Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Uchuu senkan Yamato 2199 e One Punch Man e il manga La spada di Paros.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Uchuu senkan Yamato 2199 e One Punch Man e il manga La spada di Paros.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Star Blazers 2199
9.0/10
Recensione di Evangelion0189
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Ultimamente mi risulta sempre più difficile trovare un'opera di animazione giapponese che susciti il mio interesse: sarà l'età o magari il semplice fatto che sono diventato molto più esigente con il passare del tempo. Ciò nonostante e al di là di ogni aspettativa, i ventisei OAV di Uchū Senkan Yamato 2199 hanno soddisfatto appieno i miei gusti: la serie fantascientifica in questione rappresenta il remake e parziale "retelling" (questo lo spiegherò meglio più avanti) dell'omonimo classico matsumotiano datato 1974 e conosciuto in Occidente come Star Blazers. Tale opera fu ideata dapprima come manga, proprio dalla penna e dalla mente di Leiji Matsumoto, per poi essere trasposta in animazione lungo tre serie televisive (una delle caratteristiche di Matsumoto è proprio quella di aver agito contemporaneamente sia nel campo dei manga che in quello degli anime, un po' come il coevo Gō Nagai). Dal canto suo, Yamato 2199 (d'ora in poi, per pura comodità, mi riferirò al "remake" in tal modo) ricopre le vicende della prima serie storica ed è stato concepito per essere distribuito nel corso del biennio 2012-2013 nei cinema giapponesi sotto forma di sette film, ciascuno dei quali racchiudeva all'incirca tre o quattro OAV: di conseguenza, il budget a disposizione della produzione è stato più consistente rispetto a quanto normalmente previsto per un prodotto televisivo standard, risultando nell'elevata qualità del comparto tecnico. Dal momento che non ho visionato l'opera originale, ho ritenuto opportuno documentarmi per poter fare qualche confronto tra le due serie e quindi fornire un quadro più completo.
Come quasi tutte le opere più celebri di Matsumoto, la storia di Yamato 2199 ha luogo nella Terra di un futuro non troppo lontano: è il 2199 quando il nostro pianeta, bombardato per anni dalla civiltà aliena dei Gamilonesi, versa ormai in condizioni catastrofiche. Il conseguente inaridimento della superficie terrestre causato dalle radiazioni nucleari costringe gli esseri umani a rifugiarsi nel sottosuolo, ma nel giro di un anno anche i rifugi sotterranei saranno contaminati, decretando così la fine della razza umana. Tuttavia, dal lontano pianeta Iscandar giunge una flebile speranza: la regina Starsha offre agli umani il Cosmo DNA, una misteriosa risorsa che assicurerà la rinascita della Terra, a patto però che siano loro stessi ad andare a prenderla. Grazie a un'altra tecnologia fornita da Iscandar, i Terrestri sviluppano un motore che permetterà loro di viaggiare attraverso le stelle e lo collocano nella portentosa nave spaziale Yamato, nata dalle ceneri dell'omonima corazzata giapponese abbattuta durante il secondo conflitto mondiale. Guidati dall'integerrimo capitano Okita, un gruppo di valorosi salpa alla volta del cosmo per la salvezza dell'umanità, ma il loro viaggio sarà ostacolato dall'Impero gamilonese e dal suo efferato leader Abelt Dessler. In questo contesto, si muovono personaggi umanissimi le cui vite sono state stravolte dal conflitto intergalattico: tra di essi spiccano Susumu Kodai, Yuki Mori, Akira Yamamoto e lo stesso Okita, un personaggio a dir poco iconico e leggendario. Tra una battaglia feroce e l'altra, scopriremo che non è tutto come sembra e che il potere della scienza può essere letale...
