Riprendiamo la rubrica in cui presentare le opere più apprezzate dai recensori di AnimeClick.it di un determinato periodo, filone o genere.
In questo appuntamento raccogliamo tutti i manga di genere sentimentale. Per l'inserimento in questa classifica non si è ritenuto obbligatorio che quello sentimentale rappresentasse l'elemento principale dell'opera, bensì è stato considerato sufficiente che svolgesse un ruolo importante.
A seguire, una raccolta di recensioni di alcuni dei titoli in classifica.
Siete d'accordo con la classifica? Oppure ci sono opere sopravvalutato o manca qualche titolone imperdibile?
In questo appuntamento raccogliamo tutti i manga di genere sentimentale. Per l'inserimento in questa classifica non si è ritenuto obbligatorio che quello sentimentale rappresentasse l'elemento principale dell'opera, bensì è stato considerato sufficiente che svolgesse un ruolo importante.
A seguire, una raccolta di recensioni di alcuni dei titoli in classifica.
Siete d'accordo con la classifica? Oppure ci sono opere sopravvalutato o manca qualche titolone imperdibile?
Recensione di Shinkurose
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Alcune puntate dell'anime, dal sapore fresco e comico, erano bastate a incuriosirmi a tal punto da comprare l'intera serie, spinta da chissà quale senso di fiducia in quell'idol tutto pepe ribattezzata Rossana nella serie italiana.
Ma mai avrei immaginato che la lettura di questo manga avrebbe rappresentato una delle scoperte più belle non solo all'interno del vasto - ma, amaramente, poco variegato - panorama dei manga Shojo, ma della mia vita.
I personaggi della Maestra Obana vestono tutti i colori della quotidianità, nella loro talora singolare talora corale "Odissea" che li accompagna verso l'adolescenza. In questa storia può senza alcuna forzatura rispecchiarsi almeno un frammento di ognuno di noi.
Ciò che abbiamo di fronte con Kodomo no Omocha sono bambini di un'autenticità che mai più ho trovato leggendo un manga. Sono bambini, con la consapevolezza di poter essere adulti anche nelle situazioni più delicate. Un'emotività e lucidità dalla forza sorprendente. Sono bambini che portano cicatrici e risate sullo stesso corpo, risultando credibili, e impossibili da non amare.
Sonore risate e calde lacrime su questo manga dai personaggi con i corpi sottili e gli occhi incredibilmente espressivi.
La piccola grande Sana, con la sua vulcanica personalità, una vitalità inesauribile in risposta al suo destino non sempre generoso, e Akito con la sua sensibilità burbera e pura e già alle spalle un passato non solo da ricordare, ma da sopportare, sono i personaggi dei quali non ho potuto far a meno di innamorarmi.
Lasciatevi guidare da Miho Obana, entrate in punta di piedi in questo scorcio di vita che non smette mai di affascinare per le sue sfumature, offerto agli occhi del lettore così delicatamente e nello stesso tempo incisivamente. Un ossimoro raro e irripetibile.
Ma mai avrei immaginato che la lettura di questo manga avrebbe rappresentato una delle scoperte più belle non solo all'interno del vasto - ma, amaramente, poco variegato - panorama dei manga Shojo, ma della mia vita.
I personaggi della Maestra Obana vestono tutti i colori della quotidianità, nella loro talora singolare talora corale "Odissea" che li accompagna verso l'adolescenza. In questa storia può senza alcuna forzatura rispecchiarsi almeno un frammento di ognuno di noi.
Ciò che abbiamo di fronte con Kodomo no Omocha sono bambini di un'autenticità che mai più ho trovato leggendo un manga. Sono bambini, con la consapevolezza di poter essere adulti anche nelle situazioni più delicate. Un'emotività e lucidità dalla forza sorprendente. Sono bambini che portano cicatrici e risate sullo stesso corpo, risultando credibili, e impossibili da non amare.
Sonore risate e calde lacrime su questo manga dai personaggi con i corpi sottili e gli occhi incredibilmente espressivi.
La piccola grande Sana, con la sua vulcanica personalità, una vitalità inesauribile in risposta al suo destino non sempre generoso, e Akito con la sua sensibilità burbera e pura e già alle spalle un passato non solo da ricordare, ma da sopportare, sono i personaggi dei quali non ho potuto far a meno di innamorarmi.
Lasciatevi guidare da Miho Obana, entrate in punta di piedi in questo scorcio di vita che non smette mai di affascinare per le sue sfumature, offerto agli occhi del lettore così delicatamente e nello stesso tempo incisivamente. Un ossimoro raro e irripetibile.
Recensione di AkiraSakura
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Non avevo mai conosciuto una tale calma.
La platea diventava il fondo del mare.
Davanti ai miei occhi si stendeva il silenzio.
Dove mi trovo?
Chi sono?
Avevo consapevolezza di me stessa, la mia anima si era risvegliata.
[Osserva il riflettore]
Quella è la luce della Luna.
Fluttuo nell'aria come se fossi nell'acqua.
Vibro nella luce come se fossi nel vento.
D'un tratto avevo la sensazione di udire la voce degli dei.
Il vento e io eravamo la stessa cosa.
Il fuoco e io eravamo la stessa cosa.
L'acqua e io eravamo la stessa cosa.
La terra e io eravamo la stessa cosa.
Gli alberi, l'erba e io eravamo la stessa cosa.
Gli animali, gli insetti e io eravamo la stessa cosa.
I pesci e io eravamo la stessa cosa.
Gli uccelli e io eravamo la stessa cosa.
Le montagne e io eravamo la stessa cosa.
Il cielo e io eravamo la stessa cosa.
Il mare e io eravamo la stessa cosa.
Il sole e io eravamo la stessa cosa.
Le stelle e io eravamo la stessa cosa.
Lo spazio e io eravamo la stessa cosa.
Esseri nel medesimo mare della vita, con la stessa anima.
Tutte le creature e io eravamo la stessa cosa.
Questi pensieri mi entravano nel petto come la luce, senza parole e senza logica; come se improvvisamente una luce nelle tenebre ti facesse vedere per un attimo il mondo vero.
Quella luce, diventata pensiero, usciva a fiotti da tutto il mio corpo.
L'anima appariva come vita, e ancora la vita si nascondeva nell'anima.
Senza tempo, viaggiavo nell'eternità.
La gente non vede il mio aspetto.
Non sa che il creato ha vita.
Non sa che lo spirito delle creature e delle persone ha la stessa origine comune.
Anime addormentate, astute e sciocche!
Prestate orecchio al suono del cielo!
Ascoltate le parole della Terra!
Il vento è il mio cuore!
Il fuoco la mia forza!
L'acqua la mia vita!
La Terra il mio amore!
Sbocciate, fiori scarlatti della vita millenaria!- L'attrice Chigusa Tsukikage raggiunge l'illuminazione interpretando il capolavoro teatrale denominato La Dea Scarlatta.
E' difficile rendere l'idea della vastità, del carisma e della profondità di un capolavoro come "Glass no Kamen". Si tratta di una di quelle opere inarrivabili che sono state in grado di elevare a livelli superiori i rispettivi media di appartenenza, passando alla storia dopo un imperituro successo di critica e di pubblico. "La Maschera di Vetro", ancora oggi capolavoro incompleto, ha completamente assorbito l'intera vita della sua autrice, snodandosi con innata grazia nel corso di numerosi anni in un crescendo continuo di bellezza e pathos, partendo da basi apparentemente ordinarie per poi elevarsi sempre di più, da una parte scandagliando l'animo umano con arguto ingegno, dall'altra rappresentando allegoricamente il bisogno di assoluto tipico dell'uomo, quel contatto con l'ignoto e con la totalità delle cose ormai perduto: la Dea Scarlatta, la rappresentazione delle rappresentazioni, il punto all'infinito verso cui tendono tutte le innumerevoli maschere indossate nel corso della propria mera esperienza di vita. Il teatro diventa quindi metafora dell'esistenza, in "Glass no Kamen", e lo spettacolo finale che lega come un filo impercettibile tutte le persone e le cose assume inevitabilmente dei connotati divini, sovrumani, impenetrabili.
Ma ora, prima di compiere un'analisi più profonda dell'opera, ne riporto di seguito una breve sinossi. Maya Kitajima è una ragazza come tante, la quale nutre una smisurata passione per il teatro; un giorno, la leggendaria attrice Chigusa Tsukikage ne riconosce l'innato talento, e decide di prenderla come sua allieva; il potenziale di Maya è enorme, e il suo stile di recitazione a dir poco geniale le permetterà di ottenere fin da subito enormi risultati, permettendole di confrontarsi direttamente sulle scene con Ayumi Himekawa, altro genio della recitazione che diventerà la sua indiscussa rivale. Entrambe le ragazze, dopo varie peripezie, verranno candidate come protagoniste della Dea Scarlatta di Ichiren, il mentore scomparso di Chigusa Tsukikage, e verranno guidate lungo tale percorso da quest'ultima, l'unica attrice esistente ad aver interpretato in passato la suddetta opera teatrale (prima che la sua carriera fosse stroncata da un incidente sul palcoscenico che la sfigurò). Per raggiungere il loro scopo, Maya e Ayumi dovranno recitare in numerosissimi ruoli completamente diversi, perfezionandosi e affrontando le numerose difficoltà presenti nel competitivo ambiente teatrale giapponese; in particolare Maya dovrà gestire il suo tormentato rapporto con il - quantomeno nell'apparenza - freddo e cinico produttore della Daito Productions, Masumi Ayami; sacrificare la propria vita privata sull'altare del teatro; trovare la forza di rialzarsi ogni volta che avrà perso tutto, dato che più volte il mondo reale non esiterà a distruggerla e a stroncare il suo sogno sul nascere.
Le idee alla base dell'evergreen di Suzue Miuchi sono affini allo shoujo e allo spokon d'autore degli anni settanta; sono riconoscibili alcuni rimandi al classico "Candy Candy" di Yumiko Igarashi (si pensi al percorso di crescita della protagonista, alle cattiverie femminili cliché, all'ammiratore misterioso che agisce nell'ombra), nonché a opere seminali del calibro di "Ace wo Nerae" (gli allenamenti sfiancanti imposti dal cosiddetto "allenatore demone", l'apparentemente irraggiungibile rivale dall'innata beltà e dal grande carisma). Ciò premesso, la cosa che rende "Glass no Kamen" superiore agli altri shoujo dell'epoca è la profondità con cui vengono delineati i personaggi principali, sopratutto dal punto di vista psicologico, e la generale maestria con la quale l'autrice riesce a rendere la sua opera una grande allegoria in cui s'intrecciano tra loro tematiche decisamente profonde quali la verità e il suo rapporto con la finzione, le maschere che regolano i rapporti tra persone, il legame che unisce l'uomo all'arte; quell'arte che, sia all'interno del manga che all'esterno, nella vita della sua autrice, diventa l'unico mezzo in grado di elevare l'artista a divinità, aprendogli un varco verso quell'assoluto impossibile da discernere in un mondo in cui gli uomini hanno dimenticato l'intimo contatto con la sostanza delle cose, e si sono rifugiati in una tetra società basata sull'apparenza, sul caos, sull'omologazione, sul cinismo e sulla competizione fine a se stessa.
Nessuno degli abitanti di questa metropoli crede nella Dea Scarlatta.
Non riescono a crederci.
La Dea Scarlatta può esistere soltanto sul palcoscenico di un teatro.
Una volta finito lo spettacolo, svanisce come un sogno.
L'animo e le parole della Dea Scarlatta non possono sopravvivere nel mondo reale.
Maya, fammi credere nella Dea Scarlatta!- Masumi Ayami si rivolge a Maya Kitajima
Indubbiamente, come accennavo in precedenza, i protagonisti di "Glass no Kamen" sono ineccepibili: la stessa Maya, nonostante sia una ragazza nella media, una volta salita sul palco si trasforma completamente, riuscendo a rapire sia il suo pubblico che il lettore con interpretazioni pregne di una raggiante carica emotiva. D'altro canto, se Maya possiede un talento basato esclusivamente sull'istinto e sulla sensibilità necessaria a cogliere completamente l'animo dei personaggi da interpretare (non per nulla la sua maestra di teatro e di vita, Chigusa Tsukikage, l'ha fin da subito impostata con il metodo Stanislavskij), la sua rivale Ayumi Himekawa si affida completamente al ragionamento e alla tecnica recitativa tout court, dimostrando capacità altrettanto straordinarie, sebbene di natura differente. Le caratteristiche delle due rivali sono perfettamente in linea col loro background; Maya infatti viene dalle strade, e deve emergere versando un elevato tributo di lacrime e sangue: da qui la sua semplicità di "ragazza della porta accanto" dal talento prevalentemente istintivo e oltremodo viscerale; Ayumi, invece, è la figlia d'arte di una grande attrice e di un altrettanto celebre regista, e non ha mai conosciuto emozioni forti come Maya, dacché la sua vita agiata non le ha permesso di vivere la vera collera, la vera disfatta, la vera sofferenza. Ma la grandezza del personaggio di Ayumi è comunque indiscutibile, e la si comprende quando ella si sottopone a prove sfiancanti al limite dell'ascetismo coadiuvate da un totale rifiuto dei privilegi annessi alla sua condizione sociale. Detto ciò, quello che a mio avviso si presenta come il personaggio meglio riuscito dell'opera è Chigusa Tsukikage, la prima - e forse l'unica - Dea Scarlatta della storia; una temibile insegnante dall'enorme carisma, tanto dura e spietata quanto saggia ed irremovibile. La Tsukikage è una vera e propria guida spirituale per tutti i protagonisti, nonché l'inossidabile figura attorno alla quale ruotano tutte le vicende del manga.
In "Glass no Kamen" i rapporti tra personaggi, allo stesso modo delle dinamiche teatrali, sono vincolati da una maschera; ognuno deve indossare una maschera, altrimenti la sua vera essenza si rivelerebbe inappropriata all'ambiente circostante e all'imprinting degli individui che lo popolano. Ad esempio, dietro alla facciata brillante e irraggiungibile della bellissima Ayumi Himekawa è presente una persona tormentata dal genio di Maya Kitajima e inondata da un sentimento di amore/odio nei suoi confronti; inoltre, particolarmente significative sono le dinamiche tra Maya Kitajima e il suo ammiratore delle "Rose Scarlatte", Masumi Ayami, freddo e irriverente produttore odiato dalla protagonista e allo stesso tempo innamorato di lei; in questo caso, per il suddetto, la maschera pregna di cinismo è necessaria al fine di gestire il rapporto tormentato col padre, ad affrontare lo spietato mondo degli affari tipico del boom economico giapponese e a provocare Maya nei suoi momenti di debolezza, al fine di riaccendere in lei lo spirito combattivo necessario per superare le avversità della vita. Da una parte egli svolge un ruolo odioso, mentre dall'altra si rivela un benefattore gentile e sinceramente innamorato della sua musa ispiratrice. Nel momento in cui le maschere cadranno, gli eventi indotti dai meccanismi con cui funziona la società puniranno gli attori, li metteranno a nudo e li scherniranno, esattamente come s'essi fossero dei prigionieri rinchiusi in un teatro vuoto, gramo, in cui è impossibile elevarsi a qualcosa di superiore; a questo punto, l'unica via di salvezza rimane l'arte: soltanto sul palcoscenico si può amare veramente, con tutta l'anima, diventando degli esseri completi (si pensi all'amore di Ichiren per la Tsukikage, reso magistralmente in uno dei momenti più intensi del manga, ovvero quello in cui viene svelato il passato della grande attrice).
Tira fuori il coraggio e va' avanti, Maya!
Anche se dovessi rimanere ferita, dopo capirai certamente cosa significa essere nati per amare.
Gioia, tristezza, sofferenza, angoscia e tormento d'amore.
Tutti i sentimenti che scaturiranno dal profondo del tuo cuore alla fine ti serviranno per la Dea Scarlatta! - Chigusa Tsukikage si rivolge a Maya Kitajima
La commistione tra shintoismo e buddhismo rappresentata dall'autrice - sia allegoricamente che esplicitamente - è pregna di un enorme fascino squisitamente orientale; spesso la Dea Scarlatta viene paragonata al Buddha, ma allo stesso tempo è lo spirito dell'albero di susino, ed ergo assume dei connotati animistici tipicamente shinto. Le stesse parole della Tsukikage di cui sopra sono un'esaltazione della forza delle passioni e della loro importanza nell'autorealizzazione del Sé, cosa molto più vicina allo shintoismo che al buddhismo; ma il punto sostanziale nelle speculazioni della Miuchi risiede nella corrente di pensiero orientale da cui shintoismo e buddhismo traggono ispirazione: il Taoismo cinese, la dottrina dell'azione nella non-azione. Il "diventare Buddha" e il "diventare pianta" sono aspetti equivalenti della Dea Scarlatta, ed entrambi sono caratterizzati dall'annullamento del sé e dall'abbandono del limitato ego umano in favore della percezione della totalità delle cose. La Dea Scarlatta è quindi un'emanazione del non-essere, ovvero il principio primo che anima l'universo, il cosiddetto Tao. L'utilizzo della simbologia dello Yin e dello Yang adoperata dall'autrice e i vari rimandi alla religione taoista sono molto precisi e allo stesso tempo gradevolmente estetizzati; durante il corso degli eventi, inoltre, l'annullamento del sé diventa un leitmotiv ricorrente: esemplare è un episodio all'inizio del manga in cui Maya deve interpretare una bambola; e giacché ella durante le prove non riesce ad annullare il suo ego al fine d'immedesimarsi completamente in tale difficile ruolo, per necessità viene mandata dalla Tsukikage a meditare presso un monaco buddhista Zen. Saranno parecchi gli spettacoli in cui Maya dovrà progredire spiritualmente al fine di riuscire a immedesimarsi nei suoi personaggi, sopratutto quelli che richiedono una marcata rinuncia a sé stessi e una percezione differente, volendo sovrumana, della realtà circostante: si pensi a Helen Keller, la sordo-cieca protagonista di "Anna dei miracoli", o alla ragazza-lupo Jane di "Lande Dimenticate". Rimanendo in tema, molto suggestiva è la storia dello scultore Kaikei, nella quale il giovane attore Sakurakoji, dovendo interpretare la parte dello scultore nella Dea Scarlatta, decide di osservare il lavoro quotidiano di un vero sculture di statue sacre del Buddha. In questo strano percorso - sia interiore che esteriore - Sakurakoji osserva che ogni singola azione di Kaikei - cura del giardino, crescita dei figli, lavoro presso il municipio del paese, ricerca del contatto umano - per quanto sembri banale è invero rivolta alla ricerca dell'equilibrio e dell'armonia. Lo scultore, giunta la domenica, si ritira in silenzio e osserva per ore il blocco di legno inanimato che diventerà la sua statua, confidando di sentire una voce chiamarlo dall'interno di esso: e la creazione artistica diventa quindi frutto dell'annullamento del sé: non è l'artista che modifica attivamente il legno al fine di ricavarne una statua, ma è la statua stessa all'interno del legno che comunica la sua forma allo scultore. Per un occidentale questo fatto potrebbe rivelarsi alquanto bizzarro, ma dal punto di vista del pensiero orientale è un'allegoria molto profonda del processo di "creazione" di una determinata cosa. L'intuizione assoluta dell'oggetto artistico è il frutto della propria esperienza di vita: Kaikei ha imparato a comunicare con il pezzo di legno che deve incidere, ma per far ciò ha dovuto diventare a sua volta un pezzo di legno, annullando sé stesso e l'invadenza autoreferenziale dell'ego. Ma il pezzo di legno è allo stesso tempo il Buddha, e anche lo scultore a questo punto è diventato Buddha, allo stesso modo di quanto accade nel caso della Dea Scarlatta: diventare l'albero di susino equivale a raggiungere l'illuminazione. Le spirali emozionali agitate dalle passioni non sono necessariamente negative, ma vanno assimilate e comprese, in quanto sono anch'esse parte integrante del percorso che conduce al Tao.
