Intervista a Nobuhiro Yamashita e Ryuhei Matsuda (Nana) al Far East Film Festival 19

Il regista di Osaka torna a Udine con l'attore Ryuhei Matsuda e il produttore Yasushi Sutou e contagia il pubblico con la sua commedia brillante My Uncle

di bob71

Oggi parliamo di un autore che il pubblico del Far East Film Festival conosce bene, a cui è particolarmente affezionato fin dai tempi del cult Linda Linda Linda e del toccante La La La at Rock Bottom. Si tratta ovviamente di Nobuhiro Yamashita, che AnimeClick.it aveva già intervistato nel 2015 e che quest’anno a Udine presentava ben tre film.
 
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Over the Fence, di estrazione letteraria, è un sommesso squarcio di vite ai margini, quelle di un loser disoccupato e divorziato (Joe Odagiri) e di una sbandata hostess da night club (Yu Aoi), con un finale catartico tipico del regista, stavolta trasfigurato in una metaforica partita di baseball. My Uncle, anch'esso tratto da un romanzo, di contrasto è una spassosissima e solare commedia tutta basata sulla gestualità e sui tic del protagonista, uno stralunato professore precario di filosofia, interpretato dal grandissimo Ryūhei Matsuda in coppia con un brillante nipotino (Riku Onishi), con cui si trasferisce alle Hawaii per prendere moglie. Il film è stato ben accolto dalla platea che non ha risparmiato applausi a scena aperta. Infine, in occasione della mostra dedicata al mangaka Yoshiharu Tsuge al Visionario, è stato proiettato Ramblers (di cui abbiamo già parlato nello scorso reportage), film low budget del 2004 che Yamashita ha tratto dagli appunti di viaggio del fumettista gekiga, reinterpretandoli in chiave tenera e ironica con un approccio molto personale.

In quel di Udine abbiamo incontrato Nobuhiro Yamashita insieme al produttore e sceneggiatore di My Uncle, Yasushi Sutou, e all’attore Ryūhei Matsuda, in due occasioni: un’intervista privata e una conferenza del ciclo FEFF Talks, quest’ultima in compagnia di un’altro regista nipponico, Syoutarou Kobayasi (Hamon: Yakuza Boogie).


Intervista: Nobuhiro Yamashita, Ryūhei Matsuda e Yasushi Sutou – My Uncle


In My Uncle una parte fondamentale della storia è il legame fra il piccolo protagonista e lo zio. I bambini sono protagonisti anche nel suo film di qualche anno fa A gentle breeze in the village. In generale qual è il suo approccio con i bambini sul set e quali accorgimenti usa per metterli a proprio agio durante le riprese?

Nobuhiro Yamashita: Più che parlare di un differente approccio nella direzione di bambini e adulti, tendo a diversificare a seconda dei film. Per esempio in A Gentle Breeze in the Village durante il cast non avevo selezionato dei bambini che sapessero già recitare. Cercavo dei bambini che si comportassero con naturalezza anche davanti alla macchina da presa. Mi sembrava di essere un insegnante con i suoi alunni, e poi c'erano gli attori professionisti che gestivo con la mia regia. In questo caso, invece, il bambino che interpreta Yukio è il personaggio più adulto di tutta la storia. Era importante fosse evidente questo atteggiamento di maturità e quindi ho trattato lui e Matsuda allo stesso modo.

A Matsuda: Qual è stato il suo approccio con il piccolo attore Riku Onishi e come si è trovato a lavorare con lui durante le riprese?

Ryūhei Matsuda: Riku Onishi, il bambino che interpreta Yukio è davvero adorabile. Nonostante la giovanissima età, ha dimostrato notevoli capacità di recitazione, mantenendo grande concentrazione ogni volta che entrava nel personaggio. Recitare con lui è stato molto divertente, una gran bella esperienza.

In un film leggero come My Uncle a un certo punto i personaggi avvistano Pearl Harbour, ed evocano il ricordo dell’attacco giapponese nella Seconda guerra mondiale. Fanno anche riferimento a un episodio storico non conosciuto, quello del battaglione misto nippo-americano che combatté in Europa al fianco degli Alleati. Perché rievocare Pearl Harbour oggi? Che significato ha per i giapponesi, per di più in una commedia?

