In occasione della 26° edizione del Far East Film Festival, la kermesse udinese dedicata al cinema asiatico a tutto tondo, abbiamo avuto la possibilità di partecipare agli incontri organizzati per la stampa con gli autori, registi e attori di determinate pellicole.
Di seguito Vi proponiamo il focus sul film Voice (Ichigatsu no koe ni yorokobi wo kizame) dell'osakense Yukiko Mishima, giunta a Udine col produttore Shinpei Yamasaki.
Tra le opere precedenti della Mishima ricordiamo le pellicole Bread of Happiness (Shiawase no Pan) del 2012, proiettato per l'Italia nell'ambito del Japanese Film Festival 2022, e Tsukuroi Tatsu Hito del 2015, dal manga omonimo di Aoi Ikebe (Princess Maison).
Voice ~ Trailer completo
con sottotitoli in lingua inglese
Animeclick: buongiorno, sono Lara di Animeclick, testata online dedicata a manga, anime, drama e cinematografia nipponica e asiatica.
Yukiko Mishima: buongiorno, molto piacere.
A: a riguardo del suo film Voice, il primo dei tre capitoli di cui si compone è ambientato presso il Lago Toya in Hokkaido, che avevamo già visto nel suo altro film Bread of Happiness, quindi volevamo chiedere se si trattasse di una casualità, oppure se ci fosse un motivo preciso per questa scelta.
Y. Mishima: allora, per quanto riguarda Bread of Happiness, in quel film la motivazione principale dietro quella scelta era quella di creare qualche cosa che fosse di illusorio e di poetico allo stesso tempo. Un modo per salvare e purificare l'anima. E quindi, da questo punto di vista, mi era sembrato che la zona del lago di Toya, appunto nell'Hokkaido, potesse essere molto rappresentativa.
Per quello invece che riguarda Voice, posso dire che nell'ambito della produzione del film ci sono stati tutta una serie di incontri che potrei definire incontri del destino. Inizialmente, infatti, quando stavo ne strutturando la sceneggiatura, avevo inserito tre isole come ambientazione per ciascuno dei tre capitoli. Però poi sono stata casualmente contattata dalla food stylist della produzione (ovvero l'incaricata di curare ad esempio i piatti tradizionali dell'osechi ryori di Capodanno che si vedono all'interno del film); tra l'altro sempre lei era stata anche nello staff del film Tampopo di Itami Jūzō del 1985. Ecco, da parte sua mi è arrivata una telefonata, e lei appunto neanche a farlo apposta mi dice: "perché non venite nella mia villa a fare le riprese per Voice?"
La sua villa si trovava proprio al lago Toya e quindi io, che stavo appunto realizzando la sceneggiatura, mi sono ricordata dell'aspetto del lago e di questo suo elemento di catarsi dell'anima, di salvazione dell'anima. Quindi ho pensato come probabilmente il lago di Toya sarebbe stato necessario anche all'interno di questa storia e dunque si è aperta un'altra porta del destino, per così dire.
A: abbiamo notato inoltre che i tre luoghi visti nel film sono molto distanti tra loro (Toya in Hokkaido, isola Hachijojima fuori Tokyo e distretto di Dojima a Osaka), ma tutti e tre hanno un elemento importante in comune, ovvero il kanji di "isola" (ovvero 'shima/jima') al loro interno.
In particolare poi, due sono isole e il terzo luogo ha comunque quel riferimento nel nome. Ci chiedevamo quindi se anche in questo ci fosse una motivazione. Grazie.
Y. Mishima: io sono dell'idea che tutti gli esseri umani avvertano un forte senso di solitudine, soprattutto tutti coloro che in qualche modo hanno subito una ferita, che sono quelli di cui parlo in questo film. Questa almeno è la mia percezione.
Nel momento in cui volevo creare una trasposizione visiva di tutto questo, mi sono chiesta per l'appunto cosa avrei potuto fare. Ed è per questo che ho utilizzato queste location che erano circondate dal mare, erano per così dire delle isole "del tutto sole", non raggiungibili, separate dal resto della terraferma. Riflettevo anche sul fatto che in questo caso il mare sarebbe potuto diventare un trait d'union tra queste isole: c'era un'isola remota, un'altra isola remota e il mare in mezzo, cosa può dunque collegare queste isole? Una barca, una nave. Ho pensato che questo sarebbe potuto diventare il modo per rendere visivamente quello che io appunto avevo dentro di me, emotivamente.
E poi c'è anche un'altra caratteristica da citare: le voci di chi si trova in ciascuna di queste "isole" sono delle voci lontane e ovviamente fra un'isola e l'altra non possono essere ascoltate. Ma forse queste persone hanno anche degli animi che risuonano, e fanno sì che in qualche modo anche le loro voci possano riecheggiare ed essere sentite anche se si trovano a molta distanza. Almeno, questo è ciò in cui io voglio credere. E questa è la ragione per la quale ho scelto queste tre location precise.
Staff (con ironia): tra l'altro, anche Mishima-san reca un kanji di isola nel proprio cognome.
