere e rivedere a ogni età.
Il 16 aprile 1988, con una formula di distribuzione alquanto inusuale, escono contemporaneamente nelle sale giapponesi ben due film dello Studio Ghibli al prezzo di un unico biglietto. Si tratta di "Una tomba per le lucciole" e "Il mio vicino Totoro", rispettivamente per la regia dei sodali e cofondatori dello stesso studio Isao Takahata e Hayao Miyazaki. I due film - così diversi eppure così vicini come due facce di una stessa medaglia - riscossero un notevole successo e grande risonanza tra i fan e gli addetti ai lavori, ma non realizzarono grossi incassi al botteghino. Tuttavia Totoro fece la fortuna dello studio nel ramo merchandising, divenendone il logo ufficiale e il simbolo stesso di un'intera poetica.
Satsuki e Mei sono due sorelle, di undici e quattro anni, appena trasferitesi con il padre in un piccolo villaggio di campagna per potere stare più vicini alla madre ricoverata in ospedale. La piccola Mei, esplorando i paraggi della nuova casa, s'imbatte in un maestoso albero di canfora attorniato da corde di paglia di riso (simbolo scintoista di purificazione) all'interno del quale vive un enorme creatura soffice e pelosa: è Totoro, uno spirito 'kami' della foresta. Questi si rivelerà buono e amichevole, e verrà in soccorso della piccolina quando questa, avventuratasi da sola a consegnare un dono alla sua mamma, si smarrirà nel dedalo dei sentieri campestri.
Il candore e la purezza d'animo consentono ai bambini di vivere in una dimensione magica e immaginifica spesso incomprensibile a certi adulti, i quali, ingabbiati nella routine e nei ritmi della vita moderna, dimenticano di essere stati essi stessi fanciulli. La grandezza di Miyazaki, riconosciuta sia per la bellezza formale delle sue immagini sia per la profondità dei suoi messaggi ambientalisti, consiste anche nella sua sensibilità più unica che rara nel trattare il tema dell'infanzia.
In questo caso l'autore, che racconta una storia in parte autobiografica, ci dimostra come dalle piccole cose possano nascere grandi e sorprendenti scoperte e come un normalissimo episodio di vita quotidiana possa trasformarsi in una straordinaria avventura ricca d'incredibili eventi e mirabolanti prodigi, se solo lo si guarda con gli occhi giocosi e meravigliati di un bambino.
L'amore del regista per i suoi personaggi è palpabile nei teneri ritratti delle due sorelline: Mei con la sua dolce ingenuità e la sua incrollabile curiosità è l'incarnazione stessa della gioia di vivere; Satsuki, matura e consapevole, aiuta responsabilmente il padre nelle difficoltà, ma non dimentica di essere una bambina, si trova perfettamente in sintonia con la sorellina e insieme vivono l'avventura con Totoro.
Ma il "dio degli anime" riserva sempre un posto di riguardo anche ai 'giovani con le rughe', qui rappresentati da Nanny che, nonostante il peso dell'età, lavora ancora nelle risaie, aiuta la famiglia Kusakabe nei lavori domestici e bada a Mei in assenza del padre e della sorella. È molto amata dalle bambine ed è lei a rivelare la natura dei Susuwatari (i nerini del buio): in tutta l'opera di Miyazaki il rapporto degli anziani con i piccoli è diretto e naturale, poiché l'età li ha riavvicinati, in una sorta di ciclico ricongiungimento della vecchiaia all'infanzia.
Immerso in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà, "Totoro" è un elogio della vita bucolica, una fiaba moderna e delicatamente infantile che ha molto da insegnare anche agli adulti. Vi sono espressi i temi classici della poetica 'miyazakiana' avvolti in un tepore intimista: l'amore per la natura, la gentilezza d'animo, la spiritualità di matrice scintoista e la nostalgia verso un passato idilliaco in cui l'uomo viveva in armonia con l'ambiente.
L'icona del grande albero, metafora della maestosità della natura, pur non essendo funzionale al racconto, è un simbolo importantissimo per il maestro: con la sua aura protettiva e materna è una costante nel suo universo narrativo già dai tempi della storica serie "Heidi", 1974, di cui curò lo scene design dei tre enormi abeti che sovrastano e proteggono la baita del nonno.
