NIPPON ANIMATION MEISAKU
Correva l’anno 1969 ed in Giappone stava fiorendo un’arte nuova, diversa da ogni genere di animazione mai vista prima in occidente, che avrebbe presto radunato, divertito, commosso e fatto sognare centinaia di fan in tutto il mondo. Nascevano quelli che noi, molti anni dopo, avremmo chiamato anime. I padri di quest’arte sono parecchi: Tezuka, Takahata, Miyazaki, per citare i più famosi. Ma cos’ha di speciale il 1969 rispetto agli altri anni? Cosa successe in quell’anno di tanto importante da citarlo così puntigliosamente?
Nasceva, nel 1969, il filone di anime romanzati che avrebbe poi dato vita al World Mastherpiece Theater (Sekai Meisaku Gekijou) o come in molti lo chiameranno poi, semplicemente, Meisaku. Una produzione che dà il nome a un intero genere di anime, ossia quelli basati su romanzi occidentali, e che viene ideata dallo Studio Mushi proprio in quell’anno. Prima di parlare più approfonditamente della storia del Meisaku è giusto esporre quello che questo genere rappresenta, quello che vuole comunicare e come cerca di farlo.
MEISAKU STYLE
Il Meisaku, non solo quello targato Nippon Animation, ha dei fattori comuni che lo differenziano dagli altri anime. Primo fra tutti, la sceneggiatura è sempre ispirata a un romanzo occidentale, spesso però reinterpretata in chiave nipponica, soprattutto in quelle che sono le psicologie e le interazioni dei personaggi. Questi arrangiamenti alla trama non vanno visti come un chiaro intento a stravolgerne il corso ma semplicemente come aggiunte, variazioni che spesso arricchiscono la narrazione. Infatti raramente qualcosa viene sottratto al filo conduttore degli eventi, le modifiche più classiche riguardano dettagli esclusivamente dedicati al pubblico giapponese. Queste modifiche hanno ovviamente uno scopo: un altro fattore comune a tutti i Meisaku, il fine pedagogico. Spiegherò meglio in seguito come questa esigenza nasca ma è da tener presente che tutte le serie appartenenti a questo genere sono state concepite con il chiaro intento di formare, istruire ed educare i bambini. Il target di riferimento infatti è proprio quello dei più piccini, che attraverso questi anime, avrebbero dovuto elaborare, immedesimandosi nei vari personaggi, valori importanti della civiltà e della convivenza.
Appare così chiaro il motivo degli adattamenti scenografici, dettati più da un imperativo moralistico che da frivolezze creative. Dunque un prodotto destinato ad educare i bambini, coinvolgendoli in storie appassionanti. Non solo. L’alto profilo su cui la psicologia del personaggio tipico di un Meisaku si sviluppa sembra smentirci. A differenza di molte serie prodotte in quegl’anni, i primi Meisaku sottolineano e danno spessore anche a personaggi marginali, caratterizzandoli con cura maniacale. Perché tutto ciò? Qua entra in gioco il terzo fattore: la veridicità della sceneggiatura. Nella preparazione di questi prodotti niente è lasciato al caso. Gli scenari, i gesti, ogni singolo dettaglio è curato per renderlo più vero possibile. Questa genuinità della storia, aiutata certo da ottimi romanzi, ma sapientemente reinterpretata dagli sceneggiatori nipponici, ha fatto si che anche molti adulti si appassionassero alle serie destinate ai più piccoli, differenziando quindi questo genere, definitivamente, dal classico Kodomo. Se infatti la dote pedagogica è comune ad entrambi, quello che evita al Meisaku di essere semplicemente un “Kodomo con trama occidentale” è proprio questo approfondimento emotivo che riesce a coinvolgere il pubblico adulto, rendendo quindi questi prodotti serie destinate al grande pubblico e non solo ai bambini.
Altra grande considerazione va data all’aspetto grafico. I primi Meisaku curano uno stile di disegno molto più fine rispetto alle altre produzioni dell’epoca, dando grande spazio agli sfondi e ai paesaggi, per mostrare al pubblico nipponico le ambientazioni dei “posti esotici” nei quali la trama si svolge. Se nel disegno delle serie ambientate in Giappone si dava per scontato che gli oggetti di uso comune e i luoghi fossero ben riconoscibili dallo spettatore, il Meisaku, ispirandosi alla cultura occidentale non può avvalorare tale tesi. Il pubblico giapponese si sarebbe di certo trovato spaesato nel vedere oggetti che per noi, oggi, sono facilmente identificabili ma che, per l’allora pubblico del Sol Levante (si parla dei primi anni '70), erano davvero inusuali. Si pensi ad oggetti quali telai, forni, alimenti ma anche a modi di fare, come il comportamento da tenere a tavola in occidente, spersi in quel marasma di posate che per un giapponese poteva apparire davvero buffo. Era quindi importante caratterizzare e dettagliare questi aspetti che altrimenti non sarebbero stati chiari al pubblico, soprattutto quando si parla di bambini. La scelta dei produttori è quindi audace, invece che trasformarli in oggetti di più semplice comprensione si opta per un’informazione minuziosa. Non è raro vedere un piccolo protagonista di Meisaku chiedere ad un adulto il significato e il funzionamento di molte cose, soprattutto quelle più “occidentali”. Quest’opera coscienziosa di confronto culturale che i giapponesi attuano nei Meisaku verrà invece interpretata in chiave contraria dagli importatori nostrani, che faranno il possibile per “occidentalizzare” le produzioni nipponiche. Ma di questo parleremo ampiamente in seguito.
Il budget ristretto dettato da un’ampia produzione annuale impone scelte grafiche che discosteranno per anni l’animazione nipponica da quella occidentale. Questo aspetto non è tipico solo del Meisaku ma coinvolge buona parte degli anime creati negli anni '70. Il movimento è infatti rappresentato in modo differente. La tecnica del “muovere il disegno” ossia spostare un fotogramma su una camera fissa, creando così una specie di “effetto steady” che permette di riprendere paesaggi e ampie inquadrature, prevarica sulla scelta di animare ogni singola scena. Più che una scelta una necessità. Si parla di anni in cui la veste grafica veniva confezionata interamente a mano ed era improponibile pensare di riprodurre centinaia di tavole per descrivere un lago di montagna. Questa diversità grafica ha radicato in occidente la convinzione che la qualità del disegno disneyano fosse superiore a quello nipponico. Questa constatazione è reale, in effetti le produzioni animate occidentali hanno avuto una qualità grafica superiore a quelle nipponiche degli anni '70, tuttavia va ricordato che mentre la Disney impiegava un anno e un budget colossale per 90-120 minuti di pellicola, in Giappone nello stesso tempo e con una quantità di fondi irrisori venivano prodotte in media 25-27 ore di animazione: una bella differenza!
LA PREISTORIA ED IL GIAPPONE DEL BOOM
Il primo proto-meisaku a cui si può risalire è, senza dubbio, Gulliver no Uchu Ryoko, una libera interpretazione futuristica del classico di Jonathan Swift. Prodotto dalla Toei nel 1965, questo lungometraggio è diretto da un allora giovanissimo Yoshio Kuroda, tenetelo a mente questo nome, perché si parla di un personaggio chiave del filone Meisaku.
Per meglio comprendere lo scenario dietro il quale si svolgono i primi passi del Meisaku è giusto parlare del Giappone di quegl’anni. Si parla infatti del periodo che va dal 1965 al 1970, ossia l’inizio del grande Boom economico che ha coinvolto molte nazioni, trascinate dall’onda di prosperità, che gli aiuti di guerra e la grande ricostruzione avevano creato. Sono anni in cui la gente sperimenta un nuovo tipo di benessere, dettato da regole consumistiche, in cui per la prima volta, il Giappone, guarda all’occidente in modo davvero insistente, cercando di adeguarsi, in tutti i campi, non solo da un punto di vista commerciale ma, anche ideologico. Anni di grandi personaggi, quali, J.F. Kennedy, Malcom X, M. L. King, che trascineranno il pensiero comune, trasformandolo, emancipandolo, dando inizio a quella che sarà una rivoluzione culturale che coinvolgerà il mondo intero nel decennio successivo. Anche il Giappone ovviamente non è esente da questo vento di novità. La presa di coscienza contro il trattato di sicurezza Nippo-Americano segnò profondamente lo sviluppo dell’arte nipponica, che si politicizzò, dando spazio a registi innovativi in campo cinematografico, quali Yoshishige ed Oshiga. Questa nuova generazione di artisti guarda in faccia alla realtà, trasforma il vecchio cinema nipponico, amante di una cultura classica ed ormai anacronistica, in un “realismo giapponese”, tracciando nuovi standard sociali e culturali. Il mondo dell’animazione, che nasce proprio in quegl’anni è anch’esso figlio dei suoi tempi. Molte produzioni animate di fine anni ’60 sono effettivamente cosparse da un’aura di protesta sociale. Si pensi a Rocky Joe e Tiger Man, che mostrano, senza troppe velature, squallore e povertà di un Giappone dove non tutti riescono a “stare al passo”. Anche l’animazione quindi si politicizza, scende in campo, e lo fa sia come protesta sociale, con titoli come quelli già citati, sia cercando di istruire e sensibilizzare il pubblico partendo proprio dai più piccoli. L’aspetto pedagogico dell’anime destinato ai bambini diventa quindi di vitale importanza, e in questo Giappone, innamorato dell’occidente, l’ispirarsi a testi pedagogici e fiabe europee sembra un passo obbligato. Nel ’69 è la volta di un altro titolo: Nagagatsu no haita neko, che si ispira alla celebre novella Il gatto con gli stivali. Contemporaneamente prende il via il progetto progenitore del World Masterpiece Theater, ossia il Calpis Comic Theater, che esordisce proprio in quell’anno con la trasposizione animata di un manga di Tezuka: Dororo.
I PRIMI ANNI '70 E IL CALPIS COMIC THEATER
Calpis, nota anche come Calpico, è la ditta che produce una bevanda in lattina acidognola e gassata, che potremmo paragonare alla nostra acqua tonica. Cosa centra questa bibita con gli Anime? Il fatto è che forse, senza di lei, non avremmo assistito alla creazione di molte produzioni famose che, ancora oggi, appassionano molti spettatori.
Nel 1969 Calpis cercava un modo per promuovere i suoi soft drinks e alcuni produttori di anime, cercavano uno sponsor. Manco a dirlo l’incontro fu provvidenziale e la Fuji TV, in collaborazione con lo studio Mushi, decide di dare vita a un’opera di Tezuka, che era già un affermato mangaka. Dororo viene prodotto proprio nel ‘69 anno in cui Calpis e Fuji TV firmano un contratto che porterà alla collaborazione quinquennale per la realizzazione di un anime all’anno, destinato a una pedagogia infantile attraverso la quale la Calpis avrebbe potuto lanciare i suoi nuovi caseari. Prodotti occidentali quindi, che ben presto richiederanno una trama coordinata agli anime proiettati da Fuji TV. Il 1970 infatti vede esordire Moomin, una produzione di 65 episodi ispirati alle novelle dell’autore finnico Tove Jannson, che riscuoterà un enorme successo tanto da veder realizzati vari sequel (1972, 1990, 1992). Moomin, completamente sconosciuto a noi occidentali, tanto da non essere mai stato doppiato in altre lingue, è di fatto in Giappone il primo vero Meisaku. Una serie animata, pedagogica ed ispirata da uno scrittore europeo. La Fuji TV resta fedele allo studio Mushi fino al 1973, l’anno successivo infatti, un regista e uno sceneggiatore che stanno emergendo nel panorama nipponico riescono ad accapparsi il contratto per produrre il loro primo meisaku. I loro nomi sono Isao Takahata e Hayao Miyazaki e lo studio di produzione è lo Zuiyo Eizo. L’anno successivo, per Fuji TV realizzano quello che sarà universalmente acclamato come l’anime che ha dato vita ai Meisaku, facendoli conoscere anche al pubblico occidentale: Heidi.
