"Ne usciremo tutti migliori!" è quello che si dice quando si affronta una brutta disgrazia o situazioni di grave emergenza, non ultima la drammatica pandemia che ad oggi sta influenzando le vite di tutti a livello globale. Ed è in fondo quello che vuole dire anche la nuova serie targata Netflix e Studio Science Saru.
Stiamo parlando di Japan Sinks 2020, trasposizione animata, disponibile dal 9 luglio sulla piattaforma di Netflix, di un romanzo scritto da Sakyo Komatsu, pubblicato in Giappone nel 1973 e vincitore del Premio Seiun, il premio nazionale giapponese della fantascienza. Stiamo parlando di quello che in patria è un vero e proprio best seller, con oltre quattro milioni di copie vendute ed oggetto di una riduzione cinematografica nel 1974, Nihon chinbotsu (distribuito anche in italia col titolo Pianeta Terra: anno zero), di una serie televisiva un paio di anni dopo e di un remake del film nel 2006.
Inutile negarlo, c'era davvero tanto hype intorno a questo titolo, complice la fama del libro e il fatto che questa serie di 10 puntate fosse avvicinata al nome del regista di Devilman CryBaby, Masaaki Yuasa. Hype a cui neanche io mi sono certo sottratto, amando il genere catastrofico.
La domanda che si sono poi fatti i fan della prima ora del regista di Tatami Galaxy è se ci fosse davvero Yuasa dietro quest'opera. Dalle nostre ricerche risulta che ha dato una mano agli storyboard (episodi da 2 a 5), ma che non ha scritto o diretto alcun episodio.
La series director è Pyeon-Gang Ho. Yuasa è indicato come "kantoku" che vuol dire regista ma anche supervisore, quindi si può dire che siamo sicuramente più nel secondo caso (anche perché solitamente il regista vero è proprio è il series director). Presenza o meno del regista e ex presidente dello studio di animazione, Japan Sinks resta comunque una grossa delusione per quello che poteva essere e non è stato. Andiamo però per gradi.
Lo vedremo attraverso le vicissitudini della famiglia Mutō, i cui 4 membri si ritrovano tutti separati al momento del primo shock sismico. Dopo essersi riuniti in maniera fortuita inizia una piccola, grande odissea per questa famiglia in cerca di salvezza dalla devastazione che si fa largo tutto intorno a loro. I toni sono sempre più cupi e la speranza si affievolisce puntata dopo puntata con morti a sorpresa che toccano diversi personaggi principali.
I produttori in varie interviste hanno spiegato di aver voluto cambiare la storia originale non solo portandola ai giorni nostri ma anche cambiandone la visuale: mentre il romanzo originale era incentrato su scienziati e politici che cercavano di salvare il Giappone, la versione anime vede appunto come protagonista una famiglia di Tokyo che tenta di salvare se stessa e la propria identità mentre il Giappone si immerge sempre più velocemente.
Sulla falsariga di tante opere post apocalittiche recenti, lo staff dell'anime ha voluto mostrare il dolore della perdita di quella che prima era considerata anche solo una vita di normale routine, dal piatto preparato dalla mamma fino ai momenti di intimità familiare, il tutto sconvolto e sparito di punto in bianco a causa della tragedia in atto.
Mai come ora forse un titolo del genere poteva portare gli spettatori a una grande empatia con i personaggi e la storia raccontata, ma è proprio qui che il castello di carte cola a picco, forse anche più velocemente del Giappone rappresentato nell'anime.
La storia stessa infatti lascia molto perplessi da diversi punti di vista. Non si fa in tempo ad "affezionarsi" che ci si ritrova ad assistere alla morte di diverse figure centrali del gruppo familiare e il tutto senza suscitare particolari reazioni (emblematica la prima dipartita). Ci sono poi numerose divagazioni come l'inserimento in corsa di personaggi che durano il tempo di un paio di puntate. La parte centrale riguardante la "setta" ad esempio aveva parecchi spunti interessanti ma sembra davvero buttata lì a caso e meritava più attenzione e approfondimento.