Yasushi Sutou: La storia originale da cui è tratto questo film, un romanzo di Morio Kita, è stato scritta circa cinquant’anni fa ed è un romanzo per bambini. Però ciò di cui parla è anche l’emigrazione dei giapponesi, o immigrazione a seconda di dove si veda il movimento. Ci sono stati molti giapponesi che sono emigrati verso le Hawaii, altri verso il Brasile. L’autore Morio Kita ha cercato di trattare per tutta la sua opera il tema dell’immigrazione dei giapponesi. In questo caso, secondo me, era molto importante riproporre questo tema dell’immigrazione/emigrazione anche solo a livello di commedia. Tra Giappone e Stati Uniti le isole Hawaii durante la guerra hanno passato dei momenti molto difficili. Perché lì c’erano delle persone di origine giapponese che si ritenevano americani, e che come tali hanno cercato di vivere. E alla fine, come americani, hanno portato a termine la loro vita. Oggi le Hawaii rappresentano un grande luogo di turismo, tantissima gente ci si reca solo per ozio, senza sapere cosa rappresentino da un punto di vista storico. Sono dell’idea che non bisogna scordarsi del passato e sono sicuro che anche Morio Kita avesse questo tipo di intenzione quando ha scritto l’opera ed era giusto riproporla.
 
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Il personaggio dello zio, interpretato da Ryūhei Matsuda, è un filosofo appassionato lettore di shonen manga, che considera la massima espressione della cultura pop giapponese. Cosa ne pensate di questo popolare medium e qual è il vostro rapporto con i manga?

Ryūhei Matsuda: Mi piacciono tantissimo e ne leggo in quantità, ma in questo momento non mi vengono in mente titoli che potrei citare. L’anno scorso, dopo essere stato qui a Udine sono andato a fare un giro a Trieste e ricordo che lì ho visto un negozio specializzato in manga giapponesi e sarei tentato di chiedervi a mia volta quali sono i manga che hanno più successo qui. Fra l’altro un gruppo di ragazzi nel negozio mi chiese di fare una foto per il solo fatto di essere giapponese, perché loro erano dei grandi fan di manga e anime, la cosa mi colpì molto.

Nobuhiro Yamashita: Mi sono sempre piaciuti, anche se adesso ne leggo meno che in passato. Soprattutto negli anni Novanta li leggevo molto voracemente non mi perdevo mai le principali riviste in cui uscivano settimanalmente le nuove storie che seguivo con regolarità. Invece non ho avuto una particolare passione per l’animazione. Per esempio non ho apprezzato molto Evangelion, appartengo più alla generazione di Akira, quindi direi che uno dei miei manga/anime preferiti è sicuramente Akira di Katsuhiro Otomo.

Yasushi Sutou: Anch’io da ragazzo leggevo tantissimi manga e non mi perdevo le principali riviste settimanali di manga. Mi piaceva molto anche l’animazione, la guardavo sulle principali reti televisive giapponesi dal pomeriggio alla sera. Successivamente mi sono interessato più al cinema e ho letto sempre meno i manga. Adesso però ho l’opportunità di produrre film che sono tratti da manga e sono felice di avere l’opportunità di leggerli per lavoro. Ultimamente sono rapito dalle opere di Akiko Higashimura.
 
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Che tipo lavoro avete fatto, a livello di sceneggiatura, regia e recitazione, per trasporre quell’opera?

Nobuhiro Yamashita: L’opera originale descriveva le Hawaii di cinquant’anni fa, quando non erano ancora un luogo di turismo di massa, anzi era un grande sogno che solo pochissimi potevano realizzare, non come ora che sono accessibili per chiunque. Anche il Giappone era il Giappone di quei tempi, c’era un elemento temporale diverso dalla contemporaneità. Che si trattasse delle battute, dello zio e del bambino e della loro recitazione, tutte queste cose dovevano essere molto ben bilanciate e bisognava fare attenzione a calibrare tutto ciò. Perché alla fine si doveva creare il giusto equilibrio tra l’adesso e quel senso di nostalgia che poteva dare quell’opera ambientata nel passato.

Ryūhei Matsuda: La storia di questo film riguarda la vita quotidiana, non ci sono grandi incidenti, grandi episodi che spiccano. Ma è una storia che riesce a sussistere come dialogo tra lo zio e le persone con cui interagisce. Per questo quando ho ricevuto il copione ero un po’ preoccupato. Mi sono domandato perché avessero scelto proprio me. Molto probabilmente si erano accorti che la mia vita somiglia a quella del protagonista (ride, ndr.)

Yasushi Sutou: Come sceneggiatore, trattandosi di una commedia, a volte si ha la tendenza a utilizzare le parole per indurre alla risata, ma in questo caso volevo cercare di fare qualcosa di diverso. Perciò ho usato come riferimenti Mon oncle di Jacques Tati e Buon giorno di Yasujirō Ozu. Anche quando mi sono approcciato con il regista, con Ryūhei Matsuda e con il piccolo Riku Onishi, ho detto loro di non basarsi solo sulle battute, ma su movimenti, azioni, gestualità, e questa è una cosa che è stata percepita anche da chi ha avuto modo di vedere il film.
 
