Dopo la morte, all'uomo è riservato un duplice destino: se è stato onesto in vita, andrà in paradiso; altrimenti ad aspettarlo ci sarà l'inferno. Tuttavia, alcune persone rappresentano l'eccezione: quando due individui muoiono contemporaneamente, la legge vuole che, prima del trapasso, vengano convocati in un posto fra i due mondi dell'oltretomba, per essere giudicati. Arrivano così al Quindecim, un bar gestito da un inespressivo cameriere e una ragazza dai lunghi capelli corvini, la cui pronuncia dei numerali hitotsu, futastu, mittsu, yottsu e itsutsu mi ha fatto spesso spuntare il sorriso. Invitati a prendere parte ad un gioco, che può andare dal biliardo al bowling, dalle carte alle freccette, i malcapitati sono costretti a mettere in palio la propria vita, di cui non hanno la consapevolezza di aver già persa. Durante il gioco, l'inespressivo barman, nei panni di giudice, emana il verdetto sulla condotta tenuta e decide se far reincarnare l'anima del defunto o spedirla nell'oblio. All'Anime Mirai 2013, progetto nato per formare nuovi animatori, Tachikawa Yuzuru presentò un soggetto originale intitolato Death Billiards, dal quale è stato tratto in seguito un anime di 12 episodi dal nome di Death Parade. Prodotto da Madhouse e trasmesso nella stagione invernale 2015, Death Parade riprende perfettamente il tema del suo predecessore e lo sviluppa appieno. Grazie alla collaborazione fra Dynit e VVVVID, è stato possibile vederlo in simulcast sul portale streaming della startup italiana. Realizzato perfettamente dal punto di vista tecnico, con un accattivante chara design creato ad hoc da Kurita Shin'ichi, Death Parade è una parata di personaggi che esprimo, ognuno a suo modo, varie sfaccettature del tema della morte. Il titolo, infatti, è la sintesi perfetta di ciò che la serie vuole rappresentare. Nel corso della parata, lo spettatore entra in sintonia con l'universo del Quindecim e si immette in un vortice di emozioni e quesiti esistenziali, che rendono la visione piuttosto interattiva.
L'ambientazione di quest'anime a tinte cupe è l'aldilà, nella veste piuttosto particolare del Quindecim. Esso si presenta come una costruzione interessante di per sé, non da intendersi come ciò che viene dopo, ma solo un luogo mediano nel quale sondare la natura della vita e la natura dell'uomo. Il Quindecim è un bar, che richiama alla mente il Radio Club di Paprika, film di fantascienza girato da Kon Satoshi. Questo bar è gestito da Decim, un saiteisha (裁定者), ossia un giudice, e dalla donna dai lunghi capelli corvini, il cui nome verrà tenuto segreto per gran parte della visione. Vi si accede tramite un doppio ascensore: sormontato da due contrapposte maschere del teatro Nō, esso rappresenta l'entrata ma funge anche da unica uscita. Al bancone, dopo aver sorseggiato un drink, qualcuno chiede di girare la roulette della fortuna e iniziare a giocare. Il fatto che siano dei giochi a tirar fuori la vera essenza che risiede dentro di noi è paradossale, eppure è vero che dinanzi alle due opzioni di vincere o perdere, l'uomo tira fuori il meglio o il peggio di sé.