Spunti interessanti che ad essere sinceri si ritrovano diverse volte in varie puntate, come l'accusa al nazionalismo fine a se stesso e la volontà di mostrare al mondo un Giappone molto più multi etnico e internazionale. La famiglia al centro della storia è d'altronde per metà filippina da parte di madre e il figlio sogna di andare all'estero (d'altronde saranno proprio le sue amicizie on line a far svoltare la situazione). Il tutto però è gestito molto male e con risultati piuttosto imbarazzanti a partire dalle costanti frasi in inglese del ragazzino che producono fondamentalmente irritazione nello spettatore. Quello che i produttori ci vogliono offrire nel finale, anche come auspicio e monito, è un Giappone che, pur menomato, riesce a superare la tragedia anche grazie all'aiuto degli altri e che, riscoprendo i suoi valori tradizionali, viaggia verso il futuro con un nuovo spirito di apertura e condivisione.
Tutto bello ma il finale brusco e affrettato finisce per lasciare lo spettatore disorientato, mentre la qualità altalenante delle animazioni per tutta la durata della serie fanno poi il resto. Niente a che vedere con la bellezza registico/estetica di Ride your Wave dello stesso Yuasa, arrivato nello stesso periodo sul concorrente Amazon Prime Video.
Lo Studio Science Saru qui spende le sue risorse artistiche sugli sfondi estremamente dettagliati mentre tutto il resto rimane sull'ordinario se non proprio, in certi punti, sotto la sufficienza. Non salva la baracca la sempre ottima colonna sonora di Kensuke Ushio mentre il doppiaggio italiano l'ho trovato piuttosto piatto e poco incisivo.
Stiamo parlando di Japan Sinks 2020, trasposizione animata, disponibile dal 9 luglio sulla piattaforma di Netflix, di un romanzo scritto da Sakyo Komatsu, pubblicato in Giappone nel 1973 e vincitore del Premio Seiun, il premio nazionale giapponese della fantascienza. Stiamo parlando di quello che in patria è un vero e proprio best seller, con oltre quattro milioni di copie vendute ed oggetto di una riduzione cinematografica nel 1974, Nihon chinbotsu (distribuito anche in italia col titolo Pianeta Terra: anno zero), di una serie televisiva un paio di anni dopo e di un remake del film nel 2006.
Inutile negarlo, c'era davvero tanto hype intorno a questo titolo, complice la fama del libro e il fatto che questa serie di 10 puntate fosse avvicinata al nome del regista di Devilman CryBaby, Masaaki Yuasa. Hype a cui neanche io mi sono certo sottratto, amando il genere catastrofico.
La domanda che si sono poi fatti i fan della prima ora del regista di Tatami Galaxy è se ci fosse davvero Yuasa dietro quest'opera. Dalle nostre ricerche risulta che ha dato una mano agli storyboard (episodi da 2 a 5), ma che non ha scritto o diretto alcun episodio.
La series director è Pyeon-Gang Ho. Yuasa è indicato come "kantoku" che vuol dire regista ma anche supervisore, quindi si può dire che siamo sicuramente più nel secondo caso (anche perché solitamente il regista vero è proprio è il series director). Presenza o meno del regista e ex presidente dello studio di animazione, Japan Sinks resta comunque una grossa delusione per quello che poteva essere e non è stato. Andiamo però per gradi.
Giappone 2020 (e non anni 70 come nel romanzo). La scoperta di un'enorme crepa sul fondo del mare mette in allarme alcuni geologi giapponesi: secondo le previsioni del dott. Onedera, l’intero paese potrebbe presto inabissarsi nell'oceano. La teoria viene vista come pura follia dal governo e dall'opinione pubblica, almeno fino a quando non arriva la prima ondata di devastanti sismi. Di fronte alla catastrofe, la società giapponese cade nel caos: le terre si squarciano, le coste subiscono violente inondazioni, ma Onedera ha previsto anche l'eruzione del Monte Fuji. Quale sarà il destino della popolazione?
Lo vedremo attraverso le vicissitudini della famiglia Mutō, i cui 4 membri si ritrovano tutti separati al momento del primo shock sismico. Dopo essersi riuniti in maniera fortuita inizia una piccola, grande odissea per questa famiglia in cerca di salvezza dalla devastazione che si fa largo tutto intorno a loro. I toni sono sempre più cupi e la speranza si affievolisce puntata dopo puntata con morti a sorpresa che toccano diversi personaggi principali.
I produttori in varie interviste hanno spiegato di aver voluto cambiare la storia originale non solo portandola ai giorni nostri ma anche cambiandone la visuale: mentre il romanzo originale era incentrato su scienziati e politici che cercavano di salvare il Giappone, la versione anime vede appunto come protagonista una famiglia di Tokyo che tenta di salvare se stessa e la propria identità mentre il Giappone si immerge sempre più velocemente.