Yin e Yang, ovvero antitesi e sintesi che formano un tutt'uno indivisibile. Anche l'amore sovrumano e sostanziale della Dea Scarlatta è influenzato da questa corrente di pensiero, e la Miuchi riesce a trasmettere pienamente la sostanza delle sue speculazioni genuinamente orientali attraverso parallelismi e metafore ineccepibili.
Nell'approcciarsi a "Glass no Kamen" si palesa istantaneamente il marcato perfezionismo dell'autrice, la quale, a dire il vero, ha utilizzato questo pretesto anche al fine di giustificare la sua estrema lentezza nella stesura del suddetto. Dal punto di vista grafico il tratto della Miuchi si dimostra elegante ed armonioso, e i personaggi risultano molto espressivi, sia nei movimenti del corpo che negli sguardi (celebre è l'artificio tipico dell'autrice di non disegnare i bulbi oculari al fine di far assumere ai suoi personaggi inquietanti connotati intimamente connessi alle loro forti emozioni). La cultura teatrale della Miuchi è sorprendente, e ogni singola rappresentazione non risulta affatto tediosa, ma avvincente e appassionante; addirittura una persona completamente disinteressata al palcoscenico come il sottoscritto ha dovuto ricredersi, e provare una forte empatia per la "finzione nella finzione" che caratterizza il manga, il quale trasuda una sincera passione per l'arte da ogni singola pagina. La sceneggiatura è estremamente incalzante, sia nelle numerose rappresentazioni teatrali - le quali compongono la maggior parte dell'opera - che nel "mondo reale" nel quale si muovono i personaggi, con le loro passioni ed ambizioni; inoltre, al termine di ogni volume è immancabile il classico cliffhanger in grado di catturare al massimo l'interesse del lettore. Ciononostante, tutte queste ottime premesse, coadiuvate da appassionate analisi dense di profondità quanto mai degne di un grande capolavoro, a parer mio sono calzanti sino al quarantesimo volume del manga (la rappresentazione della Dea Scarlatta ad opera di Chigusa Tsukikage), dopodiché "Glass no Kamen", che si era dimostrato sempre più serrato, profondo e carismatico di volume in volume - sino a diventare a parer mio un'opera omnia, una sorta di "Siddharta" a fumetti -, forse a causa della mancanza d'ispirazione e all'indolenza dell'autrice, subisce un netto certo calo qualitativo, trasformandosi in una classica soap opera marchiata a fuoco da tutti i banalissimi cliché del genere. Ed ecco che, superata la quarantina di volumi, la storia d'amore tra Maya Kitajima e Masumi Ayami diventa goffa, a tratti caricaturale, minacciata dalla follia e dai ricatti della fidanzata di lui; il teatro e gli aspetti religiosi del manga vengono messi in secondo piano, a favore di una continua stagnazione delle vicende che non fa altro che rimandare il finale con inutili artifici e altre ridondanti inezie decisamente fuori luogo; a questo punto, a mio avviso, sarebbe stato meglio lasciare "Glass no Kamen" allegoricamente incompleto al quarantesimo volume: sarebbe stato più che coerente, dacché in fondo, prima di tale inarrivabile traguardo, era già stato detto tutto quello che c'era da dire.
In conclusione, usando un noto aforisma di Paulo Coelho, non è la meta che conta, ma il cammino che si compie per raggiungerla; in questo senso, tralasciando la recente secca creativa dell'autrice, per me "Glass no Kamen" è un grande capolavoro, uno dei più grandi della storia del fumetto mondiale.
La platea diventava il fondo del mare.
Davanti ai miei occhi si stendeva il silenzio.
Dove mi trovo?
Chi sono?
Avevo consapevolezza di me stessa, la mia anima si era risvegliata.
[Osserva il riflettore]
Quella è la luce della Luna.
Fluttuo nell'aria come se fossi nell'acqua.
Vibro nella luce come se fossi nel vento.
D'un tratto avevo la sensazione di udire la voce degli dei.
Il vento e io eravamo la stessa cosa.
Il fuoco e io eravamo la stessa cosa.
L'acqua e io eravamo la stessa cosa.
La terra e io eravamo la stessa cosa.
Gli alberi, l'erba e io eravamo la stessa cosa.
Gli animali, gli insetti e io eravamo la stessa cosa.
I pesci e io eravamo la stessa cosa.
Gli uccelli e io eravamo la stessa cosa.
Le montagne e io eravamo la stessa cosa.
Il cielo e io eravamo la stessa cosa.
Il mare e io eravamo la stessa cosa.
Il sole e io eravamo la stessa cosa.
Le stelle e io eravamo la stessa cosa.
Lo spazio e io eravamo la stessa cosa.
Esseri nel medesimo mare della vita, con la stessa anima.
Tutte le creature e io eravamo la stessa cosa.
Questi pensieri mi entravano nel petto come la luce, senza parole e senza logica; come se improvvisamente una luce nelle tenebre ti facesse vedere per un attimo il mondo vero.
Quella luce, diventata pensiero, usciva a fiotti da tutto il mio corpo.
L'anima appariva come vita, e ancora la vita si nascondeva nell'anima.
Senza tempo, viaggiavo nell'eternità.
La gente non vede il mio aspetto.
Non sa che il creato ha vita.
Non sa che lo spirito delle creature e delle persone ha la stessa origine comune.
Anime addormentate, astute e sciocche!
Prestate orecchio al suono del cielo!
Ascoltate le parole della Terra!
Il vento è il mio cuore!
Il fuoco la mia forza!
L'acqua la mia vita!
La Terra il mio amore!
Sbocciate, fiori scarlatti della vita millenaria!- L'attrice Chigusa Tsukikage raggiunge l'illuminazione interpretando il capolavoro teatrale denominato La Dea Scarlatta.
E' difficile rendere l'idea della vastità, del carisma e della profondità di un capolavoro come "Glass no Kamen". Si tratta di una di quelle opere inarrivabili che sono state in grado di elevare a livelli superiori i rispettivi media di appartenenza, passando alla storia dopo un imperituro successo di critica e di pubblico. "La Maschera di Vetro", ancora oggi capolavoro incompleto, ha completamente assorbito l'intera vita della sua autrice, snodandosi con innata grazia nel corso di numerosi anni in un crescendo continuo di bellezza e pathos, partendo da basi apparentemente ordinarie per poi elevarsi sempre di più, da una parte scandagliando l'animo umano con arguto ingegno, dall'altra rappresentando allegoricamente il bisogno di assoluto tipico dell'uomo, quel contatto con l'ignoto e con la totalità delle cose ormai perduto: la Dea Scarlatta, la rappresentazione delle rappresentazioni, il punto all'infinito verso cui tendono tutte le innumerevoli maschere indossate nel corso della propria mera esperienza di vita. Il teatro diventa quindi metafora dell'esistenza, in "Glass no Kamen", e lo spettacolo finale che lega come un filo impercettibile tutte le persone e le cose assume inevitabilmente dei connotati divini, sovrumani, impenetrabili.
Ma ora, prima di compiere un'analisi più profonda dell'opera, ne riporto di seguito una breve sinossi. Maya Kitajima è una ragazza come tante, la quale nutre una smisurata passione per il teatro; un giorno, la leggendaria attrice Chigusa Tsukikage ne riconosce l'innato talento, e decide di prenderla come sua allieva; il potenziale di Maya è enorme, e il suo stile di recitazione a dir poco geniale le permetterà di ottenere fin da subito enormi risultati, permettendole di confrontarsi direttamente sulle scene con Ayumi Himekawa, altro genio della recitazione che diventerà la sua indiscussa rivale. Entrambe le ragazze, dopo varie peripezie, verranno candidate come protagoniste della Dea Scarlatta di Ichiren, il mentore scomparso di Chigusa Tsukikage, e verranno guidate lungo tale percorso da quest'ultima, l'unica attrice esistente ad aver interpretato in passato la suddetta opera teatrale (prima che la sua carriera fosse stroncata da un incidente sul palcoscenico che la sfigurò). Per raggiungere il loro scopo, Maya e Ayumi dovranno recitare in numerosissimi ruoli completamente diversi, perfezionandosi e affrontando le numerose difficoltà presenti nel competitivo ambiente teatrale giapponese; in particolare Maya dovrà gestire il suo tormentato rapporto con il - quantomeno nell'apparenza - freddo e cinico produttore della Daito Productions, Masumi Ayami; sacrificare la propria vita privata sull'altare del teatro; trovare la forza di rialzarsi ogni volta che avrà perso tutto, dato che più volte il mondo reale non esiterà a distruggerla e a stroncare il suo sogno sul nascere.
Le idee alla base dell'evergreen di Suzue Miuchi sono affini allo shoujo e allo spokon d'autore degli anni settanta; sono riconoscibili alcuni rimandi al classico "Candy Candy" di Yumiko Igarashi (si pensi al percorso di crescita della protagonista, alle cattiverie femminili cliché, all'ammiratore misterioso che agisce nell'ombra), nonché a opere seminali del calibro di "Ace wo Nerae" (gli allenamenti sfiancanti imposti dal cosiddetto "allenatore demone", l'apparentemente irraggiungibile rivale dall'innata beltà e dal grande carisma). Ciò premesso, la cosa che rende "Glass no Kamen" superiore agli altri shoujo dell'epoca è la profondità con cui vengono delineati i personaggi principali, sopratutto dal punto di vista psicologico, e la generale maestria con la quale l'autrice riesce a rendere la sua opera una grande allegoria in cui s'intrecciano tra loro tematiche decisamente profonde quali la verità e il suo rapporto con la finzione, le maschere che regolano i rapporti tra persone, il legame che unisce l'uomo all'arte; quell'arte che, sia all'interno del manga che all'esterno, nella vita della sua autrice, diventa l'unico mezzo in grado di elevare l'artista a divinità, aprendogli un varco verso quell'assoluto impossibile da discernere in un mondo in cui gli uomini hanno dimenticato l'intimo contatto con la sostanza delle cose, e si sono rifugiati in una tetra società basata sull'apparenza, sul caos, sull'omologazione, sul cinismo e sulla competizione fine a se stessa.
Nessuno degli abitanti di questa metropoli crede nella Dea Scarlatta.
Non riescono a crederci.
La Dea Scarlatta può esistere soltanto sul palcoscenico di un teatro.
Una volta finito lo spettacolo, svanisce come un sogno.
L'animo e le parole della Dea Scarlatta non possono sopravvivere nel mondo reale.
Maya, fammi credere nella Dea Scarlatta!- Masumi Ayami si rivolge a Maya Kitajima
Indubbiamente, come accennavo in precedenza, i protagonisti di "Glass no Kamen" sono ineccepibili: la stessa Maya, nonostante sia una ragazza nella media, una volta salita sul palco si trasforma completamente, riuscendo a rapire sia il suo pubblico che il lettore con interpretazioni pregne di una raggiante carica emotiva. D'altro canto, se Maya possiede un talento basato esclusivamente sull'istinto e sulla sensibilità necessaria a cogliere completamente l'animo dei personaggi da interpretare (non per nulla la sua maestra di teatro e di vita, Chigusa Tsukikage, l'ha fin da subito impostata con il metodo Stanislavskij), la sua rivale Ayumi Himekawa si affida completamente al ragionamento e alla tecnica recitativa tout court, dimostrando capacità altrettanto straordinarie, sebbene di natura differente. Le caratteristiche delle due rivali sono perfettamente in linea col loro background; Maya infatti viene dalle strade, e deve emergere versando un elevato tributo di lacrime e sangue: da qui la sua semplicità di "ragazza della porta accanto" dal talento prevalentemente istintivo e oltremodo viscerale; Ayumi, invece, è la figlia d'arte di una grande attrice e di un altrettanto celebre regista, e non ha mai conosciuto emozioni forti come Maya, dacché la sua vita agiata non le ha permesso di vivere la vera collera, la vera disfatta, la vera sofferenza. Ma la grandezza del personaggio di Ayumi è comunque indiscutibile, e la si comprende quando ella si sottopone a prove sfiancanti al limite dell'ascetismo coadiuvate da un totale rifiuto dei privilegi annessi alla sua condizione sociale. Detto ciò, quello che a mio avviso si presenta come il personaggio meglio riuscito dell'opera è Chigusa Tsukikage, la prima - e forse l'unica - Dea Scarlatta della storia; una temibile insegnante dall'enorme carisma, tanto dura e spietata quanto saggia ed irremovibile. La Tsukikage è una vera e propria guida spirituale per tutti i protagonisti, nonché l'inossidabile figura attorno alla quale ruotano tutte le vicende del manga.
In "Glass no Kamen" i rapporti tra personaggi, allo stesso modo delle dinamiche teatrali, sono vincolati da una maschera; ognuno deve indossare una maschera, altrimenti la sua vera essenza si rivelerebbe inappropriata all'ambiente circostante e all'imprinting degli individui che lo popolano. Ad esempio, dietro alla facciata brillante e irraggiungibile della bellissima Ayumi Himekawa è presente una persona tormentata dal genio di Maya Kitajima e inondata da un sentimento di amore/odio nei suoi confronti; inoltre, particolarmente significative sono le dinamiche tra Maya Kitajima e il suo ammiratore delle "Rose Scarlatte", Masumi Ayami, freddo e irriverente produttore odiato dalla protagonista e allo stesso tempo innamorato di lei; in questo caso, per il suddetto, la maschera pregna di cinismo è necessaria al fine di gestire il rapporto tormentato col padre, ad affrontare lo spietato mondo degli affari tipico del boom economico giapponese e a provocare Maya nei suoi momenti di debolezza, al fine di riaccendere in lei lo spirito combattivo necessario per superare le avversità della vita. Da una parte egli svolge un ruolo odioso, mentre dall'altra si rivela un benefattore gentile e sinceramente innamorato della sua musa ispiratrice. Nel momento in cui le maschere cadranno, gli eventi indotti dai meccanismi con cui funziona la società puniranno gli attori, li metteranno a nudo e li scherniranno, esattamente come s'essi fossero dei prigionieri rinchiusi in un teatro vuoto, gramo, in cui è impossibile elevarsi a qualcosa di superiore; a questo punto, l'unica via di salvezza rimane l'arte: soltanto sul palcoscenico si può amare veramente, con tutta l'anima, diventando degli esseri completi (si pensi all'amore di Ichiren per la Tsukikage, reso magistralmente in uno dei momenti più intensi del manga, ovvero quello in cui viene svelato il passato della grande attrice).
Tira fuori il coraggio e va' avanti, Maya!
Anche se dovessi rimanere ferita, dopo capirai certamente cosa significa essere nati per amare.
Gioia, tristezza, sofferenza, angoscia e tormento d'amore.
Tutti i sentimenti che scaturiranno dal profondo del tuo cuore alla fine ti serviranno per la Dea Scarlatta! - Chigusa Tsukikage si rivolge a Maya Kitajima
La commistione tra shintoismo e buddhismo rappresentata dall'autrice - sia allegoricamente che esplicitamente - è pregna di un enorme fascino squisitamente orientale; spesso la Dea Scarlatta viene paragonata al Buddha, ma allo stesso tempo è lo spirito dell'albero di susino, ed ergo assume dei connotati animistici tipicamente shinto. Le stesse parole della Tsukikage di cui sopra sono un'esaltazione della forza delle passioni e della loro importanza nell'autorealizzazione del Sé, cosa molto più vicina allo shintoismo che al buddhismo; ma il punto sostanziale nelle speculazioni della Miuchi risiede nella corrente di pensiero orientale da cui shintoismo e buddhismo traggono ispirazione: il Taoismo cinese, la dottrina dell'azione nella non-azione. Il "diventare Buddha" e il "diventare pianta" sono aspetti equivalenti della Dea Scarlatta, ed entrambi sono caratterizzati dall'annullamento del sé e dall'abbandono del limitato ego umano in favore della percezione della totalità delle cose. La Dea Scarlatta è quindi un'emanazione del non-essere, ovvero il principio primo che anima l'universo, il cosiddetto Tao. L'utilizzo della simbologia dello Yin e dello Yang adoperata dall'autrice e i vari rimandi alla religione taoista sono molto precisi e allo stesso tempo gradevolmente estetizzati; durante il corso degli eventi, inoltre, l'annullamento del sé diventa un leitmotiv ricorrente: esemplare è un episodio all'inizio del manga in cui Maya deve interpretare una bambola; e giacché ella durante le prove non riesce ad annullare il suo ego al fine d'immedesimarsi completamente in tale difficile ruolo, per necessità viene mandata dalla Tsukikage a meditare presso un monaco buddhista Zen. Saranno parecchi gli spettacoli in cui Maya dovrà progredire spiritualmente al fine di riuscire a immedesimarsi nei suoi personaggi, sopratutto quelli che richiedono una marcata rinuncia a sé stessi e una percezione differente, volendo sovrumana, della realtà circostante: si pensi a Helen Keller, la sordo-cieca protagonista di "Anna dei miracoli", o alla ragazza-lupo Jane di "Lande Dimenticate". Rimanendo in tema, molto suggestiva è la storia dello scultore Kaikei, nella quale il giovane attore Sakurakoji, dovendo interpretare la parte dello scultore nella Dea Scarlatta, decide di osservare il lavoro quotidiano di un vero sculture di statue sacre del Buddha. In questo strano percorso - sia interiore che esteriore - Sakurakoji osserva che ogni singola azione di Kaikei - cura del giardino, crescita dei figli, lavoro presso il municipio del paese, ricerca del contatto umano - per quanto sembri banale è invero rivolta alla ricerca dell'equilibrio e dell'armonia. Lo scultore, giunta la domenica, si ritira in silenzio e osserva per ore il blocco di legno inanimato che diventerà la sua statua, confidando di sentire una voce chiamarlo dall'interno di esso: e la creazione artistica diventa quindi frutto dell'annullamento del sé: non è l'artista che modifica attivamente il legno al fine di ricavarne una statua, ma è la statua stessa all'interno del legno che comunica la sua forma allo scultore. Per un occidentale questo fatto potrebbe rivelarsi alquanto bizzarro, ma dal punto di vista del pensiero orientale è un'allegoria molto profonda del processo di "creazione" di una determinata cosa. L'intuizione assoluta dell'oggetto artistico è il frutto della propria esperienza di vita: Kaikei ha imparato a comunicare con il pezzo di legno che deve incidere, ma per far ciò ha dovuto diventare a sua volta un pezzo di legno, annullando sé stesso e l'invadenza autoreferenziale dell'ego. Ma il pezzo di legno è allo stesso tempo il Buddha, e anche lo scultore a questo punto è diventato Buddha, allo stesso modo di quanto accade nel caso della Dea Scarlatta: diventare l'albero di susino equivale a raggiungere l'illuminazione. Le spirali emozionali agitate dalle passioni non sono necessariamente negative, ma vanno assimilate e comprese, in quanto sono anch'esse parte integrante del percorso che conduce al Tao.
Yin e Yang, ovvero antitesi e sintesi che formano un tutt'uno indivisibile. Anche l'amore sovrumano e sostanziale della Dea Scarlatta è influenzato da questa corrente di pensiero, e la Miuchi riesce a trasmettere pienamente la sostanza delle sue speculazioni genuinamente orientali attraverso parallelismi e metafore ineccepibili.
