Nella serata finale della diciottesima edizione del Far East Film Festival, Mohican Comes Home si è aggiudicato il premio della critica Black Dragon e il terzo premio Audience Award, e a riceverlo sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine c’era lo stesso regista e sceneggiatore Okita Shuichi in compagnia dell’attore Matsuda Ryuhei (Tabù - Gohatto, A Big bang Love - Juvenile, Cutie Honey, Izo, Nana).
 
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I film di Okita non sono nuovi al popolo fareastiano, già l’edizione 2012 vide partecipare The Woodsman and the Rain, intenso film nel film che affrontava una complicata relazione padre-figlio; poi venne il turno di A Story of Yonosuke, con il suo tono comico-nostalgico che lasciava intravedere profonde riflessioni sulla morte. L’anno scorso, Ecotherapy Getaway Holiday scandagliava i territori dell’amicizia attraverso un umorismo sottile. Arrivando ai giorni nostri, con la sua ultima pellicola Mohican comes home, Okita continua il suo personale percorso artistico e aggiunge un altro tassello alla sua bizzarra filmografia scrivendo e dirigendo, con il suo peculiare stile poetico, una vicenda apparentemente ordinaria ma capace di toccare le giuste corde nel cuore degli spettatori e di innescare, grazie all’irresistibile simpatia dei personaggi, una particolare reazione a catena emotiva, intima e inarrestabile.
 
Il ruvido e scontroso Eikichi Tamura (interpretato dal bravo Matsuda Ryuhei, con tanto di cresta in stile Leningrad Cowboy) è il frontman di una death metal band di Tokyo senza prospettive di carriera. Incalzato dalla sua fidanzata Yuka (Atsuko Maeda) a intraprendere un viaggio insieme, Eikichi decide con riluttanza di partire alla volta dell’isola natìa di Tobijima, sperduto avamposto al largo del Mare Interno di Seto (Setonaikai). Di ritorno dopo sette anni, Eikichi ha in programma una toccata e fuga, giusto il tempo di annunciare il suo imminente matrimonio, ma il ricongiungimento familiare è alquanto burrascoso e lo costringerà a un inaspettato cambio di piani. Il papà di Eikichi, Osamu (Akira Emoto), anch’egli musicista frustrato, è un fan sfegatato della rock star degli anni ‘70 Yazawa Eikichi (lo confermano i suoi sgargianti abiti da Rockabilly che sono altrettanto vistosi e fuori luogo quanto la pettinatura Moho di suo figlio!) ma da tempo ha ridimensionato le sue ambizioni musicali adattandosi a fare da maestro alla stonata brass band del liceo locale. Dopo aver rimproverato aspramente Eikichi di essere un inconcludente fannullone, il vecchio cantante scopre che in realtà sta per diventare nonno e decide così di dare una festa improvvisata, ma il destino riserva un’amara sorpresa al povero Osamu che, in un impeto di euforia alcolica, finisce con l’essere trasportato d’urgenza in ospedale, dove gli viene diagnosticato un cancro ai polmoni. Eikichi e Yuka allora non avranno altra scelta che rinviare la loro partenza per affrontare la difficile situazione.
 

Lungi dallo sguazzare nel dolore e nel facile pietismo, e senza scadere nella farsa chiassosa fine a sé stessa, il regista riesce, con una meticolosa descrizione dei personaggi e un ritmo incalzante, a mantenere in piedi fino alla fine il delicato equilibrio tra comicità e dramma, tra bellezza e tristezza. In alcune scene si sfiora il poetico, mentre in altre sorrisi e lacrime potrebbero coesistere senza soluzione di continuità. I suoi protagonisti trasudano empatia da ogni fotogramma. Personificando simpatici perdenti che si prendono troppo sul serio fino ai limiti del grottesco, Eikichi e Osamu cercano di eclissarsi l’un l'altro con le loro personalità ostinate in uno stridente contrasto generazionale, ma durante le sfuriate in cui padre e figlio si disprezzano a vicenda, si rendono anche conto che in fondo stanno inseguendo lo stesso sogno sfuggente e in un certo senso è come se si guardassero allo specchio.

Eikichi risulta persino tenero nel suo maldestro tentativo di soddisfare gli ultimi desideri di Osamu in alcune sequenze da antologia che meritano una menzione: l’incredibile scelta della pizza, nata come gioco fra genitore e figlio e conclusasi come simbolico passaggio di consegne e di responsabilità; la surreale esecuzione dell’orchestra scolastica sostenuta su ritmi punk rock; l’organizzazione del frettoloso matrimonio in ospedale, con tutte le sue tragicomiche conseguenze. Altrettanto ben tratteggiati sembrano gli altri personaggi che completano il cast. Colpisce il delicato rapporto che si instaura tra la mamma di Eikichi, Haruko (Masako Motai), e Yuka; mentre Koji (Yudai Chiba), il fratello più timido e garbato, fa da contrappeso alla sfrontata irriverenza di Eikichi. Atsuko Maeda (Kabukicho Love Hotel, Godzilla Resurgence, Eight Ranger 2) stempera i toni con lo stesso fascino rilassato espresso in Tamako in Moratorium. Con i suoi occhi scintillanti e il suo sorriso spontaneo, Yuka è il tipo di ragazza che riuscirebbe a stare a suo agio anche nelle situazioni più scomode, e la sua accettazione imperturbabile della maternità regala alla famiglia la speranza e la forza per superare la crisi.
 

Dal punto di vista tecnico è da ricordare la fotografia di Ashizawa Akiko (già presente nel cast di The Chef of South Polar di Okita, nonché in molte opere di Kiyoshi Kurosawa, tra cui Tokyo Sonata), che inquadra le vedute dell’isola di Tobijima in modo attento, mettendo in evidenza le caratteristiche del paesaggio naturale, ed esaltando le verdi colline, i radianti cieli azzurri e le spiagge assolate. Quasi un Viaggio a Tokyo al contrario, Mohican Comes Home (il cui titolo ci ricorda esplicitamente anche Carmen torna a casa di Kinoshita Keisuke, quest'ultimo citato dallo stesso Okita come sua fonte di ispirazione) ci restituisce l’affresco a tratti surreale di un insolito Giappone isolano. Con il suo stile anomalo, sempre in bilico tra commedia e tragedia, Okita Shuichi ci offre personaggi affettuosamente eccentrici, freschi e genuini, che celebrano allo stesso modo le gioie semplici e i dolori complicati, ma soprattutto esprimono un’umanità disarmante e condivisibile che lascia il segno.