Da un punto di vista puramente stilistico le geniali invenzioni, le incredibili creature di fantasia, la grazia con cui sono tratteggiati i personaggi, la magia delle ambientazioni, l'intelligenza e la creatività di alcune scene fanno di questo film un autentico capolavoro di poesia: la sequenza del primo incontro di Mei con i tre 'spiriti', la notturna danza propiziatoria e l'apparizione del Nekobus sotto la pioggia battente sono momenti di grande cinema, di una bellezza stupefacente!
Il sapiente lavoro sui colori di Nobuko Mitsuta e le ispirate musiche di Joe Hisaishi vanno a incorniciare idealmente questo dolcissimo 'miracolo' animato.
Ci sono voluti vent'anni per poterlo vedere in una distribuzione italiana ottusamente in ritardo visti anche gli ammiratori eccellenti (Akira Kurosawa inserì "Totoro" nella sua personale lista dei cento film più significativi della storia del cinema e John Lasseter lo omaggia esplicitamente nel premio oscar "Toy Story 3"); ma bisogna riconoscere che in tutto questo tempo la freschezza e la garbata semplicità di "Tonari no Totoro" sono rimaste intatte e fanno di questo titolo una piccola pietra miliare nella storia degli anime e una visione indispensabile per ogni appassionato di animazione tout court.
Un classico da vedere e rivedere a ogni età.
"Goshogun", noto in Italia come "Gotriniton", è un anime robotico del 1981, l'anno di "Golion/Voltron", "God Mars" e "Bryger". Sono gli ultimi anni del robotico classico, che ormai ha già superato il suo punto più alto e vive di rendita ripetendo stilemi ormai collaudati. Rispetto ai suoi contemporanei "Goshogun" è una serie leggera, all'americana nel senso di "take it easy", ben lontana dalle classiche atmosfere drammatiche del robotico, genere pieno di tragedie, morti e distruzioni. In "Goshogun" nessuno si fa male e i protagonisti passano il tempo a bere il tè e a fare battutine tra loro. Tuttavia, pur con la presenza di varie scenette umoristiche/demenziali, "Goshogun" non è una serie comica alla "Trider G7".
I combattimenti robotici sono di infima qualità: Goshogun appare verso la fine dell'episodio e dopo la sua rituale trasformazione sconfigge il robot nemico in pochi secondi, senza essere mai in difficoltà. D'altra parte il mecha design del robot è molto buono. I tre piloti non hanno una grande personalità e sono piuttosto dimenticabili, tranne la bionda Remì, che si distingue per i suoi discorsi pseudo-femministi (si vede che gli anni Ottanta erano arrivati anche in Giappone), la sua mania per l'ora del tè e il suo desiderio insoddisfatto di trovare un fidanzato. Remì non è un grande personaggio e pilota un robot inutile, ma ha un buon chara design e in italiano è doppiata da Daniela Caroli, voce molto famosa per i conoscitori degli anime d'annata, quindi risulta sopra gli altri. Successivamente diventerà anche la protagonista unica del film "Time Stranger". Ma il vero protagonista di "Goshogun" è il bambino Kenta, che in un episodio prende addirittura il posto di comando del robot. Le 26 puntate descrivono tre anni della sua vita, dai dieci ai tredici anni, fino alla puntata finale, in cui Kenta è fondamentale per la risoluzione storia, basata sull'escamotage del deus ex machina, già visto in altri robotici.
Goshogun presenta qualche caratteristica originale, come per esempio il fatto che non combatte contro nemici alieni o antiche civiltà, ma semplicemente contro un cartello criminale (Veleno Nero) che controlla l'economia del pianeta. In ogni puntata ci viene detto con molto dettaglio quanti milioni di dollari vengono spesi nella lotta contro Goshogun e quanti ne vengono guadagnati con le loro operazioni truffaldine. Nel complesso però l'anime vive su idee collaudate: i protagonisti girano per il mondo a bordo della loro base Beamler, come succedeva in "Gaiking"; il Beamler è dotato di una misteriosa potentissima energia di origine aliena, come in "Gordian" e in "Ideon"; la struttura è la solita di tutti i robotici. L'anime si vede comunque piacevolmente per la simpatica colonna sonora e per la leggerezza. Sorprende che sia stato realizzato dalla Ashi Productions, la stessa casa che ha realizzato Baldios ("Goshogun" contiene anche un paio di camei di Baldios). Evidentemente dopo il fiasco di Baldios, il robotico più triste della storia, sospeso prima del tempo per bassi ascolti, venne deciso di ripiegare su un robotico leggero e decisamente per un pubblico infantile. Il risultato non è dei migliori ma neanche dei peggiori. Vale la pena di ricordare che l'autore e regista di "Goshogun", Takeshi Shudo, l'anno dopo diventerà famosissimo con "Minky Momo", uno dei majokko più celebri degli anni Ottanta. Evidentemente è un autore adatto a quel genere e non al robotico.