A livello di trama, la narrazione può essere divisa in due filoni perfettamente equilibrati: nel primo possiamo includere tutte le scene che portano avanti la storia e in cui vengono approfonditi sia i rapporti tra i membri dell'equipaggio e il loro background, sia le motivazioni e gli intrighi dei Gamilonesi (un notevole valore aggiunto, senza dubbio); nel secondo annoveriamo invece le spettacolari sequenze di battaglia tra i nostri protagonisti e gli avversari (i quali sfoggeranno mezzi di tutti i tipi, anche uno strabiliante sottomarino dimensionale); a condire il tutto, un crescendo di situazioni sempre più estreme che condurranno al commovente e memorabile finale. Nei suoi elementi di base, la storia ricalca piuttosto fedelmente l'originale apportando qua e là modifiche più o meno rilevanti, "rinarrando" alcuni eventi (gli alieni insettoidi che producevano miele per i Gamilonesi sono estinti nella nuova serie - a mio avviso un tocco di classe) e inventandone altri (l'ammutinamento), introducendo nuovi personaggi (l'ufficiale scientifico Niimi e le "streghe" al soldo di Dessler, per esempio), rinnovandone altri (Akira Yamamoto e Melda Ditz qui sono ragazze) e ampliando alcune "storylines" (come quella di Domel, di Mamoru Kodai e della stessa Ditz). La variazione che salta subito all'occhio è comunque la presenza di molte ragazze nell'equipaggio della Yamato, giacché nella serie originale l'unica figura femminile era rappresentata dalla sopraccitata Yuki Mori. Sono rimasto molto sorpreso da parecchi elementi che hanno ispirato numerosissime opere successive, tra cui quelle di Hideaki Anno, uno dei miei registi preferiti (giusto per fare un paio di esempi, la divisa di Okita viene ripresa nel Capitano Nemo di Fushigi no umi no Nadia, così come il design e il sonoro dell'astronave Exxelion ricalca proprio quelli della Yamato). Seppur sotto forma di remake, questa serie ha insomma anche il merito di far gettare uno sguardo al passato della storia dell'animazione giapponese.
Per quanto riguarda il lato tecnico, come accennavo poc'anzi ci troviamo di fronte a un lavoro di prim'ordine: la Computer Graphic viene sfruttata per alcuni fondali (pianeti, galassie et similia), esplosioni ed effetti di vario genere, alieni e robot (l'insetto gigante di Beemela e il simpatico Analyzer) e in maniera massiccia per la Yamato stessa, i suoi caccia Zero e tutte le astronavi gamilonesi. Per il resto, colorazione e illuminazione al top e animazioni particolarmente fluide contribuiscono a rendere la visione una vera e propria festa per gli occhi. Pur variando lievemente rispetto all'originale, il character design del grande Nobuteru Yūki (che si è occupato del design dei personaggi di Lodoss War e The Vision of Escaflowne, giusto per dirne un paio) vi resta comunque fedele, dando vita a un connubio perfetto tra vecchio e nuovo. Il comparto sonoro è anch'esso di grande qualità e sfoggia una ricca sequela di spari, esplosioni, strumentazioni e quant'altro fa l'occhiolino all'originale e sarà senz'altro in grado di fare tremare il vostro impianto audio. Il doppiaggio originale si attesta su ottimi livelli: speriamo che qualcuno qui in Italia (magari la Dynit) ne acquisti i diritti. Le splendide musiche sono curate da Akira Miyagawa, figlio dello storico compositore della serie originale Hiroshi Miyagawa, e non potevano essere più efficaci di così: non solo hanno uno graditissimo sapore anni Settanta, ma anche un retrogusto classico (in particolare, alcuni brani si ispirano palesemente alle melodie immortali di Brahms e Dvořák) capace di amplificare le emozioni trasmesse dai personaggi in parecchi momenti clou della serie. Non mancano brani malinconici, inni militari di entrambe le parti, musiche che esprimono tensione, brani leggeri per momenti di calma e così via. Infine, le sigle: eccettuate quelle dei cartoni con cui sono cresciuto e casi eccezionali come Nadia, Evangelion e Cowboy Bebop, di norma non vi presto particolare attenzione e quasi nessuna mi resta in mente, ma non è il caso di Yamato 2199. Da alcuni giorni, infatti, mi frullano continuamente in testa sia l'esaltante opening che ricalca perfettamente quella originale cantata da Isao Sasaki (e anche per questo remake gli autori si sono affidati alla sua voce) sia il coro maschile da brividi che la introduce: "Saraba chikyuu yo tabidatsu fune wa/uchū senkan Yamato".
Sebbene Yamato 2199 sia una serie praticamente eccellente sotto tutti i punti vista, non è comunque esente da piccoli difetti: in primo luogo, alcuni episodi risultano oberati da una tale quantità di eventi che a una prima visione lo spettatore potrebbe uscirne disorientato; in secondo luogo, una dose talvolta esagerata di fanservice tende a distrarre un po' troppo l'attenzione da cose più importanti. Nulla di trascendentale, comunque. A questo punto ringrazio chi ha letto fin qui e, in definitiva, non posso che consigliare Uchū Senkan Yamato 2199 a ogni amante della fantascienza tout court e a chi cerca una storia classica ricca di colpi di scena, speranza, personaggi sfaccettati ed epiche battaglie. A mio avviso, una delle migliori serie degli ultimi anni, nonché un remake che gli altri a venire dovrebbero prendere a esempio in termini di innovazione che guarda al passato e maestria tecnica allo stato puro.
