Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Non nascondo che le mie aspettative per "Kimi no Suizou o Tabetai" fossero di per sé già molto alte, ma di certo non mi sarei aspettato un calo verticale dopo pochissimi secondi dall'inizio del film... ancora mi sto chiedendo il perché si sia deciso di optare per un'introduzione del genere, sopprimendo nello spettatore qualsiasi tipo di speranza che le cose potessero andare in maniera diversa da quanto preannunciato. L’autore ha poi tentato di correggere il tiro attraverso la realizzazione di un finale piuttosto inaspettato, ma personalmente non è riuscito a colpirmi, emotivamente parlando, così come avvenuto quando ho avuto modo di leggere il manga.

A questo punto vi starete chiedendo se ci sono aspetti interessanti nel film, e soprattutto il motivo per cui il mio giudizio sia comunque ampiamente positivo: ciò va riscontrato nel corpo centrale dell'opera. Sebbene le vicende si incentrino quasi esclusivamente sui due protagonisti, Haruki e Sakura, non è stato affatto noioso leggere e ascoltare i lunghissimi dialoghi tra i due liceali sia nei momenti comici e leggeri che in quelli più profondi e toccanti. Il lungometraggio stesso potrebbe essere considerato come un lungo e interessante confronto tra i due protagonisti su alcune tematiche molto importanti, nel quale l'autore è riuscito nell'intento di caratterizzare in maniera dettagliata la prospettiva sociale e psicologica dei due liceali, sebbene sia esente uno specifico inquadramento a livello storico e narrativo. In altre parole, non è stato necessario conoscere il passato di Haruki e Sakura per comprendere come hanno costruito il loro modo di pensare e agire nel presente. Durante il corso delle vicende, spesso ci si è imbattuti nel termine "antipodi", il quale assume una concettualizzazione fondamentale per esplicitare le personalità diametralmente opposte dei due adolescenti: da una parte, Haruki, un ragazzo poco incline a stabilire relazioni con gli altri e immerso quasi sempre nella lettura di libri, in quanto mezzo per distaccarsi dalla realtà e luogo dove riesce ad esprimere appieno sé stesso; dall'altro lato, Sakura, una ragazza solare, portatrice di vita, che, nonostante la sua malattia terminale, riesce sempre a sorridere e mettersi a disposizione degli altri. Tuttavia i suoi atteggiamenti e comportamenti corrispondono alla "maschera" che è costretta continuamente a indossare, dietro la quale si cela una profonda insicurezza e paura di ciò che dovrà affrontare in futuro, costruita semplicemente per evitare la sofferenza dell’altro e supportare allo stesso tempo le persone a lei care.

In effetti, verrebbe da pensare che i due liceali non siano così diversi dopotutto, in quanto entrambi interiorizzano le loro rispettive debolezze evitando di esperirle all'esterno, ma in realtà si completano, si fondono in maniera perfetta, come lo ying e lo yang, il giorno e la notte, l'uno lenisce ed eleva la condizione dell'altro. È proprio partendo da questa ipotesi che è possibile stabilire l'esistenza di una netta e chiara differenza tra i due, poiché è proprio dall'incontro con la diversità, con il coetaneo il quale rappresenta il polo diametralmente opposto della propria personalità, che avviene la maturazione e il cambiamento a livello psico-sociale. Sakura ha insegnato ad Haruki l'importanza della propria esistenza: "Vivere significa prestare attenzione, innamorarsi, odiare, divertirsi e supportare chi è al nostro fianco". La nostra esistenza è validata dalla presenza e dall'interazione con l'altro, non dalla percezione che l'individuo ha di sé stesso.
Haruki, invece, ha aiutato Sakura nel condurre tutte quelle esperienze della quotidianità in maniera spensierata, divertente, e soprattutto la ragazza non ha avuto più l'onere di dover affrontare la sua malattia da sola... spesso pensiamo possa essere facile affrontare tutto e tutti da soli, ma, quando c'è qualcuno di valido al nostro fianco, disposto a condividere il peso delle nostre sventure e dei nostri problemi, posso assicurarvi che la sensazione è completamente diversa, vi sentirete molto più leggeri rispetto a prima!