Shinpei Yamasaki (con ironia): sì, a dire il vero le tre isole sono volute perché voleva fare il paio, dato che anche lei si chiama Mishima di cognome.
Y. M. (imbarazzata): in effetti è così, ma non è vero, lui scherza, non c'entra assolutamente il fatto del cognome, dico davvero.
S. Y. (con ironia): invece sì, dai, ammettilo.
Y. M. (imbarazzata): mi dispiace, ma al contrario di lui non ho questo senso dell'umorismo per fare le battute, scusatemi.
A: grazie per le sue risposte.
Ndr: l'intervista si è svolta in contemporanea per più testate, vi riportiamo pertanto tutti gli approfondimenti per intero.
Q: buongiorno, sono Giampiero Raganelli della testata Quinlan. Noi ci eravamo conosciuti già a Venezia al Festival di Ca' Foscari. Volevo chiedere una cosa circa il terzo episodio, quello in bianco e nero: mi interessava per l'appunto comprendere il perché del bianco e nero, dato che si nota proprio un lavoro di "sottrazione narrativa", nel senso che è un elemento importante.
Ad esempio il film cita i fiori Bocche di leone, che si dice siano colorati di rosa, ma questo noi spettatori non lo vediamo perché il bianco e nero sottrae questo elemento visivo. Allora mi interessava sapere perché la scelta del bianco e nero, poiché immagino che sia voluta l'idea di non mostrare quel colore, che invece è così importante nella narrazione di quell'episodio.
Y. Mishima: innanzitutto, io stessa sono stata vittima di violenza sessuale all'età di sei anni, e dopo quella esperienza per me il mondo è diventato in bianco e nero, monocromatico. Poi, ciò che in realtà ha ricominciato a portare il colore nella mia vita devo dire che è stato proprio il cinema, l'esperienza della cinematografia e il mondo del cinema.
All'interno del film, nella storia di Reiko (simile a quella della regista, ndr) noi la vediamo ritornare a Osaka per il funerale dell'ex fidanzato, dopo la morte a causa del Coronavirus. Ne abbiamo ragionato per un bel po' con lo staff di produzione, per decidere quale potesse essere la ragione per la quale lei dovesse ritornare a Osaka (dal Kyushu in cui si è trasferita, ndr).
Deciso questo, abbiamo capito che quella sarebbe stata l'esperienza che le avrebbe dato una vita monocromatica, cioè il fatto stesso di rientrare a Osaka. Partendo da quel tipo di storia, dunque, quello già cominciava a diventare un elemento monocromatico per la sua vita.
Y. M.: quella che ho esplicitato finora è la ragione personale, dopodiché c'è anche una scelta registica davanti a questo, o per essere più precisi ce ne sono due: la prima è che comunque Reiko vive nel passato, e secondo me un modo adatto per esprimerlo è proprio il fatto di tradurlo nella monocromia.
La seconda invece si rifà anche a ciò che hai accennato tu, cioè l'idea della sottrazione del colore. In questo caso il colore è un'espressione molto importante, sia per quello che riguarda appunto l'aspetto dei fiori, sia per quanto riguarda il vestitino rosso citato, e così via. Da questo punto di vista, proprio perché è molto importante, io ho voluto che attraverso il bianco e nero lo spettatore si creasse il tempo per meditare e immaginare quello che per lui sarebbe stato quel colore. E dunque, da questo punto di vista per me era un modo per far sì che lo spettatore si potesse concentrare su questi due aspetti: l'immaginare, il riflettere e quindi dare anche il tempo necessario per questa introspezione.
Poi va detto anche, come ultima cosa, che a me piacciono tantissimi film italiani in bianco e nero; anche con tutto lo staff del film ne abbiamo visti tantissimi. Ci siamo detti che avremmo voluto almeno una volta girare un film o una parte di esso che fosse appunto in bianco e nero.
Animeclick: E quella era la ragione segreta.
Y. M. (ride): sì, sì, sì, certo, lo è.
N: buonasera, sono Elisa dell'Associazione culturale NipPop, ci occupiamo di cultura pop giapponese, tra cui anche il cinema nipponico. La mia domanda era legata al format omnibus dei tre racconti della pellicola, ripreso anche da registi come Kore'eda o Hamaguchi. Ha preso ispirazione da qualche regista o da qualche opera in particolare?
Y. Mishima: diciamo che non ho avuto influenze dirette né a Kore'eda né da Hamaguchi.
S. Yamasaki: * interviene con un termine e un gesto specifici del sumo *
Y. M.: ecco, no, lui sta scherzando, il sumo non c'entra niente. Tornando a noi, il format omnibus è qualcosa che io gradisco, però in questo caso, come detto, non è che avessi avuto un'influenza diretta per la realizzazione di questo film.
Come accennavo prima, io stessa sono stata vittima di una violenza sessuale in giovanissima età; ho pensato che un giorno avrei voluto metabolizzarla traendone una trasposizione cinematografica.
