Riportiamo direttamente dal sito dell'editore l'approfondimento su Saiyukiden di Katsuya Terada, sul Viaggio in Occidente e sulle varie trasposizioni dello stesso:
Segnaliamo possibili spoilers per chi non conoscesse la trama originale del romanzo
Il Viaggio in Occidente (in cinese Xiyou Ji, in giapponese Saiyuki) attribuito a Wu Cheng’en e pubblicato verso la seconda metà del XVI secolo dell’era volgare, è uno dei quattro grandi classici della letteratura cinese ed è stato tradotto in numerose lingue, tra cui più volte in italiano, dove esiste anche un’edizione integrale liberamente scaricabile da internet tradotta dal francese da Serafino Balduzzi. In particolar modo, grandissimo è stato il suo successo nei paesi dell’Estremo Oriente come il Giappone, dove ha dato vita a una vasta serie di rielaborazioni non solo in campo letterario, ma in anni recenti anche in quei settori che riguardano i mezzi di comunicazione di massa come film, telefilm, videogiochi, anime e manga.
Molti sono stati, infatti, i mangaka giapponesi – ma merita di essere qui ricordato anche Lo scimmiotto di Milo Manara e Silverio Pisu pubblicato nel 1976-'77 – che si sono cimentati nel riproporre le avventure di Sun Wukong (Scimmiotto Consapevole del Vuoto, com’è chiamato nelle traduzioni nella nostra lingua dell’opera) maggiormente noto al grande pubblico occidentale con la pronuncia giapponese di Son Goku. Tra le più famose, troviamo la versione fantascientifica di Leiji Matsumoto, Starzinger (SF Saiyuki Sutajinga), che risale agli anni ’70, anche se già nel 1960 era uscito il lungometraggio Le tredici fatiche di Ercolino (Saiyuki) basato sul lavoro di Osamu Tezuka, Il mio Son Goku (Boku no Son Goku) edito dal 1952 al 1959 il quale ha pure rappresentato il primo contatto in Italia con una trasposizione in un media moderno della leggenda dello scimmiotto. Contatto non particolarmente felice poiché, al di là della bellezza dell’animazione stessa, mancavano allora totalmente le basi per cogliere i riferimenti. Non per nulla, com’è evidente dal titolo italiano della pellicola, si è tentato senza molto successo di avvicinare il personaggio alla tradizione culturale mediterranea. Oggi il Son Goku più noto in Occidente, e forse nel mondo, è indubbiamente quello di Dragon Ball di Akira Toriyama. Anche la serie Saiyuki (Saiyuki shiriizu) di Kazuya Minekura gode di grande notorietà. Tuttavia, sono ancora relativamente pochi coloro che hanno letto il romanzo ed è un peccato perché uno degli aspetti più divertenti del gioco consiste proprio nel trovare similitudini e differenze. Tutti i manga e gli anime citati riprendono parti del Viaggio in Occidente di Wu Cheng’en apportando numerose variazioni, ma tendendo a lasciare intatti gli elementi base della storia e gli elementi iconografici quali il bastone Nyoibo, la nuvola Kinton e il cerchio sulla testa della scimmia eroe. D’altra parte, Viaggio in Occidente è di per sé un’opera già ricca di una straordinaria fantasia, di trovate immaginifiche incredibili e piena di un’acuta e feroce critica verso l’ordine sociale della Cina del tempo. Il regno celeste non è altro che uno specchio di quello terreno, con la presenza di tutti i difetti di quest’ultimo. Persino personaggi del buddhismo come il pio ma pedante monaco Sanzang (in giapponese Sanzo) o la venerabile bodhisattva Guanyin/Kannon con il suo comportamento a volte dispettoso, non sfuggono a tale critica. Goku, il re scimmiotto dagli occhi rossi come braci a causa del tentativo compiuto dal saggio Laozi di bollirlo vivo per ucciderlo, è l’autentico eroe sovversivo e anarchico, libero e incontenibile, sfrenato e irriverente, ma al contempo coraggioso e generoso, la cui forza solamente Buddha riesce a contrastare. Fatte le debite proporzioni, in certi tratti ricorda il Pinocchio di Carlo Collodi, con la differenza che il romanzo cinese non si conclude con un completo pentimento dello scimmiotto e dei suo compagni Zhu Bajie/Cho Hakkai e Sha Wujing/Sa Gojo – rispettivamente nella traduzione italiana Porcellino Otto Divieti e Sabbioso Consapevole della Purezza – dei comportamenti precedenti tenuti. Seppure diventino degli illuminati, continua a permanere in loro una parte dell’aspetto selvaggio e irriverente che li caratterizza per l’intero corso della narrazione. Se in Hakkai con il suo rastrello e i tratti suini è facilmente rintracciabile una rappresentazione dei piaceri carnali più rozzi, Gojo è più difficilmente identificabile. Entrambi sono reincarnazioni di divinità facenti parte dell’esercito celeste esiliate sulla terra per le colpe commesse, a differenza di Goku che, invece, nasce da un uovo fatato il quale magicamente si trasforma in una scimmia fatta di pietra e che perciò costituisce un unicum. Chiude l’inusuale gruppo composto dal monaco e dai suoi tre servitori-protettori il cavallo di Sanzo, che altri non è che il principe figlio del re drago del mare occidentale, condannato a morte per essersi ribellato contro suo padre.
