Recensione
Paranoia Agent
8.0/10
<b>CONTIENE SPOILER!</b>
Paranoia Agent è una serie TV anime di 13 episodi realizzata nel 2004, prodotta dallo Studio Madhouse, creata e diretta dal compianto Satoshi Kon.
La trama narra dei misteriosi assalti da parte di un fantomatico "Shonen Bat", descritto dalla prima vittima - Tsukiko Sagi - come un ragazzino delle elementari, con indosso un cappellino e dei pattini a rotelle, oltre ad essere munito di una mazza da baseball che utilizza come arma; e dei - vani - tentativi della polizia di acciuffarlo.
Non è facile scegliere la tematica con cui partire per recensire una serie di questo calibro, ma, considerando che è stato indubbiamente l'argomento più trattato, curato ed articolato, non penso si possa fare a meno di iniziare con la follia. La follia è ciò che appare prima di tutto il resto nell'anime, è ciò che si pensa affligga le vittime di Shonen Bat, ed è ciò che accompagna tutti i vari personaggi della serie. A tal proposito, voglio smentire molti, ma molti commenti che ho letto su tale argomento: le persone non "tirano fuori" la loro vera natura, quando impazziscono; è proprio la disperazione a sfociare nella follia, mai il contrario. Ogni personaggio che ci viene presentato conduce una vita normale - nel caso di Icchi, protagonista del secondo episodio, addirittura è una persona più che invidiabile, stimato ed idolatrato da tutti i suoi compagni; saranno gli eventi a far sprofondare il ragazzo in una spirale di disperazione che lo porterà alla follia. E questo discorso vale - con le dovute differenze - per tutti i personaggi.
Satoshi Kon collega strettamente tale tematica a qualcos altro: non possiamo, infatti, non soffermarci sulla forte e per niente velata critica che il regista opera sulla società: se apparentemente questo astio sia indirizzato pressoché nei confronti della tecnologia - e, attenzione, siamo nel 2004 -, la realtà è che il compianto Kon esprime un durissimo quanto giusto giudizio sulla collettività dei giorni nostri. Tutto ciò è testimoniato da vari intermezzi che si susseguono frequentemente durante la serie, in cui ci vengono mostrate persone che, per le strade, sui mezzi di trasporto, oppure anche soltanto chattando sul proprio cellulare, speculano sugli argomenti di attualità credendo di predicare la verità e spargendo false voci sulle aggressioni di Shonen Bat. Una critica pesante ad una società che mette zizzania sempre e comunque, paranoica e psicotica. Una critica neanche tanto velata, quanto poco considerata da chi ha visionato quest'opera. Ma il giudizio più pesante da parte di Satoshi Kon arriva quando vengono introdotte le tipiche donne di mezz'età che s'incontrano nei pianerottoli delle proprie case per spettegolare su tutto/i ciò che le circonda, infarcendo le proprie storie di surrealismo e di menzogne. È proprio durante uno di questi ritrovi che la follia si fa intrinseca e raggiunge l'apice, grazie ad un'intuizione geniale del compianto Kon, con una delle signore - anche se vistosamente più giovane delle altre - che non avendo mai a disposizione un racconto interessante come quello delle altre, viene messa in disparte; e quando ella rientra in casa, ritrovando il proprio marito a terra, colpito da Shonen Bat, non se ne addolora, ed anzi, sfocia in un'isterica risata chiedendo ogni minimo particolare al morente uomo che giace disperato ed in cerca d'aiuto. Un lavoro eseguito in neanche 20 minuti di episodio in cui il buon Satoshi Kon riesce a far riflettere molto.
Ed è questo il grande pregio di Paranoia Agent: ti fa riflettere. Non è uno di quei thriller, o di quegli horror volutamente esagerati per strappare un po' di tensione, forzatamente, dall'animo dello spettatore, ma è un'opera che ti fa rabbrividire per l'inquietante sensazione di irrequietezza e pazzia che lo circonda. Un alone di paranoia che però ti tiene incollato allo schermo, che aiuta molto a riflettere sulla realtà umana e su quanto vivere in comune porti inesorabilmente a desolazione e follia.
