Riportiamo dalla pagina facebook di Ronin Manga un'introduzione del Prof. Giorgio Amitrano a Edgar e Allan Poe di Moto Hagio:


• Gentili lettori, siamo felici di farvi leggere in anteprima la prefazione a EDGAR E ALLAN POE che l'esimio Prof. Giorgio Amitrano ha concesso a Kappa Edizioni / Ronin Manga per l'edizione italiana di questa storica opera di Moto Hagio.

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• Giorgio Amitrano è un orientalista e traduttore italiano, esperto di lingua e letteratura giapponese. Laureatosi presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, è professore ordinario di Lingua, cultura e letteratura giapponese moderna e contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dello stesso ateneo, di cui dal novembre del 2010 è diventato Preside.

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Edgar e Allan Poe• HAGIO SENSEI
di Giorgio Amitrano
Devo la mia scoperta di Hagio Moto a un suggerimento di Yoshimoto Banana. Qualche anno fa, durante un nostro incontro in Giappone, le avevo chiesto se ci fosse uno scrittore o scrittrice che in quel periodo le interessasse particolarmente, qualcuno che magari non conoscevo e che valesse la pena di leggere. Banana rispose decisa: “Hagio Moto”. Mi sembrava di ricordare che Hagio Moto fosse un’autrice di manga. Conoscevo il nome, anche se non avevo mai letto niente di suo. Precisai a Banana che io le avevo chiesto consigli sulla letteratura, non sui manga. Lei rispose: “Ma Hagio Moto vale quanto e più di tanti scrittori. Guarda che è come Dostoevskij!”. Naturalmente il paragone mi sembrò esagerato, come quando si diceva che Crepax era “il Michelangelo del fumetto”. Però Banana era riuscita a incuriosirmi, e così alla prima occasione comprai alcuni manga di Hagio Moto, cominciando dal primo che lei mi aveva consigliato, "Zankoku na kami ga shihai suru" (Un dio crudele governa). Si trattava di un lungo manga in dieci volumi. Decisi di portarmi i primi tre da leggere in aereo durante il viaggio di ritorno in Italia. Gli altri finirono negli scatoloni pieni dei libri acquistati in Giappone che spedii per posta.
Non sono un accanito lettore di manga e non potevo immaginare che il “dio crudele” di Hagio Moto mi avrebbe catturato e incatenato. E invece, una volta iniziato, continuai a leggere i tre volumi in modo compulsivo, senza pausa. Alla fine del terzo mi pentii amaramente di non averli portati tutti con me, preoccupato del peso. Avrei voluto leggere al più presto il seguito, e invece mi toccava aspettare alcuni giorni l’arrivo della posta. L’attesa dei libri, sempre impaziente, questa volta rischiava di farsi spasmodica. Eppure sentivo di non essere entrato in un ingranaggio narrativo di quelli studiati a tavolino per fagocitare l’attenzione del lettore a colpi di stereotipi. La mia sensazione era più simile al rapimento provato, in tempi lontani, nello scoprire la grande letteratura: Stevenson, Dickens, George Eliot, Flaubert. E Dostoevskij, proprio come aveva suggerito Banana, con un paragone che adesso non sembrava poi così inverosimile. Non vedevo l’ora, oltre che di leggere il seguito della storia, di scrivere a lei per comunicarle la mia conversione, istantanea e fanatica, al culto di Hagio Moto.
"Un dio crudele governa" aveva per sottotitolo, in caratteri latini, "After us the savage god", una frase scritta da Yeats a proposito della prima rappresentazione dell’Ubu Roi di Alfred Jarry. Non si tratta dell’unica citazione colta del libro, nel quale sono menzionate poesie di Burns e Lieder di Schubert, e abbondano i riferimenti a Wagner (uno dei subplot cita apertamente "La Valchiria"). Capii che, nonostante la mirabile freschezza creativa dell’autrice, tutto il manga era intessuto di conoscenze letterarie e artistiche. Non era necessario che i lettori ne fossero consapevoli e riconoscessero le fonti. Il manga poteva essere gustato a vari livelli, come semplice divertimento (e funzionava benissimo anche così) o come un’opera complessa e sofisticata (e qui il piacere diventava più profondo). Pensai che Un dio crudele governa dovesse essere il capolavoro di Hagio Moto, il vertice della sua arte. Scoprii invece che nella sua ricca produzione i capolavori erano numerosi, e straordinariamente vari per temi, ambientazioni, epoche: storie di fantascienza, drammi in costume, brevi scene di vita contemporanea, racconti sulla danza. In questo scrigno prezioso, "Poe no ichizoku" (Edgar e Allan Poe) era una delle gemme. Un bellissimo diamante nero.