Come quasi tutte le opere più celebri di Matsumoto, la storia di Yamato 2199 ha luogo nella Terra di un futuro non troppo lontano: è il 2199 quando il nostro pianeta, bombardato per anni dalla civiltà aliena dei Gamilonesi, versa ormai in condizioni catastrofiche. Il conseguente inaridimento della superficie terrestre causato dalle radiazioni nucleari costringe gli esseri umani a rifugiarsi nel sottosuolo, ma nel giro di un anno anche i rifugi sotterranei saranno contaminati, decretando così la fine della razza umana. Tuttavia, dal lontano pianeta Iscandar giunge una flebile speranza: la regina Starsha offre agli umani il Cosmo DNA, una misteriosa risorsa che assicurerà la rinascita della Terra, a patto però che siano loro stessi ad andare a prenderla. Grazie a un'altra tecnologia fornita da Iscandar, i Terrestri sviluppano un motore che permetterà loro di viaggiare attraverso le stelle e lo collocano nella portentosa nave spaziale Yamato, nata dalle ceneri dell'omonima corazzata giapponese abbattuta durante il secondo conflitto mondiale. Guidati dall'integerrimo capitano Okita, un gruppo di valorosi salpa alla volta del cosmo per la salvezza dell'umanità, ma il loro viaggio sarà ostacolato dall'Impero gamilonese e dal suo efferato leader Abelt Dessler. In questo contesto, si muovono personaggi umanissimi le cui vite sono state stravolte dal conflitto intergalattico: tra di essi spiccano Susumu Kodai, Yuki Mori, Akira Yamamoto e lo stesso Okita, un personaggio a dir poco iconico e leggendario. Tra una battaglia feroce e l'altra, scopriremo che non è tutto come sembra e che il potere della scienza può essere letale...
A livello di trama, la narrazione può essere divisa in due filoni perfettamente equilibrati: nel primo possiamo includere tutte le scene che portano avanti la storia e in cui vengono approfonditi sia i rapporti tra i membri dell'equipaggio e il loro background, sia le motivazioni e gli intrighi dei Gamilonesi (un notevole valore aggiunto, senza dubbio); nel secondo annoveriamo invece le spettacolari sequenze di battaglia tra i nostri protagonisti e gli avversari (i quali sfoggeranno mezzi di tutti i tipi, anche uno strabiliante sottomarino dimensionale); a condire il tutto, un crescendo di situazioni sempre più estreme che condurranno al commovente e memorabile finale. Nei suoi elementi di base, la storia ricalca piuttosto fedelmente l'originale apportando qua e là modifiche più o meno rilevanti, "rinarrando" alcuni eventi (gli alieni insettoidi che producevano miele per i Gamilonesi sono estinti nella nuova serie - a mio avviso un tocco di classe) e inventandone altri (l'ammutinamento), introducendo nuovi personaggi (l'ufficiale scientifico Niimi e le "streghe" al soldo di Dessler, per esempio), rinnovandone altri (Akira Yamamoto e Melda Ditz qui sono ragazze) e ampliando alcune "storylines" (come quella di Domel, di Mamoru Kodai e della stessa Ditz). La variazione che salta subito all'occhio è comunque la presenza di molte ragazze nell'equipaggio della Yamato, giacché nella serie originale l'unica figura femminile era rappresentata dalla sopraccitata Yuki Mori. Sono rimasto molto sorpreso da parecchi elementi che hanno ispirato numerosissime opere successive, tra cui quelle di Hideaki Anno, uno dei miei registi preferiti (giusto per fare un paio di esempi, la divisa di Okita viene ripresa nel Capitano Nemo di Fushigi no umi no Nadia, così come il design e il sonoro dell'astronave Exxelion ricalca proprio quelli della Yamato). Seppur sotto forma di remake, questa serie ha insomma anche il merito di far gettare uno sguardo al passato della storia dell'animazione giapponese.
