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Ne abbbiamo parlato tante volte (leggi nostro articolo a riguardo):
in Giappone il lavoro può portare alla morte. Esiste una parola "Karoshi" che significa appunto "morte da troppo lavoro"; è usata raramente, perché fa paura, perché è quasi una vergogna. Fa coppia con Karojisatsu, termine con il quale si indica il suicidio per il troppo lavoro.
Stando alla definizione del Ministero della salute, del lavoro e del welfare possono essere classificate come karoshi le morti improvvise di dipendenti che hanno lavorato una media di 65 o più ore a settimana per oltre quattro settimane consecutive (senza giorni di riposo) o una media di 60 ore settimanali per più di 8 settimane consecutive.
Il problema è che questa già allarmante definizione è ampiamente sorpassata dalla realtà certificata dall'organizzazione sindacale mondiale Labor Force Survey che ritiene che una settimana tipica di un lavoratore giapponese, sia esso operaio o quadro dirigente, va normalmente da 70 a 90 ore.
 
 
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L’ultima morte di un dipendente causata da karoshi è stata quella della giornalista di 31 anni, Miwa Sado. Avrebbe raggiunto 159 ore di straordinari in un mese lavorando per la rete di notizie NHK, prima di morire di insufficienza cardiaca nel luglio 2013.
Solo recentemente, all’inizio di ottobre, la sua morte è stata annunciata come karoshi.
Prima di questo episodio, la 24enne Matsuri Takahashi aveva fatto 105 ore di straordinari in un mese nell’agenzia pubblicitaria giapponese Dentsu. Takahashi si è lanciata dal tetto del suo datore di lavoro il giorno di Natale del 2015. Tadashi Ishii, presidente e CEO di Dentsu, si è dimesso un mese dopo.
Ma sono solo quelle "ufficiali" visto che  la maggior parte delle aziende poi non ammette la responsabilità per la morte.
Avvocati e studiosi stimano perciò il numero annuo di vittime per karoshi intorno ai 9.000 decessi, molto vicino al numero annuale di morti per incidenti stradali.

Per fare un confronto con le altre realtà lavorative, secondo l'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, mentre circa il 22,3% dei dipendenti giapponesi lavora 50 ore o più alla settimana in media, in Gran Bretagna sono il 12,7%, negli Stati Uniti l'11,3%, in Germania il 5,3%, in Finlandia il 4,5%, in Svezia l'1,9%, nei Paesi Bassi l'1,4% e in Francia l'8,2%. Se aggiungiamo il fatto che molte ore di straordinario giapponesi non sono registrate e quindi non sono prese in considerazione dalle statistiche, avremo un quadro decisamente allarmante.

Non è raro che gli impiegati più giovani in Giappone lavorino tante ore. I capi si aspettano che i giovani dipendenti che devono ancora fare carriera, arrivino presto e se ne vadano tardi, spesso a notte inoltrata. Takehiro Onuki, un venditore di 31 anni, arriva spesso alle 8 del mattino e se ne va a mezzanotte. Vede la moglie solo nei fine settimana

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Il Giappone sta cercando di frenare i casi di karoshi attraverso politiche che danno alla gente più tempo libero. Subito dopo il suicidio di Takahashi nel dicembre 2016, il governo federale annunciò il suo piano Premium Friday. Immediatamente in vigore, i lavoratori avrebbero avuto la possibilità di lasciare il lavoro alle 3 del pomeriggio l’ultimo venerdì di ogni mese.

Ora dopo otto mesi di programma, il governo non ha visto veri miglioramenti. Molte aziende giapponesi stanno organizzando le loro finanze su base mensile e cercano di raggiungere gli obiettivi di vendita entro la fine del mese; un mese più corto ha solo reso le persone ancora più oberate.

Ma una nuova corrente di pensiero si sta facendo largo dai social a partire dai giovani. ll nuovo credo per chi si affaccia nel mondo del lavoro oggi prevede più flessibilità e tempo libero. Intere catene di caffè e hotel si stanno adeguando ai nuovi stili di lavoro della «popolazione nomade» - così vengono chiamati qui coloro che usano dispositivi mobili per lavorare fuori dall’ufficio - perché se una tecnologia avanzata esiste, che senso ha per un cittadino di una metropoli come Tokyo spendere una media di 102 minuti su un treno (ovvero 18 giorni l’anno) per andare e tornare dall’ufficio quando si possono svolgere le stesse mansioni comodamente da casa? 
Le aziende più intraprendenti cercano di attrarre nuove reclute offrendo non tanto una busta paga più solida ma orari di lavoro più flessibili, un ambiente d’ufficio più piacevole o un avanzamento di carriera. C’è una nuova generazione di giapponesi che non solo non si è mai fatta illusioni su un impiego unico a vita, ma non ne ha mai avuto l’ambizione. 
 

Le cose stanno cambiando almeno a livello di mentalità?
Due grosse multinazionali, Nissan e Subaru di recente sono state costrette ad ammettere una seria carenza di personale qualificato tra gli ispettori della sicurezza sui veicoli. Non solo aziende automobilistiche, anche compagnie ferroviarie hanno fatto i conti con una mancanza di personale nella manutenzione, che ha generato una serie di ritardi dei treni, che qui equivalgono a veri e propri drammi esistenziali: l’assenza dal posto di lavoro per diverse ore, anche se giustificata, è vissuta come una grave colpa che va espiata con un’infinità di scuse e ripetuti inchini.  

Viene fuori che queste compagnie se da una parte intendono risparmiare sui costi di un personale specializzato, dall’altra non riescono più ad attirare giovani reclute da addestrare: i giovani laureati rifiutano lavori ripetitivi, poco flessibili e potenzialmente ricchi di straordinari.  

Fonti:
La Stampa
Businessinsider

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