A fare da nemesi a quest'intrinseca negatività e alla paranoia c'è la polizia - o almeno, inizialmente. Il vice ispettore Keichi Ikari e il suo collega, nonché assistente, Mitsuhiro Maniwa, infatti, rappresentano la "normalità" (o meglio, quella che è supposta esserlo), l'autorità che utilizza l'arte del raziocinio prima di permettere alla follia di divorarli, ed è la fiaccola di speranza che illumina la serie ("Perché anche in un mondo impazzito deve pur'esserci rimasto qualcosa di giusto" cit. vice ispettore Ikari). I due poliziotti si fanno strada attraverso la bizzarra storia, incontrando, sempre più avanti, nel loro cammino, fatti, situazioni e persone che li trascineranno in molteplici mondi diversi: dalla sopracitata follia, al dramma, a siparietti comici e imbarazzanti, fino a giungere ad ambientazioni fantasy con elementi tipici dei JRPG. E, nonostante anche loro vengano colpiti nel privato (perdendo il posto di lavoro) dal mistero di Shonen Bat, non s'arrendono alla causa e, in un modo o nell'altro, finiscono sempre per indagare sul suo conto. In particolare Maniwa, che si trasforma nel supereroe che aveva interpretato nel mondo fantasy, impiega tutte le sue forze per far luce sul caso, rimanendone sensibilmente destabilizzato.
Dopo l'esplosione del fenomeno "Shonen Bat", esso è divenuto qualcosa di più di una semplice leggenda metropolitana: si sa, quando qualcuno e/o qualcosa raggiunge la popolarità, è inevitabile che vi siano sulla faccenda gli occhi puntati e le imitazioni; ma Shonen Bat diviene una sorta di speranza per molte persone, e non più il timore. La leggenda del fantomatico ragazzino che aggredisce le persone si trasforma in una sorta di spirito benevolo che aiuta le persone che hanno raggiunto un punto di non ritorno, che sono ormai figlie della disperazione e che aspettano un aiuto divino a salvarli. Ehi, mi ricorda tanto la religione!
Ad un certo punto della storia fa la sua apparizione un fantomatico ragazzino che si definisce il responsabile delle aggressioni, ma è evidente fin da subito che la sua sia una mera imitazione. Il ragazzo non si rende conto delle proprie azioni poiché accecato da una forma di follia molto diversa dalle altre: egli infatti prende tutto come un gioco, considera Shonen Bat una sorta di eroe che vuole assolutamente interpretare, come quando da piccoli imitavamo la kamehameha o cercavamo di trasformarci in forzuti e platinati Super Saiyan.
Le origini di Shonen Bat vanno ritrovate nell'infanzia della - supposta - prima vittima del caso: Tsukiko Sagi. Ella, quando era ancora piccola, a causa di una distrazione, perse il guinzaglio che tratteneva il suo cane, che ha poi finito per essere investito; preoccupata della reazione che avrebbe potuto avere il severo padre, la bambina inventò d'esser stata aggredita, e quella, nella sua mente, divenne la verità. La Sua verità. Tuttavia, fintanto che restasse nella sua mente, ciò non era una grossa preoccupazione. Quando Tsukiko è cresciuta, diventando famosa per aver inventato il popolarissimo pupazzo di Maromi (nome del suo cane), per sfuggire alle pressione psicologiche che la opprimevano al lavoro, fece nuovamente uso della stessa bugia che utilizzò quand'era piccola. La piccola, grande, differenza, è che la giovane ragazza era ormai diventata famosa e di conseguenza la notizia dell'aggressore si è velocemente sparsa nella società, e quest'ultima ha infine dato a quella bugia una realtà materiale: Shonen Bat.
Shonen Bat è tutto ciò che ci circonda: Shonen Bat siamo "noi"; Shonen Bat sono io in questo preciso istante. Le nostre paure vanno affrontate, possono essere superate, e l'anime lancia un messaggio più che positivo al riguardo. Tuttavia, normalità e follia sono due facce della stessa medaglia, e senza l'una non esiste l'altra. E, come testimonia il finale della serie, ed in particolare Maniwa, la storia si ripete, continuamente. Perché - inevitabilmente, è una storia che ti segna. Maniwa è l'unico a riuscire ad entrare in questa spirale di follia e risolverla del tutto, ma, al contempo, è stato anche l'unico a non farvi ritorno. Mentre tutte le persone, dopo due anni, hanno dimenticato l'accaduto, continuando a vivere come sempre, l'ex poliziotto non è riuscito a ritrovare la sua identità, la sua realtà; tuttavia, Satoshi Kon, attraverso la moglie del vice ispettore, lancia anche un messaggio positivo al riguardo - come se avesse voluto mostrare entrambe le "possibilità". Ella infatti sostiene che l'uomo sia una creatura che si rialza costantemente, che sbaglia sempre, ma che alla fine riesce a sconfiggere gli spettri che albergano nella sua mente, nel suo cuore e nel suo animo per poi rialzarsi più forte di prima. Su quale realtà - o meglio, verità - si pensa sia più giusta, è una scelta nostra. E forse era questa l'intenzione di Satoshi Kon: lasciare a noi stessi le nostre risposte alle nostre domande.