Nell'approcciarsi a "Glass no Kamen" si palesa istantaneamente il marcato perfezionismo dell'autrice, la quale, a dire il vero, ha utilizzato questo pretesto anche al fine di giustificare la sua estrema lentezza nella stesura del suddetto. Dal punto di vista grafico il tratto della Miuchi si dimostra elegante ed armonioso, e i personaggi risultano molto espressivi, sia nei movimenti del corpo che negli sguardi (celebre è l'artificio tipico dell'autrice di non disegnare i bulbi oculari al fine di far assumere ai suoi personaggi inquietanti connotati intimamente connessi alle loro forti emozioni). La cultura teatrale della Miuchi è sorprendente, e ogni singola rappresentazione non risulta affatto tediosa, ma avvincente e appassionante; addirittura una persona completamente disinteressata al palcoscenico come il sottoscritto ha dovuto ricredersi, e provare una forte empatia per la "finzione nella finzione" che caratterizza il manga, il quale trasuda una sincera passione per l'arte da ogni singola pagina. La sceneggiatura è estremamente incalzante, sia nelle numerose rappresentazioni teatrali - le quali compongono la maggior parte dell'opera - che nel "mondo reale" nel quale si muovono i personaggi, con le loro passioni ed ambizioni; inoltre, al termine di ogni volume è immancabile il classico cliffhanger in grado di catturare al massimo l'interesse del lettore. Ciononostante, tutte queste ottime premesse, coadiuvate da appassionate analisi dense di profondità quanto mai degne di un grande capolavoro, a parer mio sono calzanti sino al quarantesimo volume del manga (la rappresentazione della Dea Scarlatta ad opera di Chigusa Tsukikage), dopodiché "Glass no Kamen", che si era dimostrato sempre più serrato, profondo e carismatico di volume in volume - sino a diventare a parer mio un'opera omnia, una sorta di "Siddharta" a fumetti -, forse a causa della mancanza d'ispirazione e all'indolenza dell'autrice, subisce un netto certo calo qualitativo, trasformandosi in una classica soap opera marchiata a fuoco da tutti i banalissimi cliché del genere. Ed ecco che, superata la quarantina di volumi, la storia d'amore tra Maya Kitajima e Masumi Ayami diventa goffa, a tratti caricaturale, minacciata dalla follia e dai ricatti della fidanzata di lui; il teatro e gli aspetti religiosi del manga vengono messi in secondo piano, a favore di una continua stagnazione delle vicende che non fa altro che rimandare il finale con inutili artifici e altre ridondanti inezie decisamente fuori luogo; a questo punto, a mio avviso, sarebbe stato meglio lasciare "Glass no Kamen" allegoricamente incompleto al quarantesimo volume: sarebbe stato più che coerente, dacché in fondo, prima di tale inarrivabile traguardo, era già stato detto tutto quello che c'era da dire.
In conclusione, usando un noto aforisma di Paulo Coelho, non è la meta che conta, ma il cammino che si compie per raggiungerla; in questo senso, tralasciando la recente secca creativa dell'autrice, per me "Glass no Kamen" è un grande capolavoro, uno dei più grandi della storia del fumetto mondiale.
Maison Ikkoku
9.0/10
Attenzione: la recensione contiene alcuni spoiler.
Da nuovo iscritto inizio subito con la recensione di uno dei manga esemplari della Takahashi, Maison Ikkoku (ignominiosamente noto da noi come "Cara dolce Kyoko").
Tanto per cominciare vorrei dire che, pur trattandosi in questo caso di un capolavoro, non posso affermarne con certezza la superiorità a un altro dei manga dell'autrice, il mitico "Urusei Yatsura".
Mi verrebbe quasi da dire che i due capolavori della Takahashi si completino a vicenda!
Dopo aver letto sia il manga che visto l'anime mi riesce difficile stabilire con esattezza quale delle due versioni sia davvero imprescindibile e, anche se in genere la versione animata, soprattutto se realizzata bene, ha il vantaggio d'essere maggiormente d'impatto, devo dire che l'omissione di una delle scene più "forti" del fumetto (la scena d'amore tra Kyoko e Godai) stempera pesantemente il contenuto "adulto" e maturo dell'opera… Concludendo consiglierei comunque la visione dell'anime a prescindere, soprattutto ultimata la lettura del manga!
Innanzitutto protagonista dell'opera è a detta della stessa autrice non Kyoko - come vorrebbe il titolo dell'edizione italiana dell'anime - ma Godai, anzi, ancora di più, direi che il vero perno attorno al quale ruotano le vicende sentimentali e grottesche di Godai e compagnia è proprio la pensione Ikkoku stessa!
Non è infatti un caso che i nomi dei personaggi siano stati modellati in base al numero delle stanze che essi occupano: insomma, la pensione Ikkoku non è il semplice luogo fisico nel quale si svolgono le vicende principali, ma è quasi una presenza "animata", un luogo dell'anima ove i personaggi si troveranno a condividere gioie, emozioni e follie.
Quel che realmente mi ha colpito dell'opera è la delicatezza che contraddistingue la storia e i personaggi, senza che vi siano eccessi o sbavature melodrammatiche o facili soluzioni.
I personaggi sono stati delineati in maniera del tutto singolare, anche per la Takahashi stessa, perché sebbene vi sia una sorta di "maturazione" nel corso della storia da parte dei protagonisti, i quali si vedranno costretti ad affrontare l'uno i problemi concreti dell'esistenza e l'altra a fare i conti con i fantasmi del passato, non vi è assolutamente un cambiamento radicale, che a mio avviso stonerebbe e renderebbe la storia una storia di formazione.
Al contrario che in altre opere dell'autrice - e qui risiede la vera originalità di MI - sembra che sia stato trovato un perfetto equilibrio tra il macchiettiamo dei personaggi secondari e l'introspezione di quelli primari e quindi tra le situazioni comiche e grottesche (private però del lato sovrannaturale che caratterizzava Urusei Yatsura o Ranma) e le vicende sentimentali che dovrebbero far progredire la storia.
Storia che, è bene specificarlo, si protrae per diversi anni e vede appunto una maturazione, intesa proprio come "presa di coscienza" da parte di Kyoko e Godai, il cui merito, in ultima analisi, sarà quello di riuscire ad accettare la presenza "scomoda" di Soichiro (che è sia l'ex marito di Kyoko, vedova, sia il loro cane!) e a far breccia nel cuore della vedova col tempo, senza forzare la mano e i tempi, come invece fa Mitaka, suo rivale in amore, tennista, ginnasta e ricco, altrettanto innamorato di Kyoko: in tutti i sensi la controparte "realizzata" di Godai, come lo era, molto vagamente, Mendo Shutaru per Ataru in UY.
Triangoli amorosi e situazioni al limite dell'ambiguo vengono a crearsi in continuazione anche con il favore dei coinquilini della Maison Ikkoku; secondo me, vera gemma e squisitezza sono proprio questi personaggi che, l'ho già accennato, rasentano il limite del macchiettistico, per cui non è proprio pensabile per loro un cambiamento d'alcuna sorta (ci piacciono così come sono!): basti pensare all'imperscrutabile Yotsuya, uno dei personaggi migliori partoriti dalla matita della Takahashi, oppure la tremenda Ichinose, occupante della prima stanza, costantemente dedita all'alcool e al pettegolezzo, ma premurosa e amorevole nei confronti del marito (che ci verrà introdotto solo successivamente) e della bella Kyoko. C'è poi l'impudica Nikaido, prototipo della ragazza squattrinata e affascinante, sveglia ma sfortunata in amore.
Altri personaggi di margine notevoli saranno la "ragazza" di Godai, il quale è ingenuamente convinto di intrattenervi una relazione su termini puramente amicali e che porterà invece a una serie di equivoci che troveranno solo nel finale un completo scioglimento; il comprimario Mitaka, non meno innamorato di Kyoko dello stesso protagonista e che nel manga, maggiormente che nell'anime, verrà sempre tenuto molto in considerazione dalla ragazza; il principale di Godai, personaggio che comparirà solo nella parte finale del manga, il quale non mancherà di dispensare consigli utili al nostro;
la nonna di Godai - in assoluto il personaggio che preferisco insieem a Yotsuya e ad Ichinose - che pur mostrandosi severa nei confronti del nipote e più volte disposta ad avvantaggiare i suoi coinquilini nei loro crudeli scherzi ai suoi danni, farà di tutto per aiutarlo nel suo amore con la bella padrona di casa.
Certo è che la nonna che nel suo piccolo cercherà di far maturare il nipote "senza spina dorsale", rappresenterà più un caso unico che raro nell'universo di Maison Ikkoku: con le loro continue irruzioni nell'appartamento di Godai - mitiche in particolare le entrate in scena di Yotsuya, degne di quelle del signor Fujinami e di Sakurambo in UY! - i molesti coinquilini osteggeranno in tutti i modi possibili lo studio e, in generale, i buoni propositi del povero Godai, suscitando le ire della protettiva Kyoko e momenti di ilarità irripetibili per noi lettori!
Va detto che questi personaggi che un po' sembrano usciti dalle altre opere della Takahashi, pur essendo particolarissimi proprio nella loro "piattezza", nella mancanza di approfondimento psicologico - che alla lunga, lasciatemelo dire, risulterebbe forzato e stancante! -, e fanno un po' da contorno, da sfondo, oltre che da leitmotiv e da complicazione alla vicenda principale.
È sostanzialmente la loro "purezza" a renderli così facili da apprezzare, proprio perché conferiscono all'opera una carica di familiarità, di irripetibilità, diciamo pure di unicità e fungono da fattori "sdrammatizzanti" della vicenda principale, che resta per sommi capi identificabile come una commedia degli equivoci.
È bello proprio il modo in cui la vicenda principale, soggetta come dicevo al passaggio degli anni e a una lenta maturazione del rapporto difficoltoso tra lo studente e la padrona di casa, sia sfiorata senza però mutare da queste situazioni di sfondo a formare quasi un mitico quadro di famiglia: non è un caso che l'opera termini circolarmente. La novità non è infatti nel lieto fine, del resto prevedibile, ma nel fatto che i protagonisti decidano di non lasciare il nucleo, di non estraniarsi, narrativamente parlando, dal contesto statico e arciproduttivo che ha visto la nascita del loro amore.
Va comunque notato che la maggior parte degli avvenimenti principali avviene, come è sacrosanto che sia, da un punto di vista sia puramente narrativo che da un punto di vista pratico(!), quando vengono a mancare le situazioni di sfondo, quindi in assenza di fattori complicanti; eppure la decisione finale di tornare alla Maison Ikkoku segna proprio la circolarità della narrazione, la piena accettazione di questo mondo fantastico e irripetibile, fatto di complicazioni ed espedienti, ma anche genuino e vivo!
Pur rinunciando all'aspetto volutamente surreale di opere come Urusei Yatsura e agli intenti più puramente parodistici che smitizzano gli aspetti seriosi delle opere "impegnate" e tematizzate, la Takahashi non rinuncia quindi ad una componente prettamente comica, che funga sì da intralcio per il protagonista (Godai, prima dell'arrivo di Kyoko, assillato dai continui scherzi dei suoi coinquilini, intendeva lasciare la pensione e se alla fine sceglie di restarvi è solo perché ormai il suo personaggio ha raggiunto il proprio completamento, esattamente come gli altri personaggi) ma che effettivamente rende l'opera più che una semplice storia d'amore, comunque ottimamente raccontata.
Quanto al lato tecnico… Beh, che dire, la Takahashi non spicca certo per la particolare abilità nei disegni, però va comunque detto che il suo tratto è piacevole e inconfondibile, anche se talvolta tende a risultare ripetitivo e sempliciotto. Io, comunque, non lo vedo come un difetto aberrante, anzi, mi sembra far parte dell'anima dell'opera!
Complessivamente sarebbe un 9,5 anche, ma visto che i mezzi voti non esistono, anche se un po' mi dispiace di "abbassare" la media di questo leggendario manga, mi "limito" al 9, perché penso che i manga da 10 si possano davvero contare.
Da nuovo iscritto inizio subito con la recensione di uno dei manga esemplari della Takahashi, Maison Ikkoku (ignominiosamente noto da noi come "Cara dolce Kyoko").
Tanto per cominciare vorrei dire che, pur trattandosi in questo caso di un capolavoro, non posso affermarne con certezza la superiorità a un altro dei manga dell'autrice, il mitico "Urusei Yatsura".
Mi verrebbe quasi da dire che i due capolavori della Takahashi si completino a vicenda!
Dopo aver letto sia il manga che visto l'anime mi riesce difficile stabilire con esattezza quale delle due versioni sia davvero imprescindibile e, anche se in genere la versione animata, soprattutto se realizzata bene, ha il vantaggio d'essere maggiormente d'impatto, devo dire che l'omissione di una delle scene più "forti" del fumetto (la scena d'amore tra Kyoko e Godai) stempera pesantemente il contenuto "adulto" e maturo dell'opera… Concludendo consiglierei comunque la visione dell'anime a prescindere, soprattutto ultimata la lettura del manga!
Innanzitutto protagonista dell'opera è a detta della stessa autrice non Kyoko - come vorrebbe il titolo dell'edizione italiana dell'anime - ma Godai, anzi, ancora di più, direi che il vero perno attorno al quale ruotano le vicende sentimentali e grottesche di Godai e compagnia è proprio la pensione Ikkoku stessa!
Non è infatti un caso che i nomi dei personaggi siano stati modellati in base al numero delle stanze che essi occupano: insomma, la pensione Ikkoku non è il semplice luogo fisico nel quale si svolgono le vicende principali, ma è quasi una presenza "animata", un luogo dell'anima ove i personaggi si troveranno a condividere gioie, emozioni e follie.
Quel che realmente mi ha colpito dell'opera è la delicatezza che contraddistingue la storia e i personaggi, senza che vi siano eccessi o sbavature melodrammatiche o facili soluzioni.
I personaggi sono stati delineati in maniera del tutto singolare, anche per la Takahashi stessa, perché sebbene vi sia una sorta di "maturazione" nel corso della storia da parte dei protagonisti, i quali si vedranno costretti ad affrontare l'uno i problemi concreti dell'esistenza e l'altra a fare i conti con i fantasmi del passato, non vi è assolutamente un cambiamento radicale, che a mio avviso stonerebbe e renderebbe la storia una storia di formazione.
Al contrario che in altre opere dell'autrice - e qui risiede la vera originalità di MI - sembra che sia stato trovato un perfetto equilibrio tra il macchiettiamo dei personaggi secondari e l'introspezione di quelli primari e quindi tra le situazioni comiche e grottesche (private però del lato sovrannaturale che caratterizzava Urusei Yatsura o Ranma) e le vicende sentimentali che dovrebbero far progredire la storia.
Storia che, è bene specificarlo, si protrae per diversi anni e vede appunto una maturazione, intesa proprio come "presa di coscienza" da parte di Kyoko e Godai, il cui merito, in ultima analisi, sarà quello di riuscire ad accettare la presenza "scomoda" di Soichiro (che è sia l'ex marito di Kyoko, vedova, sia il loro cane!) e a far breccia nel cuore della vedova col tempo, senza forzare la mano e i tempi, come invece fa Mitaka, suo rivale in amore, tennista, ginnasta e ricco, altrettanto innamorato di Kyoko: in tutti i sensi la controparte "realizzata" di Godai, come lo era, molto vagamente, Mendo Shutaru per Ataru in UY.
Triangoli amorosi e situazioni al limite dell'ambiguo vengono a crearsi in continuazione anche con il favore dei coinquilini della Maison Ikkoku; secondo me, vera gemma e squisitezza sono proprio questi personaggi che, l'ho già accennato, rasentano il limite del macchiettistico, per cui non è proprio pensabile per loro un cambiamento d'alcuna sorta (ci piacciono così come sono!): basti pensare all'imperscrutabile Yotsuya, uno dei personaggi migliori partoriti dalla matita della Takahashi, oppure la tremenda Ichinose, occupante della prima stanza, costantemente dedita all'alcool e al pettegolezzo, ma premurosa e amorevole nei confronti del marito (che ci verrà introdotto solo successivamente) e della bella Kyoko. C'è poi l'impudica Nikaido, prototipo della ragazza squattrinata e affascinante, sveglia ma sfortunata in amore.
Altri personaggi di margine notevoli saranno la "ragazza" di Godai, il quale è ingenuamente convinto di intrattenervi una relazione su termini puramente amicali e che porterà invece a una serie di equivoci che troveranno solo nel finale un completo scioglimento; il comprimario Mitaka, non meno innamorato di Kyoko dello stesso protagonista e che nel manga, maggiormente che nell'anime, verrà sempre tenuto molto in considerazione dalla ragazza; il principale di Godai, personaggio che comparirà solo nella parte finale del manga, il quale non mancherà di dispensare consigli utili al nostro;
la nonna di Godai - in assoluto il personaggio che preferisco insieem a Yotsuya e ad Ichinose - che pur mostrandosi severa nei confronti del nipote e più volte disposta ad avvantaggiare i suoi coinquilini nei loro crudeli scherzi ai suoi danni, farà di tutto per aiutarlo nel suo amore con la bella padrona di casa.
Certo è che la nonna che nel suo piccolo cercherà di far maturare il nipote "senza spina dorsale", rappresenterà più un caso unico che raro nell'universo di Maison Ikkoku: con le loro continue irruzioni nell'appartamento di Godai - mitiche in particolare le entrate in scena di Yotsuya, degne di quelle del signor Fujinami e di Sakurambo in UY! - i molesti coinquilini osteggeranno in tutti i modi possibili lo studio e, in generale, i buoni propositi del povero Godai, suscitando le ire della protettiva Kyoko e momenti di ilarità irripetibili per noi lettori!
Va detto che questi personaggi che un po' sembrano usciti dalle altre opere della Takahashi, pur essendo particolarissimi proprio nella loro "piattezza", nella mancanza di approfondimento psicologico - che alla lunga, lasciatemelo dire, risulterebbe forzato e stancante! -, e fanno un po' da contorno, da sfondo, oltre che da leitmotiv e da complicazione alla vicenda principale.
È sostanzialmente la loro "purezza" a renderli così facili da apprezzare, proprio perché conferiscono all'opera una carica di familiarità, di irripetibilità, diciamo pure di unicità e fungono da fattori "sdrammatizzanti" della vicenda principale, che resta per sommi capi identificabile come una commedia degli equivoci.
È bello proprio il modo in cui la vicenda principale, soggetta come dicevo al passaggio degli anni e a una lenta maturazione del rapporto difficoltoso tra lo studente e la padrona di casa, sia sfiorata senza però mutare da queste situazioni di sfondo a formare quasi un mitico quadro di famiglia: non è un caso che l'opera termini circolarmente. La novità non è infatti nel lieto fine, del resto prevedibile, ma nel fatto che i protagonisti decidano di non lasciare il nucleo, di non estraniarsi, narrativamente parlando, dal contesto statico e arciproduttivo che ha visto la nascita del loro amore.
Va comunque notato che la maggior parte degli avvenimenti principali avviene, come è sacrosanto che sia, da un punto di vista sia puramente narrativo che da un punto di vista pratico(!), quando vengono a mancare le situazioni di sfondo, quindi in assenza di fattori complicanti; eppure la decisione finale di tornare alla Maison Ikkoku segna proprio la circolarità della narrazione, la piena accettazione di questo mondo fantastico e irripetibile, fatto di complicazioni ed espedienti, ma anche genuino e vivo!
Pur rinunciando all'aspetto volutamente surreale di opere come Urusei Yatsura e agli intenti più puramente parodistici che smitizzano gli aspetti seriosi delle opere "impegnate" e tematizzate, la Takahashi non rinuncia quindi ad una componente prettamente comica, che funga sì da intralcio per il protagonista (Godai, prima dell'arrivo di Kyoko, assillato dai continui scherzi dei suoi coinquilini, intendeva lasciare la pensione e se alla fine sceglie di restarvi è solo perché ormai il suo personaggio ha raggiunto il proprio completamento, esattamente come gli altri personaggi) ma che effettivamente rende l'opera più che una semplice storia d'amore, comunque ottimamente raccontata.
Quanto al lato tecnico… Beh, che dire, la Takahashi non spicca certo per la particolare abilità nei disegni, però va comunque detto che il suo tratto è piacevole e inconfondibile, anche se talvolta tende a risultare ripetitivo e sempliciotto. Io, comunque, non lo vedo come un difetto aberrante, anzi, mi sembra far parte dell'anima dell'opera!
Complessivamente sarebbe un 9,5 anche, ma visto che i mezzi voti non esistono, anche se un po' mi dispiace di "abbassare" la media di questo leggendario manga, mi "limito" al 9, perché penso che i manga da 10 si possano davvero contare.