Poi però in realtà siamo arrivati all'anno 2021, cioè 47 anni dopo tale violenza sessuale (NB la simbologia del '47' viene esplicitamente ripresa anche nel primo capitolo del film, ndr) e finalmente sono riuscita a realizzare questo tipo di film. E nel momento esatto in cui si è venuta a creare questa possibilità, è stato allora che mi sono chiesta: ma io, che cos'è che voglio osservare, di preciso? Quali sono gli aspetti, che cosa voglio ritrarre di quella che è stata la mia esperienza?
Allora ho cominciato a fare un tipo di ricerca e ho capito che quello che usciva era che ciò che io avevo osservato era da un lato una ferita emotiva, dall'altro un senso di peccato. Diciamo che questi due elementi fanno sì che dovevano essere secondo me narrati non solo dal punto di vista di chi era stato coinvolto direttamente, ovvero di chi aveva subito quella ferita e da chi viveva questo senso di peccato, ma anche da parte di coloro che sono nelle vicinanze, che si trovano nel circondario di queste vittime. Andava poi unito, secondo me, anche il punto di vista di coloro che avevano arrecato quel tipo di ferite. Quindi, ecco, queste sono state le ragioni: prendere vari punti di vista e poi appunto riunirli in un singolo film.
Buongiorno. In realtà già ho conosciuto tutti e due presso l'Istituto Giapponese di Cultura di Roma due anni fa, e abbiamo incontrato Yamasaki-san dieci giorni fa all'Asian Film Festival di Roma, dove ho selezionato per la proiezione il suo film The quilt and the other stories.
Tornando a noi, e parlando della segmentazione del film, malgrado i tre episodi di Voice non abbiano in comune né una figura né tanto meno un intreccio, nel corso della visione si percepisce comunque un forte senso di unità e di coesione. Ciò è dato da un lato dalla condivisione dello stesso tema, che è appunto l'avvento del lutto nelle vite dei tre protagonisti, e dall'altro secondo me è dato proprio dalla naturalezza con cui Lei riesce a dare una connotazione materica al conflitto di questi personaggi. Esso diventa proprio tangibile, cioè assume una forma nel corso della narrazione.
Come ci aveva già accennato, nei primi due segmenti vediamo il mare, e secondo me è quello a rappresentare la simbologia del trauma (tant'è che infatti nel secondo capitolo c'è un personaggio di nome Umi, che per l'appunto vuol dire mare-), mentre nel terzo segmento credo che invece ad assumere questa simbologia traumatica sia il ritratto del volto di Reiko. Esso è proprio ciò che la porta a interfacciarsi con la natura stessa del suo conflitto, ovvero la difficoltà di comprendere e percepire l'attribuzione del proprio corpo, a causa di quell'abuso infantile. Ci conferma anche lei queste impressioni?
Y. Mishima: allora innanzitutto, è assolutamente corretta la tua interpretazione. Posso però dire anche un'altra cosa: ho realizzato questo film cercando di fare in modo che potessero essere appunto percepite dagli spettatori varie tipologie di interpretazione. Comunque, questa che appunto tu hai recepito, la ritengo molto importante, e di questo ti ringrazio. Invece per quello che riguarda appunto l'elemento, sì nel primo e nel secondo appunto viene senza dubbio utilizzato il mare.
Nel terzo capitolo, diciamo la ragione per la quale viene utilizzato il ritratto -quindi il volto di Reiko- è perché comunque all'interno della storia diciamo che io volevo fare in modo che lei potesse in qualche modo essere salvata, o salvarsi essa stessa. Allora, alla fine, che cos'è che la salva? E' se stessa ma anche Toto Moretti, ovvero il ragazzo che sta insieme a lei e la ritrae. Questo perché in quella occasione, quando sono insieme in qualche modo lei ha la possibilità di rivangare il suo passato, e si ritrova nel momento in cui si rende conto del proprio volto attraverso il suo ritratto.
Che cos'è che alla fine c'è in un ritratto? C'è una persona, e in questo caso Reiko capisce che quella persona era precisamente lei. E questo è proprio il tipo di accezione che volevo dare. Poi, probabilmente anche per come dici tu, c'è l'idea di prendere in considerazione le navi, perché anch'esse si muovono lungo il mare e mettono in contatto le persone.
Naturalmente voi avete sempre operato nel cinema indipendente giapponese, esatto? Infatti anche questo film è stato distribuito su tale circuito. Mi sembra che nel futuro prossimo, tuttavia, ci siano sempre meno spazi per il cinema indipendente in Giappone, a causa soprattutto della scomparsa dei cosiddetti "mini theater"; sin dal sin dall'inizio della pandemia, infatti, molti di loro stanno chiudendo i battenti. Ecco, volevo sapere rapidamente come vi approcciate a questo tema e quanta e quale sia stata la funzione di questi piccoli cinema locali nella vostra esperienza di spettatori, ma anche appunto di film maker.
S. Yamasaki: è senza dubbio come dici tu, cioè questa è la situazione attuale, quindi c'è tale riduzione del mercato indipendente. Una delle grandi ragioni è che adesso ci sono molti contenuti streaming, che aumentano sempre più.