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Come mai sono stati scelti proprio Yamashita come regista e Matsuda come protagonista?

Ryūhei Matsuda: La cosa che posso dire è che probabilmente sono stato scelto perché la vita del protagonista assomiglia molto alla mia. Sono stati bravissimi loro ad accorgersene, non so come abbiano fatto!

Yasushi Sutou: Di Yamashita conoscevo la grande capacità di dirigere i bambini con estrema naturalezza. Con Matsuda avevo già lavorato in altri due film, ma erano storie di detective di tutt’altro genere. Poi a mano a mano che lavoravo alla sceneggiatura mi rendevo conto di quanto in realtà lui fosse adatto a interpretare lo zio e, conoscendolo ho subito pensato che poteva essere l’interprete perfetto per il ruolo dello zio perché ha quel potenziale che serve per rendere interessante un ruolo che in realtà è complicato perché è così quotidiano, è così "normale" nella recitazione. Poi bisogna dire che Yamashita è un regista bravissimo coi bambini, prima avete citato A gentle breeze in the village, non gli mette pressione e riesce a tirare fuori da loro le migliori interpretazioni naturali, quindi nel momento che li ho abbinati nella mia mente mi sono detto: “ecco, il film è pronto!”.

A proposito di Ramblers, l’altro film di Yamashita proiettato qui a Udine, ho notato che esso è scandito da scene molto scarne ed essenziali, di gusto minimalista, inquadrature fisse, spesso su paesaggi desolati o ambienti ordinari, colonna sonora centellinata, dialoghi rarefatti che scadono nell’incomunicabilità. Un’atmosfera che si abbina allo stile di Tsuge. Come ha lavorato alla trasposizione cinematografica delle tavole di Yoshiharu Tsuge per Ramblers?

Nobuhiro Yamashita: In realtà Ramblers ha molto poco, o addirittura nulla di Tsuge. Va detto che il manga risale a prima che io nascessi. Ho lavorato più che altro sulla caratterizzazione dei personaggi, ho scavato e scavato in quelli originali di Tsuge fino ad arrivare a quella che era la mia chiave di lettura di questi personaggi e la mia volontà su come riproporli all’interno della storia. Mi è anche capitato di incrociare Tsuge in qualche occasione, e lui mi diceva come non gradisse in realtà certi tipi di trasposizione e posso anche capire il perché, visto che viene tutto quanto molto cambiato rispetto all’approccio originale.

In Over the Fence, nei titoli di coda compare il nome di Shinya Tsukamoto. Si tratta proprio del regista? Qual è stato il suo contributo al film?

Nobuhiro Yamashita: Sì, è proprio lui. C’è un momento nel film in cui viene letta una lettera ad alta voce, e la voce che legge quella lettera è di Shinya Tsukamoto, tutto qui.

 
FEFF Talk: Syoutarou Kobayashi - Hamon: Yakuza Boogie/Nobuhiro YamashitaRyūhei MatsudaYasushi Sutou - My Uncle
 


Mark Schilling: Buongiorno. Benvenuti all’ultimo di questi eventi con i nostri cineasti giapponesi. Grazie per essere qui. Abbiamo quattro ospiti qui con noi e ci occuperemo di due film diversi. Prima domanda: li avete tutti visti, questi film? Quindi, facciamogli un bell’applauso, perché tre dei suoi film vengono presentati oggi; molte sezioni riguardano il suo lavoro e abbiamo anche la sua stella qui con noi, Matsuda Ryuhei, con il film My Uncle, e il produttore, Sutou Yasushi. Nonostante non sia stato inserito nel programma, abbiamo qui con noi anche il signor Kobayashi, che presenta Hamon: Yakuza Boogie, proiettato ieri sera. Abbiamo soltanto mezz’ora di tempo, quindi è meglio darci da fare: cominciamo subito con le domande; quindi io ne porrò alcune, poi ovviamente anche voi potrete porre domande a chiunque, su qualsiasi argomento. Quindi, iniziamo subito.
Ho cercato di individuare una specie di tema conduttore tra tutti i vari cineasti e la prima cosa di cui mi sono accorto riguardo questi due film è che entrambi sono tratti da romanzi. Il film di Yamashita è tratto da un romanzo del ’72 di Kita Morio; invece, quello di Kobayashi si basa su una serie di best-seller di Kurokawa Hiroyuki. Innanzitutto, la prima domanda al produttore, signor Sutou: perché ha scelto proprio quest’opera come romanzo da cui trarre il film My Uncle? Quindi, perché ha scelto questo romanzo in particolare, nonostante fosse uscito tanti anni prima del film?