Sulla falsariga di tante opere post apocalittiche recenti, lo staff dell'anime ha voluto mostrare il dolore della perdita di quella che prima era considerata anche solo una vita di normale routine, dal piatto preparato dalla mamma fino ai momenti di intimità familiare, il tutto sconvolto e sparito di punto in bianco a causa della tragedia in atto.
Mai come ora forse un titolo del genere poteva portare gli spettatori a una grande empatia con i personaggi e la storia raccontata, ma è proprio qui che il castello di carte cola a picco, forse anche più velocemente del Giappone rappresentato nell'anime.
La storia stessa infatti lascia molto perplessi da diversi punti di vista. Non si fa in tempo ad "affezionarsi" che ci si ritrova ad assistere alla morte di diverse figure centrali del gruppo familiare e il tutto senza suscitare particolari reazioni (emblematica la prima dipartita). Ci sono poi numerose divagazioni come l'inserimento in corsa di personaggi che durano il tempo di un paio di puntate. La parte centrale riguardante la "setta" ad esempio aveva parecchi spunti interessanti ma sembra davvero buttata lì a caso e meritava più attenzione e approfondimento.
Spunti interessanti che ad essere sinceri si ritrovano diverse volte in varie puntate, come l'accusa al nazionalismo fine a se stesso e la volontà di mostrare al mondo un Giappone molto più multi etnico e internazionale. La famiglia al centro della storia è d'altronde per metà filippina da parte di madre e il figlio sogna di andare all'estero (d'altronde saranno proprio le sue amicizie on line a far svoltare la situazione). Il tutto però è gestito molto male e con risultati piuttosto imbarazzanti a partire dalle costanti frasi in inglese del ragazzino che producono fondamentalmente irritazione nello spettatore. Quello che i produttori ci vogliono offrire nel finale, anche come auspicio e monito, è un Giappone che, pur menomato, riesce a superare la tragedia anche grazie all'aiuto degli altri e che, riscoprendo i suoi valori tradizionali, viaggia verso il futuro con un nuovo spirito di apertura e condivisione.
Tutto bello ma il finale brusco e affrettato finisce per lasciare lo spettatore disorientato, mentre la qualità altalenante delle animazioni per tutta la durata della serie fanno poi il resto. Niente a che vedere con la bellezza registico/estetica di Ride your Wave dello stesso Yuasa, arrivato nello stesso periodo sul concorrente Amazon Prime Video.
Lo Studio Science Saru qui spende le sue risorse artistiche sugli sfondi estremamente dettagliati mentre tutto il resto rimane sull'ordinario se non proprio, in certi punti, sotto la sufficienza. Non salva la baracca la sempre ottima colonna sonora di Kensuke Ushio mentre il doppiaggio italiano l'ho trovato piuttosto piatto e poco incisivo.
"Ci sono cose che puoi fare nell'animazione che sono difficili da fare nel film dal vivo", aveva affermato il produttore della serie e CEO dello studio di animazione Science Saru. "Ora ci sono molte persone in tutto il mondo interessate all'animazione giapponese, quindi abbiamo pensato che fosse un buon momento per reintrodurre Japan Sinks nel mondo." Tutto questo fa parte del bagaglio culturale di questo studio, sempre desideroso di innovare e portare una ventata di novità nel mondo dell'animazione del Sol Levante. Spiace quindi constatare che tutto questo non è riuscito in pieno in questa serie, nonostante gli ottimi messaggi che voleva offrire ma che sono stati veicolati in maniera davvero poco efficace. Non siamo di fronte quindi ad un'opera pregna di significati come CryBaby, ma neanche a una mainstream come Tokyo Magnitude 8.0, con cui è stata associata fin dal primo trailer. Japan Sinks resta un grande " vorrei ma non posso" da parte dello Studio di Yuasa, al di là della presenza o meno di quest'ultimo nel lavoro effettivo svolto.
Pro
- Messaggi piuttosto validi
- Colonna sonora di Ushio
Contro
- Messaggi validi ma veicolati male
- Animazioni e disegni altalenanti
- Personaggi poco caratterizzati
- Le frasi in inglese del ragazzino sparate a caso alla fine irritano
Grazie per l'avviso!
Faccio un plauso a chi è riuscito a concluderlo, sinceramente dopo il terzo ed il quarto episodio non sono riuscito a terminarlo.
Esatto. Si salvano giusto i primi due episodi poi calo mostruoso in tutto.