Credo che queste righe descrivano concretamente il rapporto tra Haruki e Sakura; tra l'altro è piuttosto complicato far riferimento ad altri personaggi a cui è stato attribuito un ruolo rilevante nella vicenda: esistono caratterizzazioni quanto meno psicologiche ma tremendamente superficiali, quei pochi caratteri secondari esistenti vengono utilizzati solo ed esclusivamente in funzione dei due protagonisti, per arricchire e definire maggiormente la narrazione, e ogni tanto uscire dallo spazio labirintico nel quale sono racchiusi Haruki e Sakura.

Anche il comparto grafico segue la falsariga della storia e dei “personaggi secondari”, se così possiamo definirli, focalizzandosi principalmente sui due protagonisti, escludendo tutto ciò che li circonda. Durante il film ho avuto proprio la sensazione di essere così immerso nei divertenti e profondi dialoghi, da non accorgermi degli sfondi, dei paesaggi o delle rappresentazioni presenti all'esterno. Le OST mi sono piaciute e faccio i miei complimenti ai doppiatori giapponesi dei protagonisti, in quanto ritengo siano riusciti perfettamente a immedesimarsi nei loro personaggi (sì, non ho avuto la possibilità di vedere il lungometraggio in italiano).

Peccato davvero per l’inizio fin troppo diretto e per un finale che onestamente poteva essere costruito molto meglio. Entrambi mi hanno lasciato con l'amaro in bocca, soprattutto la scena iniziale mi ha fatto perdere tutto quel pathos e quella suspense che mi ero creato sull'opera. Questi aspetti hanno sicuramente influito negativamente sul voto generale del lungometraggio; oltretutto, elementi che avrebbero dovuto coinvolgere tantissimo lo spettatore come la drammaticità e l'emotività non mi hanno dato quella carica e colpito come dovevano: alcune volte ero proprio in procinto di piangere, ma per qualche motivo non sono mai andato davvero fino in fondo. Si tratta di un discorso puramente soggettivo, però alcune volte le vicende mi hanno dato come l'impressione di non soffermarsi nei climax in maniera adeguata. Tuttavia ciò non toglie che l'autore abbia trattato dettagliatamente le tematiche principali e caratterizzato i protagonisti in maniera egregia. Consiglio di guardare quest'altro piccolo capolavoro dell'animazione giapponese, sperando possa essere di esempio a tutte quelle persone malate che cercano degli obbiettivi e degli ideali ai quali aggrapparsi per andare avanti: non bisogna mai arrendersi e darsi per vinti, perché c'è sempre la possibilità di trovare qualcuno che ci possa aiutare e soprattutto renderci felici, nonostante ci rimanga poco tempo da vivere!
Il mio voto finale è 8.

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Una canzone, una melodia, un motivetto, un pezzo classico o una filastrocca. Almeno una volta nella vita, ognuno di noi è stato toccato dalla musica nel profondo. Note che sfiorano il cuore, prima di qualsiasi altra cosa. Un linguaggio sopra ogni torre di Babele, comprensibile a chiunque, e che non ha bisogno di spiegarsi. Ognuno di noi ha un momento o triste o felice legato a delle note che glielo faranno riemergere dal profondo della memoria per sempre.
“Bugie d’aprile” (“Shigatsu wa Kimi no Uso”) parla di quelle note: tutto parte da qui.
È uno di quegli anime che tratta musica classica nel migliore dei modi, senza artefare, storpiare, mistificare o iperbolizzare ciò che è l’anima vera e propria dei pezzi sacri ed eterni che propone: l’intreccio fra sceneggiatura emozionante e musiche semplicemente gloriose avviene con cura e con giusta misura, e questo rende il tutto estremamente gradevole, soprattutto agli appassionati del genere.
Visivamente eccezionale sin dai primi episodi, ecco ciò che sembra una classica storia fra alunni delle scuole medie, alle prese coi loro problemi personali e i loro percorsi di crescita: pertanto, non ci è lasciato intendere quali possano essere queste “bugie primaverili”, eppure, pian piano, ci renderemo conto che sarà proprio una di queste il cardine palpitante e delicato di tutta la vicenda.
È una storia dai colori splendidi. Le animazioni colpiscono sin da subito: ventidue episodi con rarissimi cali di qualità, una brillantezza sia nella cromatica che richiama volutamente le pastellate livree primaverili, sia nelle animazioni, sempre incisive, fluide, quantomeno sufficienti, per poi divenire eccellenti nei momenti chiave: il binomio fioritura primaverile e scenari dalle livree tenui e delicate sortiscono un effetto meraviglioso.