ANCORA CALPIS, MA CON LA NIPPON ANIMATION
Il 1975 vede la nascita di quella che sarà universalmente nota come la “fabbrica dei Meisaku”, stiamo ovviamente parlando della Nippon Animation. Guardiamo ai fatti e a come essi si svolsero. La realizzazione di Heidi aveva praticamente dissanguato la piccola casa di produzione Zuiyo Eizo che fallì proprio nei primi mesi del ’75. Il marchio venne così scisso in due ed una parte, Zuiyo (senza Eizo) venne venduta per assorbire i debiti contratti nella realizzazione di Heidi. L’allora direttore Koichi Motohashi fondò parallelamente un nuovo studio di produzione: la Nippon Animation, tenendo al suo fianco alcuni dei suoi artisti più promettenti quali Takahata e Miyazaki. Anche Calpis e Fuji TV restano fedeli alla casa di produzione, dando il via a due nuovi cicli: il Calpis Children’s Theater prima e il Calpis Family Theater poi. Tuttavia nel 1975 non è il Meisaku di turno a ravvivare le casse della neonata azienda. Alcune collaborazioni con la tedesca Apollo Films procureranno ben più successo alla Nippon Animation. In quell’anno nasce, da una di queste collaborazioni, L’ape Maya. Ma questo amore Nippotedesco non è cosa nuova per gli anime. Già la Zuiyo Eizo aveva collaborato con la Taurus Films per la realizzazione di Chiisana Viking Vikkie (Vikie il vichingo) nel 1974.
Si dovrà quindi attendere il 1976 per vedere un altro Meisaku di grande impatto: Hana no tazunete sanzeri (Marco). Per realizzarlo la Nippon Animation non si impone freni e crea quello che forse sarà l’ultimo grande casting di un Meisaku. Sceglie Takahata per la regia, Kotabe per la sceneggiatura e il character design mentre a Miyazaki sono affidati gli scenari. La scelta si rivelerà vincente. Il successo riscosso da Marco è pari a quello di Heidi, innalzando così lo share del filone Calpis ai vecchi standard.
Il 1978 è l’anno dell’ultima grande avventura tra Calpis e Nippon Animation. Il filone cambia nome in Calpis Family Theater e si assiste alla produzione di un Meisaku maturo, improntato nel sociale, che si distingue dalle produzioni classiche e favoleggianti, mostrando una realtà cruda e colma di ingiustizia. Nonostante Perinu Monogatari voglia dire letteralmente “Favola di Perinu”, questo anime di fiabesco ha ben poco. Creato come denuncia del lavoro minorile e basato sul romanzo In famiglia di Malot, questo titolo presenta parecchie dissonanze con quello che era lo standard Meisaku, creando una frattura netta nel filone che da ora in avanti affronterà tematiche molto più impegnative rispetto alle vecchie favole di Andersen a cui era legato con la Calpis.
IL WORLD MASTERPIECE THEATER
Il 1979 vede il divorzio tra Calpis e Nippon Animation, la quale non legherà un nuovo sponsor ai suoi Meisaku fino al 1986. Nasce proprio nel ‘79 il filone di anime che darà il nome a un’intera categoria. Nippon Animation, ormai slegata da vicoli commerciali, crea il World Masterpiece Theater (Sekai Meisaku Gekijou) nel quale includerà alcuni tra i titoli più avvincenti ed appassionanti della sua produzione. Alla sua scuderia si aggregano inoltre altre figure di indubbio spessore creativo che contribuiranno all’enorme successo del filone WMT.
Si parla di nomi del calibro di Yoshio Kuroda, che firmerà moltissimi titoli negli anni '80. Tra il '79 e l’86 si assiste alla nascita di grandi successi, che trasformeranno questo filone in un classico dei palinsesti nipponici per la Fuji TV. L’esordio è con Akage no Anne (Anna dai Capelli Rossi), con l’ormai collaudata regia di Takahata, l’animazione viene invece affidata a Yoshifumi Kondo, già collaboratore di Miyazaki e Takahata e che li seguirà per tutti gli anni '80, anche nei loro futuri film. Nella prima metà di quegl’anni le serie procederanno con cadenza regolare, di cui quelle di più vasto successo saranno, oltre la già citata Akage no Anne; Kazoku Robinson hyouryuuki - fushigina shima no Flone (L’isola della Piccola Flo), Watashi no Annette (Là sui Monti con Annette) e Makiba no shoujo Katori (Le avventure della Dolce Kati), fino ad arrivare a un Meisaku simbolo degli anni '80, che segnerà un passo importante per la Nippon Animation: Shokojo Sara (Lovely Sara) del 1985. Proprio in quell’anno infatti si chiude un’epoca per l’azienda, vedendo rivoluzioni interne che muteranno il destino del Meisaku dall’85 in poi. Nel 1985 infatti il grosso della ciurma Nippon Animation si stacca, Takahata e Miyazaki fondano lo Studio Ghibli, portando con se molti collaboratori e autori classici della Nippon Animation, la quale risponde con due cannonate. La prima dell’85 è proprio Lovely Sara, un anime che segna la storia del Meisaku, lo rivoluziona in parte per alcune scelte scenografiche e torna, dopo 7 anni, nel sociale, con un'altra opera di denuncia contro i maltrattamenti sui bambini. Il 1986 nasce l’associazione con il nuovo sponsor: House Foods, una ditta produttrice di cibi preconfezionati che basa il suo fatturato su due pilastri: il curry e il tofu. Dopo la separazione da Calpis la Nippon Animation aveva lasciato il suo filone ammiraglio libero da contributi commerciali, il matrimonio con il nuovo sponsor cambia quindi anche il nome al WMT, trasformandolo in House Foods World Masterpiece Theater. Inizia l’era dei successi commerciali, con una trasformazione radicale della grafica, passando dalle tinte pastello sfumate ai colori vivaci, luminosi, che introducono giochi di luce ed ombra. La scelta è dettata dallo stare al passo coi tempi. L’informatica entra prepotentemente nell’animazione e si possono vedere i primi affetti di questo mutamento già con Ai no wakakusa monogatari (Una per Tutte, Tutte per Una) nel 1987, edizione animata di Piccole Donne, romanzo semiautobiografico di Louisa May Alcott. Il tratto diviene infatti più morbido, arrotondato, pieno. Il colore e la luce cambiano in modo sostanziale, basta confrontarlo con Lovely Sara, un prodotto di soli due anni più vecchio, per avere un colpo d’occhio istantaneo.
La combo House Foods – Nippon Animation si mantiene fino al 1993, anno in cui la casa produttrice libera il WMT dallo sponsor per la seconda volta. I titoli dei due anni seguenti Nanatsu no Umi no Tico (Un Oceano di Avventure, 1994) e Romeo no Aoi Sora (Spicchi di Cielo tra Baffi di Fumo, 1995), sembrano dimostrare che il filone regge benissimo l’assenza di sovvenzioni esterne, anche se, come vedremo in seguito, il numero di puntate era già stato notevolmente ridotto. Con Romeo si torna, per la terza volta, nel sociale. Ispirato al romanzo I fratelli neri (1941) dei coniugi tedeschi Lisa Tetzner e Kurt Held: la produzione racconta le disavventure di un gruppo di bambini svizzeri venduti come schiavi a un mercante senza scrupoli che li rivenderà a sua volta agli spazzacamini milanesi per trasformarli in “Bocia” (apprendisti mantenuti ma non pagati). In confronto a Peline Story e Lovely Sara, Romeo è un anime più professionale, con una trama ricca di dramma ma allo stesso tempo dolce e romantica. Un opera stupenda, che danza però la morte del cigno di quello che è il Meisaku classico della Nippon Animation.
1996: IL TRACOLLO E LA RINASCITA
Le prime avvisaglie di crisi si ebbero già nel 1988, quando la riduzione di budget concesso da Fuji TV aveva portato a una parallela riduzione di episodi. Dai classici 52-53 (uno a settimana per un anno), si passò a 44.
Gradualmente la Fuji TV investì sempre meno nel WMT, arrivando nel ’95 a concedere sovvenzioni così striminzite che Romeo no Aoi Sora conterà solo 33 puntate, reggendo comunque ancora bene come share. Il 1996 è l’anno del crollo, in tutti i sensi. Meiken Lessie viene prodotto in 25 puntate, ma i crudeli numeri dell’indice d’ascolto lo condannano ben presto all’interruzione. Il pubblico è cambiato ed i bambini giapponesi guardano con occhi estasiati a ben altre serie, studiate da agglomerati di psicologi e sociologi appositamente per loro. Il collie nipponico ha un così basso impatto sulla scena che per la prima volta in 22 anni l’Italia non acquistata i diritti sulla serie che rimane in Giappone.
La Nippon Animation non ha colpa in questo gioco dei numeri. La qualità dell’anime si presenta allineata agli standard classici della casa produttrice ma la storia fa acqua. Come in una classica tragedia melodrammatica qualcuno deve pagare per tutti. Furono in molti a puntare il dito contro il regista Sunao Katabuchi che, poveretto, con questo flop centrava ben poco. Nel 2006 Katabuchi sarà in regia per Black Lagoon riscuotendo un enorme successo e levandosi finalmente di dosso l’ombra dell’oscuro passato. Possiamo quindi dire che si è riabilitato a sufficienza.
Registi perseguitati a parte, la Nippon Animation sostituisce Meiken Lessie con una nuova serie a cavallo tra il 1996 e 1997. Si parla di Ie naki ko Remi che si snoda in 26 episodi (conforme al nuovo standard di “doppia stagione”) terminando il 23 marzo 1997, data che si imprime sulla lapide del World Masterpiece Theater. Ironia della sorte il filone si spegne con lo stesso autore che lo aveva aiutato a decollare: Malot. Se il nome “Remi” non vi è nuovo fate bene ad essere sospettosi. L’anime parla infatti della stessa storia di quel Remi di vent’anni prima, solo che ora è una bambina. Parleremo ancora di Remi in seguito, quindi non disperate se siete assetati di informazioni e confronti fra le due serie. Così come fluttuano i mercati, altrettanto aleatorie sono le esigenze del pubblico. Nel 2007, la Nippon Animation e la Fuji TV riabilitano il contratto con la House Foods e torna, in pompa magna, House Foods World Masterpiece Theater. Si ritorna con un’opera impegnata, dedicata a I miserabili di Victor Hugo e incentrata sul personaggio della piccola Cosette. Les miserables: Shoujo Cosette appare subito in linea con le moderne produzioni kodomo. Anche se il numero di puntate torna ad essere 52 (quindi una produzione annuale) il disegno è chiaramente adattato alle esigenze moderne, con grandi occhi “Kawaii” e fisicità un po’ “Chibi” dei bambini, che nei Meisaku non si erano mai visti, fedeli com’erano al tratto pulito di Miyazaki e soci. Nel 2009 in Italia Mediaset ha importando proprio Cosette, trasmettendolo su Italia 1.
GLI ALTRI MEISAKU DELLA NIPPON ANIMATION
Una certa attenzione va anche dedicata alle altre opere allienate allo stile Meisaku che la Nippon Animation produsse parallelamente con il WMT. La domanda che ovviamente sorge spontanea è: perché queste serie furono escluse dal filone principale? Due risposte. Prima di tutto il WMT aveva degli standard da rispettare. Il numero di puntate (si parla del periodo ‘77-‘83) era sempre 52. Per quanto si potesse arrichire una trama, questa non poteva però essere spalmata più di tanto. Il chiaro intento pedagogico perpetrato tramite opere della letteratura occidentale era un altro paletto imposto dagli standard Meisaku di quegl’anni. Se uno di questi tre prerequisiti, non rientrava nel canone dell’opera allora questa non poteva essere inserita nel filone. La seconda risposta alla domanda è duplice. Il filone WMT viene trasmesso interamente da Fuji TV che paga le bollette e unge le ruote del complesso ingranaggio mediatico. Gli anime riportati qui sopra sono invece stati proiettati su emittenti concorrenti, come NHK e Asahi Television. Inoltre tutti i titoli WMT sono stati interamente prodotti dalla Nippon Animation mentre buona parte di questi vengono creati nelle collaborazioni Nippo-tedesche di cui abbiamo già parlato.