L'unica cosa bella che mi è rimasta sono le musiche.
Un vero peccato perchè l'ho iniziato con grande aspettativa e invece...
Tra l'altro oltre ad essere narrato male, non capisco come si possa avere una qualità così altalenante delle animazioni: passano da buone del primo episodio per poi colare a picco in alcuni momenti, io guardandolo sono rimasto stranito.
P.s: le frasi del ragazzino in inglese, che odio! Avrei voluto prenderlo a schiaffi dopo due episodi, insopportabile.
Comunque, da amante del genere catastrofico e post-apocalittico, devo ammettere che non la trovo così deleteria. Personalmente gli darei un 66.
Appunto, c'era...
Poi già lo stile di disegno dello studio non mi fa impazzire ma mentre negli altri adattamenti (come Crybaby) era accettabile, qui affonda ancora più in fretta del Giappone...
Ride your wawe lo consiglio, ma Dynit si sta buttando a portare film dal sapore triste (dopo Voglio mangiare il tuo pancreas anche basta) quando io voglio un happy ending e per questo salvo solo l'animazione di questo splendido film. Non voglio arrivare ai titoli di coda triste o con le lacrime agli occhi. Poi fatico a togliermi la tristezza di dosso. ?
Dovresti ringraziarci...
Comunque la corsa del tizio hikkikomori in uno degli ultimi episodi è la classica scena da Yuasa, quindi di certo c'è il suo zampone.
Tutto un po’ troppo a caso, sia la trama che la caratterizzazione dei personaggi. Della serie poche idee si salvano.. un peccato per un’opera partita con le migliori premesse.
Zozzeria immane, ripeto, neanche valida a livello tecnico(altro che sufficienza), ho visto roba indecente che non sarebbe mai passata neanche in una scuola d'aninazione, tipo personaggi che "scattano" perché mancano i frame di intermezzo fra una posa e l'altra, o costanti riprese a lungo campo per non animare il labiale.
Per non parlare della deficienza della trama.
Ormai è una costante, Netflix dovrebbe lasciar perdere l'animazione e dedicarsi solo ai film e serie tv
Ma che c' entra netflix....qui ha toppato lo Studio d' animazione...va detto...non è che se un titolo è bello allora è merito del regista/studio e se fa pena è colpa di Netflix
Esatto, come al solito si dà di contro per partito preso, Netflix in questo caso ha fatto solamente da producer, e non è di certo responsabile, come hai sottolineato, per il pessimo lavoro dello studios.
In questo caso direi che la buona idea c'era, dal romanzo prestigioso allo Studio che aveva fatto già bene con CryBaby (sempre x Netflix) all'argomento che più attuale di così non si poteva...
Se poi il rigorista che hai comprato per il tuo team (e che si è già dimostrato affidabile) sbaglia il rigore direi che la società c' entri poco
Comunque non vado molto d'accordo con quella piattaforma, ma stavolta Netflix non c'entra nulla...
Sull'idea di base sono d'accordo, l'ho scritto anche sopra... l'esempio del rigorista non calza tanto, perchè quello che volevo dire io è un'altra cosa: facci caso, dopo che hai visto una serie Netflix non ti sembra che manchi qualcosa, come se ci fosse un vuoto narrativo colmato in fretta e furia nel finale? Voglio dire che sono serie guardabili e basta...
Crybaby si carino, ma solo perchè copre tutta la storia fino alla vera natura di Ryo, al contrario della serie anni 80-90 (ma lì non si andò avanti con la storia perchè morì Komatsubara)... eppure qualche pecca c'è in Crybaby, ad esempio di come Akira diventa Devilman (in modo molto approssimativo) o Miki e il fotografo
Verso Netflix c'è contro per partito preso, però i cattivi anime non escono solo da Netflix.
Quanti fallimenti ed opere deludenti o dimenticabili.
Senza parlare del live-action teen di Deathnote, che rabbia!
Ma cosa c’entra Netflix scusa? Mica li fanno loro gli anime, acquistano la serie e basta.
E poi non mancano sempre il bersaglio: Dorohedoro, Beastars, BNA e soprattutto Carole and Tuesday, questi solo alcuni esempi di anime ottimi Prodotti da Netflix.
Continuare a usare i passi falsi come esempio invece di quelli buoni (subito sempre dimenticati appena esce qualcosa di fallimentare) è una tendenza da puro troll.
Sottoscrivo.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.