Curiosità: il capo della base Beamler, Sabarasu, è un omaggio all'attore Telly Savalas ("Sabarasu" è la grafia giapponese di "Savalas"), nel 1981 famosissimo per il telefilm Kojak. La sua pelata è inconfondibile.
I combattimenti robotici sono di infima qualità: Goshogun appare verso la fine dell'episodio e dopo la sua rituale trasformazione sconfigge il robot nemico in pochi secondi, senza essere mai in difficoltà. D'altra parte il mecha design del robot è molto buono. I tre piloti non hanno una grande personalità e sono piuttosto dimenticabili, tranne la bionda Remì, che si distingue per i suoi discorsi pseudo-femministi (si vede che gli anni Ottanta erano arrivati anche in Giappone), la sua mania per l'ora del tè e il suo desiderio insoddisfatto di trovare un fidanzato. Remì non è un grande personaggio e pilota un robot inutile, ma ha un buon chara design e in italiano è doppiata da Daniela Caroli, voce molto famosa per i conoscitori degli anime d'annata, quindi risulta sopra gli altri. Successivamente diventerà anche la protagonista unica del film "Time Stranger". Ma il vero protagonista di "Goshogun" è il bambino Kenta, che in un episodio prende addirittura il posto di comando del robot. Le 26 puntate descrivono tre anni della sua vita, dai dieci ai tredici anni, fino alla puntata finale, in cui Kenta è fondamentale per la risoluzione storia, basata sull'escamotage del deus ex machina, già visto in altri robotici.
Goshogun presenta qualche caratteristica originale, come per esempio il fatto che non combatte contro nemici alieni o antiche civiltà, ma semplicemente contro un cartello criminale (Veleno Nero) che controlla l'economia del pianeta. In ogni puntata ci viene detto con molto dettaglio quanti milioni di dollari vengono spesi nella lotta contro Goshogun e quanti ne vengono guadagnati con le loro operazioni truffaldine. Nel complesso però l'anime vive su idee collaudate: i protagonisti girano per il mondo a bordo della loro base Beamler, come succedeva in "Gaiking"; il Beamler è dotato di una misteriosa potentissima energia di origine aliena, come in "Gordian" e in "Ideon"; la struttura è la solita di tutti i robotici. L'anime si vede comunque piacevolmente per la simpatica colonna sonora e per la leggerezza. Sorprende che sia stato realizzato dalla Ashi Productions, la stessa casa che ha realizzato Baldios ("Goshogun" contiene anche un paio di camei di Baldios). Evidentemente dopo il fiasco di Baldios, il robotico più triste della storia, sospeso prima del tempo per bassi ascolti, venne deciso di ripiegare su un robotico leggero e decisamente per un pubblico infantile. Il risultato non è dei migliori ma neanche dei peggiori. Vale la pena di ricordare che l'autore e regista di "Goshogun", Takeshi Shudo, l'anno dopo diventerà famosissimo con "Minky Momo", uno dei majokko più celebri degli anni Ottanta. Evidentemente è un autore adatto a quel genere e non al robotico.
Curiosità: il capo della base Beamler, Sabarasu, è un omaggio all'attore Telly Savalas ("Sabarasu" è la grafia giapponese di "Savalas"), nel 1981 famosissimo per il telefilm Kojak. La sua pelata è inconfondibile.
Goku Midnight Eye
5.0/10
Una storia ambientata nel futuro prossimo con detective privati, uomini d'affari senza scrupoli e belle donne (spesso svestite), con un contorno metropolitano cupo e altamente tecnologico: "Goku Midnight Eye" si può riassumere così, e non è che ci sia poi molto altro da dire.