Per quanto riguarda il lato tecnico, come accennavo poc'anzi ci troviamo di fronte a un lavoro di prim'ordine: la Computer Graphic viene sfruttata per alcuni fondali (pianeti, galassie et similia), esplosioni ed effetti di vario genere, alieni e robot (l'insetto gigante di Beemela e il simpatico Analyzer) e in maniera massiccia per la Yamato stessa, i suoi caccia Zero e tutte le astronavi gamilonesi. Per il resto, colorazione e illuminazione al top e animazioni particolarmente fluide contribuiscono a rendere la visione una vera e propria festa per gli occhi. Pur variando lievemente rispetto all'originale, il character design del grande Nobuteru Yūki (che si è occupato del design dei personaggi di Lodoss War e The Vision of Escaflowne, giusto per dirne un paio) vi resta comunque fedele, dando vita a un connubio perfetto tra vecchio e nuovo. Il comparto sonoro è anch'esso di grande qualità e sfoggia una ricca sequela di spari, esplosioni, strumentazioni e quant'altro fa l'occhiolino all'originale e sarà senz'altro in grado di fare tremare il vostro impianto audio. Il doppiaggio originale si attesta su ottimi livelli: speriamo che qualcuno qui in Italia (magari la Dynit) ne acquisti i diritti. Le splendide musiche sono curate da Akira Miyagawa, figlio dello storico compositore della serie originale Hiroshi Miyagawa, e non potevano essere più efficaci di così: non solo hanno uno graditissimo sapore anni Settanta, ma anche un retrogusto classico (in particolare, alcuni brani si ispirano palesemente alle melodie immortali di Brahms e Dvořák) capace di amplificare le emozioni trasmesse dai personaggi in parecchi momenti clou della serie. Non mancano brani malinconici, inni militari di entrambe le parti, musiche che esprimono tensione, brani leggeri per momenti di calma e così via. Infine, le sigle: eccettuate quelle dei cartoni con cui sono cresciuto e casi eccezionali come Nadia, Evangelion e Cowboy Bebop, di norma non vi presto particolare attenzione e quasi nessuna mi resta in mente, ma non è il caso di Yamato 2199. Da alcuni giorni, infatti, mi frullano continuamente in testa sia l'esaltante opening che ricalca perfettamente quella originale cantata da Isao Sasaki (e anche per questo remake gli autori si sono affidati alla sua voce) sia il coro maschile da brividi che la introduce: "Saraba chikyuu yo tabidatsu fune wa/uchū senkan Yamato".
Sebbene Yamato 2199 sia una serie praticamente eccellente sotto tutti i punti vista, non è comunque esente da piccoli difetti: in primo luogo, alcuni episodi risultano oberati da una tale quantità di eventi che a una prima visione lo spettatore potrebbe uscirne disorientato; in secondo luogo, una dose talvolta esagerata di fanservice tende a distrarre un po' troppo l'attenzione da cose più importanti. Nulla di trascendentale, comunque. A questo punto ringrazio chi ha letto fin qui e, in definitiva, non posso che consigliare Uchū Senkan Yamato 2199 a ogni amante della fantascienza tout court e a chi cerca una storia classica ricca di colpi di scena, speranza, personaggi sfaccettati ed epiche battaglie. A mio avviso, una delle migliori serie degli ultimi anni, nonché un remake che gli altri a venire dovrebbero prendere a esempio in termini di innovazione che guarda al passato e maestria tecnica allo stato puro.
La Spada di Paros
6.0/10
"La spada di Paros" è un manga dalle suggestioni fantasy legato a "Guin Saga", una serie di light novel (apparentemente molto popolare in Giappone) della quale potrebbe essere definito uno spin-off. Le due opere, in effetti, hanno la medesima autrice, la scrittrice Kaoru Kurimoto. Autrice dei disegni di "Paros no Ken" è invece la celebre Yumiko Igarashi, che qui si ritrova a gestire un tema insolito per lei, benché già accennato in altri suoi lavori quali "Georgie" e, se vogliamo, "Koronde Pokkle": l'amore omosessuale. Il risultato? Ognuno ha la propria opinione: ecco, nel frattempo, le mie considerazioni.
TRAMA
A Paros circola una leggenda: se dalla dinastia regnante nascerà un individuo sia uomo che donna, in tempi di crisi il paese sarà salvo; se, però, tale persona non fosse né l'uno né l'altro, per il regno sarebbe la rovina. Chi può essere a questo punto la principessa Erminia, bella fanciulla dall'animo da intrepido guerriero, nonché perdutamente innamorata della lavandaia Fiona? Un'eroina ... o una distruttrice? Non resta che leggere fino in fondo per scoprirlo.