Tra questi il titolo che spicca è sicuramente Mirai shounen Konan (Conan, il Ragazzo del Futuro), creato dalla coppia d’oro Miyazaki-Takahata con la collaborazione di quel Yasuo Otsuka che aveva dato vita al “Gatto con gli stivali” di Miyazaki dieci anni prima e che aveva disegnato Lupin. Gran parte di queste opere tuttavia riprende in modo quasi completo i pricipi del WMT e per questo vengono citate come Meisaku. All’elenco ne mancano alcune, definite Meisaku, che ho deciso di escludere per una chiara divergenza dai cardini del filone che ho già esposto. Un esempio è L’ape Maya. Considerata da molti un Meisaku altro non è che un Kodomo. Perché dico questo? Maya è tratta da una serie di novelle di uno scrittore tedesco, prodotta dalla Nippon Animation in collaborazione con Apollo film. Tuttavia due sono le grandi dissonanze dal genere. Prima di tutto le novelle sono state scritte col chiaro presupposto di produrre il cartone animato (si badi bene non un anime ma proprio un cartone animato). In secondo luogo Maya non è destinata al pubblico adulto. Il Meisaku pone grande attenzione alla famiglia, il concetto, espresso dalla stessa Nippon Animation è quello di “Un anime che diverte i grandi ed educa i bambini”. Maya inoltre non rispetta il classico palinsesto annuale, snodandosi per più serie (di cui solo metà della prima tradotta in italiano).
LE IMITAZIONI DELLE ALTRE CASE PRODUTTRICI, IL MEISAKU DILAGA
Lunga è la lista dei Meisaku che non fanno capo alla Nippon Animation e, molto probabilmente, me ne sono perso qualcuno per strada. Tuttavia un’idea generale di quello che è stata l’esplosione di queste produzioni dovreste ormai avercela. Gli anni di massima fioritura furono nel periodo 1975-1990 in cui tantissime case si lancianoro nella produzione di questo nuovo genere. Prima fra tutti, per il numero di opere, TMS, che continua a riproporre Meisaku ancora nel 2008. Negli ultimi anni anche il popolare Studio Gonzo si è lanciato in questa avventura, creando una delle serie più amate dal pubblico femminile degli ultimi tempi Romeo x Juliet.
I più accorti di voi avranno notato qualche grande assente in questa lista e staranno storcendo il naso. Uno su tutti: Nadia e il Mistero della Pietra Azzurra. Ricordate i prerequistiti per essere catalogato Meisaku? Il primo era: essere ispirato da un’opera di uno scrittore occidentale. Nadia è un mix di più opere di Jules Verne, con molte aggiunte degli sceneggiatori nipponici. Qualcuno potrebbe portestare dicendo che Fiocchi di cotone per Jenny è ispirata semplicemente ad una canzone, ma a differenza di Nadia, prodotta da Gainax, Jenny è prodotta da Nippon Animation, per Fuji TV e inserita nel ciclo WMT. Sono conscio che ciò che scrivo possa apparire un controsenso e cercherò di spiegarlo al meglio delle mie capacità. Quello che noi chiamiamo “Meisaku” è una mero termine inventato dai fan che poco ha a che spartire con l’ufficilità della Nippon Animation. Catalogare qualsiasi anime che parla di occidente o ricordi vagamente un romanzo occidentale come Meisaku, sarebbe alquanto arrogante da parte nostra. Nadia è un ottimo prodotto, ma non è classificabile come Meisaku.
Opere invece degne di nota fra quelle sopra elencate sono senza dubbio Inekai ko (Dolce Remi) e Meiken Jolie (Belle e Sebastien) che seguono con grande perizia i dettami classici che regolano il Meisaku standard. Ricordiamo anche Meitantei Homushu (Il Fiuto di Sherlock Holmes) unica collaborazione di una Rete nostrana (RAI) con studi giapponesi per la realizzazione di un meisaku.
Alcuni di questi titoli tuttavia non si possono definire Meisaku completi. In molti il fine pedagogico un po’ si perde, sfuma, si inabissa in un oceano di vicessitudini che non porta a termine il compito finale del Meisaku: educare. Tuttavia è praticamente impossibile stilare una lista dettagliata di tutti i Meisaku, in quanto appunto questa definizione altro non è che puro slang, al quale ognuno può aggiungere o togliere titoli secondo la sua personale interpretazione di tale concetto. Prendete la mia lista come sommario di massima, al quale siete liberi di aggiungere o togliere titoli a piacimento, creando la vostrapersonale lista di Meisaku.
Una nota importante va specificata prima di cambiare argomento. Il Meisaku non fu solo prerogativa di produttori giapponesi. Anche alcune case europee avviarono la produzione di titoli Meisaku. E qui si torna alla definizione del termine. Essendo soggettivo nella vostra personale lista potete o meno includere questi titoli. Se quindi per Meisaku intendete un “cartone animato” che si ispira a un romanzo occidentale e che ha fini propedeutici allora includeteli, se volete aggiungere la clausola “prodotto da giapponesi”, eslcudeteli. Un “Meisaku europeo” va comuqnue citato a fine informativo. Cito quello più famoso e più in linea con il genere della Nippon Animation, parlo di David Gnomo.
Prodotto in Spagna nel 1986, cozza e contrasta con le altre produzioni animate occidentali dell’epoca, volte a pubblicizzare prodotti comerciali (Mini pony, Popples, Cuccioli cerca famiglia) o promotrici di supereroi, paperi e superpaperi. David Gnomo, ispirato al romanzo di Rien Portvilet “Gnomi”(1976), chiara riproposizione della mitologia norrena, è un delizioso scorcio di vita nella natura, che insegna ai bambini il rispetto per la nostra Terra e l’ambiente.
1977-1997: VENT'ANNI DI MEISAKU A CONFRONTO
Dopo un’approfondita analisi storiografica del genere è anche giusto soffermarci, prima di spostarci a occidente, a parlare di quelli che furono i mutamenti del Meisaku nel corso degli anni. Come ogni espressione artistica anche il Meisaku ha subìto una certa evoluzione che lo ha trasformato, sotto alcuni aspetti, cambiandolo in parte. Questi cambiamenti sono dovuti a mutamenti della società umana, che in vent’anni ha cambiato gli standard di quello che è il pensiero, la morale e l’etica. Ovviamente anche la televisione ha dovuto adattarsi per restare al passo coi tempi.
Un esempio molto calzante per spiegare questo fenomeno è confrontare due anime che si ispirano allo stesso romanzo ma che sono profondamente diversi. Sto parlando di Remi, prodotto due volte, nel 1977 prima e nel 1997 poi. La prima edizione è opera di TMS ed esce col titolo Inekai Ko, la seconda è tristemente nota per essere l’ultima proiezione del WMT prima del grande silenzio della Nippon Animation ed è edito col titolo Ie naki ko Remi.
Ad un’analisi superficiale salta subito all’occhio un particolare non da poco: nel ’77 Remi è un maschio, nel ’97 è una femmina. Perché? Precisiamo subito che nel romanzo originale da cui sono tratte entrambe le serie, ossia Senza Famiglia di Hector Malot (lo stesso autore da cui è tratto Peline Story), Remi è un maschio. Allora come mai nel 1997 la Nippon Animation ne fece una trasposizione femminile? La risposta sta nei dettami pedagogici degli anni 70 e nelle esigenze commerciali di fine anni 90. Quando uscì la prima serie i canoni del Meisaku erano ancora strettamente rispettati, il Remi del ’77 infatti ricalca competamente l’opera di Malot fin nei minimi dettagli. Nel ’97 le cose cambiano. La Nippon Animation è in piena crisi e si pensa subito di adattare il romanzo alle esigenze del pubblico. Remi viene quindi trasformato in bambina, poiché il racconto di una storia come questa, decisamente sentimentale, avrebbe fatto presa maggiromente sul pubblico femminile, a cui viene quindi data anche la possibilità di immedesimarsi. Le puntate diventano autoconclusive, rendedole quindi più frivole e non obbligando lo spettatore a seguire tutto lo svolgimento. La parte dove compare Elisa, futura moglie di Remi per la quale lui prova una chiara attrazione viene completamente cancellata. Insomma, uno strazio. Questa serie, insieme a Lessie affosserà definitivamente il classico WMT che la stessa Nippon Animation aveva contribuito a creare. Questo dimostra, non senza un certo velo di tristezza che le leggi del mercato piegano qualsiasi cosa si stagli di fronte al loro passaggio. Stremata dai fondi sempre più ridotti di Fuji TV e senza uno sponsor, la Nippon Animation si è piegata a quelle rigide leggi dei grandi che non avrebbe mai voluto insegnare ai bambini.
IL MEISAKU IN ITALIA: L'IMPATTO SUL PUBBLICO DELLO STIVALE
Quando nel 1978 arrivò in Italia Heidi il popolo del Bel Paese non era estraneo alle produzioni giapponesi. Aveva già maturato negli anni parecchia esperienza in fatto di robottoni e combattimenti truculenti. Eppure il successo fu incredibile. Vuoi per quei Miyazaki-Takahata che come dei re Mida dell’animazione trasformavano in oro ogni pellicola che sfioravano, vuoi per l’impatto emotivo nel vedere, per la prima volta, un anime che parla di Europa. Gli italiani celebrarono l’arrivo di Heidi (sulla RAI) con tutti gli onori e la bambina della Spyri divenne un mito. L’anno successivo fu la volta di Remi, poi man mano che gli anni ’80 prendevano piede, l’invasione di anime, e quindi anche di Meisaku, fu completa. Nel 1980, con la nascita di Fininvest si assiste in Italia a un nuovo fenomeno mediatico. Una rete privata, gratuita, nazionale, dedica a bambini e ragazzi più di uno spazio nei suoi palinsesti. Tutte e tre le Reti fininvest di quegli anni avevano almeno un ritaglio dedicato ai cartoni animati o ai bambini in generale. La RAI all’inizio fu battagliera e propose parecchie alternative, nessuna però in grado di scalzare l’ormai strapotere delle reti milanesi. Con L’albero Azzurro riuscì a detenere per anni il primato di attenzione sui bambini in età prescolare, ma niente di più. Quello che rendeva Fininvest vincente era l’importazione costante di nuove serie animate, sempre fresche, di cui la maggior parte provenivano dal Giappone. Ma cosa sapevano gli italiani di questo lontano paese? Ben poco. Parole come “sushi” e “samurai” non erano ancora entrate nel vocabolario collettivo. Si sapeva la storia della bomba atomica, si sapeva che avevano, come noi, perso la guerra, e l’unica parola giapponese nota era “kamikaze”, nient’altro. Quelli più colti potevano contare su ben poche letture che riguardavano il Sol Levante. Fosco Maraini aveva dipinto, nei suoi testi di antropologia e sociologia, un quadro vivido, chiaro, genuino, del giappone di fine anni '50. Altro non c’era. E quei pochi che avessero letto le opere del famoso reporter e scrittore sarebbero sicurmanete rimasti un attimo spiazzati nel confrontare, l’anima shinto descritta in “Ore Giapponesi” con la violenza di Judo Boy e Uomo Tigre. A questo popolo “ignorante” venne somministrata un’overdose di anime. Fininvest creo spazi su spazi per promuovere il made in Japan per un motivo che viene menzionato raramente. Nei primi anni 80, la grande inflazione stava divorando la Lira, che rispetto a Dollaro e Sterlina si stava svalutando sempre più. Parallelamente succedeva una cosa analoga in Giappone. Comprare prodotti valutati in Yen, pagando in Lire era quindi molto remunerativo per le Reti di allora, tanto che anche piccole emittenti locali se lo potevano permettere. Tuttavia l’acquisto di produzioni cinematografiche e televisive nipponiche (che non mancò) era piuttosto limitato per chiare questioni culturali. Il pubblico italiano non avrebbe di certo apprezzato attori ed attrici così distanti da fusti e maggiorate come era la moda di quei tempi. I primi anni della Fininvest furono una scommessa che Berlusconi riuscì a vincere anche grazie al Giappone. I varietà e i quiz, tanto amati dagli italiani, costavano parecchio. Per riempire un palinsesto servivano quindi alternative economiche, da propinare al pubblico come intermezzo tra un programma e l’altro. L’acquisto ad Hollywood era ancora ristretto. Raramente una Rete Fininvest trasmetteva un film americano, anche in prima serata. Il Dollaro reganiano non permettva grandi acquisti dagli States e si optava per soluzioni alternative provenienti da Francia e Germania. Fu così che gli anime salvarono le casse Fininvest e contribuirono (in maniera decisiva) al suo successo. Spazi come “Ciao Ciao” e “Bim Bum Bam” proiettavano, in media, 4 anime ogni 5 cartoni. Tra questi anime i Meisaku ebbero un grande peso. Mediaset si affrettò inoltre a comprare i diritti di trasmissione di perecchi titoli dalla RAI che, un po’ ingenuamente, vendette senza porsi troppe domande. Quelli che per anni vennero catalogati come “Orfanelle” furono un prezioso anello di congiunzione tra la cultura giapponese e quella italiana. Negli anni ’80 il pubblico non era preparato a vedere serie completamente ambientate in Giappone e programmi come quelli già citati avrebbero faticato ad affermarsi senza prima pubblicizzare i prodotti del Sol Levante con un filo conduttore che li legasse a noi Europei. In questo processo di adattamento al Giappone i Meisaku furono il tassello fondamentale. In Italia il valore di queste serie non è tanto quello pedagogico, quanto quello di riuscire a infondere negli italiani una certa fiducia nelle produzioni nipponiche. Senza contare che la grande maggioranza di queste serie non andava “riadattata” al pubblico e potevano essere trasmesse mantenendo storia e nomi originali. Il Meisaku assume quindi, per noi italiani un grande valore dimostrativo e di sdoganamento culturale, che spalancò le porte al grande mercato dell’animazione giapponese.