E’ questa (anche) la storia di Kousei Arima, quattordicenne che fu prodigio del pianoforte fino a quando, a causa di una grave malattia, la severissima madre non lo lasciò. Egli, in seguito al lutto, finì per sviluppare un vero e proprio blocco psicologico, una sorta di trauma legato a una infanzia sofferta e ricca di sentimenti contrastanti, che lo costrinse a fuggire dalla musica. Così, ora, i giorni di Kousei procedono monotoni ma apparentemente sereni, almeno fino a quando, nel bel mezzo d’un giorno di primavera, non si imbatte in una bella, vivace, euforica biondina di nome Kaori, che, inaspettatamente - in un modo o nell’altro - scuoterà l’anima del giovane ragazzo, trascinandolo in un turbinio di emozioni capaci di smuoverlo nell’intimo più di qualsiasi altra cosa. Ma Kousei non è mai stato davvero solo: è circondato da amici che lo hanno sempre sostenuto e lo sosterranno in futuro, amici che provano sincero affetto per lui, ognuno di loro in modo... differente: alcuni antagonisti di spartito, altri sinceri amici del cuore, altri ancora insospettabili estimatori.
Tuttavia, Kaori non è solo una semplice spalla né “soltanto” la protagonista femminile della storia: è probabilmente uno dei personaggi femminili migliori mai creati in un anime con questo genere di target: in alcuni episodi brilla davvero come una stella, ed è capace di prendersi l’intero palcoscenico (letteralmente e metaforicamente); dietro un carattere irascibile e una verve eccessiva nasconde una bontà d’animo incredibile, una personalità solare e una timida generosità, poiché in quelle amabili contraddizioni vi è racchiuso un amore viscerale e sfrenato per la vita, una voglia di gioire, sorridere, andare “avanti”. “Lasciare il segno nel cuore delle persone a cui vuole bene” e, soprattutto, sfiorare il cuore di chi ascolta la sua musica: è questo il suo motore, la spinta della sua anima, la sua motivazione più grande. Sì, perché Kaori è una violinista di grande talento, istintiva e sregolata, capace di interpretare brani classici in chiave personale unica e farli propri, per poi trasmetterli alla platea filtrati attraverso la sua anima colorata, scoppiettante ed esplosiva, delicata eppur vigorosa, e, soprattutto, così intensa e sincera. È uno spirito libero, capace di folgorare con frasi ad effetto (talvolta magari un po’ eccessive in determinate situazioni, ma capaci di far risaltare dialoghi altresì banali).
Ma come tutti gli adolescenti è fragile, e prova timori. Ma perché vive ogni giorno come fosse l’ultimo? E perché ha deciso di suonare il violino con tanta passione?