Poi, l'altro elemento può essere quello del fatto che c'è sempre meno voglia di accettare contenuti culturali che possano essere di difficile comprensione.
Anzi, vi faccio io questa domanda: com'è la situazione in Italia e in Europa su questo fronte? Spesso, in Giappone, quando vogliamo realizzare un film, dobbiamo anche confrontarci e ragionare su questi aspetti: ma questo si capirà? Oppure quest'altro forse si capisce di meno? Questo è più intellegibile? Questo lo è di meno? Perché alla fine si cerca di utilizzare delle forme espressive intellegibili e comprensibili, mentre quelle che lo sono di meno vengono sempre più lasciate da parte. Quindi ecco, questa è un po' la situazione, che senza dubbio si rispecchia in quanto detto.
In Italia diciamo che il cinema italiano viene comunque ampiamente finanziato dallo Stato, quindi si tende a seguire delle formule e strutture, e nel momento in cui si opera al di là di queste, beh, ecco, diciamo che non sempre le proposte vengono accettate. Quindi c'è il rischio, almeno dal punto di vista dei generi popolari, che ci sia una maggiore omologazione, proprio perché comunque c'è un grande investimento dello Stato italiano.
Y. Mishima: diciamo che per quella che è la mia percezione, senza dubbio a causa del Coronavirus è diventato sempre più difficile fare amministrazione e gestione di vari teatri, cinema e così via. Detto questo però, come accennava prima il sig. Yamasaki, sul fatto di riuscire a creare un film major, dunque un film di maggiore portata con contenuti intelligibili, ecco, quello diciamo che dipende. Al giorno d'oggi ci troviamo in una situazione in cui se si vogliono realizzare determinati temi si può comunque senza dubbio creare dei film indipendenti, e da questo punto di vista la possibilità, gli spunti per riuscire a creare film indipendenti sono sempre più ampi.
Detto questo però c'è indubbiamente un numero minore di cinema che li possono proporre, quindi si sta creando un po' questo squilibrio.
Io stessa finora ho realizzato nove film che erano appunto dei film che possono essere definiti major, e anche se appunto non fossero stati sempre tutti quanti, come dire, al 100% intellegibili, in ogni caso narravano di determinati argomentazioni. Poi, nel momento in cui ho voluto realizzare qualche cosa che fosse più personale, in cui io potessi di più interfacciarmi con quella che era la mia volontà personale, allora per utilizzare questo tipo di espressione ho deciso che appunto l'indipendente era la forma espressiva migliore, per dare vita all'opera che volevo.
Grazie per le vostre risposte.
Animeclick: vorrei poter concludere con un augurio da parte nostra, dato che siamo qui al Far East Film Festival che da sempre ci porta proprio anche questa espressione della cinematografia indipendente: ecco, vorremmo trasmettere l'augurio che pellicole di questo tipo possano esserci sempre in Giappone, e che malgrado le difficoltà, come ha detto la regista Mishima, si riesca in ogni caso a trovare sempre il modo di portarle avanti, affinché poi anche noi spettatori possiamo fruirne proprio qui, al cinema a Udine.
Y. Mishima: grazie davvero. E noi, da parte nostra, faremo sempre del nostro meglio per realizzare questi film.
Fonti consultate:
Si ringrazia l'ufficio stampa del Far East Film Festival per la disponibilità
Di seguito Vi proponiamo il focus sul film Voice (Ichigatsu no koe ni yorokobi wo kizame) dell'osakense Yukiko Mishima, giunta a Udine col produttore Shinpei Yamasaki.
Tra le opere precedenti della Mishima ricordiamo le pellicole Bread of Happiness (Shiawase no Pan) del 2012, proiettato per l'Italia nell'ambito del Japanese Film Festival 2022, e Tsukuroi Tatsu Hito del 2015, dal manga omonimo di Aoi Ikebe (Princess Maison).
Voice ~ Trailer completo
con sottotitoli in lingua inglese
Animeclick: buongiorno, sono Lara di Animeclick, testata online dedicata a manga, anime, drama e cinematografia nipponica e asiatica.
Yukiko Mishima: buongiorno, molto piacere.
A: a riguardo del suo film Voice, il primo dei tre capitoli di cui si compone è ambientato presso il Lago Toya in Hokkaido, che avevamo già visto nel suo altro film Bread of Happiness, quindi volevamo chiedere se si trattasse di una casualità, oppure se ci fosse un motivo preciso per questa scelta.
Y. Mishima: allora, per quanto riguarda Bread of Happiness, in quel film la motivazione principale dietro quella scelta era quella di creare qualche cosa che fosse di illusorio e di poetico allo stesso tempo. Un modo per salvare e purificare l'anima. E quindi, da questo punto di vista, mi era sembrato che la zona del lago di Toya, appunto nell'Hokkaido, potesse essere molto rappresentativa.
