Si è svolta dal 30 giugno al 1° luglio la sesta edizione di Noci Comics Zone - Festival Internazionale del Fumetto e delle Arti, che ha ospitato nella suggestiva cornice della cittadina in terra di Puglia un manipolo di prestigiosi autori del panorama fumettistico, fra i quali: la coppia d’arte Keiko Ichiguchi (La promessa dei ciliegi, Memorie di Iris) e Andrea Venturi (Dylan Dog,Tex), Alessio Fortunato (John Doe, Dampyr), e il giovane Marco “Tarma” Tarquini, al suo esordio con il poliziesco autoprodotto Non aprite quel pacco.
Tra i numerosi eventi in programma, spettacoli, talks e gara cosplay (in calce la gallery fotografica dei partecipanti) segnaliamo l’interessante mostra "La notte dei Valentino: 100 matite omaggiano il mito", dedicata al divo del cinema muto Rodolfo Valentino e allestita presso il Chiostro delle Clarisse con tavole originali di importanti firme dell’illustrazione e del fumetto italiano.
Di seguito vi proponiamo l’intervista informale che la sensei Keiko Ichiguchi ha concesso alla giovane autrice Sissi Procura sul palco della manifestazione.
Sissi Procura: Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la sensei Keiko Ichiguchi, autrice di manga che vive in Italia ormai da tanti anni, e che attualmente pubblica per case editrici sia giapponesi che francesi e italiane. La prima domanda è: Quali sono le opere che hanno fatto nascere la sua passione per i manga e quali autori hanno influenzato il suo modo di raccontare?
Keiko Ichiguchi: Il fumetto che mi ha cambiato la vita non è mai stato pubblicato in Italia, si tratta di una storia d'amore adolescenziale molto carina che ho letto quando avevo circa dieci anni, Sakamichi no Bore! (di Ryouko Takahashi, n.d.r.), che però non finisce bene, non è una storia a lieto fine e lascia un po' di amarezza. Prima di diventare mangaka ero un'assidua lettrice di fumetti. Qui in Italia conoscerete senz'altro Candy Candy, io ne ero una lettrice come tante altre ragazze all'epoca. In quel periodo leggevo solo quello che mi piaceva e si trattava essenzialmente di fumetti. Quando ho letto Candy Candy mi sono detta: “io voglio fare un fumetto così!”. Non ero interessata tanto a quel personaggio in particolare ma volevo assolutamente creare degli shoujo manga.
Sissi Procura: Quando lei è arrivata in Italia dal Giappone, aveva la percezione che intere generazioni di italiani fossero cresciute a pane e cartoni animati giapponesi e che gli anime fossero così popolari?
Keiko Ichiguchi: No, per niente! Quando sono arrivata in Italia, nel 1994, erano già presenti alcuni fumetti giapponesi, però non sapevo ancora nulla della popolarità degli anime, anche perché in Giappone non se ne parlava tanto. Solo una volta, verso la fine degli anni ‘80, è uscito un piccolo articolo sulla popolarità di Candy Candy in Italia e null’altro, le notizie si limitavano a quello, non si sapeva niente. Per questo mi è sembrato strano vedere I cavalieri dello zodiaco in edicola.
Sissi Procura: Adesso il fenomeno si è un po' attenuato, ma all’inizio degli anni ‘80 c'è stata un'autentica invasione di serie animate giapponesi e si può dire che i bambini italiani e giapponesi di quell'epoca siano stati influenzati allo stesso modo e abbiano avuto gli stessi ricordi.
Keiko Ichiguchi: Sì, ma bisogna sottolineare che, per fare un esempio, quello che abbiamo visto in Giappone nell’arco di quindici anni voi l'avete visto condensato in quattro anni, ed è una cosa impressionante a pensarci su. Aggiungo solo un paio di considerazioni sulle serie anime. La prima è che mi sembrava strano che le serie giapponesi presentassero dei personaggi con nomi italiani. La seconda è che sono state eliminate le sigle giapponesi per far posto a nuove sigle in italiano, spesso del tutto diverse nello stile. Alcune erano abbastanza aderenti allo spirito dell'opera originale, come ad esempio quella di Dragon Ball, altre sembravano un po' troppo infantili rispetto ai contenuti delle storie. La sigla con la differenza più stridente è stata quella di Versailles No bara (Lady Oscar), mi è rimasta particolarmente impressa perché quando fu trasmessa in Giappone per la prima volta io avevo circa tredici anni e la canzone era talmente drammatica che ne rimanemmo tutti colpiti. Quindi, in virtù di questo ricordo, ho trovato veramente enorme la differenza con la versione italiana. Purtroppo negli anni ‘90 in Italia gli anime erano ancora considerati prodotti per bambini.