È però l’opera di Katsuya Terada che probabilmente, più di quella degli altri manga, riesce a recuperare il ruolo autenticamente anarchico e la sete di libertà assoluta dell’eroe del romanzo riscoprendo i lati più dissacranti del Viaggio in Occidente. A partire dalla scelta del nome e dalla rappresentazione di Goku. Lo scimmiotto diventa qui un “re scimmione” dall’intensa presenza fisica. Fin dalle prime tavole traspare a pieno la sua potenza muscolare. Gli elementi grotteschi e mostruosi sono intensificati e ampliati dall’autore, vediamo perciò la nuvola Kinton acquisire l’aspetto di una creatura che pare uscita dalla saga di Alien, piuttosto che essere l’ordinaria nube dorata cui siamo abituati, e accostati all’erotismo conturbante delle aggressive presenze femminili. Se Hakkai diventa sinonimo della debolezza della carne ed è privo dell’irruenza battagliera di cui fa sfoggio nello scritto cinese, pur conservando la sua funzione originaria di buffone, Gojo mantiene invece il suo carattere misterioso, espresso anche dall’essere ridotto a una semplice testa mozza parlante. Chi sia davvero Sanzo è rivelato solo alla fine del primo volume e questa sua assenza, nonostante sia teoricamente il personaggio maggiormente importante, coincide esattamente con il ruolo ricoperto dal monaco nella storia scritta da Wu Cheng’en. Eliminata la figura intermediaria di Kannon, la quale compare marginalmente solo tramite la formula Om mani padme hum incisa sulla montagna dei cinque elementi dove il re scimmione è intrappolato e spostato lo scopo del viaggio dalla ricerca nella lontana India di alcune scritture buddhiste a uno scontro tra potenti forze opposte, il confronto epico e distruttivo avviene direttamente tra Goku e Buddha in persona. Un Buddha differente da quello della tradizione religiosa, divenuto un tiranno assoluto, signore dell’universo emblema di una rigida dittatura che perciò incarna l’opposto dell’eroe. O forse, nel caso di questo Goku, sarebbe decisamente meglio parlare di antieroe.
I testi sono ridotti all’essenziale e studiati per dare risalto ai punti salienti; inoltre Terada inserisce un raffinato uso del disegno degli ideogrammi. I caratteri delle formule degli incantesimi sono vere e proprie invenzioni grafiche atte ad alimentare l’atmosfera mistica che avvolge l’azione. La stessa storia non segue un andamento lineare, ma è temporalmente spezzata, come un film le cui sequenze siano state montate non seguendo rigidamente un ordine logico. Allo stesso tempo, ciascun capitolo è comunque godibile singolarmente e si chiude con una breve descrizione degli eventi accaduti simile a versi poetici. La rappresentazione di Sanzo in veste esterna femminile e interna maschile è in parte ripresa dal modello televisivo e cinematografico giapponese dove, a differenza delle produzioni cinesi, il ruolo di Sanzo è stato frequentemente interpretato da un’attrice e non da un attore, e in parte svolge la funzione di esplicitare il rapporto tra Yin e Yang, principio maschile e femminile, luce e tenebra perpetuatore dell’universo.
Il Saiyuki di Katsuya Terada è pertanto un lavoro surreale, quasi pittorico, solo all’apparenza semplice e quindi apprezzabile da tutti, ma in realtà complesso e sfaccettato, che racchiude in sé molteplici chiavi di lettura e per questo estremamente affascinante.
Il Viaggio in Occidente (in cinese Xiyou Ji, in giapponese Saiyuki) attribuito a Wu Cheng’en e pubblicato verso la seconda metà del XVI secolo dell’era volgare, è uno dei quattro grandi classici della letteratura cinese ed è stato tradotto in numerose lingue, tra cui più volte in italiano, dove esiste anche un’edizione integrale liberamente scaricabile da internet tradotta dal francese da Serafino Balduzzi. In particolar modo, grandissimo è stato il suo successo nei paesi dell’Estremo Oriente come il Giappone, dove ha dato vita a una vasta serie di rielaborazioni non solo in campo letterario, ma in anni recenti anche in quei settori che riguardano i mezzi di comunicazione di massa come film, telefilm, videogiochi, anime e manga.