Il nome del protagonista e le sue abilità con il bastone sono chiaramente ispirati alla figura di Son Goku (personaggio molto famoso nella cultura orientale nonché pluricitato in numerosi anime e manga), dotato in questo caso, oltre che del tipico bastone, anche di una sorta di superpotere tecnologico: un occhio artificiale computerizzato in grado di interfacciarsi con qualsiasi rete informatica (e più in generale con qualsiasi apparecchiatura) per recuperare informazioni o prenderne il controllo. Quest'abilità risulta molto utile al protagonista, che in tal modo riesce ad affrontare virtualmente qualsiasi nemico, compresi quelli molto più forti di lui fisicamente.
Cominciamo con il dire che tecnicamente l'anime non se la cava male, considerando che stiamo ancora parlando degli anni '80. Le animazioni sono generalmente fluide e si nota un interessante uso di colori e ombreggiature marcate nel disegno di personaggi e ambienti, cosa che fa molto "cyberpunk". La città della vicenda, sempre buia e illuminata da luci artificiali, richiama subito alla mente le megalopoli di "Blade Runner" o di "Akira"; i personaggi sono generalmente ben disegnati.
Detto questo, bisogna però riconoscere una pochezza di fondo nei contenuti che è piuttosto evidente fin dall'inizio. Il protagonista, in particolare, risponde a tutti i cliché dell'investigatore cinico e solitario che ha fatto scuola da Marlowe in poi, con in più una spruzzata di superpoteri fantascientifici che lo rendono quasi onnipotente (superpoteri che oltretutto riceve senza una vera spiegazione - ma probabilmente non c'è stato il tempo di darne, visto che l'anime si esaurisce in 2 OAV). I cattivi naturalmente sono cattivissimi e senza scrupoli, le donne bellissime e spesso ignude (per quanto l'erotismo in questa serie sia davvero molto leggero, quasi di contorno) e la violenza un po' splatter nei combattimenti è immancabile.
Quel che meno convince è forse l'eccessiva seriosità nei toni, con un continuo e ridondante omaggio alle mode fantascientifiche del periodo (leggasi cyberpunk) e un protagonista dal comportamento monocorde, tenebroso e cinico, ma che in fondo in fondo si mette al servizio della stangona di turno per fare trionfare la giustizia. La vicenda peraltro non decolla mai: mentre nel primo episodio si fa perlomeno conoscenza del personaggio principale e i suoi poteri, nel secondo non si aggiunge nulla di nuovo e pare anzi solo l'episodio di una presunta serie che non è più proseguita, per ragioni commerciali, presumibilmente, anche se pure l'ispirazione artistica pare venir subito meno.
A conti fatti, "Goku Midnight Eye" non resiste granché alla prova del tempo, risultando ora come un anime scarsamente ispirato e deboluccio dal punto di vista della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi o forse, proprio in virtù di questi suoi difetti e della sua ambientazione, vale almeno un'occhiata per chi è incuriosito dalla fantascienza pop negli anime di fine anni '80.
Il nome del protagonista e le sue abilità con il bastone sono chiaramente ispirati alla figura di Son Goku (personaggio molto famoso nella cultura orientale nonché pluricitato in numerosi anime e manga), dotato in questo caso, oltre che del tipico bastone, anche di una sorta di superpotere tecnologico: un occhio artificiale computerizzato in grado di interfacciarsi con qualsiasi rete informatica (e più in generale con qualsiasi apparecchiatura) per recuperare informazioni o prenderne il controllo. Quest'abilità risulta molto utile al protagonista, che in tal modo riesce ad affrontare virtualmente qualsiasi nemico, compresi quelli molto più forti di lui fisicamente.
Cominciamo con il dire che tecnicamente l'anime non se la cava male, considerando che stiamo ancora parlando degli anni '80. Le animazioni sono generalmente fluide e si nota un interessante uso di colori e ombreggiature marcate nel disegno di personaggi e ambienti, cosa che fa molto "cyberpunk". La città della vicenda, sempre buia e illuminata da luci artificiali, richiama subito alla mente le megalopoli di "Blade Runner" o di "Akira"; i personaggi sono generalmente ben disegnati.
Detto questo, bisogna però riconoscere una pochezza di fondo nei contenuti che è piuttosto evidente fin dall'inizio. Il protagonista, in particolare, risponde a tutti i cliché dell'investigatore cinico e solitario che ha fatto scuola da Marlowe in poi, con in più una spruzzata di superpoteri fantascientifici che lo rendono quasi onnipotente (superpoteri che oltretutto riceve senza una vera spiegazione - ma probabilmente non c'è stato il tempo di darne, visto che l'anime si esaurisce in 2 OAV). I cattivi naturalmente sono cattivissimi e senza scrupoli, le donne bellissime e spesso ignude (per quanto l'erotismo in questa serie sia davvero molto leggero, quasi di contorno) e la violenza un po' splatter nei combattimenti è immancabile.