Fruits Basket
8.0/10
Fruits Basket è un'opera estremamente dolce, dal tratto delicato e tenero, ma che sa trattare fra le righe una sceneggiatura cupa, tremendamente crudele e spietata, in grado di struggere il cuore e le emozioni del lettore, di commuoverlo, emozionarlo e incantarlo con i suoi personaggi carismatici, profondi divertenti e (ammettiamolo: anche parecchio complessati) estremamente umani. La storia che tratta con maestria emozioni, sentimenti e problemi quotidiani piuttosto reali e fruibili all'immedesimazione da parte del lettore dell'opera, parte tuttavia da un incipit fantastico quale un'antica leggenda basata sullo Zodiaco Cinese, in cui i membri della Famiglia Soma sembrano da generazioni affetti, trasformandosi in animali appartenenti al reciproco segno una volta che subiscono un brusco contatto con persone dell'altro sesso. Honda è una ragazza recentemente rimasta orfana che finisce per andare a vivere a Casa Soma, finendo al centro di un complicato triangolo amoroso con il <i>Gatto</i> e il <i>Topo</i> della Famiglia, e andando ad ostacolare i sentimenti delle altre ragazze della Famiglia che vogliono per l'appunto far scoccare la scintilla con eventuali cugini al fine di sfogare il proprio Amore, consci del fatto che la maledizione non sembra risentire su persone di sesso opposto ma della stessa Famiglia. Tuttavia, la stessa Honda potrebbe essere il segreto per sciogliere la maledizione della Famiglia...
Una storia decisamente brillante, innovativa e tenera, che sa regalare diverse sensazioni positive quali risate e batticuore, così come farti stringere un nodo alla gola per i momenti crudeli a cui i personaggi sono sottoposti con l'agognato presente, i tristi flashback sull'infanzia e la prospettiva di un drammatico futuro.
L'evoluzione della trama è piuttosto lenta ma sembra collocare tutti i pezzi del puzzle al posto giusto come se Natsuki Takaya, abile autrice della medesima avesse sin da subito capito dove la storia potesse andare a parare. Una serie che consiglio spassionatamente a tutti i fan degli Shojo e agli amanti delle belle sceneggiature, ma visti i toni dell'opera piuttosto seriosi, drammatici e cupi - conditi tuttavia da splendide scene divertenti ed esilaranti dedite a spezzarne la tensione - ne privilegerei la lettura solo ad un pubblico più maturo e grandicello.
Una storia decisamente brillante, innovativa e tenera, che sa regalare diverse sensazioni positive quali risate e batticuore, così come farti stringere un nodo alla gola per i momenti crudeli a cui i personaggi sono sottoposti con l'agognato presente, i tristi flashback sull'infanzia e la prospettiva di un drammatico futuro.
L'evoluzione della trama è piuttosto lenta ma sembra collocare tutti i pezzi del puzzle al posto giusto come se Natsuki Takaya, abile autrice della medesima avesse sin da subito capito dove la storia potesse andare a parare. Una serie che consiglio spassionatamente a tutti i fan degli Shojo e agli amanti delle belle sceneggiature, ma visti i toni dell'opera piuttosto seriosi, drammatici e cupi - conditi tuttavia da splendide scene divertenti ed esilaranti dedite a spezzarne la tensione - ne privilegerei la lettura solo ad un pubblico più maturo e grandicello.
Touch
10.0/10
Seguendo lo stesso percorso che mi aveva portato all'acquisto di Rough, ho recuperato Touch in blocco, dopo averlo notato nella top ten tra i manga migliori di sempre. Mai decisione è stata più saggia. La capacità narrativa e descrittiva di Adachi, che mi aveva colpito in Rough, mi ha del tutto sbalordita in questa serie che ho trovato sicuramente più profonda e soprattutto curata nel finale. Se infatti avevo trovato una pecca in Rough, quella stava proprio nel finale "aperto".
Ma veniamo alla storia. Tatsuya e Kazuya Uesugi sono due gemelli identici nell'aspetto ma caratterialmente opposti. Se Kazuya è uno studente modello ed asso del club di baseball, Tatsuya è un ragazzo svogliato, superficiale e molto pigro che passa le sue giornate a bighellonare. Ciò che accomuna veramente i due gemelli è il profondo affetto provato nei confronti dell'amica di infanzia, nonché vicina, Minami, affetto che non tarderà a mostrarsi e a creare tra loro una (in)certa competizione. Un tragico incidente porrà fine a questa sorta di guerra pacifica e stravolgerà la vita dei ragazzi. Tatsuya, "il fratello scemo", dovrà fare i conti con la popolarità del gemello e con le aspettative che tutti gli spettatori hanno nei confronti di un "primo attore". Realizzare il sogno di Minami di vedere la squadra della scuola arrivare al Koshien, campionato nazionale di baseball, sarà da questo momento il suo unico obiettivo.
Amore, amicizia, sport e dolore, sono gli ingredienti principali di quest'opera: bellissima fotografia di uno spaccato di vita di giovani studenti delle medie che, nel corso di questi ventisei volumi, compiranno un processo di maturazione descritto con delicatezza e maestria da Adachi.
Se c'è una cosa che mi ha colpito in Touch, questa e proprio la narrazione. La storia scorre veloce, forse troppo nei primi volumi, dove si avverte una certa frettolosità nel punto più cruciale della trama: il punto di svolta. Il mangaka poteva attendere anche qualche altro volumetto per porre fine ad un capitolo importante della storia, ma così non è stato e ciò lascerà il lettore con una punta di curiosità racchiusa perfettamente nella domanda: "Come sarebbe andata se..?". A parte questo piccolo inconveniente, si viene completamente assorbiti dalla trama, tant'è che i tanti momenti di suspance tengono il lettore incollato alle pagine fino al finale.
I personaggi sono veramente ben caratterizzati, accanto ai personaggi principali ve ne sono altri che non rimangono certo in disparte. E così ci ritroviamo a seguire le avventure dei membri del club di baseball e dei compagni di scuola di Tacchan e Minami con lo stesso coinvolgimento della storia principale. Alcuni personaggi risulteranno antipatici, altri diventeranno delle mascotte, la sensazione che si ha durante la lettura è quella di assistere ad una vera e propria rappresentazione teatrale, dove i personaggi si alternano sul palcoscenico per ricevere il loro momento di gloria.
I disegni di Adachi sono molto belli per quanto riguarda i paesaggi e i fondali nei quali vi è una certa attenzione ai particolari, attenzione che sembra invece non esistere per i volti dei personaggi, semplici e abbozzati nel classico stile dell'autore. Il punto di forza di Adachi sta nel trasmettere un'emozione attraverso una semplice tavola, che sia con o senza dialoghi non importa, il messaggio arriva comunque.
Pubblicato da Star Comics su Fan tra il 1999 e il 2001, Touch è un'opera di facile reperibilità, e consiglio vivamente a tutti di recuperarla. Più di Rough sa toccare il cuore del lettore, regalando un bel bagaglio di emozioni. Un 10 più che meritato per questa bellissima storia entrata sicuramente a far parte della mia top ten personale.
Ma veniamo alla storia. Tatsuya e Kazuya Uesugi sono due gemelli identici nell'aspetto ma caratterialmente opposti. Se Kazuya è uno studente modello ed asso del club di baseball, Tatsuya è un ragazzo svogliato, superficiale e molto pigro che passa le sue giornate a bighellonare. Ciò che accomuna veramente i due gemelli è il profondo affetto provato nei confronti dell'amica di infanzia, nonché vicina, Minami, affetto che non tarderà a mostrarsi e a creare tra loro una (in)certa competizione. Un tragico incidente porrà fine a questa sorta di guerra pacifica e stravolgerà la vita dei ragazzi. Tatsuya, "il fratello scemo", dovrà fare i conti con la popolarità del gemello e con le aspettative che tutti gli spettatori hanno nei confronti di un "primo attore". Realizzare il sogno di Minami di vedere la squadra della scuola arrivare al Koshien, campionato nazionale di baseball, sarà da questo momento il suo unico obiettivo.
Amore, amicizia, sport e dolore, sono gli ingredienti principali di quest'opera: bellissima fotografia di uno spaccato di vita di giovani studenti delle medie che, nel corso di questi ventisei volumi, compiranno un processo di maturazione descritto con delicatezza e maestria da Adachi.
Se c'è una cosa che mi ha colpito in Touch, questa e proprio la narrazione. La storia scorre veloce, forse troppo nei primi volumi, dove si avverte una certa frettolosità nel punto più cruciale della trama: il punto di svolta. Il mangaka poteva attendere anche qualche altro volumetto per porre fine ad un capitolo importante della storia, ma così non è stato e ciò lascerà il lettore con una punta di curiosità racchiusa perfettamente nella domanda: "Come sarebbe andata se..?". A parte questo piccolo inconveniente, si viene completamente assorbiti dalla trama, tant'è che i tanti momenti di suspance tengono il lettore incollato alle pagine fino al finale.
I personaggi sono veramente ben caratterizzati, accanto ai personaggi principali ve ne sono altri che non rimangono certo in disparte. E così ci ritroviamo a seguire le avventure dei membri del club di baseball e dei compagni di scuola di Tacchan e Minami con lo stesso coinvolgimento della storia principale. Alcuni personaggi risulteranno antipatici, altri diventeranno delle mascotte, la sensazione che si ha durante la lettura è quella di assistere ad una vera e propria rappresentazione teatrale, dove i personaggi si alternano sul palcoscenico per ricevere il loro momento di gloria.
I disegni di Adachi sono molto belli per quanto riguarda i paesaggi e i fondali nei quali vi è una certa attenzione ai particolari, attenzione che sembra invece non esistere per i volti dei personaggi, semplici e abbozzati nel classico stile dell'autore. Il punto di forza di Adachi sta nel trasmettere un'emozione attraverso una semplice tavola, che sia con o senza dialoghi non importa, il messaggio arriva comunque.
Pubblicato da Star Comics su Fan tra il 1999 e il 2001, Touch è un'opera di facile reperibilità, e consiglio vivamente a tutti di recuperarla. Più di Rough sa toccare il cuore del lettore, regalando un bel bagaglio di emozioni. Un 10 più che meritato per questa bellissima storia entrata sicuramente a far parte della mia top ten personale.
Honey and Clover
9.0/10
Ho comprato questo manga incuriosita dalle molte recensioni positive. Non amo i classici shojo e questo prometteva appunto di non essere il classico calderone di situazioni strappalacrime. Aspettativa che non è stata delusa. Trovo che l’autrice, al contrario di molte mangaka shojo, sia molto misurata. Il senso della misura è probabilmente la migliore qualità per un autore di fumetti ed è il miglior complimento che mi senta di farle. Le atmosfere di questo fumetto sono sempre piuttosto “ovattate”, quasi sbiadite nella dolcezza, complice forse anche lo stile di disegno che fa apparire la protagonista un po’ come un piccolo folletto fuori posto sulla terra. Tuttavia non regalano al lettore un mondo edulcorato dai buoni sentimenti, ma una realtà stranamente tangibile per un fumetto shojo, veramente apprezzabile per la sua aderenza ad una possibile quotidianità comune.
I disegni in realtà non eccellono per precisione, proporzioni, attenzione per il dettaglio o accuratezza, tuttavia trovo che ci sia un’evoluzione positiva del tratto nel corso del fumetto e ciò non toglie che l’autrice riesca comunque a regalarci di tanto in tanto delle tavole veramente belle e toccanti. Soprattutto sui personaggi femminili si esprime al meglio, e comunque nell’insieme il suo tratto un po’ insicuro a volte, un po’ troppo rigido in altre occasioni non dispiace affatto. Anche perché poi ciò che fa da padrone nella riuscita del fumetto è tutto il resto.
La storia sembra partire come il classico triangolo amoroso fra la ragazza talentuosa, il bello abile e maledetto e il meno bello ma dolce e comprensivo: fortunatamente si evolve in maniera ben più profonda e interessante di come le classiche vicende scolastiche da shoujo ci hanno abituati, e con l’introduzione di più protagonisti e non solo di tre attori principali. Innanzitutto l’ambiente è quello di un’accademia d’arte, dunque l’età dei protagonisti è già più avanzata rispetto ai “classici” 14-16enni. Inoltre il mondo dell’arte trattato attraverso il manga fa anch’esso da collante per i rapporti fra i protagonisti, accomunati da una passione che pure ciascuno vive e interpreta a modo proprio e a seconda delle personali inclinazioni: già questo elemento contribuisce a dare lo spunto per ragionamenti più adulti e lo sviluppo di personaggi meno stereotipati.
È proprio la bravura dell’autrice nell’indagare i sentimenti dei protagonisti, spesso anche attraverso la metafora delle loro capacità espressive nell’arte, che decreta la riuscita di questo fumetto: non c’è solo il tema amoroso a condurre avanti gli eventi (anche se molto presente ed affrontato da punti di vista diversi, con relazioni già mature e non basato soltanto sula ricerca del primo amore), ma tutto un mondo fatto di speranze, sensazioni, paure, desideri, impegno, applicazione… Tutta la quotidianità di questi studenti, della loro amicizia, della loro realtà vissuta talvolta in maniera veritiera e non dissimile da una qualsiasi realtà di studenti universitari, mentre altre volte si ritrovano coinvolti in storie, emozioni, situazioni più avventurose o più rare ma del tutto plausibili. I personaggi crescono sotto la guida attenta della mangaka, sono veri come nostri vicini in carne ed ossa, e per questo riescono davvero a commuoverci, a farci sospirare, a farci pensare. Ci portano a riflettere anche su noi stessi, a guardarci dentro, a cercare anche noi, come loro, i nostri perché. La delicatezza di cui parlavo prima, questa sensazione che ho avuto, non riguarda il modo in cui sono affrontate le tematiche all’interno del manga, che per certi versi e in certi momenti sa essere anche piuttosto d’impatto: ma è il modo in cui si insinuano certe riflessioni nel cuore del lettore, che si ritrova a palpitare d’apprensione per se stesso come per i personaggi di cui sta leggendo. Non è insomma un manga che si limita ad emozionare, sconvolgere o coccolare, ma che porta a riflettere per forza un po’ su se stessi anche in maniera inconsapevole.
Anche il finale è abbastanza imprevedibile e giustamente credibile: risolve alcune situazioni e ne lascia irrisolte altre, com’è giusto che sia nella storia della vita di un gruppo di ragazzi che per un po’ di anni hanno incrociato le loro strade in un’accademia universitaria e che poi proseguono sul loro cammino. Non vuole il lieto fine per forza, non cerca insomma di convincere che alla fine tutti “vivranno in coppia allegramente con l’amica del cuore di quella che avevano amato ma che aveva scelto l’altro”. Ha un finale realistico come il resto del manga, senza compromessi o illusioni, e soprattutto molto onesto e per nulla moralista. In tutto questo l’abilità dell’autrice nel farsi portavoce dei diversi caratteri, dei diversi modi di vivere e vedere il mondo, dei percorsi di vita che ciascuno ha scelto, accompagna perfettamente il senso di tutta la storia.
Unica nota negativa sono un paio di trovate, specie quella per creare la situazione su cui innestare il finale, a mio avviso un po’ affrettate e forse già viste. Delle piccole cadute di stile che non mi permettono di assegnare il massimo dei voti, ma che sono senz’altro perdonabili a fronte di un manga che sa regalare dei momenti veramente grandiosi, di estrema sensibilità, riflessione ed emozione.
I disegni in realtà non eccellono per precisione, proporzioni, attenzione per il dettaglio o accuratezza, tuttavia trovo che ci sia un’evoluzione positiva del tratto nel corso del fumetto e ciò non toglie che l’autrice riesca comunque a regalarci di tanto in tanto delle tavole veramente belle e toccanti. Soprattutto sui personaggi femminili si esprime al meglio, e comunque nell’insieme il suo tratto un po’ insicuro a volte, un po’ troppo rigido in altre occasioni non dispiace affatto. Anche perché poi ciò che fa da padrone nella riuscita del fumetto è tutto il resto.
La storia sembra partire come il classico triangolo amoroso fra la ragazza talentuosa, il bello abile e maledetto e il meno bello ma dolce e comprensivo: fortunatamente si evolve in maniera ben più profonda e interessante di come le classiche vicende scolastiche da shoujo ci hanno abituati, e con l’introduzione di più protagonisti e non solo di tre attori principali. Innanzitutto l’ambiente è quello di un’accademia d’arte, dunque l’età dei protagonisti è già più avanzata rispetto ai “classici” 14-16enni. Inoltre il mondo dell’arte trattato attraverso il manga fa anch’esso da collante per i rapporti fra i protagonisti, accomunati da una passione che pure ciascuno vive e interpreta a modo proprio e a seconda delle personali inclinazioni: già questo elemento contribuisce a dare lo spunto per ragionamenti più adulti e lo sviluppo di personaggi meno stereotipati.
È proprio la bravura dell’autrice nell’indagare i sentimenti dei protagonisti, spesso anche attraverso la metafora delle loro capacità espressive nell’arte, che decreta la riuscita di questo fumetto: non c’è solo il tema amoroso a condurre avanti gli eventi (anche se molto presente ed affrontato da punti di vista diversi, con relazioni già mature e non basato soltanto sula ricerca del primo amore), ma tutto un mondo fatto di speranze, sensazioni, paure, desideri, impegno, applicazione… Tutta la quotidianità di questi studenti, della loro amicizia, della loro realtà vissuta talvolta in maniera veritiera e non dissimile da una qualsiasi realtà di studenti universitari, mentre altre volte si ritrovano coinvolti in storie, emozioni, situazioni più avventurose o più rare ma del tutto plausibili. I personaggi crescono sotto la guida attenta della mangaka, sono veri come nostri vicini in carne ed ossa, e per questo riescono davvero a commuoverci, a farci sospirare, a farci pensare. Ci portano a riflettere anche su noi stessi, a guardarci dentro, a cercare anche noi, come loro, i nostri perché. La delicatezza di cui parlavo prima, questa sensazione che ho avuto, non riguarda il modo in cui sono affrontate le tematiche all’interno del manga, che per certi versi e in certi momenti sa essere anche piuttosto d’impatto: ma è il modo in cui si insinuano certe riflessioni nel cuore del lettore, che si ritrova a palpitare d’apprensione per se stesso come per i personaggi di cui sta leggendo. Non è insomma un manga che si limita ad emozionare, sconvolgere o coccolare, ma che porta a riflettere per forza un po’ su se stessi anche in maniera inconsapevole.
Anche il finale è abbastanza imprevedibile e giustamente credibile: risolve alcune situazioni e ne lascia irrisolte altre, com’è giusto che sia nella storia della vita di un gruppo di ragazzi che per un po’ di anni hanno incrociato le loro strade in un’accademia universitaria e che poi proseguono sul loro cammino. Non vuole il lieto fine per forza, non cerca insomma di convincere che alla fine tutti “vivranno in coppia allegramente con l’amica del cuore di quella che avevano amato ma che aveva scelto l’altro”. Ha un finale realistico come il resto del manga, senza compromessi o illusioni, e soprattutto molto onesto e per nulla moralista. In tutto questo l’abilità dell’autrice nel farsi portavoce dei diversi caratteri, dei diversi modi di vivere e vedere il mondo, dei percorsi di vita che ciascuno ha scelto, accompagna perfettamente il senso di tutta la storia.
Unica nota negativa sono un paio di trovate, specie quella per creare la situazione su cui innestare il finale, a mio avviso un po’ affrettate e forse già viste. Delle piccole cadute di stile che non mi permettono di assegnare il massimo dei voti, ma che sono senz’altro perdonabili a fronte di un manga che sa regalare dei momenti veramente grandiosi, di estrema sensibilità, riflessione ed emozione.
La clessidra - Ricordi d'amore
10.0/10
"Presente, passato, futuro... la promessa di quel giorno che non tornerà più..." Con queste parole inizia 'La clessidra - Ricordi d'amore' di Hinako Ashihara, composto da dieci volumetti, gli ultimi contenenti storie autoconclusive su alcuni personaggi, che nel 2005 ha ottenuto il premio Shogakukan come miglior shojo.
Il tempo che scorre inesorabile scandisce in quadri precisi la vita delle persone legando insieme i ricordi passati, sia quelli felici che quelli dolorosi. "L'unica cosa che collega i noi stessi del presente con quelli del futuro è la memoria...". La clessidra del titolo è la clessidra più grande del mondo il cui ciclo intero dura un anno e che si trova nella prefettura di Shimane.