IL GRANDE MACELLO: ANCHE IL MEISAKU STUPRATO DAL CENSORE
La storia della censura nel nostro paese ha un risvolto tragi-comico. Si fa un gran parlare delle censure sugli anime e molte altre passano in sordina. Va specificato, prima di iniziare, che tutto quello che viene proiettato in Italia, da qualunque paese del mondo arrivi, passa per le mani taglienti del garante. Film stupendi come “Amistad” di Spielberg furono tagliuzzati in malomodo, stravolgendone il senso. L’inzio del “Grande Macello” ha una sua giustificazione, anche plausibile. Il nome del macellaio è noto ai più: Alessandra Valeri Manera, coordinatrice della programmazione “per ragazzi” di Fininvest fino ai primi anni del 2000. Fiumi di parole sono stati riversati nella difesa e nell’accusa di questa donna, ricordiamo che a lei spettavano le decisioni, ed il suo stipendio era proporzionato a queste. Luci ed ombre le vanno attribuite intregralmente perché, oltre ad essere l’artefice dello stupro di centinaia di anime, la Manera ha anche dei grandi meriti.
Possiamo dividere il “Grande Macello” in due periodi ben distinguibili: quello di “Occidentalizzazione” e quello di “Stupro”. Come già spiegato prima gli italiani erano un popolo che ignorava completamente il Giappone. L’isola galleggiante a est della Cina non aveva mai giocato un ruolo importante nella nostra economia o nella nostra politica, quindi se ne parlava poco e spesso in modo superficiale. In questo panorama propinare anime con nomi e cultura giapponese era impensabile. Con tutta la sincerità del mondo io, in qualità di “bambino degli anni ‘80”, non credo che avrei apprezzato serie i cui protagonisti avevano nomi per me allora impronunciabili. Oggi la cultura è cambiata e si fa un gran parlare di questo processo di occidentalizzazione ma, in tutta franchezza, io reputo questa scelta il motore che fece decollare gli anime nel nostro paese, abituandoci gradualmente a una cultura stupenda, ma molto distante dalla nostra. I Meisaku passarono indenni a questa prima fase. Essendo ambientati in occidente non avevano bisogno di essere riadattati per il pubblico italiano. Alla Manera va quindi attribuito un grande merito, quello di essere stata pioniere di un’importazione oculata (nei primi anni '80) preferendo serie che parlassero di occidente, così da non doverle rimaneggiare troppo.
La seconda fase del “Grande Macello” coinvolge invece anche i Meisaku, e pesantemente. Qua però la Manera assume un ruolo marginale, quello di colei che “governa la stanza dei bottoni”. Da Stato Maggiore viene destituita a Capitano della censura e i suoi comandanti ebbero negli anni volti e nomi differenti. Giudici, Psicologi, associazioni di genitori nevrastenici, uno zoccolo duro di bigotti che vedevano nelle produzioni giapponesi il male, spesso tacciandole in malo modo, lasciando anche trasparire, senza troppi complimenti, un chiaro intento razzista. Ogni riferimento a violenza, sessualità e ambiguità doveva essere rimosso. Il motivo di queste decisioni era chiaro: proteggere le reti televisive da sanzioni giuridiche (ma anche penali) dovute alle costanti denunce perpetrate da apprensivi genitori modello, che forgiavano i loro figli in base a valori biechi, spesso letti su libri di sedicenti psichiatri (come è purtroppo ancora di moda oggi). La Manera qua, ha quindi ben poche colpe, se non quella di perpetrare questi tagli in modo del tutto assurdo, storpiando storie, zittendo musiche ed inserendo dialoghi inesistenti. Ogni produzione ha un direttore al doppiagio, ossia una sorta di regista che decide gli adattamenti. Spesso si è utilizzato questa figura in difesa della Manera, ricordiamo però che era sempre lei, e solo lei, a dare il benestare alle programmazioni. I Meisaku subiscono quindi uno stupro mediatico in piena regola. Venendo adattati alle esigenze dei tribunali più che a quelle del pubblico. Baci innocenti e scazzottate non sono cose nuove ai bambini di ieri come di oggi. Inoltre i Meisaku mostrano sempre una violenza addolcita, anche se realistica, proprio perché sono già gli stessi sceneggiatori nipponici ad attenuarla per adattarla alla visione dei loro bambini.
Il teatrino delle colpe cambia negli ultimi anni quando la Manera lascia il posto a un bel ragazzotto con barbetta e capelli sbarazzini: Fabrizio Margaria. Le responsabilità del Margaria sono pari a quelle della sua collega, così come lo sono i suoi compiti. Se qualcuno poteva intervenire per correggere gli errori della Manera era solo lui. Ma il nostro Fabrizio scelse la via dell’ancien régime, perpetrando l’opera censoria del suo predecessore, spesso addirittura calcando la mano. Anche qua però le sue colpe vanno limitate. Prima di tutto perché anche lui è vessato dagli stessi organi persecutori della sua collega, inoltre va detto che sotto la sua direzione non vi furono importazioni di Meisaku (in quanto il genere in Giappone pareva morto). Nel 2009 arriva il primo Meisaku targato Margaria: Cosette. Ma in tutto questo tagliare, quale dose di colpa va attribuita a questi due personaggi? Se parliamo del processo di “Occidentalizzazione” direi il 100%, in quanto la responsabilità di “cancellare” il Giappone spetta solo a loro. Se invece parliamo dello “Stupro” beh, la percentuale scende parecchio. Si è cercato negli anni di attribuire la colpa ai due imputati Manera e Margaria riguardo sul capo d’imputazione “Stupro” in quanto, ben consci che in Giappone esistono varie categorie di anime a seconda dell’età degli spettatori, questi le abbiano bellamente ignorate in favore di marketing e promozioni di gadget. Errore clamoroso! Indipendentemente da questi fattori lo stipendio degli imputati non cambia. Quindi a loro si può solo attribuire un concorso di colpa, ma senza dolo.
Non mi soffermo a parlare nel dettaglio di come la censura abbia influito sugli anime ne citerò tutti i Meisaku censurati (praticamente quasi tutti). Vi lascio una fonte da consultare, scritta da persone che la sanno molto più lunga di me in materia e che hanno creato una serie di articoli efficaci nel descrivere come, quando e perché questo fenomeno avvenne: Il Bazar di Mari
NOTE DELL'AUTORE
Come ogni essere umano anche io sbaglio. Quando parlo di Meisaku non lo faccio excathedra, quindi se volete segnalarmi errori o imprecisioni siete liberi, anzi, pregati di farlo. Grazie a tutti per la collaborazione.
FONTI E BIBLIOGRAFIA:
www.wikipedia.org (sezioni: Italiano, Inglese, Francese, Giapponese)
www.nipponanimation.com
www.calpis.net
www.ilbazardimari.net
www.animenewsnetwork.com
www.anidb.com
www.cartonionline.com
Brunori Maurizio, Il Giappone, storia e civiltà del Sol Levante - MURSIA, 1993.
Ultimo aggiornamento: 23/07/2009
Correva l’anno 1969 ed in Giappone stava fiorendo un’arte nuova, diversa da ogni genere di animazione mai vista prima in occidente, che avrebbe presto radunato, divertito, commosso e fatto sognare centinaia di fan in tutto il mondo. Nascevano quelli che noi, molti anni dopo, avremmo chiamato anime. I padri di quest’arte sono parecchi: Tezuka, Takahata, Miyazaki, per citare i più famosi. Ma cos’ha di speciale il 1969 rispetto agli altri anni? Cosa successe in quell’anno di tanto importante da citarlo così puntigliosamente?
Nasceva, nel 1969, il filone di anime romanzati che avrebbe poi dato vita al World Mastherpiece Theater (Sekai Meisaku Gekijou) o come in molti lo chiameranno poi, semplicemente, Meisaku. Una produzione che dà il nome a un intero genere di anime, ossia quelli basati su romanzi occidentali, e che viene ideata dallo Studio Mushi proprio in quell’anno. Prima di parlare più approfonditamente della storia del Meisaku è giusto esporre quello che questo genere rappresenta, quello che vuole comunicare e come cerca di farlo.
MEISAKU STYLE
Il Meisaku, non solo quello targato Nippon Animation, ha dei fattori comuni che lo differenziano dagli altri anime. Primo fra tutti, la sceneggiatura è sempre ispirata a un romanzo occidentale, spesso però reinterpretata in chiave nipponica, soprattutto in quelle che sono le psicologie e le interazioni dei personaggi. Questi arrangiamenti alla trama non vanno visti come un chiaro intento a stravolgerne il corso ma semplicemente come aggiunte, variazioni che spesso arricchiscono la narrazione. Infatti raramente qualcosa viene sottratto al filo conduttore degli eventi, le modifiche più classiche riguardano dettagli esclusivamente dedicati al pubblico giapponese. Queste modifiche hanno ovviamente uno scopo: un altro fattore comune a tutti i Meisaku, il fine pedagogico. Spiegherò meglio in seguito come questa esigenza nasca ma è da tener presente che tutte le serie appartenenti a questo genere sono state concepite con il chiaro intento di formare, istruire ed educare i bambini. Il target di riferimento infatti è proprio quello dei più piccini, che attraverso questi anime, avrebbero dovuto elaborare, immedesimandosi nei vari personaggi, valori importanti della civiltà e della convivenza.
Appare così chiaro il motivo degli adattamenti scenografici, dettati più da un imperativo moralistico che da frivolezze creative. Dunque un prodotto destinato ad educare i bambini, coinvolgendoli in storie appassionanti. Non solo. L’alto profilo su cui la psicologia del personaggio tipico di un Meisaku si sviluppa sembra smentirci. A differenza di molte serie prodotte in quegl’anni, i primi Meisaku sottolineano e danno spessore anche a personaggi marginali, caratterizzandoli con cura maniacale. Perché tutto ciò? Qua entra in gioco il terzo fattore: la veridicità della sceneggiatura. Nella preparazione di questi prodotti niente è lasciato al caso. Gli scenari, i gesti, ogni singolo dettaglio è curato per renderlo più vero possibile. Questa genuinità della storia, aiutata certo da ottimi romanzi, ma sapientemente reinterpretata dagli sceneggiatori nipponici, ha fatto si che anche molti adulti si appassionassero alle serie destinate ai più piccoli, differenziando quindi questo genere, definitivamente, dal classico Kodomo. Se infatti la dote pedagogica è comune ad entrambi, quello che evita al Meisaku di essere semplicemente un “Kodomo con trama occidentale” è proprio questo approfondimento emotivo che riesce a coinvolgere il pubblico adulto, rendendo quindi questi prodotti serie destinate al grande pubblico e non solo ai bambini.