Death Parade suggerisce che dopo la morte ci aspetta una sala giochi, e ciò mi ha divertita ma soprattutto confortata, quando in più occasioni l'atmosfera ansiogena suscitava disagio. Però proviamo a cambiare punto di vista e a guardare la stessa sala giochi da un'ottica più cupa: essa appare sghignazzante, non più amica ma trappola. Death Parade, infatti, è impregnato di dark humour. Un esempio lampante di questo umorismo nero è l'opening, cantata dai BRADIO, che mette in scena una festa nel purgatorio fra le anime dei defunti e i giudici. Ballano, cantano, bevono, se la ridono, forse per dimenticare che tutto sommato siamo soli al mondo. Quando il nostro tempo è finito, ciò che rimane di noi è solo una caricatura di ciò che siamo stati: la memoria che gli altri hanno della nostra persona. Ed ecco che i defunti che abitano l'aldilà sono manichini, che Decim conserva con cura. Perché è innanzitutto importante preservare il ricordo delle persone con cui è entrato in contatto, dal momento che ognuna di esse ha permesso a lui, nato bambola, di acquisire la forza vitale. Forse i nostri vicini di casa, proprio come Decim, hanno una stanza misteriosa in cui conservano il nostro manichino, assieme a quello di altri amici e parenti. Manichino con caratteristiche dettagliate, ma che andando avanti verrà portato via dal tempo, si scolorirà, si trasformerà, fino a dissolversi. E non importa quanto particolareggiato esso sia, resta pur sempre la fotografia di un manichino. Non è quello che siamo, e nemmeno quello che eravamo, è solo come una persona ci ricorda.
Il suicidio è un tema ricorrente in Death Parade. Per molte religioni è considerato tra il più grave dei peccati: un essere umano può scegliere di togliersi la vita, allo stesso tempo con quel gesto nega a sé stesso ogni possibilità di salvezza eterna. In uno stato laico come il Giappone, dove sono in primis le persone a dichiarare di professare contemporaneamente due o più fedi religiose, il suicidio non viene affrontato in maniera così negativa. In passato ci sono stati drammaturghi che hanno dedicato intere opere al tema del suicidio, del doppio suicidio d'amore, del suicidio d'onore, il cosiddetto seppuku o harakiri, che dir si voglia. L'idea del suicidio è parte integrante della giapponesità, quasi come se per un giapponese suicidarsi fosse la risposta a tutti i problemi. Un gesto che viene naturale, senza sforzo. Mi è stato raccontato che esiste una foresta dei suicidi; e che per un certo periodo in Giappone si usava lanciarsi nel vuoto in gruppo; oppure che quando in stazione mandano l'annuncio di ritardo per incidente, di solito è perché qualcuno si è buttato sui binari. È macabro tutto ciò, ma reale. In Death Parade a volte il suicidio non viene inteso letteralmente, ma è affrontato in modo metaforico. D'altro canto, a cosa servirebbe parlare di un suicida che viene soccorso da altri e scampa la morte per miracolo, suicida che casomai non arriva nemmeno a capire quanto il suo gesto sia stato grave? La salvezza che mostra Death Parade va vista come una seconda possibilità e questa nuova possibilità viene offerta tramite la reincarnazione. L'ascensore con la maschera serafica è il simbolo di questa seconda possibilità, che non viene concessa a chiunque, ma solo alle persone che realmente hanno compreso la gravità di ciò che hanno compiuto. La chiave la si può trovare nella natura stessa dell'atto di suicidarsi. In primo luogo, c'è il peccato di sprecare la propria vita; ma ancor più di tutto, c'è il dolore e la sofferenza che si provocano a quelli che abbiamo lasciati indietro. Ciascuno di noi è prezioso per qualcuno, ogni vita umana è fragile e inestimabile. L'atto del suicidio non è un mero passaggio del costo della nostra vita ad altri, anzi dovrebbe recare con sé la consapevolezza che non si può rimediare, una volta che il cuore si è fermato, alle ferite che quell'errore ha provocato ai nostri cari. Non in questa vita almeno, anche se potrebbe in qualche modo accadere nella prossima. Questo nessuno lo sa. Non importa quanto terribili siano gli sbagli che commettiamo nel corso della nostra esistenza, dobbiamo accettarne le conseguenze e convivere nel post mortem – ammesso e non concesso che si creda esistere qualcosa dopo la morte! –, con la responsabilità di aver arrecato sofferenza a quelle persone che ci tenevano a noi, più di quanto noi stessi credevamo.