“Bugie d’Aprile” è un prodotto davvero molto curato.
Le esibizioni sonore dei protagonisti tengono lo spettatore col fiato sospeso; non solo narrano la vicenda tramite le note di pezzi immortali della musica classica (Chopin, Mozart, Rachmaninov, Beethoven, per fare dei nomi), ma parlano al cuore della platea, le note come parole di una lettera d’amore, o una sfuriata, o un momento triste, come lacrime o come sorrisi, in un turbine di sentimenti ed emozioni come solo la musica può plasmare o trasformare. L’episodio 4, a proposito, è, probabilmente, a livello emotivo e artistico, uno dei migliori della storia dell’animazione giapponese moderna.
V’è una magia cromatica nella correlazione fra lo spettro emotivo dei musicisti coinvolti e i colori scelti per illustrare questa dolce tragedia, quasi come se paesaggi, luoghi e momenti della vicenda possano essere raccontati tramite la musica, metro di misura e idioma universale, capace di trascendere ogni genere di comunicazione e arrivare dritta al cuore di chiunque, se espressa con nobile sincerità.
Bella e pertinente la CG utilizzata per mostrare le mani dei pianisti in azione, esaltanti le scene quando Kaori suona il violino: una cura maniacale nella fedeltà di strumenti e gestualità.
E così, con ritmo compassato ma crescente, la vicenda scivola lentamente in un dramma quasi telefonato che di sicuro non stupisce lo spettatore, ma lo prepara a un finale duro e sofferto.
C’è da dire che qualche volta le scene drammatiche eccedono di intensità, raramente appaiono forzate, ma nel complesso rimangono pertinenti e coerenti alla struttura della trama (sebbene fin troppo semplificata in alcuni punti e troppo complessa in altri, surreale per dei ragazzi così giovani).

Della colonna sonora non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlarne. Siamo semplicemente su un altro pianeta. Le opening e le ending sono orecchiabili, allegre le prime, malinconiche le seconde, in linea con la trama, ma, quando si tratta di pezzi classici reinterpretati o suonati alla “lettera”, allora è la magia della musica classica che prende il sopravvento e atterrisce, stupisce, eleva, colpisce e tramortisce. Emozioni inimitabili, in cui si identificano i nostri giovani eroi, che, fra sogni per il futuro e alle prese coi primi amori, costruiscono passo dopo passo il loro futuro.
Ma è per tutti così?

Fra le tristi note di Chopin, l’esaltazione di Mozart e i sentimenti complessi e intrigati di Kousei e compagni, “Bugie d’Aprile” ci ricorda in modo potente e sfacciato che ogni minuto della nostra vita è prezioso, sono minuti che non torneranno mai più, e che nessuno di noi sa esattamente quando lascerà questo mondo. Quindi vivete, vivete sorridendo, non lasciatevi sfuggire nessun momento e fate quello che volete e quel che potete, perché, come citava Lorenzo de’ Medici: “Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza.”
Il finale di questa tenera e amara vicenda vi svelerà quali, di quelle bugie dette “lo scorso aprile”, sarà la più importante e toccante.

Se amate la musica classica, non perdetevi questa piccola gemma. Se non la amate o semplicemente non ci avete mai pensato, guardatela lo stesso.
La musica tocca il cuore, quando ci si esibisce con l’anima.

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Nell’autunno del 1998 giunge sugli schermi televisivi nipponici “Kareshi to Kanojo no Jijo” (abbreviato in “KareKano”, conosciuto in italia col titolo “Le situazioni di Lui e Lei”), anime di ventisei episodi ispirato all’omonimo manga scritto e illustrato da Masami Tsuda. La serie, realizzata dagli studi Gainax e J.C. Staff, è stata diretta per le prime diciotto puntate da Hideaki Anno e per le restanti da Kazuya Tsurumaki.

Protagonista della storia è Yukino Miyazawa, una liceale che si autodefinisce “regina della vanità”, e per questo si costruisce la maschera di studentessa modello col massimo dei voti e disponibile con tutti. L’immagine che la ragazza ha ideato con tanta cura, però, rischia di essere messa in ombra da Soichiro Arima, un suo compagno di classe che sembra anche più perfetto di lei. Yukino, decisa a battere il ragazzo in ogni campo, comincia a frequentarlo più spesso, fino a quando Arima finisce per scoprire il suo segreto.