An Minase è una ragazza di ventisei anni che sta per sposarsi con un rappresentante di import-export. Mentre sta facendo i bagagli per trasferirsi ritrova una scatola coi tesori preziosi di quando era adolescente, tra i quali una piccola clessidra. Immersa nei ricordi, inizia a raccontare alla sorellina il suo passato a partire dai 12 anni, quando la madre le comprò quella clessidra. In quell'inverno An si trasferì insieme alla madre in un villaggio di Shimane, dove c'erano i suoi nonni. Quasi subito fece amicizia con Daigo Kitamura, un ragazzo vivace, un pò scontroso, ma molto premuroso e con i fratelli Tsukishima, Fuji e Shiika, di un anno più piccola di tutti loro. La storia prosegue seguendo le stagioni e gli anni dell'adolescenza dei quattro ragazzi. Dal ventesimo al ventiseiesimo anno c'è uno scarto cronologico e un'attenzione maggiore alle vicende di An. L'ultimo volume poi racconta il futuro dei protagonisti.
La morte dolorosa di una persona cara, le delusioni amorose, amicizie che nascono, finiscono o durano con il passare del tempo, la depressione e la malinconia di chi vive un rapporto a distanza, il suicidio ... questi e altri temi importanti sono affrontati dall'autrice con delicatezza e profondità, anche quando i protagonisti sono ancora dei bambini. L'introspezione psicologica è propria di tutti e quattro i ragazzi che sono rappresentati con molte sfumature e attenzione. Riflessioni sul tempo, la vita, i rapporti tra le persone e i loro sguardi interiori, percorrono tutta la vicenda. Non c'è pesantezza, lentezza nella trama, niente è fuori luogo. L'insieme che si crea è di intensa armonia. La Ashihara crea piccole pause narrative con commenti personali sulla storia e sulla sua vita, documentando il suo lavoro in modo molto frizzante e piacevole. Il finale dell'ottavo volume può piacere o non piacere, ma resta il fatto che l'opera non si può considerare completa senza la lettura degli ultimi due numeri. È bellissimo vedere come i protagonisti maturino, scoprire come diventeranno da adulti, le scelte che faranno. Alcuni se ne andranno dalla "gabbia" in cui vivevano - la famiglia, il villaggio, la casa d'infanzia - altri troveranno un compromesso. Difficile non trovare un personaggio a cui legarsi in particolare o verso cui provare una forte simpatia.
I disegni sono dolci e delicati e mostrano tutta la nostalgia e la malinconia degli argomenti trattati. I paesaggi dove la storia si svolge sono spiagge solitarie, viali con ciliegi, cortili innevati, ma anche interni di caffè, scuole e case accoglienti. Il tratto è lieve, ben definito e particolare. Insomma un'opera completa, che consiglio a tutti quelli che vogliono leggere uno shojo maturo e coinvolgente e graficamente impeccabile.
Il tempo che scorre inesorabile scandisce in quadri precisi la vita delle persone legando insieme i ricordi passati, sia quelli felici che quelli dolorosi. "L'unica cosa che collega i noi stessi del presente con quelli del futuro è la memoria...". La clessidra del titolo è la clessidra più grande del mondo il cui ciclo intero dura un anno e che si trova nella prefettura di Shimane.
An Minase è una ragazza di ventisei anni che sta per sposarsi con un rappresentante di import-export. Mentre sta facendo i bagagli per trasferirsi ritrova una scatola coi tesori preziosi di quando era adolescente, tra i quali una piccola clessidra. Immersa nei ricordi, inizia a raccontare alla sorellina il suo passato a partire dai 12 anni, quando la madre le comprò quella clessidra. In quell'inverno An si trasferì insieme alla madre in un villaggio di Shimane, dove c'erano i suoi nonni. Quasi subito fece amicizia con Daigo Kitamura, un ragazzo vivace, un pò scontroso, ma molto premuroso e con i fratelli Tsukishima, Fuji e Shiika, di un anno più piccola di tutti loro. La storia prosegue seguendo le stagioni e gli anni dell'adolescenza dei quattro ragazzi. Dal ventesimo al ventiseiesimo anno c'è uno scarto cronologico e un'attenzione maggiore alle vicende di An. L'ultimo volume poi racconta il futuro dei protagonisti.
La morte dolorosa di una persona cara, le delusioni amorose, amicizie che nascono, finiscono o durano con il passare del tempo, la depressione e la malinconia di chi vive un rapporto a distanza, il suicidio ... questi e altri temi importanti sono affrontati dall'autrice con delicatezza e profondità, anche quando i protagonisti sono ancora dei bambini. L'introspezione psicologica è propria di tutti e quattro i ragazzi che sono rappresentati con molte sfumature e attenzione. Riflessioni sul tempo, la vita, i rapporti tra le persone e i loro sguardi interiori, percorrono tutta la vicenda. Non c'è pesantezza, lentezza nella trama, niente è fuori luogo. L'insieme che si crea è di intensa armonia. La Ashihara crea piccole pause narrative con commenti personali sulla storia e sulla sua vita, documentando il suo lavoro in modo molto frizzante e piacevole. Il finale dell'ottavo volume può piacere o non piacere, ma resta il fatto che l'opera non si può considerare completa senza la lettura degli ultimi due numeri. È bellissimo vedere come i protagonisti maturino, scoprire come diventeranno da adulti, le scelte che faranno. Alcuni se ne andranno dalla "gabbia" in cui vivevano - la famiglia, il villaggio, la casa d'infanzia - altri troveranno un compromesso. Difficile non trovare un personaggio a cui legarsi in particolare o verso cui provare una forte simpatia.
I disegni sono dolci e delicati e mostrano tutta la nostalgia e la malinconia degli argomenti trattati. I paesaggi dove la storia si svolge sono spiagge solitarie, viali con ciliegi, cortili innevati, ma anche interni di caffè, scuole e case accoglienti. Il tratto è lieve, ben definito e particolare. Insomma un'opera completa, che consiglio a tutti quelli che vogliono leggere uno shojo maturo e coinvolgente e graficamente impeccabile.
Family Compo
8.0/10
Family Compo è più famoso per essere il manga di minore successo di Tsukasa Hojo, l'autore di best seller come City Hunter e Cat's Eye, che per le sue qualità intrinseche. Per me è veramente un peccato che non abbia incontrato i favori del pubblico in patria, ma sicuramente la svolta radicale di tematiche che ha qui intrapreso Hojo ha fatto storcere il naso ai suoi aficionados, più avvezzi ai canoni narrativi tipici dei suoi manga più famosi, come le atmosfere poliziesche e metropolitane, l'azione e l'umorismo grossolano. Family Compo però è un manga intelligente, divertente e poetico al punto giusto, oltre che coraggioso.
E' la storia di Masahiko, un adolescente rimasto orfano dopo la morte improvvisa del padre, un uomo perennemente impegnato con il lavoro che si è sempre poco curato dell'unico figlio. Alla notizia della morte, verrà a fargli visita una donna mai vista prima da Masahiko, la zia Yukari, la quale gli propone di andare a stare da lei. Masahiko accetta, ma è perplesso: lui ricordava di avere uno zio, non una zia. Giunto a casa degli zii, si trova a stare in una famiglia meravigliosa: Yukari e Sora, il marito, vivono una bella villa in completa armonia, in più hanno una figlia da loro adorata, la cugina Shion, che è una bellissima ragazza. Cosa chiedere di più? Peccato che subito dopo Masahiko scoprirà che quella famiglia perfetta ha un piccolo difetto: Yukari, la zia, è effettivamente lo zio del protagonista! Semplicemente vive vestito da donna e lo stesso fa Sora, che in realtà si chiama Haruka, vivendo nei panni di un uomo. A complicare il tutto poi c'è Shion, la stupenda cugina, che rivela ben presto anche lei il "vizietto" di andare in giro una volta vestita da maschio, un'altra da donna... Ma alla fine è maschio o femmina Shion? Sarà il povero Masahiko a doverlo scoprire. Da qui partirà tutto il tourbillon di avventure tragicomiche che il protagonista dovrà vivere.
La morale di questo manga è palese: una famiglia fuori da qualsiasi canone di normalità è molto più sana e affettuosa di quella moralmente accettabile da cui proviene Masahiko. Nonostante ciò, la velata satira di costume di Family Compo non si traduce mai in un intreccio didascalico o politicamente corretto. Per quanto praticamente tutti i personaggi siano omosessuali o transessuali, non vedremo mai delle lesbiche forti e valorose, dei gay svenevoli e frivoli o dei transessuali intenti a lavorare in qualche localaccio a Shinjuku. Tutti i personaggi rifuggono ogni tipo di stereotipo, sono caratteri tutti a sé stanti, cosa che permette al lettore una facile immedesimazione e quindi, una più facile e credibile comprensione delle loro problematiche, rendendo il messaggio di Family Compo efficace e mai ridondante o perbenista.
A tutto questo poi si unisce un umorismo completamente diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere nei manga di Hojo. Il mangaka qui abbandona infatti l'umorismo slapstick di City Hunter e Cat's Eye, creando invece una commedia molto più sofisticata e dai tratti molto meno frenetici, tutta incentrata su eventi di vita quotidiana più o meno paradossali. Nonostante il cambio repentino di stile, non si rimpiange assolutamente il glorioso passato dell'autore, anzi, questa narrazione più rilassata e riflessiva non manca di divertire il lettore visto che gli spunti comici sono ottimamente gestiti e godibilissimi; inoltre questo tipo di umorismo è il migliore apripista per i momenti di maggiore malinconia o romanticismo, elementi che non sono mai mancati nei manga di Tsukasa Hojo. Solo che se per esempio in City Hunter certe volte lo stacco tra i momenti di completa demenzialità e quelli più drammatici era così forte da risultare stucchevole, qui invece il meccanismo funziona impeccabilmente e alcuni episodi diventano tra i più coinvolgenti della produzione artistica del mangaka.
Il tutto poi ci viene servito su uno stile di disegno che è il punto più alto toccato da Tsukasa Hojo. Forse sono di parte, visto che considero le vignette disegnate da questo autore le più belle di tutto il panorama dei manga. Qui però si arriva a vette stratosferiche di precisione, bellezza e gamma di espressioni: penso che se Tsukasa Hojo sappia dare senza forzature ad ogni sua storia un tocco di poesia è perché sa fare assumere ai suoi personaggi tutte le sfumature del volto e gli atteggiamenti del corpo che vuole. Insomma Family Compo è una vera e propria gioia per gli occhi.
Certamente questo manga non è immune a difetti. Innanzitutto in alcuni punti la storia ha effettivamente delle forzature che non si possono proprio giustificare: basti pensare al fatto che Yukari va al mare in costume e nessuno dubita del suo vero sesso. Ora, un uomo può essere efebico quanto vuole, ma nessuno maschio può essere credibile come donna in costume da bagno, spiacente. Inoltre la vicenda sul vero sesso di Shion si presenta da subito debole e meno interessante rispetto alle altre sotto trame che si affastellano nel manga o ai singoli episodi. Penso che anche lo stesso autore se ne sia accorto, dandogli un peso non così rilevante nell'economia di tutta la serie. Infine, il finale, ahimè, lascia con l'amaro in bocca.
L'edizione italiana della Star Comics poi ebbe da subito una peculiarità che ricordava la prima edizione di Video Girl Ai. Se in Video Girl Ai la posta dei lettori divenne quasi subito l'alcova degli innamorati respinti che sfogavano nella casella delle lettere della Star le loro vicissitudini sentimentali, la posta di Family Compo divenne... il luogo per tanti lettori dove potere finalmente dichiararsi gay. In effetti quando venne pubblicato, nel 2000, di manga e fumetti a tematica GLBT (acronimo che sta per gay, lesbian, bisex e transex e che indica le opere che affrontano questo tipo di tematiche) praticamente non esistevano nelle fumetterie, se non di estrema nicchia. Nemmeno la questione dei diritti dei gay aveva la risonanza che ha tutt'oggi. Quindi, tutti gli utenti che scrivevano ringraziavano sentitamente i Kappa Boys di avere portato in Italia quest'opera di Hojo, perché leggendo le avventure di Masahiko molti si erano finalmente accettati, visto che avevano capito di essere come i membri di questa particolarissima famiglia: delle persone normali.
Sarà anche per questo che reputo Family Compo il manga più bello di Tsukasa Hojo assieme a L'Estate dell'Adolescenza?
Da riscoprire assolutamente.
E' la storia di Masahiko, un adolescente rimasto orfano dopo la morte improvvisa del padre, un uomo perennemente impegnato con il lavoro che si è sempre poco curato dell'unico figlio. Alla notizia della morte, verrà a fargli visita una donna mai vista prima da Masahiko, la zia Yukari, la quale gli propone di andare a stare da lei. Masahiko accetta, ma è perplesso: lui ricordava di avere uno zio, non una zia. Giunto a casa degli zii, si trova a stare in una famiglia meravigliosa: Yukari e Sora, il marito, vivono una bella villa in completa armonia, in più hanno una figlia da loro adorata, la cugina Shion, che è una bellissima ragazza. Cosa chiedere di più? Peccato che subito dopo Masahiko scoprirà che quella famiglia perfetta ha un piccolo difetto: Yukari, la zia, è effettivamente lo zio del protagonista! Semplicemente vive vestito da donna e lo stesso fa Sora, che in realtà si chiama Haruka, vivendo nei panni di un uomo. A complicare il tutto poi c'è Shion, la stupenda cugina, che rivela ben presto anche lei il "vizietto" di andare in giro una volta vestita da maschio, un'altra da donna... Ma alla fine è maschio o femmina Shion? Sarà il povero Masahiko a doverlo scoprire. Da qui partirà tutto il tourbillon di avventure tragicomiche che il protagonista dovrà vivere.
La morale di questo manga è palese: una famiglia fuori da qualsiasi canone di normalità è molto più sana e affettuosa di quella moralmente accettabile da cui proviene Masahiko. Nonostante ciò, la velata satira di costume di Family Compo non si traduce mai in un intreccio didascalico o politicamente corretto. Per quanto praticamente tutti i personaggi siano omosessuali o transessuali, non vedremo mai delle lesbiche forti e valorose, dei gay svenevoli e frivoli o dei transessuali intenti a lavorare in qualche localaccio a Shinjuku. Tutti i personaggi rifuggono ogni tipo di stereotipo, sono caratteri tutti a sé stanti, cosa che permette al lettore una facile immedesimazione e quindi, una più facile e credibile comprensione delle loro problematiche, rendendo il messaggio di Family Compo efficace e mai ridondante o perbenista.
A tutto questo poi si unisce un umorismo completamente diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere nei manga di Hojo. Il mangaka qui abbandona infatti l'umorismo slapstick di City Hunter e Cat's Eye, creando invece una commedia molto più sofisticata e dai tratti molto meno frenetici, tutta incentrata su eventi di vita quotidiana più o meno paradossali. Nonostante il cambio repentino di stile, non si rimpiange assolutamente il glorioso passato dell'autore, anzi, questa narrazione più rilassata e riflessiva non manca di divertire il lettore visto che gli spunti comici sono ottimamente gestiti e godibilissimi; inoltre questo tipo di umorismo è il migliore apripista per i momenti di maggiore malinconia o romanticismo, elementi che non sono mai mancati nei manga di Tsukasa Hojo. Solo che se per esempio in City Hunter certe volte lo stacco tra i momenti di completa demenzialità e quelli più drammatici era così forte da risultare stucchevole, qui invece il meccanismo funziona impeccabilmente e alcuni episodi diventano tra i più coinvolgenti della produzione artistica del mangaka.
Il tutto poi ci viene servito su uno stile di disegno che è il punto più alto toccato da Tsukasa Hojo. Forse sono di parte, visto che considero le vignette disegnate da questo autore le più belle di tutto il panorama dei manga. Qui però si arriva a vette stratosferiche di precisione, bellezza e gamma di espressioni: penso che se Tsukasa Hojo sappia dare senza forzature ad ogni sua storia un tocco di poesia è perché sa fare assumere ai suoi personaggi tutte le sfumature del volto e gli atteggiamenti del corpo che vuole. Insomma Family Compo è una vera e propria gioia per gli occhi.
Certamente questo manga non è immune a difetti. Innanzitutto in alcuni punti la storia ha effettivamente delle forzature che non si possono proprio giustificare: basti pensare al fatto che Yukari va al mare in costume e nessuno dubita del suo vero sesso. Ora, un uomo può essere efebico quanto vuole, ma nessuno maschio può essere credibile come donna in costume da bagno, spiacente. Inoltre la vicenda sul vero sesso di Shion si presenta da subito debole e meno interessante rispetto alle altre sotto trame che si affastellano nel manga o ai singoli episodi. Penso che anche lo stesso autore se ne sia accorto, dandogli un peso non così rilevante nell'economia di tutta la serie. Infine, il finale, ahimè, lascia con l'amaro in bocca.
L'edizione italiana della Star Comics poi ebbe da subito una peculiarità che ricordava la prima edizione di Video Girl Ai. Se in Video Girl Ai la posta dei lettori divenne quasi subito l'alcova degli innamorati respinti che sfogavano nella casella delle lettere della Star le loro vicissitudini sentimentali, la posta di Family Compo divenne... il luogo per tanti lettori dove potere finalmente dichiararsi gay. In effetti quando venne pubblicato, nel 2000, di manga e fumetti a tematica GLBT (acronimo che sta per gay, lesbian, bisex e transex e che indica le opere che affrontano questo tipo di tematiche) praticamente non esistevano nelle fumetterie, se non di estrema nicchia. Nemmeno la questione dei diritti dei gay aveva la risonanza che ha tutt'oggi. Quindi, tutti gli utenti che scrivevano ringraziavano sentitamente i Kappa Boys di avere portato in Italia quest'opera di Hojo, perché leggendo le avventure di Masahiko molti si erano finalmente accettati, visto che avevano capito di essere come i membri di questa particolarissima famiglia: delle persone normali.
Sarà anche per questo che reputo Family Compo il manga più bello di Tsukasa Hojo assieme a L'Estate dell'Adolescenza?
Da riscoprire assolutamente.
Aperte le prime pagine virtualmente e sfogliate con iniziale distrazione, alla mia perplessità è in breve subentrata un'impressione di colpevolezza immediata e struggente per la poca attenzione prestata in precedenza alla lettura.
Watashitachi no shiawase na jikan non è una favola, lungi dall'esserlo, ma ne esercita fascino uguale su chiunque si avvicini incautamente a leggerne la storia. È un quadro di vita reale, dolorosamente reale, tratteggiato con cura e pochi sentimentalismi, tanti quanti ne bastano per non cadere nella ricercata banalizzazione che oggigiorno è diventato il mondo. I sentimenti non vengono commercializzati né sono oggetto di speculazione, così come le esperienze sofferte dei protagonisti della vicenda non diventano argomento patetico da sviscerare, ma solo un punto di svolta, positivo o meno che sia, verso il giorno che seguirà con deliberato tedio.
La protagonista femminile, Juri, agli albori di una promettente carriera da pianista intrapresa in tenera età per riscattare una nascita che ha provocato nella madre, pianista anch'ella, l'interruzione della propria, subisce una violenza da parte dell'insegnante privato, buon amico di famiglia. Nei suoi soli sedici anni si ritrova costretta a subirne una seconda e ben più brutale quando, cercando conforto nell'unica figura familiare rimastale oltre il fratello e una zia suora, vede rifiutata la sua versione e non creduta. Amareggiata nel profondo, delusa e ferita dal disinganno, abbandona la musica e con essa il concetto stesso di vita rifugiandosi nella meschinità della menzogna che è costretta a perpetrare giorno dopo giorno: far finta di nulla e tacere. Dieci anni dopo davvero poco è mutato, tranne l'odio che riversa verso quel mondo d'ipocrisia e sofferenza bruciante, nonché verso la madre che tanto tempo prima l'aveva accusata ingiustamente d'essere una bugiarda e ora d'essere un peso e un fallimento con le classiche e mortifere parole "Sarebbe stato meglio tu non fossi mai nata".