Death Parade mantiene una coerenza dall'inizio alla fine. Vorrei poterne avere una seconda serie, perché tutto sommato mi sono affezionata ai personaggi del Quindecim. Tuttavia, sono dell'opinione che lasciato così com'è finito, sia la scelta più saggia. D'altra parte non è una serie che punta a vendere il più possibile, non è nemmeno un anime nato per soddisfare i fan di Death Billiards. Piuttosto sarebbe opportuno domandarsi se Tachikawa Yuzuru avesse già in mente questo progetto ai tempi dell'Anime Mirai e aspettasse solo l'occasione per poterlo mettere per iscritto. Death Parade è un collage di esperienze che, mostrate nel giusto ordine, trasmettono un messaggio più o meno complesso, ancora senza soluzione. Questo perché è lo sceneggiatore in primis a stare raccontando la sua catarsi, come se stesse ponendo domande a sé stesso e, assieme allo scorrere degli episodi, stesse sbrogliando la matassa e cercando la risposta. Risposta che è diversa per ogni persona. Il dissidio interiore dell'autore si riflette sui personaggi dei giudici, che sono creati per non provare sentimenti e per essere super partes. Death Parade richiama la classica querelle tra coloro che pensano all'imparzialità dei giudici come a qualcosa che non può abbinarsi all'emozione in nessun modo; e tra quelli che invece reputano giusto un verdetto soltanto quando il giudice ha provato i medesimi sentimenti dell'imputato, e può capire, quindi, maturare una visione a tutto tondo. Quando Nona, il capo di Decim, grida: «Questo mondo non può andare avanti così!», esprime l'indignazione impotente di tutti quelli che si scagliano contro l'ingiustizia della vita, e contro un universo freddo che sembra tenere poco riguardo per la nostra felicità. E lei va oltre, affermando che non è sbagliato per i giudici soffrire quando emettono un verdetto. In realtà, è di vitale importanza provare quel dolore, è ciò che rende un giudice vivo. Essere costretti ad affrontare la difficile scelta di prendere una decisione sulla pelle degli altri, è ciò che rende vivi gli abitanti del Quindecim. Lo sforzo innaturale di comprendere gli essere umani, uno sforzo penoso, spinge Decim a fare qualcosa di diverso, che nessuno in quell'aldilà ha mai fatto prima: sorridere. A volte non servono le parole, basta un sorriso per comunicare i propri sentimenti. Visione splendida ma agrodolce. La vita è una serie di compromessi. Accettare ciò che è ingiusto e crudele e fare del nostro meglio per raggiungere l'altro in maniera seppure imperfetta ma almeno efficace, è tutto quello che siamo capaci di fare. Si tratta di una semplice domanda: viviamo in modo tale da poter un giorno morire, o moriamo perché abbiamo vissuto?
L'ambientazione di quest'anime a tinte cupe è l'aldilà, nella veste piuttosto particolare del Quindecim. Esso si presenta come una costruzione interessante di per sé, non da intendersi come ciò che viene dopo, ma solo un luogo mediano nel quale sondare la natura della vita e la natura dell'uomo. Il Quindecim è un bar, che richiama alla mente il Radio Club di Paprika, film di fantascienza girato da Kon Satoshi. Questo bar è gestito da Decim, un saiteisha (裁定者), ossia un giudice, e dalla donna dai lunghi capelli corvini, il cui nome verrà tenuto segreto per gran parte della visione. Vi si accede tramite un doppio ascensore: sormontato da due contrapposte maschere del teatro Nō, esso rappresenta l'entrata ma funge anche da unica uscita. Al bancone, dopo aver sorseggiato un drink, qualcuno chiede di girare la roulette della fortuna e iniziare a giocare. Il fatto che siano dei giochi a tirar fuori la vera essenza che risiede dentro di noi è paradossale, eppure è vero che dinanzi alle due opzioni di vincere o perdere, l'uomo tira fuori il meglio o il peggio di sé.