Sissi Procura: Diciamo che oggi chi vuol fruire degli anime giapponesi lo fa in modo un po' più consapevole, sa già cosa andare a vedere, magari in streaming. Invece all’epoca, passando dai canali delle TV generaliste, gli anime hanno dovuto subire una censura che ha cercato di edulcorare e semplificare i contenuti ad uso e consumo di un pubblico infantile.
In effetti le sigle italiane si sono ritagliate negli anni una nicchia tutta loro e ancora oggi i loro cantanti hanno un folto seguito di fan che va ai loro concerti.
Keiko Ichiguchi: Sì, lo so, l’ho notato a Lucca.
Sissi Procura: Tutti noi siamo cresciuti guardando le serie di animazione giapponese e quindi ne abbiamo assunto anche gli insegnamenti e i valori.
Keiko Ichiguchi: Spero che questa sia una cosa buona!
Sissi Procura: Parliamo di alcune sue opere passate come ad esempio Due, America e Inno alle ragazze, in cui la musica è presente in modi diversi, come filo conduttore o come elemento del racconto. Sappiamo che molti artisti si fanno influenzare e ispirare dalla musica e che molti mangaka ascoltano musica mentre disegnano le loro tavole. Anche per lei è importante la musica nel suo processo creativo?
Keiko Ichiguchi: Dipende dalla storia. Quando ho scritto America ho continuato ad ascoltare un solo brano musicale fino alla nausea, si tratta di California dreaming, una vecchia canzone dei Mamas and Papas. In questo periodo sto ascoltando colonne sonore cinematografiche dal tono epico come quella, ad esempio, del film Braveheart.
Sissi Procura: In Italia non ha pubblicato solamente manga ma anche saggi divulgativi che parlano del Giappone e dei giapponesi, ad esempio Perché i giapponesi hanno gli occhi a mandorla oppure Anche i giapponesi nel loro piccolo si incazzano. Quali sono le differenze sostanziali in campo editoriale tra Italia e Giappone?
Keiko Ichiguchi: I libri sul Giappone li ho scritti prima di tutto perché verso la metà degli anni ‘90 c'erano poche e distorte informazioni a riguardo. Internet e gli smartphone ancora non esistevano e quindi sentivo tante cose strane sul Giappone, molti stereotipi e luoghi comuni che non corrispondono alla realtà. Allora ho voluto scrivere qualcosa da parte mia per sfatare qualche leggenda metropolitana e qualche falso mito.
Sulla differenza tra l'Italia e il Giappone: qui il ritmo è molto più lento e il mercato editoriale del fumetto è più piccolo rispetto al Giappone dove c'è un mercato enorme. Le occasioni di lavoro ci sono ma è difficilissimo sopravvivere perché c'è molta concorrenza. Diciamo che qui è difficile sopravvivere perché il mercato è piccolo, in Giappone è difficile per via della troppa concorrenza, inoltre il mercato è in continua evoluzione.
Sissi Procura: In effetti il mercato italiano del manga è relativamente piccolo si parla di numeri nell'ordine delle migliaia di copie, per esempio nello shoujo manga, anche se i fumetti italiani della Bonelli, come Tex, comunque vendono bene e hanno dei numeri importanti, ma è un fenomeno che si limita alla Bonelli e ad alcuni autori di grido come Zerocalcare.
Oltre che mangaka e saggista, si è occupata anche di traduzione da manga di altri autori per il mercato italiano (Berserk, Vagabond, n.d.r.). Sappiamo che la lingua italiana è completamente diversa da quella giapponese. L'italiano è molto ricco di vocaboli e sfumature mentre il giapponese ha poche parole che si prestano a più interpretazioni. Quanto è difficile riuscire a rendere le sfumature della lingua italiana rispetto a quella giapponese?