Altra grande considerazione va data all’aspetto grafico. I primi Meisaku curano uno stile di disegno molto più fine rispetto alle altre produzioni dell’epoca, dando grande spazio agli sfondi e ai paesaggi, per mostrare al pubblico nipponico le ambientazioni dei “posti esotici” nei quali la trama si svolge. Se nel disegno delle serie ambientate in Giappone si dava per scontato che gli oggetti di uso comune e i luoghi fossero ben riconoscibili dallo spettatore, il Meisaku, ispirandosi alla cultura occidentale non può avvalorare tale tesi. Il pubblico giapponese si sarebbe di certo trovato spaesato nel vedere oggetti che per noi, oggi, sono facilmente identificabili ma che, per l’allora pubblico del Sol Levante (si parla dei primi anni '70), erano davvero inusuali. Si pensi ad oggetti quali telai, forni, alimenti ma anche a modi di fare, come il comportamento da tenere a tavola in occidente, spersi in quel marasma di posate che per un giapponese poteva apparire davvero buffo. Era quindi importante caratterizzare e dettagliare questi aspetti che altrimenti non sarebbero stati chiari al pubblico, soprattutto quando si parla di bambini. La scelta dei produttori è quindi audace, invece che trasformarli in oggetti di più semplice comprensione si opta per un’informazione minuziosa. Non è raro vedere un piccolo protagonista di Meisaku chiedere ad un adulto il significato e il funzionamento di molte cose, soprattutto quelle più “occidentali”. Quest’opera coscienziosa di confronto culturale che i giapponesi attuano nei Meisaku verrà invece interpretata in chiave contraria dagli importatori nostrani, che faranno il possibile per “occidentalizzare” le produzioni nipponiche. Ma di questo parleremo ampiamente in seguito.
Il budget ristretto dettato da un’ampia produzione annuale impone scelte grafiche che discosteranno per anni l’animazione nipponica da quella occidentale. Questo aspetto non è tipico solo del Meisaku ma coinvolge buona parte degli anime creati negli anni '70. Il movimento è infatti rappresentato in modo differente. La tecnica del “muovere il disegno” ossia spostare un fotogramma su una camera fissa, creando così una specie di “effetto steady” che permette di riprendere paesaggi e ampie inquadrature, prevarica sulla scelta di animare ogni singola scena. Più che una scelta una necessità. Si parla di anni in cui la veste grafica veniva confezionata interamente a mano ed era improponibile pensare di riprodurre centinaia di tavole per descrivere un lago di montagna. Questa diversità grafica ha radicato in occidente la convinzione che la qualità del disegno disneyano fosse superiore a quello nipponico. Questa constatazione è reale, in effetti le produzioni animate occidentali hanno avuto una qualità grafica superiore a quelle nipponiche degli anni '70, tuttavia va ricordato che mentre la Disney impiegava un anno e un budget colossale per 90-120 minuti di pellicola, in Giappone nello stesso tempo e con una quantità di fondi irrisori venivano prodotte in media 25-27 ore di animazione: una bella differenza!
LA PREISTORIA ED IL GIAPPONE DEL BOOM
Il primo proto-meisaku a cui si può risalire è, senza dubbio, Gulliver no Uchu Ryoko, una libera interpretazione futuristica del classico di Jonathan Swift. Prodotto dalla Toei nel 1965, questo lungometraggio è diretto da un allora giovanissimo Yoshio Kuroda, tenetelo a mente questo nome, perché si parla di un personaggio chiave del filone Meisaku.
Per meglio comprendere lo scenario dietro il quale si svolgono i primi passi del Meisaku è giusto parlare del Giappone di quegl’anni. Si parla infatti del periodo che va dal 1965 al 1970, ossia l’inizio del grande Boom economico che ha coinvolto molte nazioni, trascinate dall’onda di prosperità, che gli aiuti di guerra e la grande ricostruzione avevano creato. Sono anni in cui la gente sperimenta un nuovo tipo di benessere, dettato da regole consumistiche, in cui per la prima volta, il Giappone, guarda all’occidente in modo davvero insistente, cercando di adeguarsi, in tutti i campi, non solo da un punto di vista commerciale ma, anche ideologico. Anni di grandi personaggi, quali, J.F. Kennedy, Malcom X, M. L. King, che trascineranno il pensiero comune, trasformandolo, emancipandolo, dando inizio a quella che sarà una rivoluzione culturale che coinvolgerà il mondo intero nel decennio successivo. Anche il Giappone ovviamente non è esente da questo vento di novità. La presa di coscienza contro il trattato di sicurezza Nippo-Americano segnò profondamente lo sviluppo dell’arte nipponica, che si politicizzò, dando spazio a registi innovativi in campo cinematografico, quali Yoshishige ed Oshiga. Questa nuova generazione di artisti guarda in faccia alla realtà, trasforma il vecchio cinema nipponico, amante di una cultura classica ed ormai anacronistica, in un “realismo giapponese”, tracciando nuovi standard sociali e culturali. Il mondo dell’animazione, che nasce proprio in quegl’anni è anch’esso figlio dei suoi tempi. Molte produzioni animate di fine anni ’60 sono effettivamente cosparse da un’aura di protesta sociale. Si pensi a Rocky Joe e Tiger Man, che mostrano, senza troppe velature, squallore e povertà di un Giappone dove non tutti riescono a “stare al passo”. Anche l’animazione quindi si politicizza, scende in campo, e lo fa sia come protesta sociale, con titoli come quelli già citati, sia cercando di istruire e sensibilizzare il pubblico partendo proprio dai più piccoli. L’aspetto pedagogico dell’anime destinato ai bambini diventa quindi di vitale importanza, e in questo Giappone, innamorato dell’occidente, l’ispirarsi a testi pedagogici e fiabe europee sembra un passo obbligato. Nel ’69 è la volta di un altro titolo: Nagagatsu no haita neko, che si ispira alla celebre novella Il gatto con gli stivali. Contemporaneamente prende il via il progetto progenitore del World Masterpiece Theater, ossia il Calpis Comic Theater, che esordisce proprio in quell’anno con la trasposizione animata di un manga di Tezuka: Dororo.
I PRIMI ANNI '70 E IL CALPIS COMIC THEATER
TITOLO | TITOLO ITALIANO | ANNO | Tradotto in italiano? | SCHEDA |
Dororo to Hyakkimaru | - | 1969 | NO | - |
Moomin | - | 1970 | NO | - |
Andersen Monogatari | Le Fiabe di Andersen | 1971 | SI | - |
Shin Moomin | - | 1972 | NO | - |
Yama Nezumi Rocky Chuck | Le Favole della Foresta | 1973 | SI | - |
Arupusu no Shoujo Haiji | Heidi | 1974 | SI | LINK |
Calpis, nota anche come Calpico, è la ditta che produce una bevanda in lattina acidognola e gassata, che potremmo paragonare alla nostra acqua tonica. Cosa centra questa bibita con gli Anime? Il fatto è che forse, senza di lei, non avremmo assistito alla creazione di molte produzioni famose che, ancora oggi, appassionano molti spettatori.
Nel 1969 Calpis cercava un modo per promuovere i suoi soft drinks e alcuni produttori di anime, cercavano uno sponsor. Manco a dirlo l’incontro fu provvidenziale e la Fuji TV, in collaborazione con lo studio Mushi, decide di dare vita a un’opera di Tezuka, che era già un affermato mangaka. Dororo viene prodotto proprio nel ‘69 anno in cui Calpis e Fuji TV firmano un contratto che porterà alla collaborazione quinquennale per la realizzazione di un anime all’anno, destinato a una pedagogia infantile attraverso la quale la Calpis avrebbe potuto lanciare i suoi nuovi caseari. Prodotti occidentali quindi, che ben presto richiederanno una trama coordinata agli anime proiettati da Fuji TV. Il 1970 infatti vede esordire Moomin, una produzione di 65 episodi ispirati alle novelle dell’autore finnico Tove Jannson, che riscuoterà un enorme successo tanto da veder realizzati vari sequel (1972, 1990, 1992). Moomin, completamente sconosciuto a noi occidentali, tanto da non essere mai stato doppiato in altre lingue, è di fatto in Giappone il primo vero Meisaku. Una serie animata, pedagogica ed ispirata da uno scrittore europeo. La Fuji TV resta fedele allo studio Mushi fino al 1973, l’anno successivo infatti, un regista e uno sceneggiatore che stanno emergendo nel panorama nipponico riescono ad accapparsi il contratto per produrre il loro primo meisaku. I loro nomi sono Isao Takahata e Hayao Miyazaki e lo studio di produzione è lo Zuiyo Eizo. L’anno successivo, per Fuji TV realizzano quello che sarà universalmente acclamato come l’anime che ha dato vita ai Meisaku, facendoli conoscere anche al pubblico occidentale: Heidi.
ANCORA CALPIS, MA CON LA NIPPON ANIMATION
TITOLO | TITOLO ITALIANO | ANNO | Tradotto in italiano? | SCHEDA |
CALPIS CHILDREN'S THEATER | ||||
Flanders no Inu | Il Fedele Patrashe | 1975 | SI | - |
Hana no Tazunete Sanzeri | Marco, dagli Appennini alle Ande | 1976 | SI | LINK |
Araiguma Rascal | Rascal, il mio Amico Orsetto | 1977 | SI | - |
CALPIS FAMILY THEATER | ||||
Perinu Monogatari | Peline Story | 1978 | SI | LINK |
Il 1975 vede la nascita di quella che sarà universalmente nota come la “fabbrica dei Meisaku”, stiamo ovviamente parlando della Nippon Animation. Guardiamo ai fatti e a come essi si svolsero. La realizzazione di Heidi aveva praticamente dissanguato la piccola casa di produzione Zuiyo Eizo che fallì proprio nei primi mesi del ’75. Il marchio venne così scisso in due ed una parte, Zuiyo (senza Eizo) venne venduta per assorbire i debiti contratti nella realizzazione di Heidi. L’allora direttore Koichi Motohashi fondò parallelamente un nuovo studio di produzione: la Nippon Animation, tenendo al suo fianco alcuni dei suoi artisti più promettenti quali Takahata e Miyazaki. Anche Calpis e Fuji TV restano fedeli alla casa di produzione, dando il via a due nuovi cicli: il Calpis Children’s Theater prima e il Calpis Family Theater poi. Tuttavia nel 1975 non è il Meisaku di turno a ravvivare le casse della neonata azienda. Alcune collaborazioni con la tedesca Apollo Films procureranno ben più successo alla Nippon Animation. In quell’anno nasce, da una di queste collaborazioni, L’ape Maya. Ma questo amore Nippotedesco non è cosa nuova per gli anime. Già la Zuiyo Eizo aveva collaborato con la Taurus Films per la realizzazione di Chiisana Viking Vikkie (Vikie il vichingo) nel 1974.
Si dovrà quindi attendere il 1976 per vedere un altro Meisaku di grande impatto: Hana no tazunete sanzeri (Marco). Per realizzarlo la Nippon Animation non si impone freni e crea quello che forse sarà l’ultimo grande casting di un Meisaku. Sceglie Takahata per la regia, Kotabe per la sceneggiatura e il character design mentre a Miyazaki sono affidati gli scenari. La scelta si rivelerà vincente. Il successo riscosso da Marco è pari a quello di Heidi, innalzando così lo share del filone Calpis ai vecchi standard.
Il 1978 è l’anno dell’ultima grande avventura tra Calpis e Nippon Animation. Il filone cambia nome in Calpis Family Theater e si assiste alla produzione di un Meisaku maturo, improntato nel sociale, che si distingue dalle produzioni classiche e favoleggianti, mostrando una realtà cruda e colma di ingiustizia. Nonostante Perinu Monogatari voglia dire letteralmente “Favola di Perinu”, questo anime di fiabesco ha ben poco. Creato come denuncia del lavoro minorile e basato sul romanzo In famiglia di Malot, questo titolo presenta parecchie dissonanze con quello che era lo standard Meisaku, creando una frattura netta nel filone che da ora in avanti affronterà tematiche molto più impegnative rispetto alle vecchie favole di Andersen a cui era legato con la Calpis.