Death Parade suggerisce che dopo la morte ci aspetta una sala giochi, e ciò mi ha divertita ma soprattutto confortata, quando in più occasioni l'atmosfera ansiogena suscitava disagio. Però proviamo a cambiare punto di vista e a guardare la stessa sala giochi da un'ottica più cupa: essa appare sghignazzante, non più amica ma trappola. Death Parade, infatti, è impregnato di dark humour. Un esempio lampante di questo umorismo nero è l'opening, cantata dai BRADIO, che mette in scena una festa nel purgatorio fra le anime dei defunti e i giudici. Ballano, cantano, bevono, se la ridono, forse per dimenticare che tutto sommato siamo soli al mondo. Quando il nostro tempo è finito, ciò che rimane di noi è solo una caricatura di ciò che siamo stati: la memoria che gli altri hanno della nostra persona. Ed ecco che i defunti che abitano l'aldilà sono manichini, che Decim conserva con cura. Perché è innanzitutto importante preservare il ricordo delle persone con cui è entrato in contatto, dal momento che ognuna di esse ha permesso a lui, nato bambola, di acquisire la forza vitale. Forse i nostri vicini di casa, proprio come Decim, hanno una stanza misteriosa in cui conservano il nostro manichino, assieme a quello di altri amici e parenti. Manichino con caratteristiche dettagliate, ma che andando avanti verrà portato via dal tempo, si scolorirà, si trasformerà, fino a dissolversi. E non importa quanto particolareggiato esso sia, resta pur sempre la fotografia di un manichino. Non è quello che siamo, e nemmeno quello che eravamo, è solo come una persona ci ricorda.
Il suicidio è un tema ricorrente in Death Parade. Per molte religioni è considerato tra il più grave dei peccati: un essere umano può scegliere di togliersi la vita, allo stesso tempo con quel gesto nega a sé stesso ogni possibilità di salvezza eterna. In uno stato laico come il Giappone, dove sono in primis le persone a dichiarare di professare contemporaneamente due o più fedi religiose, il suicidio non viene affrontato in maniera così negativa. In passato ci sono stati drammaturghi che hanno dedicato intere opere al tema del suicidio, del doppio suicidio d'amore, del suicidio d'onore, il cosiddetto seppuku o harakiri, che dir si voglia. L'idea del suicidio è parte integrante della giapponesità, quasi come se per un giapponese suicidarsi fosse la risposta a tutti i problemi. Un gesto che viene naturale, senza sforzo. Mi è stato raccontato che esiste una foresta dei suicidi; e che per un certo periodo in Giappone si usava lanciarsi nel vuoto in gruppo; oppure che quando in stazione mandano l'annuncio di ritardo per incidente, di solito è perché qualcuno si è buttato sui binari. È macabro tutto ciò, ma reale. In Death Parade a volte il suicidio non viene inteso letteralmente, ma è affrontato in modo metaforico. D'altro canto, a cosa servirebbe parlare di un suicida che viene soccorso da altri e scampa la morte per miracolo, suicida che casomai non arriva nemmeno a capire quanto il suo gesto sia stato grave? La salvezza che mostra Death Parade va vista come una seconda possibilità e questa nuova possibilità viene offerta tramite la reincarnazione. L'ascensore con la maschera serafica è il simbolo di questa seconda possibilità, che non viene concessa a chiunque, ma solo alle persone che realmente hanno compreso la gravità di ciò che hanno compiuto. La chiave la si può trovare nella natura stessa dell'atto di suicidarsi. In primo luogo, c'è il peccato di sprecare la propria vita; ma ancor più di tutto, c'è il dolore e la sofferenza che si provocano a quelli che abbiamo lasciati indietro. Ciascuno di noi è prezioso per qualcuno, ogni vita umana è fragile e inestimabile. L'atto del suicidio non è un mero passaggio del costo della nostra vita ad altri, anzi dovrebbe recare con sé la consapevolezza che non si può rimediare, una volta che il cuore si è fermato, alle ferite che quell'errore ha provocato ai nostri cari. Non in questa vita almeno, anche se potrebbe in qualche modo accadere nella prossima. Questo nessuno lo sa. Non importa quanto terribili siano gli sbagli che commettiamo nel corso della nostra esistenza, dobbiamo accettarne le conseguenze e convivere nel post mortem – ammesso e non concesso che si creda esistere qualcosa dopo la morte! –, con la responsabilità di aver arrecato sofferenza a quelle persone che ci tenevano a noi, più di quanto noi stessi credevamo.