Keiko Ichiguchi: Dipende dalla singola storia e anche dall'autore. Il manga che ho tradotto in italiano e che più metteva in evidenza la differenza tra le due lingue è stato Vagabond (Takehiko Inoue), una storia in costume medievale. Il fumetto parla di un samurai che parla pochissimo. Spesso le parole che usa in giapponese hanno due o tre significati diversi contemporaneamente, perché con il giapponese ciò è possibile, ma se avessi tradotto tutto ciò in italiano l’avrei trasformato in un personaggio chiacchierone, e questo non andava bene. Quindi si trattava di scegliere attentamente il senso più importante delle sue parole in ogni specifica scena e di conseguenza scegliere la traduzione adatta. In quel caso ho dovuto tagliare alcuni significati, ma solo in quel caso perché si trattava di un soggetto abbastanza drammatico e di un personaggio particolarmente taciturno. Al contempo, quando si tratta di fumetti umoristici in cui si parla tantissimo la traduzione diretta dal giapponese potrebbe adattarsi molto bene anche in italiano, ma anche in quel caso non è sempre vero, perché spesso cambia molto anche il senso stesso dell'umorismo. La cosa più difficile da tradurre è il senso dell'umorismo.
Sissi Procura: Una delle ultime opere è La promessa dei Ciliegi, edita da Euromanga Edizioni. Vorrei cogliere l’occasione per parlare con lei del nuovo fenomeno euromanga che sta prendendo sempre più piede anche qui in Italia. A tal proposito c'è stata una lunga diatriba, una discussione in cui molti affermano che i manga prodotti da artisti non giapponesi non possono essere considerati veri manga, ma al massimo degli scimmiottamenti di un linguaggio e di uno stile narrativo che non ci appartiene. Lei cosa ne pensa? Il manga fa parte solo del DNA giapponese?
Keiko Ichiguchi: Sin dall'inizio non sono stata d'accordo con questa distinzione tra fumetto e manga. Manga significa semplicemente fumetto e i fumetti rimangono pur sempre tali, sia che essi siano disegnati da italiani che da giapponesi. Quindi io non comprendo molto questa discussione sulla differenza tra manga e fumetti perché per me si tratta della stessa cosa.
Sissi Procura: Però bisogna riconoscere che il manga ha uno stile narrativo e un'impostazione della tavola abbastanza tipici. Forse il tratto grafico potrà cambiare da autore ad autore ma l'impostazione generale della tavola e lo stile narrativo spesso presenta una caratteristica comune che identifica lo stile manga.
Keiko Ichiguchi: Penso che sia un interpretazione molto personale alla fine, perché è vero che noi siamo cresciuti leggendo i fumetti giapponesi prodotti in Giappone e che quindi siamo stati influenzati da quello stile, però è anche vero che quando sono arrivata in Italia, senza sapere nulla sul fumetto occidentale, ho comunque trovato qualcosa di molto simile ai fumetti che leggevo, ad esempio, in Sergio Toppi oppure in Dino Battaglia, il cui ritmo e scansione delle vignette sono molto simili a quelli giapponesi, e questo mi è piaciuto molto. Quindi, in definitiva, direi che le differenze tra stili diversi esistono ma non è detto che queste debbano necessariamente associarsi ad una specifica nazionalità.
Keiko Ichiguchi: Grazie a voi!
Leggi anche il nostro Special su Keiko Ichiguchi del 16/12/2014.
Tra i numerosi eventi in programma, spettacoli, talks e gara cosplay (in calce la gallery fotografica dei partecipanti) segnaliamo l’interessante mostra "La notte dei Valentino: 100 matite omaggiano il mito", dedicata al divo del cinema muto Rodolfo Valentino e allestita presso il Chiostro delle Clarisse con tavole originali di importanti firme dell’illustrazione e del fumetto italiano.
Di seguito vi proponiamo l’intervista informale che la sensei Keiko Ichiguchi ha concesso alla giovane autrice Sissi Procura sul palco della manifestazione.
(Poster di Keiko Ichiguchi e Andrea Venturi)
Intervista a Keiko Ichiguchi
Sissi Procura: Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la sensei Keiko Ichiguchi, autrice di manga che vive in Italia ormai da tanti anni, e che attualmente pubblica per case editrici sia giapponesi che francesi e italiane. La prima domanda è: Quali sono le opere che hanno fatto nascere la sua passione per i manga e quali autori hanno influenzato il suo modo di raccontare?