IL WORLD MASTERPIECE THEATER
TITOLO | TITOLO ITALIANO | ANNO | Tradotto in italiano? | SCHEDA |
WORLD MASTERPIECE THEATER | ||||
Akage no Anne | Anna dai Capelli Rossi | 1979 | SI | LINK |
Tom Sawyer no boken | Tom Story | 1980 | SI | LINK |
Kazoku Robinson Hyouryuuki - Fushigina Shima no Flone | Flo, la Piccola Robinson | 1981 | SI | LINK |
Minami no Niji no Lucy | Lucy May | 1982 | SI | LINK |
Alps Monogatari Watashi no Annette | Là sui Monti con Annette | 1983 | SI | LINK |
Makiba no Shoujo Katri | Le Avventure della Dolce Katy | 1984 | SI | LINK |
Shokojo Sara | Lovely sara | 1985 | SI | LINK |
HOUSE FOODS WORLD MASTERPIECE THEATER | ||||
Ai Shoujo Pollyanna Monogatari | Pollyanna | 1986 | SI | - |
Ai no Wakakusa Monogatari | Una per Tutte, Tutte per Una | 1987 | SI | LINK |
Shoukoushi Cedie | Piccolo Lord | 1988 | SI | LINK |
Peter Pan no Bouken | Peter Pan | 1989 | SI | LINK |
Watashi no Ashinaga Ojisan | Papà Gambalunga | 1990 | SI | LINK |
Trapp Ikka Monogatari | Cantiamo Insieme | 1991 | SI | LINK |
Daisougen no Chiisana Tenshi Bush Baby | Le Voci della Savana | 1992 | SI | - |
Wakakusa Monogatari Nanku Jou Sensei | Una Classe di Monelli per Jo | 1993 | SI | LINK |
WORLD MASTERPIECE THEATER | ||||
Nanatsu no Umi no Tico | Un Oceano di Avventure | 1994 | SI | LINK |
Romeo no Aoi Sora | Spicchi di Cielo tra Baffi di Fumo | 1995 | SI | LINK |
Maiken Lassie | - | 1996 | NO | - |
Ie naki ko Remi | Dolce Piccola Remi | 1997 | SI | - |
INTERRUZIONE DEL FILONE (1998-2006) | ||||
HOUSE FOODS WORLD MASTERPIECE THEATER | ||||
Les Miserables: Shoujo Cosette | ? | 2007 | SI | LINK |
Porphy no Nagai Tabi | - | 2008 | NO | LINK |
Konnichiwa Anne | - | 2009 | NO | LINK |
Il 1979 vede il divorzio tra Calpis e Nippon Animation, la quale non legherà un nuovo sponsor ai suoi Meisaku fino al 1986. Nasce proprio nel ‘79 il filone di anime che darà il nome a un’intera categoria. Nippon Animation, ormai slegata da vicoli commerciali, crea il World Masterpiece Theater (Sekai Meisaku Gekijou) nel quale includerà alcuni tra i titoli più avvincenti ed appassionanti della sua produzione. Alla sua scuderia si aggregano inoltre altre figure di indubbio spessore creativo che contribuiranno all’enorme successo del filone WMT.
Si parla di nomi del calibro di Yoshio Kuroda, che firmerà moltissimi titoli negli anni '80. Tra il '79 e l’86 si assiste alla nascita di grandi successi, che trasformeranno questo filone in un classico dei palinsesti nipponici per la Fuji TV. L’esordio è con Akage no Anne (Anna dai Capelli Rossi), con l’ormai collaudata regia di Takahata, l’animazione viene invece affidata a Yoshifumi Kondo, già collaboratore di Miyazaki e Takahata e che li seguirà per tutti gli anni '80, anche nei loro futuri film. Nella prima metà di quegl’anni le serie procederanno con cadenza regolare, di cui quelle di più vasto successo saranno, oltre la già citata Akage no Anne; Kazoku Robinson hyouryuuki - fushigina shima no Flone (L’isola della Piccola Flo), Watashi no Annette (Là sui Monti con Annette) e Makiba no shoujo Katori (Le avventure della Dolce Kati), fino ad arrivare a un Meisaku simbolo degli anni '80, che segnerà un passo importante per la Nippon Animation: Shokojo Sara (Lovely Sara) del 1985. Proprio in quell’anno infatti si chiude un’epoca per l’azienda, vedendo rivoluzioni interne che muteranno il destino del Meisaku dall’85 in poi. Nel 1985 infatti il grosso della ciurma Nippon Animation si stacca, Takahata e Miyazaki fondano lo Studio Ghibli, portando con se molti collaboratori e autori classici della Nippon Animation, la quale risponde con due cannonate. La prima dell’85 è proprio Lovely Sara, un anime che segna la storia del Meisaku, lo rivoluziona in parte per alcune scelte scenografiche e torna, dopo 7 anni, nel sociale, con un'altra opera di denuncia contro i maltrattamenti sui bambini. Il 1986 nasce l’associazione con il nuovo sponsor: House Foods, una ditta produttrice di cibi preconfezionati che basa il suo fatturato su due pilastri: il curry e il tofu. Dopo la separazione da Calpis la Nippon Animation aveva lasciato il suo filone ammiraglio libero da contributi commerciali, il matrimonio con il nuovo sponsor cambia quindi anche il nome al WMT, trasformandolo in House Foods World Masterpiece Theater. Inizia l’era dei successi commerciali, con una trasformazione radicale della grafica, passando dalle tinte pastello sfumate ai colori vivaci, luminosi, che introducono giochi di luce ed ombra. La scelta è dettata dallo stare al passo coi tempi. L’informatica entra prepotentemente nell’animazione e si possono vedere i primi affetti di questo mutamento già con Ai no wakakusa monogatari (Una per Tutte, Tutte per Una) nel 1987, edizione animata di Piccole Donne, romanzo semiautobiografico di Louisa May Alcott. Il tratto diviene infatti più morbido, arrotondato, pieno. Il colore e la luce cambiano in modo sostanziale, basta confrontarlo con Lovely Sara, un prodotto di soli due anni più vecchio, per avere un colpo d’occhio istantaneo.
La combo House Foods – Nippon Animation si mantiene fino al 1993, anno in cui la casa produttrice libera il WMT dallo sponsor per la seconda volta. I titoli dei due anni seguenti Nanatsu no Umi no Tico (Un Oceano di Avventure, 1994) e Romeo no Aoi Sora (Spicchi di Cielo tra Baffi di Fumo, 1995), sembrano dimostrare che il filone regge benissimo l’assenza di sovvenzioni esterne, anche se, come vedremo in seguito, il numero di puntate era già stato notevolmente ridotto. Con Romeo si torna, per la terza volta, nel sociale. Ispirato al romanzo I fratelli neri (1941) dei coniugi tedeschi Lisa Tetzner e Kurt Held: la produzione racconta le disavventure di un gruppo di bambini svizzeri venduti come schiavi a un mercante senza scrupoli che li rivenderà a sua volta agli spazzacamini milanesi per trasformarli in “Bocia” (apprendisti mantenuti ma non pagati). In confronto a Peline Story e Lovely Sara, Romeo è un anime più professionale, con una trama ricca di dramma ma allo stesso tempo dolce e romantica. Un opera stupenda, che danza però la morte del cigno di quello che è il Meisaku classico della Nippon Animation.
1996: IL TRACOLLO E LA RINASCITA
Le prime avvisaglie di crisi si ebbero già nel 1988, quando la riduzione di budget concesso da Fuji TV aveva portato a una parallela riduzione di episodi. Dai classici 52-53 (uno a settimana per un anno), si passò a 44.
Gradualmente la Fuji TV investì sempre meno nel WMT, arrivando nel ’95 a concedere sovvenzioni così striminzite che Romeo no Aoi Sora conterà solo 33 puntate, reggendo comunque ancora bene come share. Il 1996 è l’anno del crollo, in tutti i sensi. Meiken Lessie viene prodotto in 25 puntate, ma i crudeli numeri dell’indice d’ascolto lo condannano ben presto all’interruzione. Il pubblico è cambiato ed i bambini giapponesi guardano con occhi estasiati a ben altre serie, studiate da agglomerati di psicologi e sociologi appositamente per loro. Il collie nipponico ha un così basso impatto sulla scena che per la prima volta in 22 anni l’Italia non acquistata i diritti sulla serie che rimane in Giappone.
La Nippon Animation non ha colpa in questo gioco dei numeri. La qualità dell’anime si presenta allineata agli standard classici della casa produttrice ma la storia fa acqua. Come in una classica tragedia melodrammatica qualcuno deve pagare per tutti. Furono in molti a puntare il dito contro il regista Sunao Katabuchi che, poveretto, con questo flop centrava ben poco. Nel 2006 Katabuchi sarà in regia per Black Lagoon riscuotendo un enorme successo e levandosi finalmente di dosso l’ombra dell’oscuro passato. Possiamo quindi dire che si è riabilitato a sufficienza.
Registi perseguitati a parte, la Nippon Animation sostituisce Meiken Lessie con una nuova serie a cavallo tra il 1996 e 1997. Si parla di Ie naki ko Remi che si snoda in 26 episodi (conforme al nuovo standard di “doppia stagione”) terminando il 23 marzo 1997, data che si imprime sulla lapide del World Masterpiece Theater. Ironia della sorte il filone si spegne con lo stesso autore che lo aveva aiutato a decollare: Malot. Se il nome “Remi” non vi è nuovo fate bene ad essere sospettosi. L’anime parla infatti della stessa storia di quel Remi di vent’anni prima, solo che ora è una bambina. Parleremo ancora di Remi in seguito, quindi non disperate se siete assetati di informazioni e confronti fra le due serie. Così come fluttuano i mercati, altrettanto aleatorie sono le esigenze del pubblico. Nel 2007, la Nippon Animation e la Fuji TV riabilitano il contratto con la House Foods e torna, in pompa magna, House Foods World Masterpiece Theater. Si ritorna con un’opera impegnata, dedicata a I miserabili di Victor Hugo e incentrata sul personaggio della piccola Cosette. Les miserables: Shoujo Cosette appare subito in linea con le moderne produzioni kodomo. Anche se il numero di puntate torna ad essere 52 (quindi una produzione annuale) il disegno è chiaramente adattato alle esigenze moderne, con grandi occhi “Kawaii” e fisicità un po’ “Chibi” dei bambini, che nei Meisaku non si erano mai visti, fedeli com’erano al tratto pulito di Miyazaki e soci. Nel 2009 in Italia Mediaset ha importando proprio Cosette, trasmettendolo su Italia 1.
GLI ALTRI MEISAKU DELLA NIPPON ANIMATION
TITOLO | TITOLO ITALIANO | ANNO | Tradotto in italiano? | SCHEDA |
Piccolino no Bouken | Bambino Pinocchio | 1976 | SI | LINK |
Seaton Bobutsui Kuma, no ko Jakie | Jacky, l'Orso del Monte Tallac | 1977 | SI | - |
Mirai Shounen Konan | Conan, il Ragazzo del Futuro | 1978 | SI | LINK |
Seaton Nobutsuki – Risu no Banner | Lo Scoiattolo Banner | 1979 | SI | - |
Anime Achijounichikan Sekai Isshou | Il Giro del Mondo di Willy Fog | 1981 | SI | - |
Ai no Gakko Cuore Monogatari | Cuore | 1981 | SI | LINK |
Wan Wan Sanjushi | D’Artacan e i Tre Moschettieri | 1981 | SI | LINK |
Manga Aesop Monogatari | Le Favole di Esopo | 1983 | SI | - |
Fushigi no Kuni no Alice | Alice nel Paese delle Meraviglie | 1984 | SI | LINK |
Grimm Meisaku Gekijo | Le Fiabe son Fantasia | 1988-89 (due stagioni) | SI | - |
Jungle Book – Shounen Mowgli | Il Libro della Giungla | 1990 | SI | - |
Una certa attenzione va anche dedicata alle altre opere allienate allo stile Meisaku che la Nippon Animation produsse parallelamente con il WMT. La domanda che ovviamente sorge spontanea è: perché queste serie furono escluse dal filone principale? Due risposte. Prima di tutto il WMT aveva degli standard da rispettare. Il numero di puntate (si parla del periodo ‘77-‘83) era sempre 52. Per quanto si potesse arrichire una trama, questa non poteva però essere spalmata più di tanto. Il chiaro intento pedagogico perpetrato tramite opere della letteratura occidentale era un altro paletto imposto dagli standard Meisaku di quegl’anni. Se uno di questi tre prerequisiti, non rientrava nel canone dell’opera allora questa non poteva essere inserita nel filone. La seconda risposta alla domanda è duplice. Il filone WMT viene trasmesso interamente da Fuji TV che paga le bollette e unge le ruote del complesso ingranaggio mediatico. Gli anime riportati qui sopra sono invece stati proiettati su emittenti concorrenti, come NHK e Asahi Television. Inoltre tutti i titoli WMT sono stati interamente prodotti dalla Nippon Animation mentre buona parte di questi vengono creati nelle collaborazioni Nippo-tedesche di cui abbiamo già parlato.