Per quello invece che riguarda Voice, posso dire che nell'ambito della produzione del film ci sono stati tutta una serie di incontri che potrei definire incontri del destino. Inizialmente, infatti, quando stavo ne strutturando la sceneggiatura, avevo inserito tre isole come ambientazione per ciascuno dei tre capitoli. Però poi sono stata casualmente contattata dalla food stylist della produzione (ovvero l'incaricata di curare ad esempio i piatti tradizionali dell'osechi ryori di Capodanno che si vedono all'interno del film); tra l'altro sempre lei era stata anche nello staff del film Tampopo di Itami Jūzō del 1985. Ecco, da parte sua mi è arrivata una telefonata, e lei appunto neanche a farlo apposta mi dice: "perché non venite nella mia villa a fare le riprese per Voice?"
La sua villa si trovava proprio al lago Toya e quindi io, che stavo appunto realizzando la sceneggiatura, mi sono ricordata dell'aspetto del lago e di questo suo elemento di catarsi dell'anima, di salvazione dell'anima. Quindi ho pensato come probabilmente il lago di Toya sarebbe stato necessario anche all'interno di questa storia e dunque si è aperta un'altra porta del destino, per così dire.
A: abbiamo notato inoltre che i tre luoghi visti nel film sono molto distanti tra loro (Toya in Hokkaido, isola Hachijojima fuori Tokyo e distretto di Dojima a Osaka), ma tutti e tre hanno un elemento importante in comune, ovvero il kanji di "isola" (ovvero 'shima/jima') al loro interno.
In particolare poi, due sono isole e il terzo luogo ha comunque quel riferimento nel nome. Ci chiedevamo quindi se anche in questo ci fosse una motivazione. Grazie.
Y. Mishima: io sono dell'idea che tutti gli esseri umani avvertano un forte senso di solitudine, soprattutto tutti coloro che in qualche modo hanno subito una ferita, che sono quelli di cui parlo in questo film. Questa almeno è la mia percezione.
Nel momento in cui volevo creare una trasposizione visiva di tutto questo, mi sono chiesta per l'appunto cosa avrei potuto fare. Ed è per questo che ho utilizzato queste location che erano circondate dal mare, erano per così dire delle isole "del tutto sole", non raggiungibili, separate dal resto della terraferma. Riflettevo anche sul fatto che in questo caso il mare sarebbe potuto diventare un trait d'union tra queste isole: c'era un'isola remota, un'altra isola remota e il mare in mezzo, cosa può dunque collegare queste isole? Una barca, una nave. Ho pensato che questo sarebbe potuto diventare il modo per rendere visivamente quello che io appunto avevo dentro di me, emotivamente.
E poi c'è anche un'altra caratteristica da citare: le voci di chi si trova in ciascuna di queste "isole" sono delle voci lontane e ovviamente fra un'isola e l'altra non possono essere ascoltate. Ma forse queste persone hanno anche degli animi che risuonano, e fanno sì che in qualche modo anche le loro voci possano riecheggiare ed essere sentite anche se si trovano a molta distanza. Almeno, questo è ciò in cui io voglio credere. E questa è la ragione per la quale ho scelto queste tre location precise.
Staff (con ironia): tra l'altro, anche Mishima-san reca un kanji di isola nel proprio cognome.
Shinpei Yamasaki (con ironia): sì, a dire il vero le tre isole sono volute perché voleva fare il paio, dato che anche lei si chiama Mishima di cognome.
Y. M. (imbarazzata): in effetti è così, ma non è vero, lui scherza, non c'entra assolutamente il fatto del cognome, dico davvero.
S. Y. (con ironia): invece sì, dai, ammettilo.
Y. M. (imbarazzata): mi dispiace, ma al contrario di lui non ho questo senso dell'umorismo per fare le battute, scusatemi.
A: grazie per le sue risposte.
Ndr: l'intervista si è svolta in contemporanea per più testate, vi riportiamo pertanto tutti gli approfondimenti per intero.
Q: buongiorno, sono Giampiero Raganelli della testata Quinlan. Noi ci eravamo conosciuti già a Venezia al Festival di Ca' Foscari. Volevo chiedere una cosa circa il terzo episodio, quello in bianco e nero: mi interessava per l'appunto comprendere il perché del bianco e nero, dato che si nota proprio un lavoro di "sottrazione narrativa", nel senso che è un elemento importante.
Ad esempio il film cita i fiori Bocche di leone, che si dice siano colorati di rosa, ma questo noi spettatori non lo vediamo perché il bianco e nero sottrae questo elemento visivo. Allora mi interessava sapere perché la scelta del bianco e nero, poiché immagino che sia voluta l'idea di non mostrare quel colore, che invece è così importante nella narrazione di quell'episodio.
Y. Mishima: innanzitutto, io stessa sono stata vittima di violenza sessuale all'età di sei anni, e dopo quella esperienza per me il mondo è diventato in bianco e nero, monocromatico. Poi, ciò che in realtà ha ricominciato a portare il colore nella mia vita devo dire che è stato proprio il cinema, l'esperienza della cinematografia e il mondo del cinema.