Keiko Ichiguchi: Il fumetto che mi ha cambiato la vita non è mai stato pubblicato in Italia, si tratta di una storia d'amore adolescenziale molto carina che ho letto quando avevo circa dieci anni, Sakamichi no Bore! (di Ryouko Takahashi, n.d.r.), che però non finisce bene, non è una storia a lieto fine e lascia un po' di amarezza. Prima di diventare mangaka ero un'assidua lettrice di fumetti. Qui in Italia conoscerete senz'altro Candy Candy, io ne ero una lettrice come tante altre ragazze all'epoca. In quel periodo leggevo solo quello che mi piaceva e si trattava essenzialmente di fumetti. Quando ho letto Candy Candy mi sono detta: “io voglio fare un fumetto così!”. Non ero interessata tanto a quel personaggio in particolare ma volevo assolutamente creare degli shoujo manga.
Sissi Procura: Quando lei è arrivata in Italia dal Giappone, aveva la percezione che intere generazioni di italiani fossero cresciute a pane e cartoni animati giapponesi e che gli anime fossero così popolari?
Keiko Ichiguchi: No, per niente! Quando sono arrivata in Italia, nel 1994, erano già presenti alcuni fumetti giapponesi, però non sapevo ancora nulla della popolarità degli anime, anche perché in Giappone non se ne parlava tanto. Solo una volta, verso la fine degli anni ‘80, è uscito un piccolo articolo sulla popolarità di Candy Candy in Italia e null’altro, le notizie si limitavano a quello, non si sapeva niente. Per questo mi è sembrato strano vedere I cavalieri dello zodiaco in edicola.
Sissi Procura: Adesso il fenomeno si è un po' attenuato, ma all’inizio degli anni ‘80 c'è stata un'autentica invasione di serie animate giapponesi e si può dire che i bambini italiani e giapponesi di quell'epoca siano stati influenzati allo stesso modo e abbiano avuto gli stessi ricordi.
Keiko Ichiguchi: Sì, ma bisogna sottolineare che, per fare un esempio, quello che abbiamo visto in Giappone nell’arco di quindici anni voi l'avete visto condensato in quattro anni, ed è una cosa impressionante a pensarci su. Aggiungo solo un paio di considerazioni sulle serie anime. La prima è che mi sembrava strano che le serie giapponesi presentassero dei personaggi con nomi italiani. La seconda è che sono state eliminate le sigle giapponesi per far posto a nuove sigle in italiano, spesso del tutto diverse nello stile. Alcune erano abbastanza aderenti allo spirito dell'opera originale, come ad esempio quella di Dragon Ball, altre sembravano un po' troppo infantili rispetto ai contenuti delle storie. La sigla con la differenza più stridente è stata quella di Versailles No bara (Lady Oscar), mi è rimasta particolarmente impressa perché quando fu trasmessa in Giappone per la prima volta io avevo circa tredici anni e la canzone era talmente drammatica che ne rimanemmo tutti colpiti. Quindi, in virtù di questo ricordo, ho trovato veramente enorme la differenza con la versione italiana. Purtroppo negli anni ‘90 in Italia gli anime erano ancora considerati prodotti per bambini.
Sissi Procura: Diciamo che oggi chi vuol fruire degli anime giapponesi lo fa in modo un po' più consapevole, sa già cosa andare a vedere, magari in streaming. Invece all’epoca, passando dai canali delle TV generaliste, gli anime hanno dovuto subire una censura che ha cercato di edulcorare e semplificare i contenuti ad uso e consumo di un pubblico infantile.
In effetti le sigle italiane si sono ritagliate negli anni una nicchia tutta loro e ancora oggi i loro cantanti hanno un folto seguito di fan che va ai loro concerti.
Keiko Ichiguchi: Sì, lo so, l’ho notato a Lucca.
Sissi Procura: Tutti noi siamo cresciuti guardando le serie di animazione giapponese e quindi ne abbiamo assunto anche gli insegnamenti e i valori.
Keiko Ichiguchi: Spero che questa sia una cosa buona!
Sissi Procura: Parliamo di alcune sue opere passate come ad esempio Due, America e Inno alle ragazze, in cui la musica è presente in modi diversi, come filo conduttore o come elemento del racconto. Sappiamo che molti artisti si fanno influenzare e ispirare dalla musica e che molti mangaka ascoltano musica mentre disegnano le loro tavole. Anche per lei è importante la musica nel suo processo creativo?