Sul lato tecnico ci sarebbe qualcosa da dire: il character design riprende lo stile di Kon nei suoi lungometraggi, e seppur non sia nulla di particolarmente raffinato, è accompagnato da un'ottima animazione che rende il livello del chara sopra la media - ricordiamolo, stiamo parlando del 2004. Stupende le espressioni facciali, in particolare durante i momenti di follia e disperazione; molti design sono volutamente grotteschi e rappresentano alla perfezione i personaggi, perciò è un lavoro di tutto rispetto. La colonna sonora accompagna degnamente la serie, una gestione senza infamia e senza lode di tutte le musiche.
Il doppiaggio italiano mi ha sorpreso in positivo: ottima interpretazione, dialoghi incredibilmente fedeli all'edizione originale per essere un prodotto Panini Video, e adattamento lavorato più che discretamente.
Aggiungo ch'è un'opera che mi ha stupito per il ritmo incessante, e per la profonda introspezione operata non tanto sul carattere dei personaggi ma sulla psicologia umana di ognuno. Non che in 13 episodi si potesse fare di meglio, ma non so quanto possa essere considerato un limite.
In sostanza: consiglio quest'opera a chiunque. A chiunque voglia avvicinarsi a certi temi, a chiunque non abbia paura di vedersi crollare ogni sua convinzione. È un anime molto profondo, volto anche all'interpretazione ma di certo non un macigno come Evangelion; le opportune spiegazioni per inquadrare la trama e le situazioni ci sono, e sicuramente l'intento di Satoshi Kon era quello di ponderare su ciò che siamo e su ciò che ci circonda. Sono davvero contento di aver avuto la possibilità di recensirlo; è un must per qualunque amante del genere e non solo.
Paranoia Agent è una serie TV anime di 13 episodi realizzata nel 2004, prodotta dallo Studio Madhouse, creata e diretta dal compianto Satoshi Kon.
La trama narra dei misteriosi assalti da parte di un fantomatico "Shonen Bat", descritto dalla prima vittima - Tsukiko Sagi - come un ragazzino delle elementari, con indosso un cappellino e dei pattini a rotelle, oltre ad essere munito di una mazza da baseball che utilizza come arma; e dei - vani - tentativi della polizia di acciuffarlo.
Non è facile scegliere la tematica con cui partire per recensire una serie di questo calibro, ma, considerando che è stato indubbiamente l'argomento più trattato, curato ed articolato, non penso si possa fare a meno di iniziare con la follia. La follia è ciò che appare prima di tutto il resto nell'anime, è ciò che si pensa affligga le vittime di Shonen Bat, ed è ciò che accompagna tutti i vari personaggi della serie. A tal proposito, voglio smentire molti, ma molti commenti che ho letto su tale argomento: le persone non "tirano fuori" la loro vera natura, quando impazziscono; è proprio la disperazione a sfociare nella follia, mai il contrario. Ogni personaggio che ci viene presentato conduce una vita normale - nel caso di Icchi, protagonista del secondo episodio, addirittura è una persona più che invidiabile, stimato ed idolatrato da tutti i suoi compagni; saranno gli eventi a far sprofondare il ragazzo in una spirale di disperazione che lo porterà alla follia. E questo discorso vale - con le dovute differenze - per tutti i personaggi.