Quel che meno convince è forse l'eccessiva seriosità nei toni, con un continuo e ridondante omaggio alle mode fantascientifiche del periodo (leggasi cyberpunk) e un protagonista dal comportamento monocorde, tenebroso e cinico, ma che in fondo in fondo si mette al servizio della stangona di turno per fare trionfare la giustizia. La vicenda peraltro non decolla mai: mentre nel primo episodio si fa perlomeno conoscenza del personaggio principale e i suoi poteri, nel secondo non si aggiunge nulla di nuovo e pare anzi solo l'episodio di una presunta serie che non è più proseguita, per ragioni commerciali, presumibilmente, anche se pure l'ispirazione artistica pare venir subito meno.
A conti fatti, "Goku Midnight Eye" non resiste granché alla prova del tempo, risultando ora come un anime scarsamente ispirato e deboluccio dal punto di vista della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi o forse, proprio in virtù di questi suoi difetti e della sua ambientazione, vale almeno un'occhiata per chi è incuriosito dalla fantascienza pop negli anime di fine anni '80.
La recensione di bob è scritta benissimo, visto che offre una contestualizzazione iniziale dell'opera nel periodo di riferimento, e alcune chicche su di essa che non riguardano la mera pellicola. Buone anche le analisi sul film, ma frutto più di speculazioni proprie che di cose ricavate dal film, però a chi è piaciuto il film, potrà trovare spunti di approfondimento.
A livello formale e strutturale è un'ottima recensione su questo non si discute.
Passiamo al contenuto. Il voto 10 è fuori dal mondo per un'opera come Totoro, che come voto merita 6 (basta leggere la mia rece per motivazioni) al massimo proprio se si è di maniche proprio larghe larghe 7.
Parliamoci chiaramente a me di Miyazaki mancano Nausicaa (film, il manga l'ho letto invece), Princess Mononoke, La città Incantata e Si Alza il Vento, però un'idea precisa su quest'autore me la sono fatta con i suoi 7 film visti e purtroppo per i fanboy di Miyazaki mi duole addolorarli dicendo che dopo il castello Errante di Howl (o forse a pari suo) è il peggior film di Miyazaki.
Per carità, è ben girato e con una buona messa in scena nella campagna Giapponese anni 50 che sembra in tutto e per tutto un'ambientazione bucolica e sotto questo punto di vista anche i detrattori ammetteranno le qualità tecniche di Miyazaki che si discutono, ma il film in sè non presenta alcuna sequenza degna di nota, tranne quella della crescita dell'albero dove però gran parte del merito va dato alla colonna sonora di Hisaishi.
I personaggi sono sciatti, scialbi e anonimi specialmente padre e madre. E alla fine non viene chiarito se il tutto sia reale o fantastico.
Insomma come tutte le opere del maestro anche questa è pompata all'inverosimile, ma Totoro lo è molto e mi fa sorridere il fatto che le persone lo definiscano capolavoro perchè oggettivamente non lo è. Se Totoro è capolavoro qualcuno mi deve spiegare allora i veri capolavori
Ah non è una critica a Bob, ma citare Kurosawa non porta acqua al proprio mulino. Anche Kubrick quando era in vita considerava (a torto) Steve Spielberg il miglior regista vivente, ma se andiamo a vedere, cioè oggettivamente non è assolutamente vero, visto che si potrebbe fare benissimo una TOP 10 dell'epoca di Kubrick dove Spielberg non trova alcuno spazio tra i registi viventi di allora.
Insomma i pareri dei registi sono da prendere con le pinze, anche la frase di Kurosawa che i fanboy di Miyazaki usano per elogiare il maestro, dove Kurosawa in confronto a Miyazaki, diceva che si sminuiva quest'ultimo, non è veritiera perchè basta che prendiamo un 2-3 films di Kurosawa e vediamo chi tra i due è migliori e non vorrei essere nei panni del povero Miyazaki ^^.