Keiko Ichiguchi: Dipende dalla storia. Quando ho scritto America ho continuato ad ascoltare un solo brano musicale fino alla nausea, si tratta di California dreaming, una vecchia canzone dei Mamas and Papas. In questo periodo sto ascoltando colonne sonore cinematografiche dal tono epico come quella, ad esempio, del film Braveheart.
Sissi Procura: In Italia non ha pubblicato solamente manga ma anche saggi divulgativi che parlano del Giappone e dei giapponesi, ad esempio Perché i giapponesi hanno gli occhi a mandorla oppure Anche i giapponesi nel loro piccolo si incazzano. Quali sono le differenze sostanziali in campo editoriale tra Italia e Giappone?
Keiko Ichiguchi: I libri sul Giappone li ho scritti prima di tutto perché verso la metà degli anni ‘90 c'erano poche e distorte informazioni a riguardo. Internet e gli smartphone ancora non esistevano e quindi sentivo tante cose strane sul Giappone, molti stereotipi e luoghi comuni che non corrispondono alla realtà. Allora ho voluto scrivere qualcosa da parte mia per sfatare qualche leggenda metropolitana e qualche falso mito.
Sulla differenza tra l'Italia e il Giappone: qui il ritmo è molto più lento e il mercato editoriale del fumetto è più piccolo rispetto al Giappone dove c'è un mercato enorme. Le occasioni di lavoro ci sono ma è difficilissimo sopravvivere perché c'è molta concorrenza. Diciamo che qui è difficile sopravvivere perché il mercato è piccolo, in Giappone è difficile per via della troppa concorrenza, inoltre il mercato è in continua evoluzione.
Sissi Procura: In effetti il mercato italiano del manga è relativamente piccolo si parla di numeri nell'ordine delle migliaia di copie, per esempio nello shoujo manga, anche se i fumetti italiani della Bonelli, come Tex, comunque vendono bene e hanno dei numeri importanti, ma è un fenomeno che si limita alla Bonelli e ad alcuni autori di grido come Zerocalcare.
Oltre che mangaka e saggista, si è occupata anche di traduzione da manga di altri autori per il mercato italiano (Berserk, Vagabond, n.d.r.). Sappiamo che la lingua italiana è completamente diversa da quella giapponese. L'italiano è molto ricco di vocaboli e sfumature mentre il giapponese ha poche parole che si prestano a più interpretazioni. Quanto è difficile riuscire a rendere le sfumature della lingua italiana rispetto a quella giapponese?
Keiko Ichiguchi: Dipende dalla singola storia e anche dall'autore. Il manga che ho tradotto in italiano e che più metteva in evidenza la differenza tra le due lingue è stato Vagabond (Takehiko Inoue), una storia in costume medievale. Il fumetto parla di un samurai che parla pochissimo. Spesso le parole che usa in giapponese hanno due o tre significati diversi contemporaneamente, perché con il giapponese ciò è possibile, ma se avessi tradotto tutto ciò in italiano l’avrei trasformato in un personaggio chiacchierone, e questo non andava bene. Quindi si trattava di scegliere attentamente il senso più importante delle sue parole in ogni specifica scena e di conseguenza scegliere la traduzione adatta. In quel caso ho dovuto tagliare alcuni significati, ma solo in quel caso perché si trattava di un soggetto abbastanza drammatico e di un personaggio particolarmente taciturno. Al contempo, quando si tratta di fumetti umoristici in cui si parla tantissimo la traduzione diretta dal giapponese potrebbe adattarsi molto bene anche in italiano, ma anche in quel caso non è sempre vero, perché spesso cambia molto anche il senso stesso dell'umorismo. La cosa più difficile da tradurre è il senso dell'umorismo.
Sissi Procura: Una delle ultime opere è La promessa dei Ciliegi, edita da Euromanga Edizioni. Vorrei cogliere l’occasione per parlare con lei del nuovo fenomeno euromanga che sta prendendo sempre più piede anche qui in Italia. A tal proposito c'è stata una lunga diatriba, una discussione in cui molti affermano che i manga prodotti da artisti non giapponesi non possono essere considerati veri manga, ma al massimo degli scimmiottamenti di un linguaggio e di uno stile narrativo che non ci appartiene. Lei cosa ne pensa? Il manga fa parte solo del DNA giapponese?