Yasushi Sutou: Beh, l’opera originale da cui è tratto questo film, appunto, è del 1972, però in realtà era già stata proposta nel 1963, quindi quando andavo alle elementari questo libro era presente in tutte le biblioteche scolastiche. Da bambino leggevo tantissimi manga e per la prima volta ho letto questa opera che era appunto un romanzo e ho capito che, al di là dei manga, c’era anche questo interesse per questo romanzo. Adesso che sono passati oltre quarant’anni da quando l’ho letto la prima volta, finalmente grazie al mio lavoro sono riuscito a farne una trasposizione cinematografica.

Mark Schilling: Il protagonista del film è quello che i giapponesi chiamano un eroe postumo, quindi si riferisce all’era Shouwa. Adesso io non so se ve ne siete accorti, però per me era ovvio: il modo in cui si vestono, il modo in cui recitano, il modo in cui parlano, tutto fa pensare a quell’era, e quindi perché non ha aggiornato il film? O forse è una domanda che dovrei fare al regista… comunque è una domanda per entrambi: perché il film è inscenato appunto in quell’era?

Yasushi Sutou: Beh, c’è l’utilizzo dei cellulari… Comunque, diciamo che non è il Giappone di cinquant’anni fa, c’è comunque un minimo di passaggio più contemporaneo. Tuttavia, abbiamo cercato di dare lo stesso un’aura nostalgica che era molto importante; secondo me era molto importante inserirla. Quindi noi l’abbiamo inserita con una grande consapevolezza e in modo che anche le persone che guardano questo film possano percepire questa nostalgia. Se riuscissero a provarlo, per noi sarebbe davvero fantastico, sarebbe il nostro obiettivo.
Quello è stato uno dei punti, riguardo alla regia, che mi ha più fatto grattare il capo perché comunque si tratta di un’opera di circa cinquant’anni fa. E la cosa che è cambiata di più rispetto ad allora è che, non so gli stranieri, ma i Giapponesi adesso hanno tutta una serie di modi di dire che sono nuovi, quindi quelli di cinquant’anni fa sono totalmente desueti e c’erano dei punti che, per questa ragione, non sarebbe stato possibile riuscire a ri-traslare in termini contemporanei. Quindi, comunque, un certo tipo di nostalgia abbiamo cercato di lasciarlo anche a livello di dialoghi.
 
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Mark Schilling: Ovviamente Matsuda recita la parte dello zio. I suoi personaggi sono un po’ alla vecchia maniera: il modo di vestire, il modo di recitare, il modo di parlare, diciamo che un po’ appartiene al passato; forse è buffo ma è anche interessante, perché lo fa in maniera estremamente precisa. Quindi la domanda è: come ha concepito questo? Dove esiste questo zio? Nel presente o nel passato? E come l’ha posizionato nella sua mente?

Ryūhei Matsuda: Mah, secondo me si tratta proprio di uno zio che si riesce a collocare in qualunque epoca storica. Non so, io stesso, se possa essere una risposta valida, ma la penso così.

Mark Schilling: Però c’è questa interazione con Yukio, il ragazzino, e anche sua sorella e, almeno io, lo trovo molto divertente ma anche realistico, in un certo senso. Quindi, come ha costruito questo rapporto con loro, con questi altri due personaggi? È dovuto uscire con loro per bere qualcosa? Un caffè? Portarli allo zoo?

Ryūhei Matsuda: Beh, ovviamente siamo stati insieme per tutto il periodo delle riprese, quindi diciamo che non è che comunque ho cercato di accorciare le nostre distanze consapevolmente. Va detto che la relazione fra lo zio e Yukio praticamente è diventata il nostro punto di partenza nella relazione tra me e il piccolo Yukio.

Mark Schilling: Ho una domanda per il signor Kobayashi: anche i suoi personaggi, non voglio dire entrambi, diciamo quello che gestisce il brokeraggio, anche lui è un po’ un perditempo. E poi, ovviamente, l’altro personaggio, quello dello yakuza, è completamente diverso come carattere: molto competente, un tipo intelligente direi. Tutto questo è stato preso direttamente dal romanzo?