Un'ottima recensione, ma vedete secondo me in Totoro cose che non ci sono... Di opere destinata ad un target di bambini ce ne sono un sacco di molto meglio, come pure ce ne sono un sacco di film dello studio Ghibli migliori di Totoro, che nella mia classifica personale dei Ghibli sta in basso ma sopra a Ponyo (forse lo reputerei addirittura meglio di Totoro), Ocean Waves, Omohide Poro Poro - Only Yesterday.
Porco Rosso, Howl o la Principessa Mononoke (anche se violento) sono molto meglio di Totoro su...
Reminder: tra i film e serie Ghibli/Takahata/Miyazaki che mi mancano tuttora da vedere ci sono Kiki, Laputa, Nausicaa, Pompoko, Future Boy Conan, gli Yamada e i due recenti Kaze Tachinu e Kagura-hime
Non me ne parlare ti prego. Per Mononoke ho un hype pazzesco da quasi 3 anni oramai e aspetto che la Lucky Red ci faccia la grazia di portarlo al cinema, idem per la Città Incantata.
@ Geass
"migliori di Totoro, che nella mia classifica personale dei Ghibli sta in basso ma sopra a Ponyo (forse lo reputerei addirittura meglio di Totoro), Ocean Waves, Omohide Poro Poro - Only Yesterday."
Only Yesterday per quanto soggettivamente non ti sia piaciuto, oggettivamente da le piste a Totoro. Oggettivamente è uno dei migliori dello studio ed il migliore al momento che abbia visto dello studio Ghibli.
Ad ogni modo sono due opere troppo diverse per essere paragonate Omohide Poro Poro e Totoro... Magari con il Ritorno del Gatto (che già quasi non ricordo più )
Comunque dello Studio Ghibli devo vedere: "Una tomba per le lucciole", "Omohide Poro Poro", "Ocean Waves", "Ti presento i miei vicini, i signori Yamada", "Neko no Ongaeshi" e i nuovi "Kaze Tachinu" e "Kaguya-hime no Monogatari".
Gli altri due, beh, non li conosco, perciò non mi posso esprimere più di tanto, ma penso che goshogun non sia un granchè .
Grandebonzo ne ha riassunto in due righe il perchè
Poi ovviamente questa è la mia idea...noto però che chi critica questa pellicola di solito rientra in un target di età molto preciso e la cosa mi ha sempre incuriosito non poco
Non è un grande film e sinceramente se dire la verità su Totoro è passibile di essere haters...beh...a questo punto la critica non ha senso più di esistere, tanto si viene confinati sempre in una categoria.
Per inciso questa non è la mia ennesima crociata contro la roba anni 80 come qualcuno può pensare, visto che a livello filmico nello stesso periodo c'è roba superiore di molto a Totoro.
Poi gli "haters" proliferano qua su animeclick perchè è il portale numero 1 e solo qua trovano chi li ascolta, dalle altre parti se muovi una critica a Miyazaki anche su film palesemente non riusciti come Howl scateni una reazione popolare ed il sottoscritto ne ha subita una ingiustamente.
"Si può magari non essere d'accordo con l'ideologia miyazakiana"
Più che non essere d'accordo, io non tendo mai a criticare la poetica di un autore che è cosa personale, quindi al massimo posso dire se risulta interessante o meno.
Quello che si può criticare è come la inserisce nei suoi film e sopratutto come la fa evolvere. Su Miyazaki purtroppo non posso dire niente eprchè mi mancano i due big Mononoke e Città, ma per quel che posso dire è che Howl e Ponyo non smuovono niente nella poetica di Miyazaki, che resta ancorata ai soliti schemi. Dopo Nausicaa manga che termina nel 1994 se non erro, l'evoluzione della poetica di Miyazaki mi pare essersi fermata (ma sarò felice di essere smentito da Mononoke e Città).
Cosa sulla quale non è difficile concordare, ma non vedo perchè, solo in virtù di ciò, si debba per forza concludere per una valutazione così positiva, anzi, questa volontà di mistificazione è assolutamente tipica di Sua Ecologia, che questa volta ci propone una sorta di (lo chiamo così anche se non mi piace come termine) "escapismo" attraverso l'esaltazione dell'ideale dell'infanzia idilliaca e della vita bucolica come armoniosa con la natura. Nonostante ciò, trovo che questo non sia un film da buttare via, per i bambini può avere ancora un qualche valore.
Chi mi conosce sa che non sono certo un hater del lavoro di Miyazaki ma preferisco i suoi ultimi film a quelli del periodo arcadico-giovanile, li trovo più onesti, diretti e affini al mio modo di pensare. Non è stata la migliore delle idee quella di procedere a ritroso nel recupero della sua filmografia.