All'interno del film, nella storia di Reiko (simile a quella della regista, ndr) noi la vediamo ritornare a Osaka per il funerale dell'ex fidanzato, dopo la morte a causa del Coronavirus. Ne abbiamo ragionato per un bel po' con lo staff di produzione, per decidere quale potesse essere la ragione per la quale lei dovesse ritornare a Osaka (dal Kyushu in cui si è trasferita, ndr).
Deciso questo, abbiamo capito che quella sarebbe stata l'esperienza che le avrebbe dato una vita monocromatica, cioè il fatto stesso di rientrare a Osaka. Partendo da quel tipo di storia, dunque, quello già cominciava a diventare un elemento monocromatico per la sua vita.
Y. M.: quella che ho esplicitato finora è la ragione personale, dopodiché c'è anche una scelta registica davanti a questo, o per essere più precisi ce ne sono due: la prima è che comunque Reiko vive nel passato, e secondo me un modo adatto per esprimerlo è proprio il fatto di tradurlo nella monocromia.
La seconda invece si rifà anche a ciò che hai accennato tu, cioè l'idea della sottrazione del colore. In questo caso il colore è un'espressione molto importante, sia per quello che riguarda appunto l'aspetto dei fiori, sia per quanto riguarda il vestitino rosso citato, e così via. Da questo punto di vista, proprio perché è molto importante, io ho voluto che attraverso il bianco e nero lo spettatore si creasse il tempo per meditare e immaginare quello che per lui sarebbe stato quel colore. E dunque, da questo punto di vista per me era un modo per far sì che lo spettatore si potesse concentrare su questi due aspetti: l'immaginare, il riflettere e quindi dare anche il tempo necessario per questa introspezione.
Poi va detto anche, come ultima cosa, che a me piacciono tantissimi film italiani in bianco e nero; anche con tutto lo staff del film ne abbiamo visti tantissimi. Ci siamo detti che avremmo voluto almeno una volta girare un film o una parte di esso che fosse appunto in bianco e nero.
Animeclick: E quella era la ragione segreta.
Y. M. (ride): sì, sì, sì, certo, lo è.
N: buonasera, sono Elisa dell'Associazione culturale NipPop, ci occupiamo di cultura pop giapponese, tra cui anche il cinema nipponico. La mia domanda era legata al format omnibus dei tre racconti della pellicola, ripreso anche da registi come Kore'eda o Hamaguchi. Ha preso ispirazione da qualche regista o da qualche opera in particolare?
Y. Mishima: diciamo che non ho avuto influenze dirette né a Kore'eda né da Hamaguchi.
S. Yamasaki: * interviene con un termine e un gesto specifici del sumo *
Y. M.: ecco, no, lui sta scherzando, il sumo non c'entra niente. Tornando a noi, il format omnibus è qualcosa che io gradisco, però in questo caso, come detto, non è che avessi avuto un'influenza diretta per la realizzazione di questo film.
Come accennavo prima, io stessa sono stata vittima di una violenza sessuale in giovanissima età; ho pensato che un giorno avrei voluto metabolizzarla traendone una trasposizione cinematografica.
Poi però in realtà siamo arrivati all'anno 2021, cioè 47 anni dopo tale violenza sessuale (NB la simbologia del '47' viene esplicitamente ripresa anche nel primo capitolo del film, ndr) e finalmente sono riuscita a realizzare questo tipo di film. E nel momento esatto in cui si è venuta a creare questa possibilità, è stato allora che mi sono chiesta: ma io, che cos'è che voglio osservare, di preciso? Quali sono gli aspetti, che cosa voglio ritrarre di quella che è stata la mia esperienza?
Allora ho cominciato a fare un tipo di ricerca e ho capito che quello che usciva era che ciò che io avevo osservato era da un lato una ferita emotiva, dall'altro un senso di peccato. Diciamo che questi due elementi fanno sì che dovevano essere secondo me narrati non solo dal punto di vista di chi era stato coinvolto direttamente, ovvero di chi aveva subito quella ferita e da chi viveva questo senso di peccato, ma anche da parte di coloro che sono nelle vicinanze, che si trovano nel circondario di queste vittime. Andava poi unito, secondo me, anche il punto di vista di coloro che avevano arrecato quel tipo di ferite. Quindi, ecco, queste sono state le ragioni: prendere vari punti di vista e poi appunto riunirli in un singolo film.
Buongiorno. In realtà già ho conosciuto tutti e due presso l'Istituto Giapponese di Cultura di Roma due anni fa, e abbiamo incontrato Yamasaki-san dieci giorni fa all'Asian Film Festival di Roma, dove ho selezionato per la proiezione il suo film The quilt and the other stories.
Tornando a noi, e parlando della segmentazione del film, malgrado i tre episodi di Voice non abbiano in comune né una figura né tanto meno un intreccio, nel corso della visione si percepisce comunque un forte senso di unità e di coesione. Ciò è dato da un lato dalla condivisione dello stesso tema, che è appunto l'avvento del lutto nelle vite dei tre protagonisti, e dall'altro secondo me è dato proprio dalla naturalezza con cui Lei riesce a dare una connotazione materica al conflitto di questi personaggi. Esso diventa proprio tangibile, cioè assume una forma nel corso della narrazione.