Syoutarou Kobayashi: Sono i due personaggi all’interno della storia originale e più o meno non li ho cambiati di molto, sia per quanto riguarda il loro aspetto fisico che per il carattere; sono comunque dei personaggi molto forti. E poi, ovviamente, c’è l’elemento della yakuza e uno dei due protagonisti ha a che fare in modo abbastanza sporco e sudicio con il denaro. Poi c’è Ninomiya, che sarebbe il broker, che ha qualche anno in meno… Inoltre bisogna pensare che la storia è iniziata che uno di questi due era appunto più giovane e il personaggio di Ninomiya io l’ho creato dandogli un approccio più di quando era giovane, rispetto alla storia stessa che è stata serializzata e poi andata avanti facendolo crescere.

Pubblico: Sono Nakayama, di Cinema Today. Una domanda al regista Yamashita: sono state tre le opere che questa volta sono state portate al Far East Film Festival; inoltre, so che lei a Cannes ha avuto una esperienza “drammatica”. Quindi, ecco, volevo avere un po’ di informazioni su Cannes e su questo FEFF..

Nobuhiro Yamashita: Sì, beh, senza dubbio è un grande onore il fatto che ben tre delle mie opere siano presentate qui al FEFF e ho avuto modo di vedere alcune di queste opere insieme al pubblico. Quando ho visto quelle del passato, devo dire che ho percepito la mia immaturità, a volte. Diciamo che ho avuto modo di percepire quanto le mie opere del passato fossero davvero ancora immature sotto certi punti di vista, ma va bene anche così. E invece, per quanto riguarda Cannes, io ho cercato di partecipare, però non mi hanno accettato, quindi lascerò a Ryuhei la mia voglia di andare a Cannes e spero che, appunto, ci possa pensare lui.
 
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Pubblico: Il Signor Matsuda è venuto per due anni a Udine e quindi… Se dovesse esserci un segreto del successo per andare a Cannes che lei potesse dire al regista Yamashita, quale sarebbe?

Ryūhei Matsuda: Sì, effettivamente adesso sono due anni che vengo qui a Udine. Non lo pensavo davvero possibile e invece è stato così. Le mie motivazioni forse sono state anche un po’ impure perché va detto che a me piace molto la città di Udine e mi piace molto anche il vino locale e quindi è un po’ con questo secondo fine che, fra virgolette, sono venuto. Invece, sono andato a Cannes a sedici anni con Tabù - Gohatto e quella volta ero ancora un ragazzino, non sapevo niente. Però si è trattato senza dubbio di un’esperienza molto speciale; invece adesso ho avuto modo anche di andare avanti nella mia vita come attore, quindi da quel punto di vista posso dire che per me Cannes è un ricordo speciale. Mi ricordo ancora dei panorami e dei paesaggi di Cannes, quindi ritornarci a breve sarà comunque una cosa… non vedo l’ora, ecco. Ho detto a Yamashita che mi piacerebbe andarci insieme, ma voglio andarci insieme a Yamashita nel senso che voglio che lui mi dia occasione di andarci insieme a lui.

Pubblico: La mia domanda è per Yamashita. Ha lavorato con Matsuda in due commedie, quindi mi domando: secondo lei, Matsuda è un personaggio comico anche nella vita reale, oppure ha un talento speciale per le commedie?

Nobuhiro Yamashita: In questo caso, con Ryuhei, è la prima volta che facciamo qualcosa che riguarda la commedia. Non so quanti di voi abbiano già visto il film, ma lo zio è particolare… Abbiamo passato un bel po’ di tempo insieme per girare questo film e secondo me lui, dentro di sé, ha proprio una parte di carattere che ricorda lo zio. E quindi secondo me lui è riuscito a dare vita a questa interpretazione in modo molto naturale.

Mark Schilling: Se c’è qualcuno che ha un dono naturale quando si tratta di commedia, beh, è proprio lui (indica Kobayashi, ndr). Scorre nelle sue vene. Almeno, questo è come la penso io, personalmente. Anche lei l’ha percepito così?

Syoutarou Kobayashi: Non sono un comico, quindi cosa potrei dire… Questa è una parte della mia esistenza che non gradisco più di tanto, ormai. Diventavo una specie di sostituto. Alla fine, mi venivano fatti fare questi ruoli un po’ di secondo piano, quindi… So che non ho dato una grande risposta, mi dispiace (ride, ndr)
 
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Mark Schilling: Ha lavorato anche come aiuto regista di Yamashita, e quindi come era lui (Yamashita) come regista e come era l’altro (Kobayashi) come vice?