DISEGNI
Essendo un manga risalente agli anni '80, la mano della Igarashi non sembra ancora risentire di quella "stanchezza" che si incomincia ad avvertire nel pieno del decennio successivo. Suggestive le atmosfere, curate e dettagliate le ambientazioni, sfarzosi i costumi, ben gestite le scene "corali", particolareggiati gli sfondi. Unica pecca, da un punto di vista esclusivamente personale, è rappresentata dal disegno dei personaggi di Erminia e Julius: la prima, per me, è tratteggiata in maniera troppo poco femminile, forse sarebbe stato preferibile dotarla di un fascino androgino alla "Claudine", creatura di Riyoko Ikeda con la quale ha peraltro svariate caratteristiche in comune; il secondo, al contrario, ha un che di eccessivamente femmineo ma, chissà, potrebbe essere l'intento della mangaka. In ogni caso, non sono certo inezie come queste, condizionate dai propri criteri estetici, ad abbassare il livello di questo titolo.
STORIA
Il più grande difetto di quest'opera, infatti, è quasi sicuramente la svolta che prendono le vicende a partire dalla conclusione del primo volume dell'edizione italiana: se le premesse iniziali del manga sono più che buone, non così il resto. Le aspettative risultano deluse man mano che si va avanti con la lettura, verso un epilogo imprevisto che lascia parecchi dubbi e l'amaro in bocca e che mette in discussione l'intera architettura del racconto, rendendo innumerevoli scelte narrative ingiustificate. Appare poi deludente la relativa superficialità con cui viene trattato l'amore fra le due protagoniste che, in verità, di yuri non ha granché, considerato che Erminia non si percepisce come donna, bensì come uomo.
PERSONAGGI
Vera e propria "rivelazione" di "Paros no Ken" è, a mio avviso, l'apparentemente indifesa e spaurita Fiona, interesse amoroso di Erminia cui ruba, non si capisce se per volontà delle autrici o meno, il ruolo di eroina. Il suo ha ottime probabilità di essere il personaggio più convincente della serie. Lo stesso discorso, malauguratamente, non si applica alla sua "principessa azzurra", la quale è brava a parole ma meno ad azioni, e la cui tanto ostentata identità maschile finisce per sembrare un mero capriccio, un mezzo per non assumersi le proprie responsabilità. Da notare, oltretutto, che non basta essere più ribelli che accomodanti o indossare un'armatura anziché una veste di seta per potersi definire più uomo che donna. Altra figura di spicco è Julius, amico e compagno di allenamenti della futura regina: è incontestabilmente un personaggio positivo, fedele e abbastanza rispettoso dei sentimenti di Erminia. Tuttavia, sempre per fare riferimento alla Ikeda, ha più del Girodelle che dell'André: è messo, cioè, in perenne secondo piano rispetto alle due protagoniste e, se almeno al corteggiatore respinto di madamigella Oscar è stato dedicato un capitolo speciale di VnB, al povero nobiluomo di Paros non è concesso nemmeno il minimo sindacale di gloria. In quanto agli antagonisti, soffermarsi su di loro è pressoché superfluo, poiché non spiccano né per quantità di apparizioni nel corso della storia, né per motivazioni o approfondimento psicologico.
GIUDIZIO GLOBALE
Il voto che mi sento di assegnare a quest'opera è 6: i presupposti per ambire a riscuotere un buon numero di consensi ci sarebbero, ma il problema, come si è detto, non è insito nel soggetto di base, bensì nel modo di svilupparlo. Forse sarebbe stata necessaria una lunghezza maggiore del manga, forse un'attenzione superiore nella gestione dei personaggi, forse si sarebbe dovuto scegliere se privilegiare l'aspetto yuri o quello fantasy: resta il fatto che "La spada di Paros" è, a mio giudizio, un'occasione sprecata.
TRAMA
A Paros circola una leggenda: se dalla dinastia regnante nascerà un individuo sia uomo che donna, in tempi di crisi il paese sarà salvo; se, però, tale persona non fosse né l'uno né l'altro, per il regno sarebbe la rovina. Chi può essere a questo punto la principessa Erminia, bella fanciulla dall'animo da intrepido guerriero, nonché perdutamente innamorata della lavandaia Fiona? Un'eroina ... o una distruttrice? Non resta che leggere fino in fondo per scoprirlo.