La vicenda trova il suo inizio al terzo tentativo di suicidio da parte sua, unico modo di risposta che le sembra d’avere per reagire, che la costringe in letto d'ospedale. Tre, quanti sono gli omicidi del condannato a morte Yuu, uomo che come lei non è rimasto ragazzo nel cuore a differenza di altri e forse mai lo è stato davvero, se non proprio nell'inespressa necessità di sicurezza e punti stabili a cui far riferimento di cui ci si abbisogna in quell'età difficile, sensibilissima a pressioni esterne e perciò tanto più fragile. Entrambi colpevoli del risvolto di futuri in scatafascio, vite che si diramano piene di nodi e prospettano minaccia di gragnola all'orizzonte, ma in ultima analisi innocenti quanto può esserlo uno animo devastato dalla pena e dal rammarico di ciò che ha fatto o perduto - innocenza e spensieratezza.
Errori e rimpianti accantonati in un angolo durante incontri settimanali in cui ci si presenta all'altro nella riscoperta di se stessi, della vita e della sua bellezza fugace. Giorni trascorsi nell'attesa del giovedì, profumo di primavera nella neve e nei sorrisi sfumati d'agrodolce malinconia. "Se solo io non...", "Se solo fosse Giovedì ogni giorno...", se, se, i se dell’esistenza che loro avevano smesso di porsi e che ora, riaccettando la vita per quel che è e da ad ognuno, ritrovano.
Una stanza di prigione e un vetro divisorio a separarli, manette ai polsi di lui e altre a quelle di lei, invisibili, che le impediscono di suonare e che Juri infine si dimostrerà capace di spezzare. Un orgoglio complicato da mandar giù quello di entrambi, ma che diventa chiaro nel rifiuto di pietà e commiserazione di cui s’appronta, "apparente comprensione" ricevuta da chi sembra invece non capire proprio nulla. Simili per esperienze e riflessioni riguardo l’ambiente che li circonda, Yuu e Juri capiscono di aver scovato un prezioso amico e alleato l’uno nell’altra, qualcuno che riesca davvero capire e non finga, ma soprattutto non sia gentile per un secondo fine che esuli dal semplice impulso di un attimo. Sono occhi che si osservano e si rispecchiano i loro, cicatrici complementari e un amore che non risulta affatto scontato, ma di una dolcezza che ferisce e consola, punge e guarisce. E non danna, ma fa male solo un po’, quel dolore che fa capire si sia ancora vivi e ricorda che anche nella sofferenza possa esserci qualcosa di bello. Perché nel se più grande, quello del “se non fosse successo quella maledetta cosa, non fosse scattata la molla nella mente in quel maledetto giorno” sta la base del loro incontro e del loro rapporto. Sarebbero stati diversi, non si sarebbero mai conosciuti e probabilmente mai sarebbero cambiati. Non sarebbero state le persone migliori che sono adesso, capaci di affrontare con le lacrime, ma a testa alta, ciò che li attende alla fine di un lungo corridoio e di una scalinata. Di accettare le gioie così come le tristezze della vita e dispiegare a proprio piacimento i ricordi dei preziosi momenti vissuti in comune.
Watashitachi no shiawase na jikan è un percorso di otto tappe, un fiore a cui strappare per gioco le corolle, petalo dopo petalo, con tenerezza commovente e toccante. Un ardente sensazione di libertà quella del finale, che dilegua l’amaro lasciato in bocca poche pagine indietro con un senso di pace e speranza, la capacità di perdonare i torti subiti e andare avanti, voltare pagina una volta per tutte.
Passato che s’intona in un’ultima musica d’addio suonata al pianoforte, astio perduto da tempo e l’ultimo ricordo a cui aggrapparsi, quello che in fin dei conti il loro incontro fosse già avvenuto nel confine labile dove tutto è possibile.
Le lacrime non sono e non saranno mai sinonimo di debolezza o incertezza, ma solo sfogo di quel che si ha nell’animo. La tristezza non tortura né lambisce con carezze mortifere né tantomeno culla. È lo sfogo di un sentimento normalissimo che non ci deve essere precluso: di delusione, sconforto, dispiacere. Un invito a lasciarsi andare alle richieste del cuore. Gli ultimi sguardi che i protagonisti si scambiano, così umani, limpidi e pulsanti, mi hanno scosso nel profondo, così come l’intera storia e l’intreccio della trama.
Il fatto incontrovertibile sia un unico volume mi aveva fatto dubitare della valenza di un’opera che nella sua brevità immaginavo insipida, davo già per scontata considerata comunque la mole di argomenti che si prefissava di presentare e affrontare. Dubbi dissipati completamente, come avrete potuto intuire.
Non solo quindi una storia degnissima del voto pieno che mi sento in dovere di darle, ma trattata con una cura per i dettagli, i dialoghi, la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, il turbine di emozioni che provoca nel lettore che s’accinge ad immergersi e un senso del verosimile che lascia di stucco. Chiunque potrebbe essere Juri e chiunque tra noi potrebbe cadere nel vortice disperato in cui l’abuso di pazienza ha trascinato Yuu. Ed è questo che più di tutto colpisce e sgomenta: che per una volta non ci si deve sforzare di vedere od essere eroi. Lo si diventa per le piccole azioni, normali schermaglie quotidiane. Eroe è il giovane universitario che lavora e si mantiene gli studi, la donna che fa il lavoro a tempo pieno di casalinga e la madre senza altra retribuzione che non sia rispetto e gratitudine e affetto dalla sua famiglia. Eroi sono questi due ragazzi e chiunque ne legga la storia e ne comprenda il messaggio trasmesso.
Watashitachi no shiawase na jikan non è una favola, lungi dall'esserlo, ma ne esercita fascino uguale su chiunque si avvicini incautamente a leggerne la storia. È un quadro di vita reale, dolorosamente reale, tratteggiato con cura e pochi sentimentalismi, tanti quanti ne bastano per non cadere nella ricercata banalizzazione che oggigiorno è diventato il mondo. I sentimenti non vengono commercializzati né sono oggetto di speculazione, così come le esperienze sofferte dei protagonisti della vicenda non diventano argomento patetico da sviscerare, ma solo un punto di svolta, positivo o meno che sia, verso il giorno che seguirà con deliberato tedio.
La protagonista femminile, Juri, agli albori di una promettente carriera da pianista intrapresa in tenera età per riscattare una nascita che ha provocato nella madre, pianista anch'ella, l'interruzione della propria, subisce una violenza da parte dell'insegnante privato, buon amico di famiglia. Nei suoi soli sedici anni si ritrova costretta a subirne una seconda e ben più brutale quando, cercando conforto nell'unica figura familiare rimastale oltre il fratello e una zia suora, vede rifiutata la sua versione e non creduta. Amareggiata nel profondo, delusa e ferita dal disinganno, abbandona la musica e con essa il concetto stesso di vita rifugiandosi nella meschinità della menzogna che è costretta a perpetrare giorno dopo giorno: far finta di nulla e tacere. Dieci anni dopo davvero poco è mutato, tranne l'odio che riversa verso quel mondo d'ipocrisia e sofferenza bruciante, nonché verso la madre che tanto tempo prima l'aveva accusata ingiustamente d'essere una bugiarda e ora d'essere un peso e un fallimento con le classiche e mortifere parole "Sarebbe stato meglio tu non fossi mai nata".
La vicenda trova il suo inizio al terzo tentativo di suicidio da parte sua, unico modo di risposta che le sembra d’avere per reagire, che la costringe in letto d'ospedale. Tre, quanti sono gli omicidi del condannato a morte Yuu, uomo che come lei non è rimasto ragazzo nel cuore a differenza di altri e forse mai lo è stato davvero, se non proprio nell'inespressa necessità di sicurezza e punti stabili a cui far riferimento di cui ci si abbisogna in quell'età difficile, sensibilissima a pressioni esterne e perciò tanto più fragile. Entrambi colpevoli del risvolto di futuri in scatafascio, vite che si diramano piene di nodi e prospettano minaccia di gragnola all'orizzonte, ma in ultima analisi innocenti quanto può esserlo uno animo devastato dalla pena e dal rammarico di ciò che ha fatto o perduto - innocenza e spensieratezza.
Errori e rimpianti accantonati in un angolo durante incontri settimanali in cui ci si presenta all'altro nella riscoperta di se stessi, della vita e della sua bellezza fugace. Giorni trascorsi nell'attesa del giovedì, profumo di primavera nella neve e nei sorrisi sfumati d'agrodolce malinconia. "Se solo io non...", "Se solo fosse Giovedì ogni giorno...", se, se, i se dell’esistenza che loro avevano smesso di porsi e che ora, riaccettando la vita per quel che è e da ad ognuno, ritrovano.
Una stanza di prigione e un vetro divisorio a separarli, manette ai polsi di lui e altre a quelle di lei, invisibili, che le impediscono di suonare e che Juri infine si dimostrerà capace di spezzare. Un orgoglio complicato da mandar giù quello di entrambi, ma che diventa chiaro nel rifiuto di pietà e commiserazione di cui s’appronta, "apparente comprensione" ricevuta da chi sembra invece non capire proprio nulla. Simili per esperienze e riflessioni riguardo l’ambiente che li circonda, Yuu e Juri capiscono di aver scovato un prezioso amico e alleato l’uno nell’altra, qualcuno che riesca davvero capire e non finga, ma soprattutto non sia gentile per un secondo fine che esuli dal semplice impulso di un attimo. Sono occhi che si osservano e si rispecchiano i loro, cicatrici complementari e un amore che non risulta affatto scontato, ma di una dolcezza che ferisce e consola, punge e guarisce. E non danna, ma fa male solo un po’, quel dolore che fa capire si sia ancora vivi e ricorda che anche nella sofferenza possa esserci qualcosa di bello. Perché nel se più grande, quello del “se non fosse successo quella maledetta cosa, non fosse scattata la molla nella mente in quel maledetto giorno” sta la base del loro incontro e del loro rapporto. Sarebbero stati diversi, non si sarebbero mai conosciuti e probabilmente mai sarebbero cambiati. Non sarebbero state le persone migliori che sono adesso, capaci di affrontare con le lacrime, ma a testa alta, ciò che li attende alla fine di un lungo corridoio e di una scalinata. Di accettare le gioie così come le tristezze della vita e dispiegare a proprio piacimento i ricordi dei preziosi momenti vissuti in comune.
Watashitachi no shiawase na jikan è un percorso di otto tappe, un fiore a cui strappare per gioco le corolle, petalo dopo petalo, con tenerezza commovente e toccante. Un ardente sensazione di libertà quella del finale, che dilegua l’amaro lasciato in bocca poche pagine indietro con un senso di pace e speranza, la capacità di perdonare i torti subiti e andare avanti, voltare pagina una volta per tutte.
Passato che s’intona in un’ultima musica d’addio suonata al pianoforte, astio perduto da tempo e l’ultimo ricordo a cui aggrapparsi, quello che in fin dei conti il loro incontro fosse già avvenuto nel confine labile dove tutto è possibile.
Le lacrime non sono e non saranno mai sinonimo di debolezza o incertezza, ma solo sfogo di quel che si ha nell’animo. La tristezza non tortura né lambisce con carezze mortifere né tantomeno culla. È lo sfogo di un sentimento normalissimo che non ci deve essere precluso: di delusione, sconforto, dispiacere. Un invito a lasciarsi andare alle richieste del cuore. Gli ultimi sguardi che i protagonisti si scambiano, così umani, limpidi e pulsanti, mi hanno scosso nel profondo, così come l’intera storia e l’intreccio della trama.
Il fatto incontrovertibile sia un unico volume mi aveva fatto dubitare della valenza di un’opera che nella sua brevità immaginavo insipida, davo già per scontata considerata comunque la mole di argomenti che si prefissava di presentare e affrontare. Dubbi dissipati completamente, come avrete potuto intuire.
Non solo quindi una storia degnissima del voto pieno che mi sento in dovere di darle, ma trattata con una cura per i dettagli, i dialoghi, la caratterizzazione di ogni singolo personaggio, il turbine di emozioni che provoca nel lettore che s’accinge ad immergersi e un senso del verosimile che lascia di stucco. Chiunque potrebbe essere Juri e chiunque tra noi potrebbe cadere nel vortice disperato in cui l’abuso di pazienza ha trascinato Yuu. Ed è questo che più di tutto colpisce e sgomenta: che per una volta non ci si deve sforzare di vedere od essere eroi. Lo si diventa per le piccole azioni, normali schermaglie quotidiane. Eroe è il giovane universitario che lavora e si mantiene gli studi, la donna che fa il lavoro a tempo pieno di casalinga e la madre senza altra retribuzione che non sia rispetto e gratitudine e affetto dalla sua famiglia. Eroi sono questi due ragazzi e chiunque ne legga la storia e ne comprenda il messaggio trasmesso.
Georgie
8.0/10
Visto che da bambina le allegre ruzzate sui prati di Georgie - da sola o in dolce compagnia - mi avevano lasciata indifferente le mie aspettative riguardo al manga non erano particolarmente elevate, ma trattandosi pur sempre di una pietra miliare del suo genere mi sono sentita in dovere di dargli una possibilità, non fosse altro per poter dire di averci provato. Ho fatto bene: lungi dall'essere soltanto un feuilleton per immagini, l'opera di Mann Izawa e Yumiko Igarashi supera brillantemente la prova del tempo, giungendo fino a noi con la stessa dirompenza con cui ha saputo imporsi, al pari di "Candy Candy", su tutti gli altri racconti di otomechikku, vale a dire le dolci e spesso sfortunatissime fanciulle di cui era satura la scena shoujo dell'epoca.
Australia, seconda metà del Diciannovesimo Secolo. Georgie è una ragazza allegra, indomita e gentile che vive nei dintorni di Sydney con la sua famiglia, a cui è molto devota nonostante la madre Mary le abbia sempre preferito i fratelli Abel e Arthur. Questi ultimi, per contro, le sono molto affezionati - troppo affezionati secondo Mary, che teme che con il passare del tempo l'ascendente che la ragazza esercita su di loro possa finire per metterli l'uno contro l'altro. Dal canto suo Georgie è completamente ignara dei turbamenti che suscita nei suoi cari, così come non sa di essere stata adottata. Abel, stanco di nascondere i suoi veri sentimenti, vorrebbe dirle la verità, mentre Arthur, pur soffrendo tanto quanto lui, si oppone perché teme che lo choc possa essere troppo grande.
La situazione cambia quando Georgie si innamora, ricambiata, dell'inglese Lowell J. Gray, giovane e aitante nipote del neo-governatore di Sydney. Dopo qualche giorno di idillio i due si lasciano con la promessa che nel giro di sei mesi il ragazzo, rotto il fidanzamento con Elise Dangering, tornerà in Australia per ricondurla con sé in Inghilterra, dove potranno finalmente coronare il loro sogno d'amore. Mary, preoccupata per come potrebbero reagire i figli, durante un teso confronto con la figliastra finisce per confessarle che è figlia di deportati.
Non potendo più tornare a quella che fino a poco tempo prima chiamava casa sua, Georgie decide di non aspettare il ritorno di Lowell e di imbarcarsi per Londra, sperando di poter trovare notizie di quel che resta della sua famiglia. Poco dopo anche Abel e Arthur, ognuno per conto proprio, giungono in suolo britannico nella speranza che alla fine lei scelga uno di loro.
Rispetto all'anime il manga sorvola sull'infanzia di Georgie, Abel e Arthur per concentrarsi sulle complesse dinamiche affettive che intercorrono successivamente tra di loro. Qualcuno potrebbe obiettare che senza la prima le seconde non sono giustificabili, ma a mio avviso i vari flashback disseminati nell'opera assolvono al compito in maniera soddisfacente e soprattutto scongiurando il rischio di capitoli filler.
L'altra differenza sostanziale riguarda il finale, senza dubbio più in linea con l'impronta melodrammatica della storia, anche se personalmente avrei da ridire sui suoi ultimissimi risvolti che ho trovato eccessivi anche per un'opera che fa della tragicità il suo tratto distintivo.
Tra sconvolgenti rivelazioni, fughe rocambolesche, complotti, malattie e traversie varie Mann Izawa dà fondo a tutti i clichés delle storie d'appendice, inanellando una disgrazia dietro l'altra come se stesse lavorando a una ghirlanda di fiori. Ci si aspetterebbe che prima o poi una simile sequela di sventure - tutte già viste e sentite nelle sedi più disparate - venga a noia, e invece grazie a una sceneggiatura dal ritmo sostenuto ma mai convulso l'attenzione del lettore rimane invariata fino alla fine.
Georgie, essendo una otomechikku, è caratterizzata in modo tale che non vi siano dubbi sulla sua purezza d'animo, fungendo così da contraltare alle altre principali figure femminili: Mary, così ossessionata dalla prospettiva che la ragazza causare la rovina della famiglia da vedere presagi dappertutto; Jessica, pronta a tutto pur di conquistare Abel; ed infine Elise, che non avendo mai dovuto lottare per ottenere ciò che crede le spetti di diritto ricorre alla cattiveria. Tuttavia sarebbe ingiusto definirla una Mary Sue (nome in codice di tutti i personaggi femminili fittizi ridicolmente idealizzati e privi di difetti), perché pur rappresentando un modello da imitare Izawa ha il buon gusto di non farci cadere la sua virtù dall'alto. Forse non ha le idee molto chiare in ambito sentimentale, ma non c'è alcuna malizia nel suo ritrovarsi fra le braccia di un ragazzo sempre diverso, poiché è genuinamente legata ad ognuno di loro.
Si ravvisa infine una certa ambiguità nel tratteggiare le personalità di Abel, Arthur e Lowell, che si riflette nel loro modo di vivere il loro amore per Georgie: il primo è vittima delle sue smanie di possesso, il secondo si tormenta perché sa che, comunque vada a finire, qualcuno a cui tiene molto finirà per soffrire, mentre il terzo è decisamente più risoluto a parole che con i fatti. Il rapporto che Georgie ha con ognuno di loro è caratterizzato da una tensione - principalmente di carattere sessuale - che nessuna delle parti in causa sa come affrontare e che, lungi dallo scemare, resta in agguato anche nei rari momenti di distensione.
Non vado matta per il tratto della Igarashi, decisamente troppo fiorito - in tutti i sensi - per i miei gusti, ma ho apprezzato molto la sua attenzione ai più piccoli dettagli di ogni scena. Le tavole, inoltre, sono costruite in modo arioso e intuitivo, nonché sempre al passo con il ritmo della sceneggiatura.
In conclusione: se state accarezzando l'idea di un'incursione nel (tragico) mondo delle otomechikku ma non sapete da dove cominciare - o se volete essere sicuri di non perdere il vostro tempo con opere di dubbia qualità - "Georgie" è il manga che non sapete ancora di stare cercando. Poco importa se questo genere narrativo non vi fa impazzire, come nel caso della sottoscritta: scoprirete che la sua freschezza sarà in grado di vincere qualsiasi vostra possibile reticenza.
Australia, seconda metà del Diciannovesimo Secolo. Georgie è una ragazza allegra, indomita e gentile che vive nei dintorni di Sydney con la sua famiglia, a cui è molto devota nonostante la madre Mary le abbia sempre preferito i fratelli Abel e Arthur. Questi ultimi, per contro, le sono molto affezionati - troppo affezionati secondo Mary, che teme che con il passare del tempo l'ascendente che la ragazza esercita su di loro possa finire per metterli l'uno contro l'altro. Dal canto suo Georgie è completamente ignara dei turbamenti che suscita nei suoi cari, così come non sa di essere stata adottata. Abel, stanco di nascondere i suoi veri sentimenti, vorrebbe dirle la verità, mentre Arthur, pur soffrendo tanto quanto lui, si oppone perché teme che lo choc possa essere troppo grande.
La situazione cambia quando Georgie si innamora, ricambiata, dell'inglese Lowell J. Gray, giovane e aitante nipote del neo-governatore di Sydney. Dopo qualche giorno di idillio i due si lasciano con la promessa che nel giro di sei mesi il ragazzo, rotto il fidanzamento con Elise Dangering, tornerà in Australia per ricondurla con sé in Inghilterra, dove potranno finalmente coronare il loro sogno d'amore. Mary, preoccupata per come potrebbero reagire i figli, durante un teso confronto con la figliastra finisce per confessarle che è figlia di deportati.