Syoutarou Kobayashi: Ho fatto per dieci anni l’aiuto regista e adesso sono più o meno al decimo anno come regista. Ho fatto l’aiuto-regista quando Yamashita stava girando Linda, Linda, Linda. E mi ricordo che era molto fresco nell’approccio, mi ricordo proprio questo molto bene. E per me è stato davvero estremamente interessante. Tra l’altro, l’opera era stata molto bella e quindi, anche se mi ha pagato molto poco, devo dire che mi sono divertito molto lo stesso. Eh, sì, effettivamente ai tempi di Linda, Linda, Linda eravamo davvero messi molto male… è stata la prima volta che ho pensato per due settimane "Quasi quasi lascio stare perché mi vogliono pagare troppo poco"; è stata la prima volta, davvero, e ho pensato "No, questo è davvero esageratamente, crudelmente, troppo poco, quindi che faccio?" e dopo due settimane di contrattazioni, alla fine ce l’ho fatta.

Nobuhiro Yamashita: Fino ad allora avevo girato dei film un po’ fatti da me, invece finalmente con Linda, Linda, Linda ero riuscito ad avere un certo quantitativo di denaro e avevo pensato "Evviva! Evviva!". E nel momento in cui l’ho diviso per mesi, è venuto fuori che, praticamente, era meno di un qualunque lavoro part-time. Però, ecco, va senza dubbio detto che ho dei ricordi molto forti, molto belli, e ho avuto anche l’occasione di cimentarmi in un set dove c’erano molti professionisti. E io non sapevo neanche bene cosa fosse il ruolo di un aiuto-regista e anche molti degli aiuto-registi avevano più anni di me. Quando è stato completato il film, mi sono reso conto dei punti della regia che non erano stati fatti con un certo grado di maturità. Mi ricordo che l’interazione con tutti mi aveva aiutato, comunque, a rendermi conto di tante cose.

Mark Schilling: E com’era come produttore?

Nobuhiro Yamashita: Per quanto riguarda My Uncle, il produttore ha davvero una grande passione nei confronti dell’opera originale: oltre a occuparsi della produzione, ha scritto anche la sceneggiatura; quindi chiaramente ha dei sentimenti nei confronti dell’opera originale ancora più forti rispetto a quelli degli altri. Ci siamo potuti affidare a lui totalmente per quello cha ha riguardato la realizzazione cinematografica.

Mark Schilling: È proprio una sua opera, quindi vuole trasformarla in una serie?

Yasushi Sutou: Sì, certo, mi piacerebbe serializzarlo. Ad esempio, parlando con alcuni qui a Udine, mi è stato detto appunto “il prossimo facciamolo a Taiwan, il prossimo facciamolo in Italia”; quindi sì, se dovesse essere un grande successo, mi piacerebbe senza dubbio farne una serializzazione.


Presentazione: Over The Fence


Pubblico: Con My Uncle mi sono resa conto che la parte umoristica era veramente comprensibile per tutti e tutti ridevano per ogni scena, anche se c’erano delle forti connotazioni giapponesi. Quindi la mia domanda riguarda il marketing internazionale: c’è la possibilità che un film come questo possa essere distribuito al di fuori del Giappone e al di fuori di un contesto di festival? Perché avrebbe delle ottime possibilità…

Yasushi Sutou: In Taiwan e poi ci sarà qualche film festival in Asia: al film festival di Pechino; poi è stato presentato l’anno scorso a Shanghai; quest’anno abbiamo avuto delle richieste da varie parti del mondo, anche a Francoforte. Quindi quest’anno ci sarà la presentazione in varie parti del mondo. Ci sarà questa occasione per avere un po’ di pubblico in più. Vorrei avere quanti più feedback possibili da quante più persone del mondo, insomma, ecco sarebbe bello.

Pubblico: Due domande molto brevi per ognuno dei registi. Per Yamashita: per quanto riguarda il film Over the Fence, può spiegarmi qualcosa di più sul significato di questo titolo? E la domanda per Kobayashi riguarda i produttori, perché questo è un produttore a Hong Kong che deve avere denaro e quindi vale la pena tentare con questo produttore; è questa la sua opinione, il suo modo di approcciare i produttori?

Nobuhiro Yamashita: Per Over the Fence, alla fine c’è la scena del home run che viene appunto colpito e per me…

Pubblico: Non avevo colto questa metafora col baseball perché non gioco a baseball, è uno sport che non conosco.

Nobuhiro Yamashita: Sì, si tratta praticamente del fatto di fare un passo avanti, il fatto di riuscire ad andare oltre il muro che si era creato, in questo caso, appunto, una fence, un recinto, ecco.