Molti sono stati, infatti, i mangaka giapponesi – ma merita di essere qui ricordato anche Lo scimmiotto di Milo Manara e Silverio Pisu pubblicato nel 1976-'77 – che si sono cimentati nel riproporre le avventure di Sun Wukong (Scimmiotto Consapevole del Vuoto, com’è chiamato nelle traduzioni nella nostra lingua dell’opera) maggiormente noto al grande pubblico occidentale con la pronuncia giapponese di Son Goku. Tra le più famose, troviamo la versione fantascientifica di Leiji Matsumoto, Starzinger (SF Saiyuki Sutajinga), che risale agli anni ’70, anche se già nel 1960 era uscito il lungometraggio Le tredici fatiche di Ercolino (Saiyuki) basato sul lavoro di Osamu Tezuka, Il mio Son Goku (Boku no Son Goku) edito dal 1952 al 1959 il quale ha pure rappresentato il primo contatto in Italia con una trasposizione in un media moderno della leggenda dello scimmiotto. Contatto non particolarmente felice poiché, al di là della bellezza dell’animazione stessa, mancavano allora totalmente le basi per cogliere i riferimenti. Non per nulla, com’è evidente dal titolo italiano della pellicola, si è tentato senza molto successo di avvicinare il personaggio alla tradizione culturale mediterranea. Oggi il Son Goku più noto in Occidente, e forse nel mondo, è indubbiamente quello di Dragon Ball di Akira Toriyama. Anche la serie Saiyuki (Saiyuki shiriizu) di Kazuya Minekura gode di grande notorietà. Tuttavia, sono ancora relativamente pochi coloro che hanno letto il romanzo ed è un peccato perché uno degli aspetti più divertenti del gioco consiste proprio nel trovare similitudini e differenze. Tutti i manga e gli anime citati riprendono parti del Viaggio in Occidente di Wu Cheng’en apportando numerose variazioni, ma tendendo a lasciare intatti gli elementi base della storia e gli elementi iconografici quali il bastone Nyoibo, la nuvola Kinton e il cerchio sulla testa della scimmia eroe. D’altra parte, Viaggio in Occidente è di per sé un’opera già ricca di una straordinaria fantasia, di trovate immaginifiche incredibili e piena di un’acuta e feroce critica verso l’ordine sociale della Cina del tempo. Il regno celeste non è altro che uno specchio di quello terreno, con la presenza di tutti i difetti di quest’ultimo. Persino personaggi del buddhismo come il pio ma pedante monaco Sanzang (in giapponese Sanzo) o la venerabile bodhisattva Guanyin/Kannon con il suo comportamento a volte dispettoso, non sfuggono a tale critica. Goku, il re scimmiotto dagli occhi rossi come braci a causa del tentativo compiuto dal saggio Laozi di bollirlo vivo per ucciderlo, è l’autentico eroe sovversivo e anarchico, libero e incontenibile, sfrenato e irriverente, ma al contempo coraggioso e generoso, la cui forza solamente Buddha riesce a contrastare. Fatte le debite proporzioni, in certi tratti ricorda il Pinocchio di Carlo Collodi, con la differenza che il romanzo cinese non si conclude con un completo pentimento dello scimmiotto e dei suo compagni Zhu Bajie/Cho Hakkai e Sha Wujing/Sa Gojo – rispettivamente nella traduzione italiana Porcellino Otto Divieti e Sabbioso Consapevole della Purezza – dei comportamenti precedenti tenuti. Seppure diventino degli illuminati, continua a permanere in loro una parte dell’aspetto selvaggio e irriverente che li caratterizza per l’intero corso della narrazione. Se in Hakkai con il suo rastrello e i tratti suini è facilmente rintracciabile una rappresentazione dei piaceri carnali più rozzi, Gojo è più difficilmente identificabile. Entrambi sono reincarnazioni di divinità facenti parte dell’esercito celeste esiliate sulla terra per le colpe commesse, a differenza di Goku che, invece, nasce da un uovo fatato il quale magicamente si trasforma in una scimmia fatta di pietra e che perciò costituisce un unicum. Chiude l’inusuale gruppo composto dal monaco e dai suoi tre servitori-protettori il cavallo di Sanzo, che altri non è che il principe figlio del re drago del mare occidentale, condannato a morte per essersi ribellato contro suo padre.