DISEGNI
Essendo un manga risalente agli anni '80, la mano della Igarashi non sembra ancora risentire di quella "stanchezza" che si incomincia ad avvertire nel pieno del decennio successivo. Suggestive le atmosfere, curate e dettagliate le ambientazioni, sfarzosi i costumi, ben gestite le scene "corali", particolareggiati gli sfondi. Unica pecca, da un punto di vista esclusivamente personale, è rappresentata dal disegno dei personaggi di Erminia e Julius: la prima, per me, è tratteggiata in maniera troppo poco femminile, forse sarebbe stato preferibile dotarla di un fascino androgino alla "Claudine", creatura di Riyoko Ikeda con la quale ha peraltro svariate caratteristiche in comune; il secondo, al contrario, ha un che di eccessivamente femmineo ma, chissà, potrebbe essere l'intento della mangaka. In ogni caso, non sono certo inezie come queste, condizionate dai propri criteri estetici, ad abbassare il livello di questo titolo.
STORIA
Il più grande difetto di quest'opera, infatti, è quasi sicuramente la svolta che prendono le vicende a partire dalla conclusione del primo volume dell'edizione italiana: se le premesse iniziali del manga sono più che buone, non così il resto. Le aspettative risultano deluse man mano che si va avanti con la lettura, verso un epilogo imprevisto che lascia parecchi dubbi e l'amaro in bocca e che mette in discussione l'intera architettura del racconto, rendendo innumerevoli scelte narrative ingiustificate. Appare poi deludente la relativa superficialità con cui viene trattato l'amore fra le due protagoniste che, in verità, di yuri non ha granché, considerato che Erminia non si percepisce come donna, bensì come uomo.
PERSONAGGI
Vera e propria "rivelazione" di "Paros no Ken" è, a mio avviso, l'apparentemente indifesa e spaurita Fiona, interesse amoroso di Erminia cui ruba, non si capisce se per volontà delle autrici o meno, il ruolo di eroina. Il suo ha ottime probabilità di essere il personaggio più convincente della serie. Lo stesso discorso, malauguratamente, non si applica alla sua "principessa azzurra", la quale è brava a parole ma meno ad azioni, e la cui tanto ostentata identità maschile finisce per sembrare un mero capriccio, un mezzo per non assumersi le proprie responsabilità. Da notare, oltretutto, che non basta essere più ribelli che accomodanti o indossare un'armatura anziché una veste di seta per potersi definire più uomo che donna. Altra figura di spicco è Julius, amico e compagno di allenamenti della futura regina: è incontestabilmente un personaggio positivo, fedele e abbastanza rispettoso dei sentimenti di Erminia. Tuttavia, sempre per fare riferimento alla Ikeda, ha più del Girodelle che dell'André: è messo, cioè, in perenne secondo piano rispetto alle due protagoniste e, se almeno al corteggiatore respinto di madamigella Oscar è stato dedicato un capitolo speciale di VnB, al povero nobiluomo di Paros non è concesso nemmeno il minimo sindacale di gloria. In quanto agli antagonisti, soffermarsi su di loro è pressoché superfluo, poiché non spiccano né per quantità di apparizioni nel corso della storia, né per motivazioni o approfondimento psicologico.
GIUDIZIO GLOBALE
Il voto che mi sento di assegnare a quest'opera è 6: i presupposti per ambire a riscuotere un buon numero di consensi ci sarebbero, ma il problema, come si è detto, non è insito nel soggetto di base, bensì nel modo di svilupparlo. Forse sarebbe stata necessaria una lunghezza maggiore del manga, forse un'attenzione superiore nella gestione dei personaggi, forse si sarebbe dovuto scegliere se privilegiare l'aspetto yuri o quello fantasy: resta il fatto che "La spada di Paros" è, a mio giudizio, un'occasione sprecata.
One-Punch Man
8.0/10
Recensione di AkiraSakura
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Nato come adattamento di un progetto web indipendente, casareccio e senza alcuna pretesa artistica, firmato da un autore improvvisato denominato ONE, il manga best seller di Yusuke Murata ha fatto parlare molto di sé, allo stesso modo della sua controparte animata, quel "One-Punch Man" che oggigiorno è sulla bocca di tutti gli appassionati. Hype meritato o ennesima moda del momento, destinata a svanire nel nulla dopo qualche mese? Gli innegabili pregi tecnici, la freschezza del soggetto e la passione dello staff della Madhouse fanno decisamente propendere per la prima opzione.
L'idea alla base di "One Punch Man" è provocatoria e brillante allo stesso tempo: inserire in un bagno di cliché legati agli shounen da combattimento di tutte le ere l'archetipo dell'uomo postmoderno povero di spirito, dalla spiccata indolenza, e dotarlo di un potere infinito, il quale viene manifestato dal pugno in sé stesso, il puro e salutare cazzotto, un solo colpo che tira giù ogni cosa: mostri alti come palazzi, dominatori dell'universo che decidono di invadere la Terra, meteoriti, inconcludenti energumeni pieni di sé e così via.