Non potendo più tornare a quella che fino a poco tempo prima chiamava casa sua, Georgie decide di non aspettare il ritorno di Lowell e di imbarcarsi per Londra, sperando di poter trovare notizie di quel che resta della sua famiglia. Poco dopo anche Abel e Arthur, ognuno per conto proprio, giungono in suolo britannico nella speranza che alla fine lei scelga uno di loro.
Rispetto all'anime il manga sorvola sull'infanzia di Georgie, Abel e Arthur per concentrarsi sulle complesse dinamiche affettive che intercorrono successivamente tra di loro. Qualcuno potrebbe obiettare che senza la prima le seconde non sono giustificabili, ma a mio avviso i vari flashback disseminati nell'opera assolvono al compito in maniera soddisfacente e soprattutto scongiurando il rischio di capitoli filler.
L'altra differenza sostanziale riguarda il finale, senza dubbio più in linea con l'impronta melodrammatica della storia, anche se personalmente avrei da ridire sui suoi ultimissimi risvolti che ho trovato eccessivi anche per un'opera che fa della tragicità il suo tratto distintivo.
Tra sconvolgenti rivelazioni, fughe rocambolesche, complotti, malattie e traversie varie Mann Izawa dà fondo a tutti i clichés delle storie d'appendice, inanellando una disgrazia dietro l'altra come se stesse lavorando a una ghirlanda di fiori. Ci si aspetterebbe che prima o poi una simile sequela di sventure - tutte già viste e sentite nelle sedi più disparate - venga a noia, e invece grazie a una sceneggiatura dal ritmo sostenuto ma mai convulso l'attenzione del lettore rimane invariata fino alla fine.
Georgie, essendo una otomechikku, è caratterizzata in modo tale che non vi siano dubbi sulla sua purezza d'animo, fungendo così da contraltare alle altre principali figure femminili: Mary, così ossessionata dalla prospettiva che la ragazza causare la rovina della famiglia da vedere presagi dappertutto; Jessica, pronta a tutto pur di conquistare Abel; ed infine Elise, che non avendo mai dovuto lottare per ottenere ciò che crede le spetti di diritto ricorre alla cattiveria. Tuttavia sarebbe ingiusto definirla una Mary Sue (nome in codice di tutti i personaggi femminili fittizi ridicolmente idealizzati e privi di difetti), perché pur rappresentando un modello da imitare Izawa ha il buon gusto di non farci cadere la sua virtù dall'alto. Forse non ha le idee molto chiare in ambito sentimentale, ma non c'è alcuna malizia nel suo ritrovarsi fra le braccia di un ragazzo sempre diverso, poiché è genuinamente legata ad ognuno di loro.
Si ravvisa infine una certa ambiguità nel tratteggiare le personalità di Abel, Arthur e Lowell, che si riflette nel loro modo di vivere il loro amore per Georgie: il primo è vittima delle sue smanie di possesso, il secondo si tormenta perché sa che, comunque vada a finire, qualcuno a cui tiene molto finirà per soffrire, mentre il terzo è decisamente più risoluto a parole che con i fatti. Il rapporto che Georgie ha con ognuno di loro è caratterizzato da una tensione - principalmente di carattere sessuale - che nessuna delle parti in causa sa come affrontare e che, lungi dallo scemare, resta in agguato anche nei rari momenti di distensione.
Non vado matta per il tratto della Igarashi, decisamente troppo fiorito - in tutti i sensi - per i miei gusti, ma ho apprezzato molto la sua attenzione ai più piccoli dettagli di ogni scena. Le tavole, inoltre, sono costruite in modo arioso e intuitivo, nonché sempre al passo con il ritmo della sceneggiatura.
In conclusione: se state accarezzando l'idea di un'incursione nel (tragico) mondo delle otomechikku ma non sapete da dove cominciare - o se volete essere sicuri di non perdere il vostro tempo con opere di dubbia qualità - "Georgie" è il manga che non sapete ancora di stare cercando. Poco importa se questo genere narrativo non vi fa impazzire, come nel caso della sottoscritta: scoprirete che la sua freschezza sarà in grado di vincere qualsiasi vostra possibile reticenza.
Claudine
9.0/10
Recensione di traxer-kun
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<b> Attenzione: spoiler! </b>
"Ancora una volta, mi sento di affermare che nessun uomo, nato tale, avrebbe potuto amare una donna così profondamente come lei."
Ci sono opere che commuovono, opere che fanno riflettere, opere che indignano. E poi ci sono opere che arrivano talmente in anticipo sui propri tempi che, al di là della loro carica emotiva e della loro ricchezza di contenuti, non possono che lasciare stupiti; non è un caso che il volumetto in questione sia stato pubblicato in Italia dalla Goen solo dopo quasi quarant'anni dalla sua uscita in Giappone. Claudine è infatti un racconto del 1978, tra l'altro ambientato in Francia nei primi anni del '900, ma è a tutt'oggi di un'attualità sconcertante. Riyoko Ikeda, autrice (tra le altre cose) di Versailles no Bara, in Europa meglio conosciuto con il nome di Lady Oscar, ha sempre posto particolare attenzione al rapporto tra i sessi, non solamente a quello tradizionale ma anche (e ampiamente) a quelli "non convenzionali", senza però osservarli dall'alto e analizzarli con freddezza e oggettività, ma accogliendoli in modo sentito e sincero. Le sue eroine, a partire proprio da Oscar, sono spesso persone in conflitto con il proprio corpo e con la propria identità sessuale, persone che soffrono, amano e combattono prima che con gli altri con sé stesse. Tuttavia se in molte opere della Ikeda il tema, peraltro presente e acceso, poteva essere messo in ombra dalla trama principale e dalle vicende narrative, in Claudine ne rappresenta proprio il fulcro.
La storia racconta alcuni anni di vita di Claudine de Montes, nobile ragazza francese figlia di un facoltoso proprietario terriero; la fanciulla, bellissima, intelligente e forte nel corpo e nello spirito, si è fin da piccola ritenuta un uomo nato nel corpo di una donna. Sempre splendida e al tempo stesso fragile per la sua condizione tormentata, Claudine amerà due donne: la prima durante gli anni della sua adolescenza, la seconda, Selene, dopo l'iscrizione all'Università di Parigi. Per lei sarà un amore breve, ma puro e profondissimo, come l'ultima, esplosiva fiammata di un fuoco d'artificio destinato a spegnersi.
Tra i personaggi, tutti caratterizzati magnificamente, spicca nettamente la figura della bella Claudine. Quest'ultima la ritengo uno dei più grandi personaggi mai delineati dalla Ikeda (e non solo): ragazza tormentata, sconfitta e incapace di accettarsi, ma al contempo forte di una dignità e di una sensibilità che mettono le lacrime agli occhi. Claudine non è una donna, bensì -come dirà lei stessa- un uomo incompleto, rifiutata dal mondo che la circonda e che la giudica e dallo stesso Amore, che non le concede la felicità che cerca.
La sua identità è ciò che la fa sentire viva e che le consente di amare Selene con tutta sé stessa, ma è allo stesso tempo il suo più pesante fardello, fonte di tutte le delusioni e della sofferenza che la accompagna, di cui è impossibile liberarsi se non a prezzo della vita.
L'autrice dipinge con una passione smisurata questa semplice ma ricchissima storia d'amore, senza mai cadere nelle banalità o negli stereotipi, che quando si tratta in modo approfondito le suddette tematiche sono errori facili in cui incorrere.
Il tratto d'altri tempi dell'autrice, elegante ed evocativo, non è invecchiato di un singolo anno e non ha perso un briciolo della sua potenza espressiva; dolce e struggente, legato ad una Francia nobile e sfarzosa, contiene in sé una grandezza e una maestosità impossibili da trovare in qualsiasi opera odierna, di qualunque genere.
Il volume della Goen, venduto al prezzo di 5,95€, contiene inoltre due storie a parte, che si potrebbero considerare uno "spin-off" de La Finestra di Orfeo; nonostante il carattere drammatico ma al contempo leggero dei due racconti, che ne rende molto piacevole la lettura, sono ben lontani dalla grandezza di Claudine, con cui la Ikeda ha toccato uno dei punti più alti della sua ricchissima carriera.
"Ancora una volta, mi sento di affermare che nessun uomo, nato tale, avrebbe potuto amare una donna così profondamente come lei."
Ci sono opere che commuovono, opere che fanno riflettere, opere che indignano. E poi ci sono opere che arrivano talmente in anticipo sui propri tempi che, al di là della loro carica emotiva e della loro ricchezza di contenuti, non possono che lasciare stupiti; non è un caso che il volumetto in questione sia stato pubblicato in Italia dalla Goen solo dopo quasi quarant'anni dalla sua uscita in Giappone. Claudine è infatti un racconto del 1978, tra l'altro ambientato in Francia nei primi anni del '900, ma è a tutt'oggi di un'attualità sconcertante. Riyoko Ikeda, autrice (tra le altre cose) di Versailles no Bara, in Europa meglio conosciuto con il nome di Lady Oscar, ha sempre posto particolare attenzione al rapporto tra i sessi, non solamente a quello tradizionale ma anche (e ampiamente) a quelli "non convenzionali", senza però osservarli dall'alto e analizzarli con freddezza e oggettività, ma accogliendoli in modo sentito e sincero. Le sue eroine, a partire proprio da Oscar, sono spesso persone in conflitto con il proprio corpo e con la propria identità sessuale, persone che soffrono, amano e combattono prima che con gli altri con sé stesse. Tuttavia se in molte opere della Ikeda il tema, peraltro presente e acceso, poteva essere messo in ombra dalla trama principale e dalle vicende narrative, in Claudine ne rappresenta proprio il fulcro.
La storia racconta alcuni anni di vita di Claudine de Montes, nobile ragazza francese figlia di un facoltoso proprietario terriero; la fanciulla, bellissima, intelligente e forte nel corpo e nello spirito, si è fin da piccola ritenuta un uomo nato nel corpo di una donna. Sempre splendida e al tempo stesso fragile per la sua condizione tormentata, Claudine amerà due donne: la prima durante gli anni della sua adolescenza, la seconda, Selene, dopo l'iscrizione all'Università di Parigi. Per lei sarà un amore breve, ma puro e profondissimo, come l'ultima, esplosiva fiammata di un fuoco d'artificio destinato a spegnersi.
Tra i personaggi, tutti caratterizzati magnificamente, spicca nettamente la figura della bella Claudine. Quest'ultima la ritengo uno dei più grandi personaggi mai delineati dalla Ikeda (e non solo): ragazza tormentata, sconfitta e incapace di accettarsi, ma al contempo forte di una dignità e di una sensibilità che mettono le lacrime agli occhi. Claudine non è una donna, bensì -come dirà lei stessa- un uomo incompleto, rifiutata dal mondo che la circonda e che la giudica e dallo stesso Amore, che non le concede la felicità che cerca.
La sua identità è ciò che la fa sentire viva e che le consente di amare Selene con tutta sé stessa, ma è allo stesso tempo il suo più pesante fardello, fonte di tutte le delusioni e della sofferenza che la accompagna, di cui è impossibile liberarsi se non a prezzo della vita.
L'autrice dipinge con una passione smisurata questa semplice ma ricchissima storia d'amore, senza mai cadere nelle banalità o negli stereotipi, che quando si tratta in modo approfondito le suddette tematiche sono errori facili in cui incorrere.
Il tratto d'altri tempi dell'autrice, elegante ed evocativo, non è invecchiato di un singolo anno e non ha perso un briciolo della sua potenza espressiva; dolce e struggente, legato ad una Francia nobile e sfarzosa, contiene in sé una grandezza e una maestosità impossibili da trovare in qualsiasi opera odierna, di qualunque genere.
Il volume della Goen, venduto al prezzo di 5,95€, contiene inoltre due storie a parte, che si potrebbero considerare uno "spin-off" de La Finestra di Orfeo; nonostante il carattere drammatico ma al contempo leggero dei due racconti, che ne rende molto piacevole la lettura, sono ben lontani dalla grandezza di Claudine, con cui la Ikeda ha toccato uno dei punti più alti della sua ricchissima carriera.
Kiss & Never cry
9.0/10
Recensione di Turboo Stefo
-
Dall'autrice di "Sei il mio cucciolo", Yayoi Ogawa, nasce un incredibile josei di 10 volumi, un'opera che racchiude in sé una storia ricca di suspense, drammatica, con profonde caratterizzazioni, il tutto miscelato con una vena da "spokon" dedicato alla danza su ghiaccio: una miscela tanto originale quanto riuscita.
La dolce Michiru era una bambina solare e sorridente, il cui sogno era diventare una bellissima e aggraziata pattinatrice per poter emulare la madre e il defunto padre, un'ex coppia di danza su ghiaccio. Ad accompagnarla in questo sogno c'è il piccolo gruppo di amici, tra i quali spicca Leon, un ragazzo timido e impacciato rimasto ammaliato dallo spirito di Michiru. Peccato che dopo un battibecco Leon le lasciò la mano e rimpiangerà quel gesto per tutta la vita. Infatti, dopo averla lasciata fuggire, Michiru è stata rapita ed è a conoscenza di qualche particolare sull'omicidio dell'ammirato allenatore. Da quel momento la bambina ha lasciato il posto a una figura fredda e insensibile, dallo sguardo insofferente. L'unica via di fuga da quel mondo oscuro è il pattinaggio, dove la ragazza cercherà il successo e la perfezione al costo della salute.
L'inizio è tanto semplice quanto funzionale, riesce a gettare il lettore completamente nella vicenda incuriosendolo sin dalle prime pagine. Dopo il flashback la vera storia inizia mostrando i vecchi amici ormai cresciuti e Michiru che abbandona la competizione in singolo per approdare finalmente alla danza su ghiaccio.
I primi volumi sono più strutturati e tecnici, soprattutto per quanto riguarda le spiegazioni del complesso e rigido mondo di regole che inaspettatamente governa la disciplina, e dopo questo la storia prende completamente il decollo: i vari aspetti della storia si intrecciano e si slegano in continuazione, percorrendo vie separate che però finiscono con il coincidere nelle esibizioni sportive. Le shockanti rivelazioni del misterioso passato e i delicati rapporti del gruppo vengono rispecchiati dalle danze e dagli andamenti delle gare, e il tutto ha un solo e unico scopo, ovvero accompagnare Michiru per una lunga avventura che vale la vita. Poter grattare e sbriciolare poco alla volta il terribile muro che la circonda le permette di avere tanti piccoli cambiamenti, fino a situazioni più complesse che permettono di abbattere definitivamente questo ostacolo, scavalcandone con relativa facilità gli ultimi detriti per poter lasciare alla vera Michiru la bella sensazione di sorridere in tutto il suo splendore, abbracciando finalmente ciò che di bello ha la vita e l'amore da offrire.
Come detto, l'aspetto sportivo percorre un binario separato ma parallelo alla storia, ma inaspettatamente non ricalca il classico aspetto del genere. Infatti i protagonisti non avranno una carriera molto semplice, ma costellata di problemi anche fisici e non sempre la vittoria è assicurata. Questo aiuta a coinvolgere ancora di più il lettore.
Le caratterizzazioni, però, sono il vero fiore all'occhiello della serie. Leon e Hikaru, le figure maschili che girano intorno alla protagonista, sono sempre più curati e approfonditi e, anche se apparentemente sembrano agli opposti, sapranno risultare simili in altri piccoli frangenti, mentre i personaggi di contorno sono perfetti per i loro ruoli e solamente i personaggi più leggeri e perimetrali sono maggiormente comici ma non in modo eccessivo. L'unico personaggio che potrebbe sembrare completamente esule da questo buon lavoro potrebbe essere la madre di Michiru, che proseguendo risulta sempre più messa ai margini, e quelle poche occasioni in cui si vedrà potrebbe far trasparire l'aspetto di un personaggio debole, ma riflettendoci attentamente si comprende come forse l'autrice l'abbia resa affine alla figlia ma non l'ha sfruttata a dovere.
Inutile dire che la bella Michiru è curata in modo maniacale. Dopo che il muro comincia a cedere si vede la vera personalità che inizia a uscire; la fredda e cupa ragazza lentamente inizia a mostrare il suo inaspettato amore per i cibi e soprattutto per i dolci, mentre quell'infanzia perduta sta tornando lentamente a galla con l'attaccamento morboso a peluches e oggetti con tanto di capricci e lacrimucce, in completo contrasto con la donna che si concede ogni notte all'uomo che crede di amare anche se poi finisce con il rinchiudersi in se stessa per piccoli momenti, mentre quando capirà di amare una persona cercherà di isolarsi per non soffrire odiando se stessa. "Kiss & Never cry" è un quadro molto complesso da capire e da elaborare, ma lasciandosi trasportare dall'empatia innata che permea le pagine disegnate dalla brava Yayoi Ogawa sarà più semplice che mai riuscire a comprendere la complicata evoluzione psicologica in atto.
Inutile dire, infine, che la lettura tiene sempre alto l'interesse del lettore grazie alla sua intensa dose di emozioni, passando dalla suspense a qualche gag semplice ma d'effetto, fino al fantastico finale che finalmente riporta il sorriso, quel sorriso, sull'elegante volto della bellissima donna che è ormai Michiru.
Il disegno è ottimo, soprattutto per quanto riguarda le scene di danza su ghiaccio. Il tratto dell'autrice è elegante e pulito, il character design è vario e ben curato, mentre i volti risultano efficacemente espressivi. Notevole anche la cura "stilistica" degli abbigliamenti, sempre freschi e originali, soprattutto nel trio principale.
Tutte queste caratteristiche sono presenti e ampliate nelle scene sportive: i danzatori hanno volti altamente teatrali come richiesto dalla disciplina, mentre l'armonia di coppia che si sviluppa permette loro di migliorare costantemente. Inoltre l'autrice inventa costumi di scena sempre più belli e adatti allo stile delle musiche scelte, con incredibili picchi di eleganza. Tutto questo sarebbe vano se non fosse per le coreografie: l'autrice decide di abbreviarle con relativamente poche pose plastiche e brevi sequenze, però il bellissimo corpo di Michiru, apparentemente gracile e fasciato strettamente dai vestiti elasticizzati, lascia trasparire un'innata eleganza con i muscoli tonici e flessuosi che trasformano completamente quell'aspetto apparentemente immaturo da adolescente in una figura semplicemente ammaliante.
L'edizione italiana della GP è una delle prime dell'editore. I primi volumi hanno un prezzo economico ma ancora eccessivo per la qualità, ovvero una copertina fragile e pessima carta giallastra e piena di odiose trasparenze, senza parlare della pessima stampa e della rilegatura voluminosa. Gli ultimi numeri con un leggero sovrapprezzo però migliorano notevolmente, con una rilegatura più compatta, con carta grigia e spessa, e con una maggiore pulizia di stampa.
Il "Kiss & Cry" è il nomignolo con il quale gli atleti chiamano il luogo dove si aspetta la valutazione dell'esibizione, dove si aspetta se essere felici o piangere. Quindi il titolo "Kiss & Never Cry" è una storpiatura dello stesso che parla anche della vita di Michiru, invitando il lettore a essere felice e non piangere mai, a sopportare e uscire con tutta la propria forza dalle situazioni più dure.
E' difficile quindi descrivere a parole la magia che rapisce letteralmente il lettore. Yayoi Ogawa ha creato una bellissima opera che intreccia la danza su ghiaccio con una storia drammatica, profonda e toccante, condita da tantissimo sentimento e soprattutto arricchita dalla complessa psicologia della protagonista, che con il suo "essere" instilla nel lettore uno strano sentimento di protezione verso la stessa, grazie a un'incredibile empatia che si va a creare.
Un manga che si farà ricordare a lungo, perché la storia di Michiru è una di quelle che colpiscono e rimangono nel cuore.