È però l’opera di Katsuya Terada che probabilmente, più di quella degli altri manga, riesce a recuperare il ruolo autenticamente anarchico e la sete di libertà assoluta dell’eroe del romanzo riscoprendo i lati più dissacranti del Viaggio in Occidente. A partire dalla scelta del nome e dalla rappresentazione di Goku. Lo scimmiotto diventa qui un “re scimmione” dall’intensa presenza fisica. Fin dalle prime tavole traspare a pieno la sua potenza muscolare. Gli elementi grotteschi e mostruosi sono intensificati e ampliati dall’autore, vediamo perciò la nuvola Kinton acquisire l’aspetto di una creatura che pare uscita dalla saga di Alien, piuttosto che essere l’ordinaria nube dorata cui siamo abituati, e accostati all’erotismo conturbante delle aggressive presenze femminili. Se Hakkai diventa sinonimo della debolezza della carne ed è privo dell’irruenza battagliera di cui fa sfoggio nello scritto cinese, pur conservando la sua funzione originaria di buffone, Gojo mantiene invece il suo carattere misterioso, espresso anche dall’essere ridotto a una semplice testa mozza parlante. Chi sia davvero Sanzo è rivelato solo alla fine del primo volume e questa sua assenza, nonostante sia teoricamente il personaggio maggiormente importante, coincide esattamente con il ruolo ricoperto dal monaco nella storia scritta da Wu Cheng’en. Eliminata la figura intermediaria di Kannon, la quale compare marginalmente solo tramite la formula Om mani padme hum incisa sulla montagna dei cinque elementi dove il re scimmione è intrappolato e spostato lo scopo del viaggio dalla ricerca nella lontana India di alcune scritture buddhiste a uno scontro tra potenti forze opposte, il confronto epico e distruttivo avviene direttamente tra Goku e Buddha in persona. Un Buddha differente da quello della tradizione religiosa, divenuto un tiranno assoluto, signore dell’universo emblema di una rigida dittatura che perciò incarna l’opposto dell’eroe. O forse, nel caso di questo Goku, sarebbe decisamente meglio parlare di antieroe.
I testi sono ridotti all’essenziale e studiati per dare risalto ai punti salienti; inoltre Terada inserisce un raffinato uso del disegno degli ideogrammi. I caratteri delle formule degli incantesimi sono vere e proprie invenzioni grafiche atte ad alimentare l’atmosfera mistica che avvolge l’azione. La stessa storia non segue un andamento lineare, ma è temporalmente spezzata, come un film le cui sequenze siano state montate non seguendo rigidamente un ordine logico. Allo stesso tempo, ciascun capitolo è comunque godibile singolarmente e si chiude con una breve descrizione degli eventi accaduti simile a versi poetici. La rappresentazione di Sanzo in veste esterna femminile e interna maschile è in parte ripresa dal modello televisivo e cinematografico giapponese dove, a differenza delle produzioni cinesi, il ruolo di Sanzo è stato frequentemente interpretato da un’attrice e non da un attore, e in parte svolge la funzione di esplicitare il rapporto tra Yin e Yang, principio maschile e femminile, luce e tenebra perpetuatore dell’universo.
Il Saiyuki di Katsuya Terada è pertanto un lavoro surreale, quasi pittorico, solo all’apparenza semplice e quindi apprezzabile da tutti, ma in realtà complesso e sfaccettato, che racchiude in sé molteplici chiavi di lettura e per questo estremamente affascinante.
Massimo Soumaré
Comunque l'unico Saiyuki che conosco è quello di Kazuya Minekura, di cui una mia amica è grande fan!
Venendo al manga in sè prima non mi ispirava molto ma ora, dopo aver letto questa recensione devo dire che un pò mi ha invogliato. Freno è il fatto che è ancora in corso e, sopratutto che ci sono tempi biblici di uscita. Però penso che in futuro una chance gliela darò.
Forse darò un'occhiata al primo numero e deciderò al momento.
Comunque nonostante il prezzo e con tipo solo 2 volumi in Giappone(o forse 3,nn ricordo),ho deciso di comprarlo.
Ma sto focus on ce sta perché è uscito? È da na cifra che lo hanno annunciato e doveva esse uscito da 1 mese,ma per quanto mi riguarda ancora nn l'ho trovato T_T
Detto questo, la leggenda del Saiyuki è una delle più famose tra le leggende cinesi, nonchè uno dei 4 grandi classici, così come scritto nell'articolo. E' pure una di quelle più abusate in Giappone. Sì, esiste il Saiyuki della Minekura, ma......qualcuno ha detto Dragon Ball? XD Sì, anche se poi Toriyama a un certo punto è partito per la tangente. E meno male che lo ha fatto, dato che ha così creato il capolavoro shounen dalle incommensurabili vendite mondiali che tutti oggi conosciamo.
P.S.
a volte è meglio un'opera "incompleta" (fatta come si deve) che decine di serie finite ma che non dicono niente
Speriam che sia bello però
Complimenti per l'articolo; sinceramente quest'ultima ha aumentato la mia curiosità.
Cultura fa di me un uomo "acculturato"!!!
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