Pubblicato a puntate dal 1972 al 1976, appartiene alle “opere giovanili” (l’esordio di Hagio Moto risaliva a pochi anni prima, con "Ruru to Mimi", del 1969), eppure è un lavoro già maturo, sia per la ricca orchestrazione narrativa che per la bellezza delle immagini e la sapienza compositiva delle tavole. "Poe no ichizoku" anticipa le atmosfere delle "Cronache dei vampiri" di Anne Rice, il cui primo volume, Intervista col vampiro, esce nello stesso anno in cui l’opera di Hagio Moto si conclude. Entrambi i lavori sono impregnati di estetismo, spirito romantico, mistero, ma mentre la saga di Anne Rice, barocca e corrusca, si iscrive nella gravità, quella di Hagio Moto scorre nel segno della leggerezza. Come tutti i vampiri, i protagonisti di "Poe no ichizoku" sono prigionieri del tragico incantesimo dell’immortalità, ma a differenza degli eroi della Rice, legati alla vita da pesanti catene, i Vampanella di Hagio Moto sembrano staccati dal suolo e si muovono leggiadri come danzatori, grazie ai tratti aerei e fluidi del disegno. La mangaka ha dichiarato in più occasioni che l’idea di cimentarsi con una storia di vampiri era nata in lei dalla lettura di un manga del 1962 di Ishinomori Shotaro dal titolo "Kiri to bara to hoshi to" (Nebbia, rose e stelle) che aveva per protagonista una fanciulla-vampira desiderosa di essere accettata dal mondo. Era stato questo elemento di solitudine e dolore a stimolare la sua immaginazione. A Hagio dei vampiri non interessava il fascino horror, ma il destino di creature condannate a vivere in eterno, e in eterno rifiutate dal resto dell’umanità. Anche in "Poe no ichizoku" Hagio attinge a un repertorio culturale molto vasto. È evidente l’influenza della letteratura inglese dell’Ottocento, in particolare Emily Brontë, e della pittura preraffaellita, ma il vero nume tutelare della storia è Edgar Allan Poe. Il nome della famiglia di vampiri che dà il titolo alla storia è un omaggio dichiarato a questo scrittore tormentato e supremo.
Hagio Moto ha festeggiato nel 2009 i suoi quarant’anni di attività, e in suo onore sono state organizzate mostre, cerimonie, eventi. In Giappone appartiene ormai all’Olimpo dei grandi artisti del manga, e le persone che hanno avuto modo di crescere con le sue storie e seguirla negli anni la considerano non solo una artista ma una maestra di vita. Tutti la chiamano “Hagio sensei”.
Io ho avuto occasione di conoscerla quando è venuta in Italia nello stesso anno, ospite di un convegno sulla cultura pop organizzato all’Orientale di Napoli, e poi l’ho accompagnata nel suo giro in Italia che ha avuto come tappe Roma e Bologna. Durante il viaggio la osservavo spesso, intimidito e incantato. Una donna minuta, elegante, senza età, attenta agli altri, sempre gentile e disponibile a sottoporsi a domande, foto, interviste, ma anche distante. Non per freddezza, ma perché sembrava venire da una dimensione lontana: una visitatrice incuriosita dal paese che l’aveva invitata e accolta, e tuttavia desiderosa di tornare al più presto nel proprio mondo. Non mi riferisco al Giappone, ma al mondo dei suoi manga, a una realtà infinitamente più seducente di quella terrena, misteriosa e fantastica, dove i personaggi appaiono sempre sospesi nello spazio e pronti a librarsi ancora più in alto, come angeli. E, a pensarci bene, Hagio sensei sembrava disegnata con gli stessi tratti lievi e aerei dei suoi personaggi. E allora, mentre la guardavo, capii. Hagio Moto non aveva solo creato il suo mondo. Aveva anche disegnato se stessa.


Fonte:
pagina facebook di Ronin Manga