Come ci aveva già accennato, nei primi due segmenti vediamo il mare, e secondo me è quello a rappresentare la simbologia del trauma (tant'è che infatti nel secondo capitolo c'è un personaggio di nome Umi, che per l'appunto vuol dire mare-), mentre nel terzo segmento credo che invece ad assumere questa simbologia traumatica sia il ritratto del volto di Reiko. Esso è proprio ciò che la porta a interfacciarsi con la natura stessa del suo conflitto, ovvero la difficoltà di comprendere e percepire l'attribuzione del proprio corpo, a causa di quell'abuso infantile. Ci conferma anche lei queste impressioni?
Y. Mishima: allora innanzitutto, è assolutamente corretta la tua interpretazione. Posso però dire anche un'altra cosa: ho realizzato questo film cercando di fare in modo che potessero essere appunto percepite dagli spettatori varie tipologie di interpretazione. Comunque, questa che appunto tu hai recepito, la ritengo molto importante, e di questo ti ringrazio. Invece per quello che riguarda appunto l'elemento, sì nel primo e nel secondo appunto viene senza dubbio utilizzato il mare.
Nel terzo capitolo, diciamo la ragione per la quale viene utilizzato il ritratto -quindi il volto di Reiko- è perché comunque all'interno della storia diciamo che io volevo fare in modo che lei potesse in qualche modo essere salvata, o salvarsi essa stessa. Allora, alla fine, che cos'è che la salva? E' se stessa ma anche Toto Moretti, ovvero il ragazzo che sta insieme a lei e la ritrae. Questo perché in quella occasione, quando sono insieme in qualche modo lei ha la possibilità di rivangare il suo passato, e si ritrova nel momento in cui si rende conto del proprio volto attraverso il suo ritratto.
Che cos'è che alla fine c'è in un ritratto? C'è una persona, e in questo caso Reiko capisce che quella persona era precisamente lei. E questo è proprio il tipo di accezione che volevo dare. Poi, probabilmente anche per come dici tu, c'è l'idea di prendere in considerazione le navi, perché anch'esse si muovono lungo il mare e mettono in contatto le persone.
Naturalmente voi avete sempre operato nel cinema indipendente giapponese, esatto? Infatti anche questo film è stato distribuito su tale circuito. Mi sembra che nel futuro prossimo, tuttavia, ci siano sempre meno spazi per il cinema indipendente in Giappone, a causa soprattutto della scomparsa dei cosiddetti "mini theater"; sin dal sin dall'inizio della pandemia, infatti, molti di loro stanno chiudendo i battenti. Ecco, volevo sapere rapidamente come vi approcciate a questo tema e quanta e quale sia stata la funzione di questi piccoli cinema locali nella vostra esperienza di spettatori, ma anche appunto di film maker.
S. Yamasaki: è senza dubbio come dici tu, cioè questa è la situazione attuale, quindi c'è tale riduzione del mercato indipendente. Una delle grandi ragioni è che adesso ci sono molti contenuti streaming, che aumentano sempre più.
Poi, l'altro elemento può essere quello del fatto che c'è sempre meno voglia di accettare contenuti culturali che possano essere di difficile comprensione.
Anzi, vi faccio io questa domanda: com'è la situazione in Italia e in Europa su questo fronte? Spesso, in Giappone, quando vogliamo realizzare un film, dobbiamo anche confrontarci e ragionare su questi aspetti: ma questo si capirà? Oppure quest'altro forse si capisce di meno? Questo è più intellegibile? Questo lo è di meno? Perché alla fine si cerca di utilizzare delle forme espressive intellegibili e comprensibili, mentre quelle che lo sono di meno vengono sempre più lasciate da parte. Quindi ecco, questa è un po' la situazione, che senza dubbio si rispecchia in quanto detto.
In Italia diciamo che il cinema italiano viene comunque ampiamente finanziato dallo Stato, quindi si tende a seguire delle formule e strutture, e nel momento in cui si opera al di là di queste, beh, ecco, diciamo che non sempre le proposte vengono accettate. Quindi c'è il rischio, almeno dal punto di vista dei generi popolari, che ci sia una maggiore omologazione, proprio perché comunque c'è un grande investimento dello Stato italiano.
Y. Mishima: diciamo che per quella che è la mia percezione, senza dubbio a causa del Coronavirus è diventato sempre più difficile fare amministrazione e gestione di vari teatri, cinema e così via. Detto questo però, come accennava prima il sig. Yamasaki, sul fatto di riuscire a creare un film major, dunque un film di maggiore portata con contenuti intelligibili, ecco, quello diciamo che dipende. Al giorno d'oggi ci troviamo in una situazione in cui se si vogliono realizzare determinati temi si può comunque senza dubbio creare dei film indipendenti, e da questo punto di vista la possibilità, gli spunti per riuscire a creare film indipendenti sono sempre più ampi.