Tra questi il titolo che spicca è sicuramente Mirai shounen Konan (Conan, il Ragazzo del Futuro), creato dalla coppia d’oro Miyazaki-Takahata con la collaborazione di quel Yasuo Otsuka che aveva dato vita al “Gatto con gli stivali” di Miyazaki dieci anni prima e che aveva disegnato Lupin. Gran parte di queste opere tuttavia riprende in modo quasi completo i pricipi del WMT e per questo vengono citate come Meisaku. All’elenco ne mancano alcune, definite Meisaku, che ho deciso di escludere per una chiara divergenza dai cardini del filone che ho già esposto. Un esempio è L’ape Maya. Considerata da molti un Meisaku altro non è che un Kodomo. Perché dico questo? Maya è tratta da una serie di novelle di uno scrittore tedesco, prodotta dalla Nippon Animation in collaborazione con Apollo film. Tuttavia due sono le grandi dissonanze dal genere. Prima di tutto le novelle sono state scritte col chiaro presupposto di produrre il cartone animato (si badi bene non un anime ma proprio un cartone animato). In secondo luogo Maya non è destinata al pubblico adulto. Il Meisaku pone grande attenzione alla famiglia, il concetto, espresso dalla stessa Nippon Animation è quello di “Un anime che diverte i grandi ed educa i bambini”. Maya inoltre non rispetta il classico palinsesto annuale, snodandosi per più serie (di cui solo metà della prima tradotta in italiano).
LE IMITAZIONI DELLE ALTRE CASE PRODUTTRICI, IL MEISAKU DILAGA
TITOLO | TITOLO ITALIANO | STUDIO | ANNO | Tradotto in italiano? | SCHEDA |
Kashi no Ki Mock | Le Avventure di Pinocchio | Tatsunoko | 1972 | SI | - |
Hucleberry no Bouken | Le Avventure di Hucleberry Finn | Group TAC / Nippon Herald | 1976 | SI | LINK |
Inekai ko | Dolce Remi | Tokyo Movie Shinsha | 1977 | SI | - |
Takarajima | L'Isola del Tesoro | Tokyo Movie Shinsha | 1978 | SI | LINK |
Oshi no Ojisama Petite Prince | Piccolo Principe | Knack | 1978 | SI | - |
Sasurai no Shoujo Nell | La Piccola Nell | DAX | 1979 | SI | - |
Don Quijote de la Mancha | Don Chisciotte della Mancha | Romagosa I.M. | 1979 | SI | - |
Animation Kikou Marco Polo no Bouken | Le Avventure di Marco Polo | Madhouse / NHK | 1979 | SI | LINK |
Nils no Fushigina Tabi | Nils Holgersson | Studio pierrot / Apollo Films | 1980 | SI | LINK |
Zukkoke knight - Don De La Mancha | Don Chisciotte | Asahi / Kokusai Heigasha | 1980 | SI | - |
Meiken Jolie | Belle e Sebastien | Toho | 1980 | SI | LINK |
Maeterlinck no Aoi tori - Tyltyl Mytyl no Bouken Ryoko | Tyltyl, Mytyl e l’Uccellino Azzurro | Academy / Tatsunoko | 1980 | SI | LINK |
Wakakusa Monogatari Yori - Wakakusa no Yon Shimai | Piccole Donne | Kokusai / Eigashima | 1981 | SI | LINK |
Taiyo no Ko Esteban | Esteban e le Misteriose Città d'Oro | Studio Pierrot / MK / DiC Entertainment | 1982 | SI | LINK |
Anime Yasei no Sakebi | Cari Amici Animali | Wako | 1982 | SI | - |
Serendipity monogatari - Pyua-tou no nakamatachi | Rosaura | Fuji Eight / Zuiyo Enterprise | 1983 | SI | - |
Meitantei Homusu | Il Fiuto di Sherlock Holmes | Tokyo Movie Shinsha / RAI TV / Studio Pagot | 1984 | SI | LINK |
Galactic Patrol Lensman | - | MK | 1984 | NO | - |
Oz no Mahotsukai | Il mago di OZ | Panmedia | 1986 | SI | - |
Anime Sanjishi | D'Artagnan e i Moschietteri del Re | Gakken / Korad | 1987 | SI | LINK |
Sekai Meisaku Dowa Manga Shiriizu | Le favole più Belle | Toei | 1988 | SI | - |
Tanoshii Moomin Ikka | - | Teleimage / Telescreen / Visual 80 | 1990 | NO | - |
Anime Himitsu no Hanazono | Mary e il Giardino dei Misteri | NHK / Sogovision / Aubec | 1991 | SI | - |
Tanoshii Moomin ikka: Bouken Nikki, | - | Telescreen | 1991 | NO | - |
Flanders no Inu - Boku no Patrasche | Nello e Patrashe | Tokyo Movie Shinsha | 1992 | SI | - |
Gankutsuou | Il conte di Montecristo | Gonzo | 2004 | SI | LINK |
Agatha Christie no Meitantei Poirot to Marple | - | NHK / OLM | 2004 | NO | LINK |
Romeo x Juliet | Romeo x Juliet | Gonzo | 2007 | SI | LINK |
Kaze no shoujo Emily | - | TMS Entertainment | 2008 | NO | LINK |
Lunga è la lista dei Meisaku che non fanno capo alla Nippon Animation e, molto probabilmente, me ne sono perso qualcuno per strada. Tuttavia un’idea generale di quello che è stata l’esplosione di queste produzioni dovreste ormai avercela. Gli anni di massima fioritura furono nel periodo 1975-1990 in cui tantissime case si lancianoro nella produzione di questo nuovo genere. Prima fra tutti, per il numero di opere, TMS, che continua a riproporre Meisaku ancora nel 2008. Negli ultimi anni anche il popolare Studio Gonzo si è lanciato in questa avventura, creando una delle serie più amate dal pubblico femminile degli ultimi tempi Romeo x Juliet.
I più accorti di voi avranno notato qualche grande assente in questa lista e staranno storcendo il naso. Uno su tutti: Nadia e il Mistero della Pietra Azzurra. Ricordate i prerequistiti per essere catalogato Meisaku? Il primo era: essere ispirato da un’opera di uno scrittore occidentale. Nadia è un mix di più opere di Jules Verne, con molte aggiunte degli sceneggiatori nipponici. Qualcuno potrebbe portestare dicendo che Fiocchi di cotone per Jenny è ispirata semplicemente ad una canzone, ma a differenza di Nadia, prodotta da Gainax, Jenny è prodotta da Nippon Animation, per Fuji TV e inserita nel ciclo WMT. Sono conscio che ciò che scrivo possa apparire un controsenso e cercherò di spiegarlo al meglio delle mie capacità. Quello che noi chiamiamo “Meisaku” è una mero termine inventato dai fan che poco ha a che spartire con l’ufficilità della Nippon Animation. Catalogare qualsiasi anime che parla di occidente o ricordi vagamente un romanzo occidentale come Meisaku, sarebbe alquanto arrogante da parte nostra. Nadia è un ottimo prodotto, ma non è classificabile come Meisaku.
Opere invece degne di nota fra quelle sopra elencate sono senza dubbio Inekai ko (Dolce Remi) e Meiken Jolie (Belle e Sebastien) che seguono con grande perizia i dettami classici che regolano il Meisaku standard. Ricordiamo anche Meitantei Homushu (Il Fiuto di Sherlock Holmes) unica collaborazione di una Rete nostrana (RAI) con studi giapponesi per la realizzazione di un meisaku.
Alcuni di questi titoli tuttavia non si possono definire Meisaku completi. In molti il fine pedagogico un po’ si perde, sfuma, si inabissa in un oceano di vicessitudini che non porta a termine il compito finale del Meisaku: educare. Tuttavia è praticamente impossibile stilare una lista dettagliata di tutti i Meisaku, in quanto appunto questa definizione altro non è che puro slang, al quale ognuno può aggiungere o togliere titoli secondo la sua personale interpretazione di tale concetto. Prendete la mia lista come sommario di massima, al quale siete liberi di aggiungere o togliere titoli a piacimento, creando la vostrapersonale lista di Meisaku.
Una nota importante va specificata prima di cambiare argomento. Il Meisaku non fu solo prerogativa di produttori giapponesi. Anche alcune case europee avviarono la produzione di titoli Meisaku. E qui si torna alla definizione del termine. Essendo soggettivo nella vostra personale lista potete o meno includere questi titoli. Se quindi per Meisaku intendete un “cartone animato” che si ispira a un romanzo occidentale e che ha fini propedeutici allora includeteli, se volete aggiungere la clausola “prodotto da giapponesi”, eslcudeteli. Un “Meisaku europeo” va comuqnue citato a fine informativo. Cito quello più famoso e più in linea con il genere della Nippon Animation, parlo di David Gnomo.
Prodotto in Spagna nel 1986, cozza e contrasta con le altre produzioni animate occidentali dell’epoca, volte a pubblicizzare prodotti comerciali (Mini pony, Popples, Cuccioli cerca famiglia) o promotrici di supereroi, paperi e superpaperi. David Gnomo, ispirato al romanzo di Rien Portvilet “Gnomi”(1976), chiara riproposizione della mitologia norrena, è un delizioso scorcio di vita nella natura, che insegna ai bambini il rispetto per la nostra Terra e l’ambiente.
1977-1997: VENT'ANNI DI MEISAKU A CONFRONTO
Dopo un’approfondita analisi storiografica del genere è anche giusto soffermarci, prima di spostarci a occidente, a parlare di quelli che furono i mutamenti del Meisaku nel corso degli anni. Come ogni espressione artistica anche il Meisaku ha subìto una certa evoluzione che lo ha trasformato, sotto alcuni aspetti, cambiandolo in parte. Questi cambiamenti sono dovuti a mutamenti della società umana, che in vent’anni ha cambiato gli standard di quello che è il pensiero, la morale e l’etica. Ovviamente anche la televisione ha dovuto adattarsi per restare al passo coi tempi.
Un esempio molto calzante per spiegare questo fenomeno è confrontare due anime che si ispirano allo stesso romanzo ma che sono profondamente diversi. Sto parlando di Remi, prodotto due volte, nel 1977 prima e nel 1997 poi. La prima edizione è opera di TMS ed esce col titolo Inekai Ko, la seconda è tristemente nota per essere l’ultima proiezione del WMT prima del grande silenzio della Nippon Animation ed è edito col titolo Ie naki ko Remi.
Ad un’analisi superficiale salta subito all’occhio un particolare non da poco: nel ’77 Remi è un maschio, nel ’97 è una femmina. Perché? Precisiamo subito che nel romanzo originale da cui sono tratte entrambe le serie, ossia Senza Famiglia di Hector Malot (lo stesso autore da cui è tratto Peline Story), Remi è un maschio. Allora come mai nel 1997 la Nippon Animation ne fece una trasposizione femminile? La risposta sta nei dettami pedagogici degli anni 70 e nelle esigenze commerciali di fine anni 90. Quando uscì la prima serie i canoni del Meisaku erano ancora strettamente rispettati, il Remi del ’77 infatti ricalca competamente l’opera di Malot fin nei minimi dettagli. Nel ’97 le cose cambiano. La Nippon Animation è in piena crisi e si pensa subito di adattare il romanzo alle esigenze del pubblico. Remi viene quindi trasformato in bambina, poiché il racconto di una storia come questa, decisamente sentimentale, avrebbe fatto presa maggiromente sul pubblico femminile, a cui viene quindi data anche la possibilità di immedesimarsi. Le puntate diventano autoconclusive, rendedole quindi più frivole e non obbligando lo spettatore a seguire tutto lo svolgimento. La parte dove compare Elisa, futura moglie di Remi per la quale lui prova una chiara attrazione viene completamente cancellata. Insomma, uno strazio. Questa serie, insieme a Lessie affosserà definitivamente il classico WMT che la stessa Nippon Animation aveva contribuito a creare. Questo dimostra, non senza un certo velo di tristezza che le leggi del mercato piegano qualsiasi cosa si stagli di fronte al loro passaggio. Stremata dai fondi sempre più ridotti di Fuji TV e senza uno sponsor, la Nippon Animation si è piegata a quelle rigide leggi dei grandi che non avrebbe mai voluto insegnare ai bambini.