Keiko Ichiguchi: Sin dall'inizio non sono stata d'accordo con questa distinzione tra fumetto e manga. Manga significa semplicemente fumetto e i fumetti rimangono pur sempre tali, sia che essi siano disegnati da italiani che da giapponesi. Quindi io non comprendo molto questa discussione sulla differenza tra manga e fumetti perché per me si tratta della stessa cosa.
Sissi Procura: Però bisogna riconoscere che il manga ha uno stile narrativo e un'impostazione della tavola abbastanza tipici. Forse il tratto grafico potrà cambiare da autore ad autore ma l'impostazione generale della tavola e lo stile narrativo spesso presenta una caratteristica comune che identifica lo stile manga.
Keiko Ichiguchi: Penso che sia un interpretazione molto personale alla fine, perché è vero che noi siamo cresciuti leggendo i fumetti giapponesi prodotti in Giappone e che quindi siamo stati influenzati da quello stile, però è anche vero che quando sono arrivata in Italia, senza sapere nulla sul fumetto occidentale, ho comunque trovato qualcosa di molto simile ai fumetti che leggevo, ad esempio, in Sergio Toppi oppure in Dino Battaglia, il cui ritmo e scansione delle vignette sono molto simili a quelli giapponesi, e questo mi è piaciuto molto. Quindi, in definitiva, direi che le differenze tra stili diversi esistono ma non è detto che queste debbano necessariamente associarsi ad una specifica nazionalità.
Sissi Procura: Ancora un’ultima domanda. Il manga che non ha ancora disegnato. Che tipo di storia vorrebbe raccontare e che non è ancora riuscita a fare?
Keiko Ichiguchi: Esattamente, quella su cui sto lavorando in questo momento!
Sissi Procura: Salutiamo e ringraziamo la sensei Keiko Ichiguchi per la sua disponibilità e gentilezza.Keiko Ichiguchi: Grazie a voi!
Keiko Ichiguchi
Nata a Osaka, dal 1994 vive e lavora a Bologna. Scrittrice e mangaka, ha esordito nel fumetto nel 1988 vincendo il premio Shogakukan per nuovi talenti. Nel 1995 ha disegnato il suo primo volume direttamente per l’Italia Oltre la porta (Star Comics), mentre nel 1997 ha firmato per Kodansha il manga 1945 (Kappa Edizioni, 2000) e America (Kappalab, 2014). In Italia ha pubblicato anche diversi saggi fra cui la raccolta Non ci sono più i giapponesi di una volta (Kappalab, 2013).
Dal 2006, per quattro anni, ha collaborato col canale giapponese NHK Educational, realizzando strisce per un programma sulla lingua italiana, e ha scritto tre libri sui misteri di Firenze, Roma e Venezia, e un libro sulla storia del Bologna Children’s Book Fair per l’editrice giapponese Hakusuisha. Negli ultimi anni collabora con l’editrice franco/belga Kana (Dargaud-Lombard), pubblicando graphic novel come Là où la mer murmure (Dove sussurra il mare, Ronin Manga, 2010), e con l’editrice giapponese Takeshobo, per cui realizza le strisce umoristiche Andrea to issho! (insieme ad Andrea!), un essay-manga che racconta la sua vita in Italia.
Nata a Osaka, dal 1994 vive e lavora a Bologna. Scrittrice e mangaka, ha esordito nel fumetto nel 1988 vincendo il premio Shogakukan per nuovi talenti. Nel 1995 ha disegnato il suo primo volume direttamente per l’Italia Oltre la porta (Star Comics), mentre nel 1997 ha firmato per Kodansha il manga 1945 (Kappa Edizioni, 2000) e America (Kappalab, 2014). In Italia ha pubblicato anche diversi saggi fra cui la raccolta Non ci sono più i giapponesi di una volta (Kappalab, 2013).
Dal 2006, per quattro anni, ha collaborato col canale giapponese NHK Educational, realizzando strisce per un programma sulla lingua italiana, e ha scritto tre libri sui misteri di Firenze, Roma e Venezia, e un libro sulla storia del Bologna Children’s Book Fair per l’editrice giapponese Hakusuisha. Negli ultimi anni collabora con l’editrice franco/belga Kana (Dargaud-Lombard), pubblicando graphic novel come Là où la mer murmure (Dove sussurra il mare, Ronin Manga, 2010), e con l’editrice giapponese Takeshobo, per cui realizza le strisce umoristiche Andrea to issho! (insieme ad Andrea!), un essay-manga che racconta la sua vita in Italia.