Il canovaccio di ogni puntata si basa sulla costruzione di una situazione tipica da shounen, che verrà puntualmente demolita dall'atteggiamento fiacco e superficiale di Saitama, il decostruttore per eccellenza del mito della virilità e dell'epica tutta muscoli, spade, bolle di energia, coltelli affilati, mazze da baseball, capelli sparati e sorrisi beffardi. E tra una vittoria scontata e l'altra, l'invincibile pelato si annoia e prende tutto così come viene, senza farsi troppi problemi, pensando a cosa dovrà andare a comprare da mangiare al supermercato, indifferente all'ardore del suo "discepolo" cyborg da combattimento Genos, che lo considera come un Dio. Per Saitama è meglio non farsi troppe domande, ma tirare un normalissimo pugno che distrugge ogni mostro, riducendolo a un bagno di sangue in cui sguazzano pezzettini di viscere putrescenti.
Dall'opera emerge una certa critica al sistema gerarchico tipico della società giapponese - l'Associazione degli Eroi, con il suo selettivo sistema di classi formate da eroi superiori ed eroi inferiori, parla da sé, soprattutto nel momento in cui Saitama cercherà di prendervi parte con scarso successo, nonostante la sua imbattibilità. La burocrazia e le gerarchie umane sono in grado di sottomettere chiunque, piegandolo al sistema; e, anche se un individuo si dimostra più portato degli altri - in questo caso addirittura dotato di un talento illimitato -, dovrà comunque dimostrare il suo valore a tutti i numerosi mediocri che lo sottovalutano e che gli sbarrano la strada con le loro innumerevoli capziosità. Anche Saitama viene piegato dal sistema, e la sua integrazione in esso corrisponde a una limitazione della sua personalità e delle sue potenzialità. Egli verrà catalogato come eroe secondario, deriso e ignorato dagli eroi della casta superiore, e i meriti delle sue azioni spesso se li prenderà qualcun altro; in un episodio avremo addirittura modo di assistere a una vera e propria rivolta della popolazione nei suoi confronti, proprio come accadeva ritualmente ai paladini della giustizia tipici dei tokusatsu settantini.
A proposito di tokusatsu, con il suo citazionismo estremo "One-Punch Man" tira dentro di tutto, addirittura una simpatica presa in giro di Kamen Rider, License-less Rider, un personaggio caricaturale che simboleggia il lavoratore giapponese onesto, ingenuo e devoto al prossimo, l'ultima ruota del carro che tuttavia è in grado di prendersi una vittoria morale sul degrado circostante - l'episodio di cui è protagonista è certamente uno dei migliori, data la sua avvincente commistione tra serio e faceto.
Gli omaggi alla tradizione supereroistica dei comics americani si sprecano, e il rozzo umorismo che anima le gag che anticipano la rituale sconfitta del nemico di turno non risparmia nessuno: omosessuali che si spogliano completamente nudi parodiando "Sailor Moon", lolite-esper isteriche che starnazzano perché ignorate dal protagonista, pretenziosi discorsi sugli improbabili allenamenti dei superbi eroi dell'associazione, che vengono stroncati dal banalissimo training a base di trazioni, flessioni e corsa di Saitama - e tanto altro ancora. "One¬-Punch Man" guarda al passato facendosi una sonora risata, prendendo l'innegabile saturazione postmoderna che lo circonda con lo stesso stato d'animo che avrebbe il suo protagonista durante lo scontro con uno dei suoi numerosi avversari.
Nonostante al suddetto basti un solo pugno per sconfiggere qualunque cosa, i combattimenti di "One-Punch Man" sono estremamente avvincenti, un selvaggio spettacolo di animazioni di alto livello che trasuda passione da ogni singolo frame. Ciononostante, a detta del direttore delle animazioni Chikasi Kubota, il budget di "One-Punch Man" non è affatto spropositato, ma rientra nella norma: una tale qualità tecnica è merito dell'impegno dei talenti guidati dal director Shingo Natsume, che in passato era stato direttore dell'animazione del quarto episodio del seminale "Welcome to the N.H.K.", nonché animatore in "Gurren Lagann", "Bokurano", "Space Dandy" (in cui figura altresì come regista), "Panty & Stocking with Garterbelt" (dodicesimo episodio), "Fullmetal Alchemist: Brotherhood"... sino alla prestigiosa collaborazione con Masaaki Yuasa, assieme al quale ha lavorato nel capolavoro "The Tatami Galaxy", consacrandosi ad animatore di culto. Grazie alla presenza nello staff di Shingo Natsume, in "One-Punch Man" è stata utilizzata l'animazione virtuale della web generation di animatori, dei giovanissimi appassionati i cui punti di forza sono l'animazione di esplosioni, laser ed effetti cinetici immediati - nonostante la loro scarsa perizia nei fondamenti del disegno. E' da notare che l'illustratore del manga, Yusuke Murata, sia un esperto di animazione, e che le sue tavole sono state create con lo stesso processo carico di dinamicità tipico dell'anime: questo senz'altro ha contribuito a spianare la strada allo staff della serie animata.