Syoutarou Kobayashi: Per quello che riguarda i produttori, in questi cinque anni due produttori che io conosco sono stati arrestati per frode e sono stati presi per oltre 100 miliardi di Yen giapponesi. Quindi, come dire, c’è amore, c’è odio, c’è il fatto di dover pagare soldi… Sì, il ruolo del produttore è abbastanza particolare da questo punto di vista e quindi, a livello di carattere, appunto adesso ho parlato di amore e odio, però non è semplicemente il fatto di arrabbiarsi. Ovviamente c’è sempre comunque necessità che ci sia una persona, anche folle, che porti l’idea iniziale a diventare una produzione cinematografica.

Yasushi Sutou: Io pago, io pago tutti quanti per bene, eh, che sia chiaro!


Trailer: Over The Fence
 


Pubblico: Al signor Matsuda: in pratica volevo qualche idea riguardo alla produzione.

Ryūhei Matsuda: Beh, va detto che questo produttore adora questa produzione. Se dovesse esserci una continuazione, un prossimo film vorrei che fosse un film in cui succede qualcosa di importante. Praticamente vorrei vedere il regista Yamashita proprio non aver più nessun limite nei confronti di questo zio. Diciamo che in questo caso il film è stato realizzato in modo che possa essere visto anche dai bambini, però io ho continuato la mia recitazione pensando che ci potesse essere qualcosa di ancora più profondo nel carattere dello zio. E poi, va detto che anche Riku, che è l’attore del piccolo Yukio, ovviamente cresce. E quindi se noi dovessimo girare la continuazione di My Uncle, ci sarebbe la necessità di farlo prima che lui cresca troppo.

Mark Schilling: Quindi lo si può praticamente mandare ovunque. Direi che è uno studioso girovagante e quindi magari lo potete portare anche a Udine, perché no?

Ryūhei Matsuda: Certamente. Ad esempio, lo zio potrebbe innamorarsi di una bellissima ragazza udinese. Sì, lo zio è un filosofo e questo è parte della sua grande attrattiva, quindi bisogna anche cercare di capire come lui utilizzi tutti quanti i suoi cavilli per esprimersi. Quindi, se dovessero esserci vari tipi di episodi in cui alla fine questo zio si ritrova sempre sotto maggior pressione, secondo me si potrebbe dare vita a una figura dello zio ancora più genuina, quindi mi piacerebbe anche poter reinterpretare lo zio in questi termini.

Mark Schilling: E vorrebbe continuare anche lei come regista?

Nobuhiro Yamashita: Certamente, sì, diciamo questa volta c’è stata l’opera originale di Morio Kita e, invece, la prossima volta potrebbe essere una storia originale. E mi piacerebbe ovviamente partecipare. Questa volta c’è stata un’opera originale che è diventata la base però, appunto, in caso di una continuazione, questa base non ci sarebbe e allora avrei più possibilità di sfogarmi, diciamo.


Trailer: My Uncle


Pubblico: chiedo a Matsuda se sente di essere più vicino al mohicano dell’anno scorso o più simile a My Uncle?

Ryūhei Matsuda: Non vorrei rispondere, eh, però la verità è che sono più vicino allo zio di quest’anno. Diciamo che, sia lo zio che il tipo con la cresta mohicana sono entrambe delle persone che non vengono influenzate da ciò che li circonda. E invece io sono una persona che un po’ percepisce l’influenza di quello che sta intorno, quindi io li ammiro da questo punto di vista e per me è stata davvero una bella esperienza poter interpretare entrambi i ruoli.

Pubblico: Un commento a quanto ha detto Sutou. Beh, se c’è il nipote che cresce, rimane sempre la sorellina, quindi si può continuare tenendo il bambino… Per Kobayashi: mi domando se è stato coinvolto lo sceneggiatore della serie tv nello sviluppare la sceneggiatura per il film, oppure se ha tratto tutto dal libro e basta.

Syoutarou Kobayashi: No, è stata fatta una serie televisiva poco prima, comunque va detto che non ho avuto particolari influenze da questa, quindi in pratica in questo caso io ho creato un legame solo fra l’opera originale e il film. E quindi la serie televisiva non ha dato influenze di alcun tipo alla stesura della sceneggiatura.

Mark Schilling: Una cosa che mi ha colpito del suo film, ovviamente si tratta di una commedia, ma la parte di azione era impressionante, sembrava molto realistica, ma era allo stesso tempo molto divertente. Spesso coi film in Giappone, ma forse questo succede ovunque, vi è una specie di regista della parte di azione che si occupa appunto di tutta la parte d’azione del film. Invece nel vostro caso come ha funzionato, cosa avete fatto?