Satoshi Kon collega strettamente tale tematica a qualcos altro: non possiamo, infatti, non soffermarci sulla forte e per niente velata critica che il regista opera sulla società: se apparentemente questo astio sia indirizzato pressoché nei confronti della tecnologia - e, attenzione, siamo nel 2004 -, la realtà è che il compianto Kon esprime un durissimo quanto giusto giudizio sulla collettività dei giorni nostri. Tutto ciò è testimoniato da vari intermezzi che si susseguono frequentemente durante la serie, in cui ci vengono mostrate persone che, per le strade, sui mezzi di trasporto, oppure anche soltanto chattando sul proprio cellulare, speculano sugli argomenti di attualità credendo di predicare la verità e spargendo false voci sulle aggressioni di Shonen Bat. Una critica pesante ad una società che mette zizzania sempre e comunque, paranoica e psicotica. Una critica neanche tanto velata, quanto poco considerata da chi ha visionato quest'opera. Ma il giudizio più pesante da parte di Satoshi Kon arriva quando vengono introdotte le tipiche donne di mezz'età che s'incontrano nei pianerottoli delle proprie case per spettegolare su tutto/i ciò che le circonda, infarcendo le proprie storie di surrealismo e di menzogne. È proprio durante uno di questi ritrovi che la follia si fa intrinseca e raggiunge l'apice, grazie ad un'intuizione geniale del compianto Kon, con una delle signore - anche se vistosamente più giovane delle altre - che non avendo mai a disposizione un racconto interessante come quello delle altre, viene messa in disparte; e quando ella rientra in casa, ritrovando il proprio marito a terra, colpito da Shonen Bat, non se ne addolora, ed anzi, sfocia in un'isterica risata chiedendo ogni minimo particolare al morente uomo che giace disperato ed in cerca d'aiuto. Un lavoro eseguito in neanche 20 minuti di episodio in cui il buon Satoshi Kon riesce a far riflettere molto.
Ed è questo il grande pregio di Paranoia Agent: ti fa riflettere. Non è uno di quei thriller, o di quegli horror volutamente esagerati per strappare un po' di tensione, forzatamente, dall'animo dello spettatore, ma è un'opera che ti fa rabbrividire per l'inquietante sensazione di irrequietezza e pazzia che lo circonda. Un alone di paranoia che però ti tiene incollato allo schermo, che aiuta molto a riflettere sulla realtà umana e su quanto vivere in comune porti inesorabilmente a desolazione e follia.
A fare da nemesi a quest'intrinseca negatività e alla paranoia c'è la polizia - o almeno, inizialmente. Il vice ispettore Keichi Ikari e il suo collega, nonché assistente, Mitsuhiro Maniwa, infatti, rappresentano la "normalità" (o meglio, quella che è supposta esserlo), l'autorità che utilizza l'arte del raziocinio prima di permettere alla follia di divorarli, ed è la fiaccola di speranza che illumina la serie ("Perché anche in un mondo impazzito deve pur'esserci rimasto qualcosa di giusto" cit. vice ispettore Ikari). I due poliziotti si fanno strada attraverso la bizzarra storia, incontrando, sempre più avanti, nel loro cammino, fatti, situazioni e persone che li trascineranno in molteplici mondi diversi: dalla sopracitata follia, al dramma, a siparietti comici e imbarazzanti, fino a giungere ad ambientazioni fantasy con elementi tipici dei JRPG. E, nonostante anche loro vengano colpiti nel privato (perdendo il posto di lavoro) dal mistero di Shonen Bat, non s'arrendono alla causa e, in un modo o nell'altro, finiscono sempre per indagare sul suo conto. In particolare Maniwa, che si trasforma nel supereroe che aveva interpretato nel mondo fantasy, impiega tutte le sue forze per far luce sul caso, rimanendone sensibilmente destabilizzato.
Dopo l'esplosione del fenomeno "Shonen Bat", esso è divenuto qualcosa di più di una semplice leggenda metropolitana: si sa, quando qualcuno e/o qualcosa raggiunge la popolarità, è inevitabile che vi siano sulla faccenda gli occhi puntati e le imitazioni; ma Shonen Bat diviene una sorta di speranza per molte persone, e non più il timore. La leggenda del fantomatico ragazzino che aggredisce le persone si trasforma in una sorta di spirito benevolo che aiuta le persone che hanno raggiunto un punto di non ritorno, che sono ormai figlie della disperazione e che aspettano un aiuto divino a salvarli. Ehi, mi ricorda tanto la religione!
Ad un certo punto della storia fa la sua apparizione un fantomatico ragazzino che si definisce il responsabile delle aggressioni, ma è evidente fin da subito che la sua sia una mera imitazione. Il ragazzo non si rende conto delle proprie azioni poiché accecato da una forma di follia molto diversa dalle altre: egli infatti prende tutto come un gioco, considera Shonen Bat una sorta di eroe che vuole assolutamente interpretare, come quando da piccoli imitavamo la kamehameha o cercavamo di trasformarci in forzuti e platinati Super Saiyan.