La dolce Michiru era una bambina solare e sorridente, il cui sogno era diventare una bellissima e aggraziata pattinatrice per poter emulare la madre e il defunto padre, un'ex coppia di danza su ghiaccio. Ad accompagnarla in questo sogno c'è il piccolo gruppo di amici, tra i quali spicca Leon, un ragazzo timido e impacciato rimasto ammaliato dallo spirito di Michiru. Peccato che dopo un battibecco Leon le lasciò la mano e rimpiangerà quel gesto per tutta la vita. Infatti, dopo averla lasciata fuggire, Michiru è stata rapita ed è a conoscenza di qualche particolare sull'omicidio dell'ammirato allenatore. Da quel momento la bambina ha lasciato il posto a una figura fredda e insensibile, dallo sguardo insofferente. L'unica via di fuga da quel mondo oscuro è il pattinaggio, dove la ragazza cercherà il successo e la perfezione al costo della salute.
L'inizio è tanto semplice quanto funzionale, riesce a gettare il lettore completamente nella vicenda incuriosendolo sin dalle prime pagine. Dopo il flashback la vera storia inizia mostrando i vecchi amici ormai cresciuti e Michiru che abbandona la competizione in singolo per approdare finalmente alla danza su ghiaccio.
I primi volumi sono più strutturati e tecnici, soprattutto per quanto riguarda le spiegazioni del complesso e rigido mondo di regole che inaspettatamente governa la disciplina, e dopo questo la storia prende completamente il decollo: i vari aspetti della storia si intrecciano e si slegano in continuazione, percorrendo vie separate che però finiscono con il coincidere nelle esibizioni sportive. Le shockanti rivelazioni del misterioso passato e i delicati rapporti del gruppo vengono rispecchiati dalle danze e dagli andamenti delle gare, e il tutto ha un solo e unico scopo, ovvero accompagnare Michiru per una lunga avventura che vale la vita. Poter grattare e sbriciolare poco alla volta il terribile muro che la circonda le permette di avere tanti piccoli cambiamenti, fino a situazioni più complesse che permettono di abbattere definitivamente questo ostacolo, scavalcandone con relativa facilità gli ultimi detriti per poter lasciare alla vera Michiru la bella sensazione di sorridere in tutto il suo splendore, abbracciando finalmente ciò che di bello ha la vita e l'amore da offrire.
Come detto, l'aspetto sportivo percorre un binario separato ma parallelo alla storia, ma inaspettatamente non ricalca il classico aspetto del genere. Infatti i protagonisti non avranno una carriera molto semplice, ma costellata di problemi anche fisici e non sempre la vittoria è assicurata. Questo aiuta a coinvolgere ancora di più il lettore.
Le caratterizzazioni, però, sono il vero fiore all'occhiello della serie. Leon e Hikaru, le figure maschili che girano intorno alla protagonista, sono sempre più curati e approfonditi e, anche se apparentemente sembrano agli opposti, sapranno risultare simili in altri piccoli frangenti, mentre i personaggi di contorno sono perfetti per i loro ruoli e solamente i personaggi più leggeri e perimetrali sono maggiormente comici ma non in modo eccessivo. L'unico personaggio che potrebbe sembrare completamente esule da questo buon lavoro potrebbe essere la madre di Michiru, che proseguendo risulta sempre più messa ai margini, e quelle poche occasioni in cui si vedrà potrebbe far trasparire l'aspetto di un personaggio debole, ma riflettendoci attentamente si comprende come forse l'autrice l'abbia resa affine alla figlia ma non l'ha sfruttata a dovere.
Inutile dire che la bella Michiru è curata in modo maniacale. Dopo che il muro comincia a cedere si vede la vera personalità che inizia a uscire; la fredda e cupa ragazza lentamente inizia a mostrare il suo inaspettato amore per i cibi e soprattutto per i dolci, mentre quell'infanzia perduta sta tornando lentamente a galla con l'attaccamento morboso a peluches e oggetti con tanto di capricci e lacrimucce, in completo contrasto con la donna che si concede ogni notte all'uomo che crede di amare anche se poi finisce con il rinchiudersi in se stessa per piccoli momenti, mentre quando capirà di amare una persona cercherà di isolarsi per non soffrire odiando se stessa. "Kiss & Never cry" è un quadro molto complesso da capire e da elaborare, ma lasciandosi trasportare dall'empatia innata che permea le pagine disegnate dalla brava Yayoi Ogawa sarà più semplice che mai riuscire a comprendere la complicata evoluzione psicologica in atto.
Inutile dire, infine, che la lettura tiene sempre alto l'interesse del lettore grazie alla sua intensa dose di emozioni, passando dalla suspense a qualche gag semplice ma d'effetto, fino al fantastico finale che finalmente riporta il sorriso, quel sorriso, sull'elegante volto della bellissima donna che è ormai Michiru.
Il disegno è ottimo, soprattutto per quanto riguarda le scene di danza su ghiaccio. Il tratto dell'autrice è elegante e pulito, il character design è vario e ben curato, mentre i volti risultano efficacemente espressivi. Notevole anche la cura "stilistica" degli abbigliamenti, sempre freschi e originali, soprattutto nel trio principale.
Tutte queste caratteristiche sono presenti e ampliate nelle scene sportive: i danzatori hanno volti altamente teatrali come richiesto dalla disciplina, mentre l'armonia di coppia che si sviluppa permette loro di migliorare costantemente. Inoltre l'autrice inventa costumi di scena sempre più belli e adatti allo stile delle musiche scelte, con incredibili picchi di eleganza. Tutto questo sarebbe vano se non fosse per le coreografie: l'autrice decide di abbreviarle con relativamente poche pose plastiche e brevi sequenze, però il bellissimo corpo di Michiru, apparentemente gracile e fasciato strettamente dai vestiti elasticizzati, lascia trasparire un'innata eleganza con i muscoli tonici e flessuosi che trasformano completamente quell'aspetto apparentemente immaturo da adolescente in una figura semplicemente ammaliante.
L'edizione italiana della GP è una delle prime dell'editore. I primi volumi hanno un prezzo economico ma ancora eccessivo per la qualità, ovvero una copertina fragile e pessima carta giallastra e piena di odiose trasparenze, senza parlare della pessima stampa e della rilegatura voluminosa. Gli ultimi numeri con un leggero sovrapprezzo però migliorano notevolmente, con una rilegatura più compatta, con carta grigia e spessa, e con una maggiore pulizia di stampa.
Il "Kiss & Cry" è il nomignolo con il quale gli atleti chiamano il luogo dove si aspetta la valutazione dell'esibizione, dove si aspetta se essere felici o piangere. Quindi il titolo "Kiss & Never Cry" è una storpiatura dello stesso che parla anche della vita di Michiru, invitando il lettore a essere felice e non piangere mai, a sopportare e uscire con tutta la propria forza dalle situazioni più dure.
E' difficile quindi descrivere a parole la magia che rapisce letteralmente il lettore. Yayoi Ogawa ha creato una bellissima opera che intreccia la danza su ghiaccio con una storia drammatica, profonda e toccante, condita da tantissimo sentimento e soprattutto arricchita dalla complessa psicologia della protagonista, che con il suo "essere" instilla nel lettore uno strano sentimento di protezione verso la stessa, grazie a un'incredibile empatia che si va a creare.
Un manga che si farà ricordare a lungo, perché la storia di Michiru è una di quelle che colpiscono e rimangono nel cuore.
Condivido il podio con tre bellissimi titoli.
Il mio preferito è Maison Ikkoku.
Lamù un'altra opera della regina dei manga.
City Hunter sono cresciuto con questa opera stupenda.
- Orange Road
- Solanin
- City Hunter (ma non è un poliziesco-noir demenziale?)
- Maison Ikkoku
- Cielo Radioso
- Allevare un cane e altri racconti (dove sta il sentimentale?)
- Katsu
- Video girl ai
- 100% Fragola
Di quelli presenti prima o poi leggerò : Aku no Hana - I fiori del male, Touch e Family Compo.
City Hunter e Lamu, secondo me non rientrano in questa classifica visto che la componente sentimentale è davvero esigua, c'é più romanticismo in Ranma1/2 o addirittura Inuyasha
Parlando del podio, ho letto solo Rossana e lo ritengo stupendo, l'avrei messo anch'io primo! Riletto più volte e sempre bellissimo.
Glass no Kamen non l'ho mai letto e di Maison Ikkoku ho visto solo l'anime che non mi ha presa per niente... Poi Lamù in ottava posizione mi stona un po'.
Per quanto riguarda i primi posti, Il giocattolo dei bambini è un ottimo prodotto, che dietro l'apparenza di banale manga scolastico svela alcuni temi particolari e scottanti, come i retroscena dei mini-divi (il cui mondo non è sempre roseo come sembra), l'autolesionismo, l'incesto, ed altri.
Stupendo Maison Ikkoku, eccetto per una singola scena del manga che trovo smuinuisca tutta la poesia che avevo trovato nell'anime; resta comunque il miglior manga della Takahashi, perché non segue il solito schema ad episodi strettamente autoconclusivi e riesce ad inserire le solite scenette comiche come semplice sfondo di una storia molto più maturo. Ultima cosa, non per importanza, il finale... e sottolineo FINALE (uso il maiuscolo perché non esiste il grassetto), chi ha letto l'opera e conosce la Takahashi mi ha capita.
La maschera di vetro, delizia e tormento di tutti coloro che hanno amato l'anime negli anni '80... Chi immaginava che dopo tanto tempo l'opera non fosse conclusa? Purtroppo l'autrice, vuoi per eccessivo perfezionismo, vuoi per ossessione, o per non perdere una grande fonte di guadagno quale è la sua opera più importante, si è inceppata e, cosa peggiore, sta rischiando di rovinare sul serio il suo capolavoro, che negli ultimi sofferti capitoli inizia a perdere di mordente ed a sapere di minestra riscaldata: i giochi sarebbero belli che fatti, ma lei mette qualche impiccio qua e là giusto per continuare a rimandare... Perché, Miuchi, perché???
Sarebbe troppo parlare nel dettaglio di tutti gli altri manga qui citati che ho letto ed apprezzato, comunque i miei preferiti, a parte il primo che ho citato (la cui autrice, la Yamato, meriterebbe più considerazione qui in Italia), sono:
- Fullmoon
- Orpheus
- Himechan no ribbon
- Victorian romance Emma
- I giorni della sposa
- Proteggi la mia terra
- Cortili del cuore
- Marmalade boy
- Sussurri del cuore
- Last quarter (Yazawa)
Georgie mi piaceva moltissimo fino a circa metà del volume 7 della prima edizione, ma il finale in stile Beautiful l'ha del tutto rovinato; altre grosse delusioni sono Ranma (la Takahashi non ha proprio resistito, immagino il suo ghigno malefico quando ha effettuato l'ultima consegna all'editore ) ed A silent voice, peccato.
Come pure peccato che Nana sia stato un po' rovinato dalla piega che stanno prendendo gli eventi, temo influenzata dalla cattiva salute della Yazawa: speriamo che si riprenda!
Un manga che merita molto interesse ma che forse non è stato inserito qui perché è ancora in alto mare è Il sentiero dei fiori di Ako Shimaki, ambientato nel mondo del kabuki.
Per quanto mi riguarda, Kodoccha il primato se lo merita; sono contenta di vedere anche La villa dell'acqua in classifica, dato che l'ho amato molto.
Concordo anche sul secondo posto, anche s,e pur amando quel manga, non gli darei 10 per il semplice motivo che ci sono alcuni elementi su cui non posso far finta di niente - come il fatto che si passa dalla cabina telefonica al telefonino come se nulla fosse. Il terzo merita tantissimo e lo considero indubbiamente il migliore manga della sensei: ne spero ne faccia altri così!
L'unica cosa che non mi piace è che manca uno di miei manga preferiti: Nodame Cantabile. Certo, è vero che il tema principale là 'è la musica, ma comunque, se è stato definito sentimentale City Hunter, non vedo perché non possa esserlo anche questo!
D'altra parte, questa classifica mi mette un po' in difficoltà... ci sono certe opere, come Peep Hole o Biorg Trinity (che mi divertono molto, per carità, qua non si parla di storie "belle" o "brutte" passandomi questi termini banali), che non mi sembra abbiano come componente principale quella romantica.
La voce delle stelle secondo me meritava di più e mi dispiace non aver visto in classifica anche Kiss me Licia e Fragrance, secondo me due buoni candidati!
Kodomo no Omocha è un bellissimo manga, ma non al pari degli altri due secondo me, anche per il suo target (ricordo che proviene da Ribon che è una rivista per bambine dagli 8 ai 12 anni, mentre GnK è più maturo e Maison Ikkoku è addirittura un seinen).
Concordo per la buona posizione di Fruits Basket, e per FullMoon della Tanemura, mi sarebbe piaciuto vedere Skip Beat un pò più in alto.
100% Fragola per me è assolutamente fuori posto invece, pessimo manga da qualunque punto di vista, soprattutto da quello dei sentimenti.
Non ho letto tutti i commenti quindi potrebbe essere già stato detto ma alcune serie chiaramente trovano spazio anche grazie alle poche recensioni che sono state fatte. Peep Hole infatti fa sorridere a metà classifica, come dice H.S. Gold Edition. Viceversa più voti possono anche aver penalizzato altro, anche se di certo non ne faccio tragedia.
Se il voto (a livello globale) a City hunter può essere condivisibile, vederlo in questa classifica fa parecchio strano.
Per il resto, Maison Ikkoku über alles
Touch e Rough non li ho ancora letti, molti altri dei titoli che seguono comunque trovano ugualmente il mio accordo, magari in un ordine leggermente diverso.
Mi dispiace semmai per la posizione "solo" 99 di Karekano, che avrei probabilmente piazzato nella mia TOP3.
Per quanto riguarda Kiss me Licia, come per Georgie preferisco di gran lunga l'anime: Mirko (Go) nella versione cartacea è davvero antipatico ed in una scena in particolare l'avrei preso a sberle!!! In compenso Andrea (Hashizo) è comico, non irritante come quella trombetta petulante che ci tormenta le orecchie da decenni.
Personalmente avrei dato un voto maggiore a Orange e Ichigo 100%, ma potrei elencare anche un paio di titoli meno conosciuti, ma comunque di gran pregio.
GE - Good Ending
Shishunki no Iron Maiden
Domestic na Kanojo
Fuuka
Half & half
Koi to Uso
Masamune-kun no Revenge
Nozoki Ana
Un altro titolo che ho apprezzato tantissimo è Hime chan no ribon, ma è più di genere magico che sentimentale!
Kodomo no Omocha e Touch nel cuore.Tra quelli che sto leggendo punto fortissimo su Orange e I Giorni della Sposa,al momento davvero dei capolavori per me.
Mi hanno deluso in parte Elettroshock Daisy e Rough sui quali avevo ben altre aspettative,ma restano comunque buoni titoli.Alice Academy lo sto collezionando ma con i tempi della Goen lo inizierò a leggere nel 2037,Nana mi rifiuto ancora di leggerlo per non dover soffire.Spero sempre riprenda la pubblicazione.
Mason Ikkoku lo preferisco in formato animato, bellissimo.
I miei preferiti sono Video Girl Ai, I's, My Girl e Densha Otoko poi citerei 100% Fragola, Miyuki e quel capolavoro che risponde al nome di Deja Vu, edito dalla Flashbook, un volume unico che credo si saranno persi in molti.
Dell'aliena ho visto tutta la produzione anime, anche i film (il quinto ripropone gli ultimi capitoli del manga, in maniera abbastanza fedele da quello che ho letto a giro); non credo che nel manga ci siano delle svolte sentimentali importanti inedite per me, ma ritengo le altre due opere che ho citato molto più sentimentali di Lamù.
Ayashi no Ceres è un'altra opera che avrei visto volentieri in questa classifica... e infatti (anche se per un pelo) è presente!
Comunque dei presenti ne ho letto una quindicina e devo dire che la maggior parte di quelli che ho letto sono fuori classifica o in bassa posizione , quindi ne deduco di avere gusti un pò particolari
Comunque tra quelli che ho letto che sono qui io ho adorato:
- Kimagure Orange Road (nulla da dire, non stanca mai! Devo trovare il continuo da leggere)
- Maison Ikkoku (che devo finire di leggere)
- Kodomo No Omocha (forse il migliore e unico del genere dall'inizio alla fine, è stato il primo del genere che abbia mai letto e che abbia mai visto in tv quando ero piccolino!)
- Suzuka (altra opera di Seo, bello davvero)
- Lovely Complex (più divertente che sentimentale a mio parere comunque ben riuscito ed è particolare rispetto altri)
- 100% fragola (nulla di particolare però è molto bello così come altri lavori della mangaka)
- Aku No Hana (per me merita la top 3, l'ho iniziato a leggere agli inizi quando era poco conosciuto, è troppo diverso per fare un confronto per me sono tutti dei number 1 questo comunque merita di essere letto da tutti)
- Host Club (sono morto dalle risate, merita molto! ahahah)
E molti altri... comunque un peccato che manga tipo GE Good Ending non siano presenti..
Se qualcuno non ha mai letto uno di questi potrebbe iniziare dalla mia lista qui sopra, non sarebbe male!
I migliori manga sentimentali secondo i recensori di AnimeClick.it
Quei voti sono la media delle recensioni, chi non fa recensioni non si esprime..
- Il giocattolo dei bambini: un classico! molto bello, forse non perfetto, ma decisamente meritevole!
- Honey and Clover: capolavoro, senza se e senza ma
- Ultimi Raggi di luna: *-*
- Paradise Kiss: bello bello bello! E pensare che all'inizio non mi aveva convinta ahahah
- Samidare: che però non c'entra niente con questa classifica. Sì ok, c'è un pizzico di romance ma è, appunto, un pizzico, molto molto marginale (e grazie al cielo, visto che trovo Samidare odiosissima e Yuuhi scialbo e spesso un po' irritante).
- Video Girl Ai: a un certo punto sono arrivata ad odiarlo veramente, ma sicuramente merita di rientrare in classifica
- Hime-chan no Ribbon: meraviglioso **
- Orange: non trovo le parole per descrivere quanto io sia innamorata di questa storia e dei suoi personaggi <3
- Un marzo da leoni: stesso giudizio di Honey and Clover la Umino è fuori scala per me
- Georgie: classico!
- Katsu!: secondo me non è all'altezza delle altre opere di Adachi. Era partito benissimo ma nel complesso mi ha deluso, alla fine sono arrivata a leggerlo per inerzia, un vero peccato tante potenzialità non sfruttate o sfruttate solo in parte...
-Candy Candy: mi manca il manga, ma l'anime l'ho divorato
In lettura:
- Nana: amo questa storia, mi commuove e mi lascia senza fiato ogni volta... Senza contare tutte le riflessioni che mi porta alla mente...
- Cortili del cuore: l'ho iniziato e voglio finirlo tutto! Mi ha veramente conquistata <3 come la Yazawa in generale ahahahah
- Touch: capolavorone, altro che Katsu!
- Lamù: bellissimo ma l'ho stoppato in attesa di una riedizione coi fiocchi! Forza Star Comics
- Kuragehime: sono ancora ai primi numeri ma è veramente bmolto bello (e molto sottovalutato )
- Elettroshock Daisy: primi volumi che mi hanno veramente colpita, da proseguire senza dubbio!
- Lovely Complex: ho già visto l'anime ma il manga è ancora meglio *-*
- Fruits Basket: sono ai primi due volumi, attendo di farmi un'idea più precisa
Da leggere:
- Emma: lo voglio da quando ho visto un paio di episodi dell'anime! I protagonisti mi sembrano tanto adorabili!
- Maison Ikkoku: lo vogliooo :'(
- Rough: febbraio ti aspetto con ansia
- Bokura ga Ita
- Itazura na Kiss
- Cuore di menta
- La leggenda di Hikari
- I giorni della sposa
- Host Club
- Karekano
- Kiss and never cry
- Proteggi la mia terra
- La clessidra
- Kobato
Comunque in classifica vedo diversi titoli che non c'entrano nulla (vedi Samidare, nonostante mi piaccia molto, 100 % fragola che invece trovo banalissimo ecc...), messi a discapito di serie molto più meritevoli tipo Love me Knight, giusto per citarne uno famoso...
Non so, a mio modestissimo parere è una classifica non molto corretta, però c' è da aspettarselo, è guidata dai gusti della maggioranza dell' utenza, con i suoi pregi e difetti.
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