Leggi anche il nostro Special su Keiko Ichiguchi del 16/12/2014.
Sia lode al Cielo!
La Maestra in realtà già aveva avuto modo di esprimersi su questo specifico argomento, ma adesso l'ha detto in modo ancora più chiaro: non esiste sostanziale distinzione tra fumetto e "mangha"! XD
L'illuminante circa questa tematica è il manuale del buon e caro Scott McLoud, ma a tale conclusione si può arrivare anche semplicemente usando il buon senso, ragionando con la propria testa e leggendo taaanti taaanti fumetti, giapponesi e non.
Se però Dragoon88 dice sciocchezze, e di riflesso chi la pensa come me, chiedo allora solo una cortesia: per coerenza, per coerenza, i giapponesi chiamateli nihonjin.
:)
Dei nostri intendi quelli Occidentali? O solo quelli Italiani? Per quanto riguarda la prima domanda credo che fosse vero fino a qualche anno fà ma ci sono stati numerose manifestazioni - e non solo Marvel Sponsorizzate - dedicate al fumetto occidentale promosse anche con la partecipazioni di importanti mangaka.
E' probabilmente più una questione di diffusione e di publicità.
Per quanto riguarda il fumetto Italiano...Paperi e Topi a fumetti hanno i loro annosi problemi, ho sentito strane voci da qualche settimana...E mi dispiacciono assai. Che Valentina poli - direttrice del settimanale Topolino - sia stata una benedizione per noi tutti fan della Disney è certo..ALtrettanto sicuro è che i numeri del magazine - del settimanale di Topolino - restino bassi. E soprattutto la Disney USA da tempo punta più su film e animazione.
Riguardo alla Bonelli....Questione complessa...Il modello seriale Bonelli è molto diverso da quello nipponico...potrebbero provare con le miniserie od i romanzi...Non è impossibile, la SBE ha parecchi lettori nei paesi della Ex Jugoslavia ( e notoriamente in Turchia) ed è abbastanza grande da affrontare un tentativo di "invasione" del mercato nipponico..ma dovrebbero lavorarci.
Opere come Gea, Lilith, lo stesso dragonero o selezioni di Dampyr penso sarebbero apprezzate...
Certo c'è il "Muro" dell'enorme massa di volumi che stampano in Giappone...
Per quel che riguarda la distinzione fra fumetto e manga, credo che la questione sia al livello di sfumature di significato e perciò impercettibile, quello che davvero conta è la differenza fra le due culture che partoriscono due modi per dire la stessa cosa: narrazione tramite disegni e testo. Un giapponese scrive un fumetto secondo il suo modo di vedere la realtà e lo chiama "manga", un italiano fa la stessa cosa e lo chiama "fumetto", ciò che cambia sono le coordinate culturali che si condensano in un termine. Leggo manga da più di dieci anni e ancora prima leggevo Zagor e Diabolik insieme a Batman e gli X-Men e non mi sono mai sognato di chiamare Mister No un manga, perché per me è sempre stato un fumetto, nè, sono sicuro, un lettore di Vagabond ad Osaka lo avrebbe mai chiamato il manga di Inoue graphic novel. Se scegliamo di prendere solo la parola sdradicata da tutto questo allora chiunque può essere un autore di manga, se però la inseriamo nel suo contesto, secondo me, la questione perde di significato. Manga e fumetto sono la stessa cosa ma un europeo sarà sempre e solo un fumettista che produce fumetti così come un mangaka giapponese sarà sempre e solo un autore di manga.
Proprio per questo la Ichiguchi ne ha scritto per "smontarli" e per farci capire meglio come stanno davvero le cose... e la parte sui rituali funebri raccontata per esperienza diretta è particolarmente toccante.
Dunque, in generale, in Giappone, per riferirsi ai fumetti in generale di qualsiasi nazionalità (loro compresa) utilizzano anche il termine komikku/komikkusu, cioè comic/comics. Questo non soltanto a livello informale/parlato, puoi addirittura trovare la parola comic all'interno di nomi ufficiali, come ad esempio nel caso di Kadokawa Comics.
Certamente, ma converrai con me che il termine è di chiara influenza occidentale con un etimo straniero, non giapponese in sé e per sé.
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