L'ideologia Miyazakiana si palesa fin troppo bene, basti pensare al modo completamente idilliaco con cui si guarda alla vita bucolica (di un passato che non è mai esistito se non nelle fantasie dell'autore), ma anche la nostalgia per l'infanzia, affermata per lo più dai riferimenti autobiografici onnipresenti, che tendono a portare ad una connessione molto più personale del film con il suo autore di quanto possa sembrare (ma non voglio fare spoiler XD).
Alla fine, si tratta di un film che, come tutti quelli del Sommo, si rivela un coacervo di 'mistificazioni' che tendono ad incarnare le sue fantasie. Il film a mio avviso riesce a soddisfare i bambini e, magari, a piacere agli adulti che vogliono vedersi tornare bambini, ma è praticamente vuoto (lo salvo un po' per i suoi omaggi alla "semplicità" e un po' perchè è buffo, ma morta lì).
Non condivido solo la primissima parte del tuo testo. L'immaginazione spesso aiuta, eccome. E' uno strumento come un'altro che può aiutarti ad evadere dalla realtà triste.
Sono d'accordo con chi dice che "Totoro" è la percezione del mondo da parte dei bambini (o dello stesso bambino Miyazaki!) ma al di là di questo non ci sono contenuti, contrariamente al "Piccolo Principe", per fare un esempio, che è una metafora della vita e del mondo reale nudo e crudo.
Comunque ad un bambino cosa dovremmo raccontare? Se una madre sta male, non diciamo al figlio in età pre-scolare che la mamma se ne sta andando, ma cerchiamo di tranquillizzarlo, di fargli capire che tutto alla fine andrà per il verso giusto. Questo non vuol dire necessariamente raccontare bugie o falsare la realtà, ogni cosa ha il suo tempo.
La cruda realtà del Piccolo Principe e di GE 999 non è la soluzione migliore, sono testi adatti ad un pubblico di età leggermente superiore (tra l'altro, GE mostra un mondo infinitamente pessimista, e di conseguenza fasullo). Tutto questo IMHO.
Galaxy è la metafora del passaggio all'età adulta e della follia della razza umana (in esso ci sn critica alla guerra, al folle sogno di 'immortalità dell'uomo ecc.)
"Realtà e Galaxy Express non possono stare nella stessa frase "
"Totoro e la metafora del mondo reale non possono stare nella stessa frase" Suona molto meglio.
Non ci sono tutte queste metafore o interpretazioni in Totoro semplicemente perché un film intimista, semi autobiografico, se vogliamo il più realistico del regista. Uno spaccato di vita giapponese non molto lontano da Una tomba per le lucciole, con cui condivide molti aspetti, i due film però mettono in evidenza due sensibilità e due personalità molto diverse.
Il termine "escapismo" lo assocerei più a Porco rosso. Le fantasie delle bambine sono le stesse che tutti noi possiamo aver fatto da piccoli (o da grandi sotto l'effetto dell'LSD!).
Grazie per la pubblicazione in rubrica!
Comunque sono d'accordo, anche in porco rosso c'è questo elemento, ma in realtà è un leitmotiv di tutta la sua produzione animata, alle volte più velato, in altre meno, anche in Howl per esempio.
Totoro di realistico non ha davvero nulla, proprio perchè è costantemente dipinto da un punto di vista infantile, che modifica le cose con la fantasia. Lo stesso spaccato di realtà bucolica e pacifica di Totoro probabilmente non è fedele, è solo una rievocazione di Miyazaki in cui, molto probabilmente, l'orrore del dopoguerra (visto che quelli erano gli anni) non traspare perchè è filtrato proprio dai bambini.
Inoltre, Totoro da questo punto di vista sarebbe esattamente l'opposto di una tomba per le lucciole (ovvero il più lontano possibile negli intenti), non un qualcosa di affine, ma l'altra faccia della medaglia. Mostrano le cose in due modi che sono agli antipodi. Uno mistificando, evadendo, l'altro palesando senza eufemismi di sorta.
Ma qui stiamo speculando a ruota libera.