Death Parade mantiene una coerenza dall'inizio alla fine. Vorrei poterne avere una seconda serie, perché tutto sommato mi sono affezionata ai personaggi del Quindecim. Tuttavia, sono dell'opinione che lasciato così com'è finito, sia la scelta più saggia. D'altra parte non è una serie che punta a vendere il più possibile, non è nemmeno un anime nato per soddisfare i fan di Death Billiards. Piuttosto sarebbe opportuno domandarsi se Tachikawa Yuzuru avesse già in mente questo progetto ai tempi dell'Anime Mirai e aspettasse solo l'occasione per poterlo mettere per iscritto. Death Parade è un collage di esperienze che, mostrate nel giusto ordine, trasmettono un messaggio più o meno complesso, ancora senza soluzione. Questo perché è lo sceneggiatore in primis a stare raccontando la sua catarsi, come se stesse ponendo domande a sé stesso e, assieme allo scorrere degli episodi, stesse sbrogliando la matassa e cercando la risposta. Risposta che è diversa per ogni persona. Il dissidio interiore dell'autore si riflette sui personaggi dei giudici, che sono creati per non provare sentimenti e per essere super partes. Death Parade richiama la classica querelle tra coloro che pensano all'imparzialità dei giudici come a qualcosa che non può abbinarsi all'emozione in nessun modo; e tra quelli che invece reputano giusto un verdetto soltanto quando il giudice ha provato i medesimi sentimenti dell'imputato, e può capire, quindi, maturare una visione a tutto tondo. Quando Nona, il capo di Decim, grida: «Questo mondo non può andare avanti così!», esprime l'indignazione impotente di tutti quelli che si scagliano contro l'ingiustizia della vita, e contro un universo freddo che sembra tenere poco riguardo per la nostra felicità. E lei va oltre, affermando che non è sbagliato per i giudici soffrire quando emettono un verdetto. In realtà, è di vitale importanza provare quel dolore, è ciò che rende un giudice vivo. Essere costretti ad affrontare la difficile scelta di prendere una decisione sulla pelle degli altri, è ciò che rende vivi gli abitanti del Quindecim. Lo sforzo innaturale di comprendere gli essere umani, uno sforzo penoso, spinge Decim a fare qualcosa di diverso, che nessuno in quell'aldilà ha mai fatto prima: sorridere. A volte non servono le parole, basta un sorriso per comunicare i propri sentimenti. Visione splendida ma agrodolce. La vita è una serie di compromessi. Accettare ciò che è ingiusto e crudele e fare del nostro meglio per raggiungere l'altro in maniera seppure imperfetta ma almeno efficace, è tutto quello che siamo capaci di fare. Si tratta di una semplice domanda: viviamo in modo tale da poter un giorno morire, o moriamo perché abbiamo vissuto?
In conclusione, Death Parade si propone come un'analisi della natura dell'esistenza, un'indagine sull'essenza dell'uomo. Nella mitologia di questa serie, il termine "umano" è troppo stretto, si potrebbe parlare più di sensibilità a confronto. Cosa vuol dire essere "vivo", e che cosa vuol dire essere consapevoli di sé? Che cosa succede dopo la morte al nostro corpo e alla nostra anima? Ma ancor di più, siamo fondamentalmente soli nell'universo, destinati a non essere in grado di capire chi siamo, dove siamo, perché esistiamo, chi ci ha creati, ecc.? Sarebbe bello se Dio chiudesse gli occhi dinanzi al peccato dell'uomo. Sarebbe bello che fosse ancora più indulgente nei riguardi di questo essere abominevole, che molto spesso arriva a compiere efferatezze verso i suoi simili o contro sé stesso, solo perché non sa come venir fuori da una situazione difficile. Così brutto, ma al contempo così bello. Così coinvolto, ma pure così freddo. Quando c'è mancanza di comunicazione fra gli uomini, si creano circostanze per le quali una sciocchezza può divenire qualcosa di imponente, al punto da arrivare a condizionare l'esistenza di molti. A volte basterebbe parlare, non farsi diecimila problemi in testa pensando di aver capito cos'è che prova l'altro; basterebbe cercare di entrare più in sintonia col prossimo, piuttosto che vedere solo il proprio orticello. Perché l'uomo non prova per una volta a mettersi nei panni di chi gli sta di fronte? Soprattutto bisognerebbe apprezzare di più la vita, la nostra e quella degli altri, perché è unica, nessuno può restituircela. Nel tempo corrente, quanto la vita è stata sottovalutata è incalcolabile. Lo stesso ciclo della reincarnazione garantisce la rinascita in un'altra forma, ma non fa ritornare l'uomo nello stesso luogo e tempo in cui è morto. Dopo la dipartita, molto spesso si conservano dei rimpianti, ecco perché il consiglio è di vivere la vita appieno, senza lasciar correre le occasioni, cogliendo l'attimo e sfruttando al massimo ogni momento. Il fatto che non possiamo mai raggiungere un'intesa perfetta con gli altri, non significa che non dovremmo provarci. Provare a fare felici coloro che amiamo mentre siamo insieme.