Uno dei punti di forza che permette a “KareKano” di emergere nella massa di anime sentimentali suoi simili risiede sicuramente nella grande introspezione psicologica a cui sono sottoposti i personaggi della serie, protagonisti in particolare. Molto frequenti, infatti, sono le lunghe riflessioni a cui andranno incontro Yukino, Arima e compagni: tali analisi interiori, con le quali i vari attori scaveranno nel proprio “io” alla ricerca di debolezze da eliminare o cambiamenti che hanno permesso loro di migliorare, ci aiuteranno a conoscere meglio il folto cast e a essere partecipi della profonda maturazione che gran parte di esso attraverserà. Uno dei temi fondamentali dell’anime, con cui i nostri protagonisti dovranno spesso confrontarsi, è rappresentato dalla ricerca della propria identità: un processo, questo, che non di rado ci costringe a indossare una maschera per apparire più belli agli occhi della gente, ci porta a creare una falsa versione di noi stessi che a volte finisce per ingannarci e a farci dubitare della nostra vera natura.

Un altro aspetto (stavolta non tanto positivo) per il quale la serie si farà ricordare è relativo alla penuria di risorse finanziarie che ne ha profondamente influenzato la realizzazione. La scarsità di fondi, innanzitutto, ha penalizzato l’anime dal punto di vista dei contenuti: eccessivamente frequenti, infatti, sono i riassunti delle vicende, che dal sostituire la sigla per il breve tempo a lei riservato a inizio dell’episodio arrivano a protrarsi per un’intera puntata e oltre. In altri casi tale scelta si sarebbe potuta giustificare, ma in una serie sentimentale di soli ventisei episodi - con una trama neanche tanto complicata - ricapitolare gli eventi accaduti ha il solo risultato di mettere a dura prova la pazienza dello spettatore.

L’esiguo budget, inoltre, si ripercuote inesorabilmente sul comparto visivo. Per sopperire alla mancanza di fondi, infatti, i due registi hanno dovuto ingegnarsi e ricorrere ad alcune tecniche piuttosto sperimentali: ecco quindi che si passa dallo stile “fumetto” (con il quale le scene sono realizzate usando vignette e balloon tipiche dai manga) all’utilizzo di figure di cartone colorate grezzamente a matita e fatte muovere manualmente; ecco che gli sfondi ora scompaiono, ora sono astratti, ora sono ricalcati su foto di posti realmente esistenti. Il mio giudizio, a tale proposito, è alquanto contrastante: se da un lato apprezzo che gli autori abbiano utilizzato tecniche innovative pur di non propinarci animazioni becere e dannose per la vista, dall’altro penso che si tratta comunque di un’opera di animazione, e che dunque l’eccessiva staticità riduca di molto l’esperienza offertaci da un prodotto che dovrebbe contraddistinguersi per la fluidità tra un frame e l’altro.

Restando sull’aspetto tecnico, le musiche composte da Shiro Sagisu svolgono per bene il loro compito, creando una bella atmosfera sia nelle scene più spensierate che in quelle più delicate. Una nota di merito va, poi, all’edizione italiana: da una parte abbiamo un ottimo doppiaggio, dall’altra un editing molto curato che non si limita a mettere i sottotitoli ai numerosi cartelli e onomatopee, ma li sostituisce interamente con la traduzione nella nostra lingua madre.

In conclusione, “Le situazioni di Lui e Lei” è una serie dai contenuti molto validi che è stata abbastanza penalizzata dall’esiguo budget con cui è stata realizzata. Le scarse risorse finanziarie, oltre ad aver influenzato il comparto visivo, hanno infatti inciso anche sulla sostanza: esempio lampante è costituito dall’episodio finale che interrompe le vicende bruscamente e senza alcuna parvenza di conclusione. Voto: 7,5.