Detto questo però c'è indubbiamente un numero minore di cinema che li possono proporre, quindi si sta creando un po' questo squilibrio.
Io stessa finora ho realizzato nove film che erano appunto dei film che possono essere definiti major, e anche se appunto non fossero stati sempre tutti quanti, come dire, al 100% intellegibili, in ogni caso narravano di determinati argomentazioni. Poi, nel momento in cui ho voluto realizzare qualche cosa che fosse più personale, in cui io potessi di più interfacciarmi con quella che era la mia volontà personale, allora per utilizzare questo tipo di espressione ho deciso che appunto l'indipendente era la forma espressiva migliore, per dare vita all'opera che volevo.
Grazie per le vostre risposte.
Animeclick: vorrei poter concludere con un augurio da parte nostra, dato che siamo qui al Far East Film Festival che da sempre ci porta proprio anche questa espressione della cinematografia indipendente: ecco, vorremmo trasmettere l'augurio che pellicole di questo tipo possano esserci sempre in Giappone, e che malgrado le difficoltà, come ha detto la regista Mishima, si riesca in ogni caso a trovare sempre il modo di portarle avanti, affinché poi anche noi spettatori possiamo fruirne proprio qui, al cinema a Udine.
Y. Mishima: grazie davvero. E noi, da parte nostra, faremo sempre del nostro meglio per realizzare questi film.
Fonti consultate:
Si ringrazia l'ufficio stampa del Far East Film Festival per la disponibilità
Non conoscevo questa regista.
Per quanto riguarda il discorso cinema indipendente, dal punto di vista produttivo c'è sempre stata questa dicotomia tra la natura commerciale/industriale del mezzo e la sua valenza artistica. E' vero che
Ma l'unico modo per bypassare questo blocco con successo è l'autoproduzione (come nelle altre forme d'arte del resto).
Interessante anche il discorso sul circuito dei "mini theatre", non sono ottimista però per quanto riguarda la loro sopravvivenza futura. Tra i cambiamenti demografici, quelli in termini di fruizione dei contenuti da parte delle giovani generazioni e l'insostenibilità economica, la strada mi sembra molto stretta. E in generale l'impatto universale del cinema come mezzo di comunicazione di massa si è ridotto di molto negli ultimi 20 anni, questo ovviamente va ad impattare anche e specialmente sulle sale d'essai.
Comunque un vero peccato invece esser riuscito a vedere il film solo una volta, sicuramente non è stato abbastanza per capire molte cose.
Ecco perché mi era sembrato che a mancare fosse un messaggio preciso nel film
Voice è comunque un film che merita di essere visto, perché è davvero molto bello.
E la villa della food stylist della produzione è una delle case più belle che abbia mai visto!
Se è vero che molto spesso quando si è di fronte a dei maestri giapponesi dell'arte (mangaka, artigiani, autori di vario tipo) si rimane sempre abbastanza (piacevolmente) interdetti dall'umiltà e dalla semplicità dei loro atteggiamenti, con la Mishima questa sensazione si è percepita in maniera ancora più amplificata.
Per essere una persona che, in tenerissima età, ha subito quello che ha dovuto subire e che si è portata dentro/dietro questa ferita per 47 anni, riuscendo comunque ora ad esorcizzarla attraverso un prodotto artistico molto intimistico, sottile e acuto, lei non "emana" nulla di tutto ciò, anzi. E' stata di una affabilità impressionante, spontanea, gentilissima e disponibile, curiosa ed entusiasta, e soprattutto affatto interessata a "rendersi ego-protagonista" di un'opera che è comunque così intimamente sua. Di cui avrebbe potuto vantare un'appropriazione intensa, per così dire (il "mio dolore", la "mia ferita", i "miei traumi", ma che invece ha presentato con una professionalità, una lucidità e una pulizia che lascia di stucco.
Certo, il suo Voice non è un film facile, ma non si prefiggeva nemmeno di esserlo. Anzi, a dirla tutta, personalmente l'ho trovato estremamente limpido e scorrevole a dispetto proprio degli aggrovigliati grumi di dolore che rappresenta e porta avanti.
Dopo la proiezione, è stato davvero bello poter conoscere ulteriormente Mishima-san e Yamasaki-san anche dietro le quinte; non è cosa che capiti tutti i giorni, e per la fruizione di un film non dovrebbe essere nemmeno necessario "avere il regista che te lo spiega". Infatti lei non lo fa, lei propone soltanto la sua visione del "montaggio e incastro" dei vari pezzi, lasciando però a ciascuno la veridicità di ogni diversa percezione e ogni diverso sentire. Il che è bellissimo.
A Udine, si potevano vedere Mishima-san e Yamasaki-san girare ogni giorno per il teatro tra una proiezione e l'altra, a colloquio e scambio tra connazionali e non, e così via. Un'esperienza molto gratificante e arricchente, che sono davvero grata di aver potuto fare.
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