Bellissima recensione comunque!
La serie mi è piaciuta parecchio, e dire che all'inizio non ero neanche così intenzionata a vederla. Mi sono piaciuti tutti gli episodi e tutti i personaggi, di passaggio e non, gli ultimi episodi in particolare li ho trovati molto emozionanti. Forse non ricorderò questa serie tra 10 anni, ma probabilmente resterà tra le mie preferite di quest'anno.
Detto questo, ho apprezzato molto la serie e condivido l'idea che sia stata una delle migliori serie della stagione e meriti di esser vista a priori proprio perché porta a tutte le riflessioni sopra elencate, ma personalmente a livello di storia la considero una grandissima delusione per colpa dell'evoluzione degli ultimi episodi che mandano letteralmente a scatafascio quanto di buono fatto in tutti gli episodi precedenti. E' da quando ne ho finito la visione che la considero un capolavoro mancato, veramente un peccato (se volete approfondire ne parliamo nella mia scheda, qua non voglio spoilerare).
E' una serie attentissima ai dettagli, e altamente cinematografica.
Spero anch'io in una seconda serie, e in rilascio in bd di Dynit <3
Non solo l'analisi psicologica è spietatamente bella, ma anche la trama si districa in maniera sensazionale, senza cadere in troppe ripetizioni e con una forza espressiva notevole.
Mi accodo ai sostenitori di una seconda stagione
Detto ciò, ringrazio tutte le persone che l'hanno letta e che mi hanno fatto i complimenti. Death Parade è un anime stupendo, che sa tramandare un sentire tipicamente giapponese abbinato ad un messaggio universale. Concordo che ci vorrebbero più anime come questo in futuro.
@Metal
Hai ragione. Accetto il tuo appunto. La recensione era già venuta lunghissima, non sapevo dove approfondire quel passaggio, così ho preferito privilegiare il resto e fare bene (?) almeno quello. Ho sbagliato? La prossima volta farò meglio.
No sbagliato assolutamente no, ognuno ha il suo modo di scrivere e anche dei punti preferiti sul quale soffermarsi, e poi il succo di DP l'hai centrato in pieno e con molta eleganza come in tutti i tuoi scritti. Poi per questioni di lunghezza io pure ho spesso tralasciato di analizzare alcuni fattori, e per questa serie così ricca di scene memorabili (cosa non era quella del pattinaggio!) servirebbe una recensione per ogni episodio XD
La scena del pattinaggio mi fece venire le lacrime agli occhi tanto era bella! T_T
Grazie per i complimenti. Mi era parso di capire che l'avevi trovata una grossa pecca, perciò ho pensato di aver sbagliato a non privilegiare quel punto. A mia discolpa, l'ho scritto in un rigo che è realizzato benissimo dal punto di vista tecnico. u_u
Alla fine Death Parade è per me uno di quegli anime di cui è difficile fare un discorso unico, ci sono così tante cose da dire che potrei star lì a parlare per ore...
Uh vero! Allora sono un po' "ciecato", o me ne sono dimenticato nel proseguimento della lettura due sintomi di vecchiaia
Non ti preoccupare. Alla fine era un rigo e la recensione è lunga.