Syoutarou Kobayashi: Ovviamente c’era un coordinatore, però nel momento in cui gli si fa fare tutto quanto è un po’ esagerato. Invece, volevo tenere le cose un po’ più calme, volevo anche riuscire ad avere delle forme che non fossero già pre-pronte, ecco. Non volevo che fosse proprio azione di per sé, volevo che fosse qualche cosa probabilmente di più sporco, di meno definito.

Pubblico: Un’altra piccola cosa proprio perché abbiamo due registi giapponesi qui, entrambi di Osaka. È una bellissima coincidenza, credo. Mi hanno detto che a Osaka si parla un dialetto un po’ diverso… Potete commentare, dire qualcosa a questo proposito? E un’altra cosa che vorrei chiedere a Yamashita: quando abbiamo selezionato Over the Fence, ci siamo resi conto che quel film è completamente diverso da tutti i suoi film precedenti. Se magari potesse dire qualcosa a questo proposito… Perché la stiamo seguendo da parecchio tempo e devo dire che quel film è proprio completamente diverso, è proprio per questo che lo abbiamo selezionato.

Syoutarou Kobayashi: Diciamo che io non sono proprio di Osaka. Ho cominciato a vivere a Osaka dal periodo dell’università in poi e ho fatto film lì. Anzi, ho avuto una certa resistenza nei confronti di fare film in dialetto di Osaka perché io non sono nativo delle zone.

Nobuhiro Yamashita: Io, invece, sono di Osaka sia per nascita che per crescita. C’è senza dubbio un interesse nell’utilizzare questo tipo di dialetto, però non è che abbia mai ricercato l’utilizzo del dialetto originale, o qualche tipo di tradizione di Osaka, appositamente. Circa tre anni fa con il film Misono Universe ho cominciato a utilizzare questo dialetto, però per lungo tempo sono stato molto più serio nell’approccio all’utilizzo dei dialetti.
Per quanto riguarda Over the Fence, si trattava di una sfida. Sono stato per lungo tempo un regista di film di adolescenti e c’era questa immagine forte della mia regia, anche perché certamente ho fatto tanti film in questo modo; però alla fine finisco quasi per essere percepito come un eterno giovane regista. Invece, proprio per questo, con Over the Fence ho cercato di creare una storia di amore tra adulti, anche se comunque sono persone più o meno della mia età. Ho cercato consapevolmente di creare un film che fosse diverso dai miei precedenti perché in questo caso c’era uno stacco generazionale che ho cercato di far percepire.

Mark Schilling: Grazie a tutti per essere stati qui.
 

Trailer: Hamon - Yakuza Boogie



 
Syoutarou Kobayashi è nato nel 1971 e ha studiato alla Kansai University. Nel 1996 si è iscritto alla scuola di cinema Juku, diretta dall’acclamato documentarista Kazuo Hara. In seguito ha lavorato come assistente alla regia per Hara, e altri cineasti, fra cui Nobuhiro Yamashita. Nel 2006 ha diretto il suo primo lungometraggio cinematografico, Family Secrets (Kazoku no Hiketsu). Il suo film drammatico del 2011 Kaasan Mom’s Life (Mainichi Kasan) è stato premiato come miglior film e l’interprete Koizumi Kyoko come miglior attrice al Festval di Shanghai. Kobayasi ha firmato anche regie televisive, tra cui tre episodi della serie Midnight Diner 2 (Shinya Shokudo 2, 2011).
 
Ryūhei Matsuda, nato a Tokyo nel 1983, ha esordito come attore all’età di quindci anni nel film di Nagisa Oshima Tabù-Gohatto. Ha recitato nel film Aoi haru (2001) come leader di una banda studentesca e successivamente in numerosi altri film di registi famosi, come Big Bang Love: Juvenile A di Takashi Miike e Nightmare Detective di Shinya Tsukamoto. Ha anche recitato accanto a numerose stelle del J-pop, fra cui Mika Nakashima, Yuna Ito e Hitomi. L'anno scorso il film da lui interpretato, The Mohican comes home, ha vinto il premio della critica Black Dragon e il premio speciale MyMovies al Far East Film Festival (reportage di AnimeClick.it).
 
Nobuhiro Yamashita, nato nella prefettura di Aichi nel 1976, ha realizzato diverse commedie anticonformiste con personaggi perdigiorno e inconcludenti ispirati alla sua cerchia di amici. Il successo commerciale arriva con Linda Linda Linda (2005), visto al FEFF nel 2006. È tornato alla commedia "perdigiorno" con The Drudgery Train (2012) e Tamako in Moratorium (2013), nei quali compaiono elementi drammatici, assenti nei suoi primi film dell’assurdo. Ha anche girato il dramma musicale La La La at Rock Bottom passato al FEFF nel 2015.


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