Le origini di Shonen Bat vanno ritrovate nell'infanzia della - supposta - prima vittima del caso: Tsukiko Sagi. Ella, quando era ancora piccola, a causa di una distrazione, perse il guinzaglio che tratteneva il suo cane, che ha poi finito per essere investito; preoccupata della reazione che avrebbe potuto avere il severo padre, la bambina inventò d'esser stata aggredita, e quella, nella sua mente, divenne la verità. La Sua verità. Tuttavia, fintanto che restasse nella sua mente, ciò non era una grossa preoccupazione. Quando Tsukiko è cresciuta, diventando famosa per aver inventato il popolarissimo pupazzo di Maromi (nome del suo cane), per sfuggire alle pressione psicologiche che la opprimevano al lavoro, fece nuovamente uso della stessa bugia che utilizzò quand'era piccola. La piccola, grande, differenza, è che la giovane ragazza era ormai diventata famosa e di conseguenza la notizia dell'aggressore si è velocemente sparsa nella società, e quest'ultima ha infine dato a quella bugia una realtà materiale: Shonen Bat.
Shonen Bat è tutto ciò che ci circonda: Shonen Bat siamo "noi"; Shonen Bat sono io in questo preciso istante. Le nostre paure vanno affrontate, possono essere superate, e l'anime lancia un messaggio più che positivo al riguardo. Tuttavia, normalità e follia sono due facce della stessa medaglia, e senza l'una non esiste l'altra. E, come testimonia il finale della serie, ed in particolare Maniwa, la storia si ripete, continuamente. Perché - inevitabilmente, è una storia che ti segna. Maniwa è l'unico a riuscire ad entrare in questa spirale di follia e risolverla del tutto, ma, al contempo, è stato anche l'unico a non farvi ritorno. Mentre tutte le persone, dopo due anni, hanno dimenticato l'accaduto, continuando a vivere come sempre, l'ex poliziotto non è riuscito a ritrovare la sua identità, la sua realtà; tuttavia, Satoshi Kon, attraverso la moglie del vice ispettore, lancia anche un messaggio positivo al riguardo - come se avesse voluto mostrare entrambe le "possibilità". Ella infatti sostiene che l'uomo sia una creatura che si rialza costantemente, che sbaglia sempre, ma che alla fine riesce a sconfiggere gli spettri che albergano nella sua mente, nel suo cuore e nel suo animo per poi rialzarsi più forte di prima. Su quale realtà - o meglio, verità - si pensa sia più giusta, è una scelta nostra. E forse era questa l'intenzione di Satoshi Kon: lasciare a noi stessi le nostre risposte alle nostre domande.
Sul lato tecnico ci sarebbe qualcosa da dire: il character design riprende lo stile di Kon nei suoi lungometraggi, e seppur non sia nulla di particolarmente raffinato, è accompagnato da un'ottima animazione che rende il livello del chara sopra la media - ricordiamolo, stiamo parlando del 2004. Stupende le espressioni facciali, in particolare durante i momenti di follia e disperazione; molti design sono volutamente grotteschi e rappresentano alla perfezione i personaggi, perciò è un lavoro di tutto rispetto. La colonna sonora accompagna degnamente la serie, una gestione senza infamia e senza lode di tutte le musiche.
Il doppiaggio italiano mi ha sorpreso in positivo: ottima interpretazione, dialoghi incredibilmente fedeli all'edizione originale per essere un prodotto Panini Video, e adattamento lavorato più che discretamente.
Aggiungo ch'è un'opera che mi ha stupito per il ritmo incessante, e per la profonda introspezione operata non tanto sul carattere dei personaggi ma sulla psicologia umana di ognuno. Non che in 13 episodi si potesse fare di meglio, ma non so quanto possa essere considerato un limite.
In sostanza: consiglio quest'opera a chiunque. A chiunque voglia avvicinarsi a certi temi, a chiunque non abbia paura di vedersi crollare ogni sua convinzione. È un anime molto profondo, volto anche all'interpretazione ma di certo non un macigno come Evangelion; le opportune spiegazioni per inquadrare la trama e le situazioni ci sono, e sicuramente l'intento di Satoshi Kon era quello di ponderare su ciò che siamo e su ciò che ci circonda. Sono davvero contento di aver avuto la possibilità di recensirlo; è un must per qualunque amante del genere e non solo.