Io credo che tu debba continuare a scrivere senza farti troppi problemi, tirando fuori quello che senti e affrontando e approfondendo maggiormente le tematiche che ritieni più opportune, perché sei dannatamente brava in questo.
Insomma continua così e complimenti ancora per questa bellissima recensione.
Tralasciando le mie convinzioni in ambito metafisico, che non interessano a nessuno, quello che per ora non mi convince dell'opera è una caratterizzazione psicologica che mi lascia piuttosto perplesso. Va bene che, come affermano i giudici, "bisogna far venire a galla e soppesare" l'oscurità dell'uomo (cosa che, a ben guardare, è già un giudizio aprioristico; un giudice del post-mortem dovrebbe essere al di là del bene e del male), ma le reazioni degli imputati alle assurde proposte di Decim mi sembrano eccessivamente compiacenti, per poi esplodere con modalità fin troppo plateali durante il gioco, giungendo ad eccessi parossistici. E' un aspetto che per ora non mi ha fatto apprezzare appieno gli sviluppi presentati, verso cui non nego comunque un certo coinvolgimento emotivo.
Ma può essere che nella seconda metà cambi registro, per cui per ora sospendo qualsiasi giudizio!
È una serie da vedere più e più volte, la consiglio a tutti.
Death Parade i suoi difetti ce li ha, ma è davvero un bell'anime, ho deciso di assegnargli 9 su 10 (prima o poi scriverò una recensione, è da un sacco che non ne pubblico una) per un motivo molto molto semplice: ti fa riflettere! Raramente infatti ho avuto sensazioni così contrastanti dopo la visione di ogni singolo episodio di un anime.
Proprio sul suicidio vorrei spendere qualche parola, senza fare spoiler. Io sono cattolico di cultura, non praticante, ma (anche per motivi personali) trovo il suicidio una cosa aberrante, allucinante, che non bisogna fare mai e poi mai. Ebbene, durante la visione di Death Parade sono rimasto un po' deluso dal fatto che ad alcuni personaggi venga concessa la reincarnazione (se così va interpretata) pur essendosi macchiati di una così grave colpa, una seconda possibilità a qualcuno che si è suicidato non gliela concederei mai!
Ripeto, queste sono solo opinioni personali in merito alla questione .
Anche in questo caso non so perché mi si viene detto che non mi sono concentrata sull'opera. A parte il pezzo finale, che forse è stato scritto in maniera più libera rispetto al resto, ho nominato il titolo Death Parade una marea di volte nel corso del testo. Le mie riflessioni sono mie - e va bene!-, ma sono nate da cose che nell'anime (per quanto mi riguarda) ci sono. Com'è che quindi non ho parlato dell'opera? A me non sembra che questa recensione sia molto diversa dalle altre che ho scritto, forse è solo un po' più intimista. Tutto qui. Se mi si viene data libertà di scrittura, io tendo ad uscire dal classico schema, cercando di fare mia sia l'opera sia il modello. Scrivere è un po' come cantare, più o meno.
Detto ciò, spero potrai apprezzarlo in seguito. Gli episodi finali io li ho trovati bellissimi.
la prima parte troppo monotona sulle linee dell'oav e la storia non decolla come i personaggi alquanto piatti e alcuni irritanti,poi si arriva alla puntata 6/7 dove tutto prende una piega decisamente diversa,inizia ad uscire la trama e tutti personaggi diventano molto più belli e il finale è molto bello
Bella la storia, emozionante sulla fine ma tutta la parte dei giudizi era abbastanza ripetitiva se non per stranezze che cambiavano il verdetto.
Per quanto riguarda i personaggi hanno fatto da decorazione a tutta la storia vendendo usati per alleggerire i continui verdetti.
Poi chiaramente senza un seguito che possa aver modo di sviscerare maggiori informazioni o sfumature sui personaggi è stato semplicemente un incipit.
Non sono una persona che ricerca grosse interpretazioni, mi basta molto poco per essere contento.
Sicuramente ce lo troveremo nei Nekoawards, e potrebbe pure esserne il protagonista...e non ne nascondo l'amarezza.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.