"Questo non vuol dire necessariamente raccontare bugie o falsare la realtà, ogni cosa ha il suo tempo"
Come no, questo significa proprio alterare la realtà e raccontare una bugia^^ Solo che non è detto che una bugia sia sempre una cosa negativa o non desiderabile, spesso anzi è utilissima. Ma di fatto lo è.
Ps per bob, l'unico personaggio verosimile che mi sia capitato di incontrare in un film Miyazakiano è probabilmente Eboshi (ma solo nella prima parte, prima che si scopra la sua filantropia), o anche la protagonista di La città incantata... vai te a ricordarti il nome.. ma anche lì avrei delle perplessità da sollevare.
In ogni caso è davvero una bella discussione, forse però questa non è la sede adatta.
Io penso che la fantasia ci sia stata donata proprio per accettare meglio la realtà...poi ovviamente se si esagera diventa negativa e controproducente...
Potrebhe essere un buono spunto per un sondaggione
Dimenticavo di aggiungere una cosa... "Le fantasie delle bambine" sono esattamente escapiste, poichè in realtà la vita quotidiana è noiosa, e quindi loro devono immaginarsi un mondo fantastico che le diverta, perchè in realtà la natura è indifferente, ma loro la immaginano animata e una compagna di giochi. Anche questo, seppur moderato, è una forma di escapismo.
@ TunonsainienteJonSnow
Io non ho ancora dato dei giudizi morali sul fatto che sia sbagliato o meno (anzi, mi pare di averti detto che spesso è piuttosto utile la menzogna, ma questa è una questione a parte), io ho dato la mia interpretazione del film e detto a chi può piacere e perchè lo trovo carente di contenuti. Tutto qui.
In realtà i bambini sono molto più attenti e sensibili al male di quanto li si possa credere, li sorregge (beati loro) l'incrollabile certezza che tutto andrà a buon fine. E intanto colmano l'attesa con fantasticherie e facendo finta di credere alle bugie degli adulti^^ (è lo stesso principio per cui alle due sorelline non passa neanche per la testa di chiedere a Totoro di guarire la mamma, ma di poterle stare vicino)
è appunto il filtro nostalgico e fasullo applicato dall'autore adulto a una realtà campagnola d'infanzia a darmi personalmente fastidio. è dimostrazione di scarsa maturità, di ipocrisia. D'altronde appare tutto più bello nella dimensione del ricordo, no? Va bene Saki e Mei, ma Miyazaki non dovrebbe avere più l'età per permettersi certi lussi.
Del resto ho parlato di realismo perché ci sono innumerevoli particolari della trama e riferimenti alla vita quotidiana che danno un tono estremamente realistico e verosimile al film, per essere un anime degli anni 80. L'ho paragonato a Una tomba per le lucciole perché le due pellicole hanno molti aspetti in comune e la storia delle due facce di una medaglia l'ho già scritta io nella rece, non me la rubare!
Se il film ha dei pregi consistono proprio nella semplicità e nella naturalezza della narrazione che lo rendono accessibile ad ogni livello di visione, è così diretto e lampante che ogni tentativo di interpretazione mi sembra forzato e fuori luogo.
Potrà sembrare un regista nostalgico forse, sentimentale, magari sognatore, ma da qui al dipingerlo come mistificatore e ipocrita (cit. Kary) mi sembra davvero un'esagerazione.
PS. Visto che sono state citate delle fiabe classiche: che dire della scena in cui Mei cade nella tana di Totoro attraverso il tronco del grande albero come riuscito omaggio al capolavoro di Lewis Carroll? Una vera chicca!
"Non c'è traccia di noia nelle bambine, per loro anche il trasloco della scena iniziale è un "avvenimento""
E' appunto quello che sto dicendo!! Le bambine usano la fantasia per rendere interessante la realtà (che di per sè non lo è) da qui l'entusiasmo per la casa nuova, che per loro è piena di misteri e abitata da strani esserini, e da qui lo spirito della natura che compie prodigi e meraviglie e le protegge. Il punto è che tutte queste cose sono loro fantasie: Totoro non esiste, non esiste nessuna realtà idilliaca, se non come mistificazione creata dalla loro fantasia.
Anche il mito della vita campestre è una palese idealizzazione, la vita a contatto con la natura non è per nulla paradisiaca, si tratta solo di una mistificazione nostalgica formulata ex post.
Puoi chiamarlo sognatore, non mi opporrò, anche se direi che è più adatto il termine melanconico o nostalgico, ma è solo un altro modo per chiamare la stessa cosa.
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