IL MEISAKU IN ITALIA: L'IMPATTO SUL PUBBLICO DELLO STIVALE
Quando nel 1978 arrivò in Italia Heidi il popolo del Bel Paese non era estraneo alle produzioni giapponesi. Aveva già maturato negli anni parecchia esperienza in fatto di robottoni e combattimenti truculenti. Eppure il successo fu incredibile. Vuoi per quei Miyazaki-Takahata che come dei re Mida dell’animazione trasformavano in oro ogni pellicola che sfioravano, vuoi per l’impatto emotivo nel vedere, per la prima volta, un anime che parla di Europa. Gli italiani celebrarono l’arrivo di Heidi (sulla RAI) con tutti gli onori e la bambina della Spyri divenne un mito. L’anno successivo fu la volta di Remi, poi man mano che gli anni ’80 prendevano piede, l’invasione di anime, e quindi anche di Meisaku, fu completa. Nel 1980, con la nascita di Fininvest si assiste in Italia a un nuovo fenomeno mediatico. Una rete privata, gratuita, nazionale, dedica a bambini e ragazzi più di uno spazio nei suoi palinsesti. Tutte e tre le Reti fininvest di quegli anni avevano almeno un ritaglio dedicato ai cartoni animati o ai bambini in generale. La RAI all’inizio fu battagliera e propose parecchie alternative, nessuna però in grado di scalzare l’ormai strapotere delle reti milanesi. Con L’albero Azzurro riuscì a detenere per anni il primato di attenzione sui bambini in età prescolare, ma niente di più. Quello che rendeva Fininvest vincente era l’importazione costante di nuove serie animate, sempre fresche, di cui la maggior parte provenivano dal Giappone. Ma cosa sapevano gli italiani di questo lontano paese? Ben poco. Parole come “sushi” e “samurai” non erano ancora entrate nel vocabolario collettivo. Si sapeva la storia della bomba atomica, si sapeva che avevano, come noi, perso la guerra, e l’unica parola giapponese nota era “kamikaze”, nient’altro. Quelli più colti potevano contare su ben poche letture che riguardavano il Sol Levante. Fosco Maraini aveva dipinto, nei suoi testi di antropologia e sociologia, un quadro vivido, chiaro, genuino, del giappone di fine anni '50. Altro non c’era. E quei pochi che avessero letto le opere del famoso reporter e scrittore sarebbero sicurmanete rimasti un attimo spiazzati nel confrontare, l’anima shinto descritta in “Ore Giapponesi” con la violenza di Judo Boy e Uomo Tigre. A questo popolo “ignorante” venne somministrata un’overdose di anime. Fininvest creo spazi su spazi per promuovere il made in Japan per un motivo che viene menzionato raramente. Nei primi anni 80, la grande inflazione stava divorando la Lira, che rispetto a Dollaro e Sterlina si stava svalutando sempre più. Parallelamente succedeva una cosa analoga in Giappone. Comprare prodotti valutati in Yen, pagando in Lire era quindi molto remunerativo per le Reti di allora, tanto che anche piccole emittenti locali se lo potevano permettere. Tuttavia l’acquisto di produzioni cinematografiche e televisive nipponiche (che non mancò) era piuttosto limitato per chiare questioni culturali. Il pubblico italiano non avrebbe di certo apprezzato attori ed attrici così distanti da fusti e maggiorate come era la moda di quei tempi. I primi anni della Fininvest furono una scommessa che Berlusconi riuscì a vincere anche grazie al Giappone. I varietà e i quiz, tanto amati dagli italiani, costavano parecchio. Per riempire un palinsesto servivano quindi alternative economiche, da propinare al pubblico come intermezzo tra un programma e l’altro. L’acquisto ad Hollywood era ancora ristretto. Raramente una Rete Fininvest trasmetteva un film americano, anche in prima serata. Il Dollaro reganiano non permettva grandi acquisti dagli States e si optava per soluzioni alternative provenienti da Francia e Germania. Fu così che gli anime salvarono le casse Fininvest e contribuirono (in maniera decisiva) al suo successo. Spazi come “Ciao Ciao” e “Bim Bum Bam” proiettavano, in media, 4 anime ogni 5 cartoni. Tra questi anime i Meisaku ebbero un grande peso. Mediaset si affrettò inoltre a comprare i diritti di trasmissione di perecchi titoli dalla RAI che, un po’ ingenuamente, vendette senza porsi troppe domande. Quelli che per anni vennero catalogati come “Orfanelle” furono un prezioso anello di congiunzione tra la cultura giapponese e quella italiana. Negli anni ’80 il pubblico non era preparato a vedere serie completamente ambientate in Giappone e programmi come quelli già citati avrebbero faticato ad affermarsi senza prima pubblicizzare i prodotti del Sol Levante con un filo conduttore che li legasse a noi Europei. In questo processo di adattamento al Giappone i Meisaku furono il tassello fondamentale. In Italia il valore di queste serie non è tanto quello pedagogico, quanto quello di riuscire a infondere negli italiani una certa fiducia nelle produzioni nipponiche. Senza contare che la grande maggioranza di queste serie non andava “riadattata” al pubblico e potevano essere trasmesse mantenendo storia e nomi originali. Il Meisaku assume quindi, per noi italiani un grande valore dimostrativo e di sdoganamento culturale, che spalancò le porte al grande mercato dell’animazione giapponese.
IL GRANDE MACELLO: ANCHE IL MEISAKU STUPRATO DAL CENSORE
La storia della censura nel nostro paese ha un risvolto tragi-comico. Si fa un gran parlare delle censure sugli anime e molte altre passano in sordina. Va specificato, prima di iniziare, che tutto quello che viene proiettato in Italia, da qualunque paese del mondo arrivi, passa per le mani taglienti del garante. Film stupendi come “Amistad” di Spielberg furono tagliuzzati in malomodo, stravolgendone il senso. L’inzio del “Grande Macello” ha una sua giustificazione, anche plausibile. Il nome del macellaio è noto ai più: Alessandra Valeri Manera, coordinatrice della programmazione “per ragazzi” di Fininvest fino ai primi anni del 2000. Fiumi di parole sono stati riversati nella difesa e nell’accusa di questa donna, ricordiamo che a lei spettavano le decisioni, ed il suo stipendio era proporzionato a queste. Luci ed ombre le vanno attribuite intregralmente perché, oltre ad essere l’artefice dello stupro di centinaia di anime, la Manera ha anche dei grandi meriti.
Possiamo dividere il “Grande Macello” in due periodi ben distinguibili: quello di “Occidentalizzazione” e quello di “Stupro”. Come già spiegato prima gli italiani erano un popolo che ignorava completamente il Giappone. L’isola galleggiante a est della Cina non aveva mai giocato un ruolo importante nella nostra economia o nella nostra politica, quindi se ne parlava poco e spesso in modo superficiale. In questo panorama propinare anime con nomi e cultura giapponese era impensabile. Con tutta la sincerità del mondo io, in qualità di “bambino degli anni ‘80”, non credo che avrei apprezzato serie i cui protagonisti avevano nomi per me allora impronunciabili. Oggi la cultura è cambiata e si fa un gran parlare di questo processo di occidentalizzazione ma, in tutta franchezza, io reputo questa scelta il motore che fece decollare gli anime nel nostro paese, abituandoci gradualmente a una cultura stupenda, ma molto distante dalla nostra. I Meisaku passarono indenni a questa prima fase. Essendo ambientati in occidente non avevano bisogno di essere riadattati per il pubblico italiano. Alla Manera va quindi attribuito un grande merito, quello di essere stata pioniere di un’importazione oculata (nei primi anni '80) preferendo serie che parlassero di occidente, così da non doverle rimaneggiare troppo.
La seconda fase del “Grande Macello” coinvolge invece anche i Meisaku, e pesantemente. Qua però la Manera assume un ruolo marginale, quello di colei che “governa la stanza dei bottoni”. Da Stato Maggiore viene destituita a Capitano della censura e i suoi comandanti ebbero negli anni volti e nomi differenti. Giudici, Psicologi, associazioni di genitori nevrastenici, uno zoccolo duro di bigotti che vedevano nelle produzioni giapponesi il male, spesso tacciandole in malo modo, lasciando anche trasparire, senza troppi complimenti, un chiaro intento razzista. Ogni riferimento a violenza, sessualità e ambiguità doveva essere rimosso. Il motivo di queste decisioni era chiaro: proteggere le reti televisive da sanzioni giuridiche (ma anche penali) dovute alle costanti denunce perpetrate da apprensivi genitori modello, che forgiavano i loro figli in base a valori biechi, spesso letti su libri di sedicenti psichiatri (come è purtroppo ancora di moda oggi). La Manera qua, ha quindi ben poche colpe, se non quella di perpetrare questi tagli in modo del tutto assurdo, storpiando storie, zittendo musiche ed inserendo dialoghi inesistenti. Ogni produzione ha un direttore al doppiagio, ossia una sorta di regista che decide gli adattamenti. Spesso si è utilizzato questa figura in difesa della Manera, ricordiamo però che era sempre lei, e solo lei, a dare il benestare alle programmazioni. I Meisaku subiscono quindi uno stupro mediatico in piena regola. Venendo adattati alle esigenze dei tribunali più che a quelle del pubblico. Baci innocenti e scazzottate non sono cose nuove ai bambini di ieri come di oggi. Inoltre i Meisaku mostrano sempre una violenza addolcita, anche se realistica, proprio perché sono già gli stessi sceneggiatori nipponici ad attenuarla per adattarla alla visione dei loro bambini.
Il teatrino delle colpe cambia negli ultimi anni quando la Manera lascia il posto a un bel ragazzotto con barbetta e capelli sbarazzini: Fabrizio Margaria. Le responsabilità del Margaria sono pari a quelle della sua collega, così come lo sono i suoi compiti. Se qualcuno poteva intervenire per correggere gli errori della Manera era solo lui. Ma il nostro Fabrizio scelse la via dell’ancien régime, perpetrando l’opera censoria del suo predecessore, spesso addirittura calcando la mano. Anche qua però le sue colpe vanno limitate. Prima di tutto perché anche lui è vessato dagli stessi organi persecutori della sua collega, inoltre va detto che sotto la sua direzione non vi furono importazioni di Meisaku (in quanto il genere in Giappone pareva morto). Nel 2009 arriva il primo Meisaku targato Margaria: Cosette. Ma in tutto questo tagliare, quale dose di colpa va attribuita a questi due personaggi? Se parliamo del processo di “Occidentalizzazione” direi il 100%, in quanto la responsabilità di “cancellare” il Giappone spetta solo a loro. Se invece parliamo dello “Stupro” beh, la percentuale scende parecchio. Si è cercato negli anni di attribuire la colpa ai due imputati Manera e Margaria riguardo sul capo d’imputazione “Stupro” in quanto, ben consci che in Giappone esistono varie categorie di anime a seconda dell’età degli spettatori, questi le abbiano bellamente ignorate in favore di marketing e promozioni di gadget. Errore clamoroso! Indipendentemente da questi fattori lo stipendio degli imputati non cambia. Quindi a loro si può solo attribuire un concorso di colpa, ma senza dolo.
Non mi soffermo a parlare nel dettaglio di come la censura abbia influito sugli anime ne citerò tutti i Meisaku censurati (praticamente quasi tutti). Vi lascio una fonte da consultare, scritta da persone che la sanno molto più lunga di me in materia e che hanno creato una serie di articoli efficaci nel descrivere come, quando e perché questo fenomeno avvenne: Il Bazar di Mari
NOTE DELL'AUTORE
Come ogni essere umano anche io sbaglio. Quando parlo di Meisaku non lo faccio excathedra, quindi se volete segnalarmi errori o imprecisioni siete liberi, anzi, pregati di farlo. Grazie a tutti per la collaborazione.
FONTI E BIBLIOGRAFIA:
www.wikipedia.org (sezioni: Italiano, Inglese, Francese, Giapponese)
www.nipponanimation.com
www.calpis.net
www.ilbazardimari.net
www.animenewsnetwork.com
www.anidb.com
www.cartonionline.com
Brunori Maurizio, Il Giappone, storia e civiltà del Sol Levante - MURSIA, 1993.
Ultimo aggiornamento: 23/07/2009
Autore: D. A. Aduskiev