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"Scito te ipsum" (Abelardo)

In questa recensione di "Yagate Kimi ni Naru" (in inglese "Bloom into You") ho iniziato con un aforisma impegnativo riferito al pensiero di Abelardo: "Conosci te stesso". La stessa affermazione appariva sul tempio del Dio Apollo a Delfi nell'antica Grecia e credo che sia stata la fonte ispiratrice di tante speculazioni filosofiche di pensatori e filosofi a cominciare da Socrate, Platone e Aristotele.
Il lettore della recensione si chiederà: "Perché?" Perché ho scomodato un pensiero filosofico classico per una serie anime come "Bloom into You"?
Perché la sua visione per me è stata una piacevole sorpresa, non tanto per l'aspetto romantico-sentimentale (alludo alla storia d'amore yuri - più o meno potenziale - tra le due protagoniste Yuu e Toko), quanto per quello introspettivo e psicologico dei personaggi, con particolare riguardo alle protagoniste di questa serie, che diventa un vero e proprio percorso alla autodeterminazione di sé stesse e all'individuazione e affermazione della propria identità.
Mi rendo conto che, scritto così, potrebbe sembrare un "polpettone" filosofico. E un po' lo potrebbe sembrare a coloro che cercheranno di "inter legere", ossia leggere tra le righe di una storia lineare, slice of life, normale, tranquilla, talvolta lenta e basata anche più sulla comunicazione non verbale che non su dialoghi e pensieri interiori che consentano allo spettatore di comprendere cosa realmente pensano i personaggi dell'anime, tra le "pieghe" e le sfumature dei loro pensieri e azioni.

In effetti, l'impressione che ho avuto della serie è quella che la storia d'amore tra le protagoniste rappresenti il modo con cui loro riescano a scoprire sé stesse, scavando nel profondo del loro io alla ricerca di ciò che realmente provano e vogliono essere con sé stesse e con gli altri. Nelle interazioni tra Yuu e Toko mi sembrano emergere alcuni concetti perlopiù psicologici come l'idea di sé cercata e l'idea di sé riflessa, il concetto di "maschera" di pirandelliana memoria nel processo della crescita nell'adolescenza, i traumi infantili che "segnano" la personalità, l'elaborazione del lutto e l'idealizzazione delle persone care mancate, il riempimento del vuoto del proprio io con sovrastrutture che si rivelano fallaci, ecc.

Toko in particolare rappresenta la classica adolescente alla ricerca di sé stessa. Si nasconde dietro la maschera e l'immagine idealizzata della sorella maggiore e si fissa nel ripercorrere le sue orme nella stessa scuola superiore, per portare a termine ciò che crede lei abbia lasciato in sospeso: la recita dei membri del consiglio studentesco nel festival culturale scolastico.
La questione della recita e la pervicacia con cui Toko si ostina a volerla eseguire, coinvolgendo tutti i membri del consiglio, sembra una sorta di coperta di Linus: una sorta di oggetto transizionale attraverso il quale Toko si avvicina alla figura idealizzata della sorella, fino a impersonificarla in tutto e per tutto.

Ma chi è Toko davvero? Quanto corrisponde l’immagine che di lei percepiscono gli altri nella vita reale rispetto a quella che è veramente? Quanto risulta autentica nello sforzarsi di apparire esattamente come le persone si aspettano da lei?
Toko sembra il classico esempio di una persona che si trova, più volente che nolente, immersa in un mondo "virtuale" che sembra imporle un atteggiamento costante di falsificazione dell’immagine e dell’identità che le appartiene.
Trattandosi di una maschera volontaria che consiste nell'impersonificazione della sua personale idea della sorella deceduta, il suo è il classico caso in cui, cercando di piacere agli altri, ha rinunciato a piacere a sé stessa, concentrata solo nel vivere una esistenza non sua contraddistinta da una serie continua di compromessi con l'unico scopo di acquisire consenso dagli altri per rafforzare la sua identità.
E Yuu è riuscita ad inquadrarla quasi immediatamente in questa sua "recita della vita", scoprendo la dicotomia che la contraddistingue e intuendo che, quando Toko cercava di essere sé stessa con lei, sembrava percepire un senso di inquietudine, disagio, fragilità, paura e inadeguatezza verso sé stessa.

Yuu sembra invece rappresentare la risposta corretta all'affermazione della propria identità: infatti, lei sembra non tenere in grande considerazione ciò che vorrebbero che lei facesse (vedi l'abbandono del softball in cui eccelleva, accettare la dichiarazione di un ragazzo frequentato alle medie, ecc.), accogliendo quella che rappresenta una delle sfide più grandi dell'esistenza: rimanere autentici e sé stessi in tutte le situazioni, senza recitare un "ruolo".
Un percorso difficile da intraprendere e mantenere con coerenza: non tutti coloro che la circondano sono accomodanti nei suoi confronti e nel suo modo di essere così "libera" di cercare e seguire ciò che sente e a cui aspira.
Nel vivere la relazione con Toko, in più occasioni le fa capire, anche in modo diretto, di non soccombere alla richiesta di corrispondere alle aspettative che si imponeva o le venivano imposte nella sua recita della vita. Ma Toko non è stoica e convinta come lei nel vivere la sua esistenza.
Yuu, non avendo ancora certezza della sua identità nella vita reale, che è in fase di costruzione e che si va definendo, resta invece molto restia a lasciarsi andare alle attenzioni che le rivolge Toko: non investe su un’identità e un rapporto che mostra al mondo una versione di loro stesse cui aderiscono senza crederci. Ed è un gran bel messaggio di speranza per coloro che affrontano l'adolescenza: una sorta di luce in fondo a una specie di tunnel ove tutto sembra difficile da affrontare.

Quando negli episodi finali entrambe realizzano che credere che il loro valore non dipenda da come sei, ma da come appari, rappresenta l'errore più grave commesso, si intuisce come entrambe abbiano realizzato che l'esistenza determinata solo da fattori esterni al loro io le abbia svuotate e fatte anche sentire sole, non solo con gli altri, ma anche con loro stesse.

Resta il rammarico di non vedere un classico happy ending ma solo un finale "aperto". Ed è proprio questo genere di finale che mi ha fatto apprezzare questa serie che dal punto di vista tecnico non ha brillato sempre per cura dei fondali, del chara design e dei dettagli.

In fondo, come ho già anticipato, questa serie non aveva come leit motiv la mera storia d'amore tra le due ragazze e gli eventuali "incidenti" di percorso, ma il percorso verso l'autodeterminazione dei personaggi, un percorso non sempre lineare e piuttosto difficoltoso:
"A volte incontrerai te stesso. Per via di uno specchio, di una vetrina, di uno sguardo diverso, di un giudizio più severo che credevi fosse destinato ad altri e che invece, puntuale, fedele, parlerà di te.
E allora avrai due scelte: o farai finta di niente e continuerai ad indossare la tua maschera oppure prenderai coscienza di chi sei.
E sarà il lavoro più difficile.
Quello che può portare alla saggezza o al deserto". (Fabrizio Caramagna)