L'apice della pirotecnia tecnica di "One-Punch Man" è lo scontro che avviene nell'ultima puntata, in cui Shingo Natsume ribadisce il suo status di sakuga director donando ai posteri un delirio visivo estremo, che rimanda ai fasti cosmici di "Gurren Lagann": il protagonista finirà addirittura sulla Luna, tratterrà il fiato come se dovesse tuffarsi in piscina, e salterà nello spazio per superare illeso l'atmosfera terrestre, con lo stesso stato d'animo che avrebbe durante una passeggiata al parco (!).
In conclusione, "One-Punch Man" non è di certo una serie priva di difetti, nonostante il suo comparto tecnico sfavillante e alcune trovate comiche geniali: alcuni episodi si rivelano più deboli e meno interessanti di altri, e chi non è avvezzo allo schema tokusatsu potrebbe risultare infastidito dalla ripetitività del semplice meccanismo narrativo sul quale si basa tutta la serie. Inoltre il finale, per quanto spettacolare, è incompleto, in quanto la serie non copre tutto il manga originale. Fatto salvo ciò, il livello di qualità generale dell'anime rimane comunque elevato, e chi è dotato di un buon sense of humor adorerà la grezza ironia di cui l'opera è infarcita, che non si trattiene dallo sfociare nel volgare e nel grossolano con fare sornione, senza darsi troppa importanza e senza avanzare pretese di sorta nei confronti dello spettatore. Si tratta di una serie a suo modo tarantiniana, ovvero basata su grottesche inezie legate alla più becera cultura di massa, che nondimeno vengono rappresentate con grande perizia tecnica da artisti che ci hanno messo il cuore. E lo strepitoso successo dell'opera conferma che, facendo animazione mossi da una grande passione, chi sta dall'altra parte dello schermo ricambierà la cortesia appassionandosi a sua volta - soprattutto chi si approccia per la prima volta al quanto mai vasto medium dell'animazione giapponese tutta.
L'idea alla base di "One Punch Man" è provocatoria e brillante allo stesso tempo: inserire in un bagno di cliché legati agli shounen da combattimento di tutte le ere l'archetipo dell'uomo postmoderno povero di spirito, dalla spiccata indolenza, e dotarlo di un potere infinito, il quale viene manifestato dal pugno in sé stesso, il puro e salutare cazzotto, un solo colpo che tira giù ogni cosa: mostri alti come palazzi, dominatori dell'universo che decidono di invadere la Terra, meteoriti, inconcludenti energumeni pieni di sé e così via.
Il canovaccio di ogni puntata si basa sulla costruzione di una situazione tipica da shounen, che verrà puntualmente demolita dall'atteggiamento fiacco e superficiale di Saitama, il decostruttore per eccellenza del mito della virilità e dell'epica tutta muscoli, spade, bolle di energia, coltelli affilati, mazze da baseball, capelli sparati e sorrisi beffardi. E tra una vittoria scontata e l'altra, l'invincibile pelato si annoia e prende tutto così come viene, senza farsi troppi problemi, pensando a cosa dovrà andare a comprare da mangiare al supermercato, indifferente all'ardore del suo "discepolo" cyborg da combattimento Genos, che lo considera come un Dio. Per Saitama è meglio non farsi troppe domande, ma tirare un normalissimo pugno che distrugge ogni mostro, riducendolo a un bagno di sangue in cui sguazzano pezzettini di viscere putrescenti.
Dall'opera emerge una certa critica al sistema gerarchico tipico della società giapponese - l'Associazione degli Eroi, con il suo selettivo sistema di classi formate da eroi superiori ed eroi inferiori, parla da sé, soprattutto nel momento in cui Saitama cercherà di prendervi parte con scarso successo, nonostante la sua imbattibilità. La burocrazia e le gerarchie umane sono in grado di sottomettere chiunque, piegandolo al sistema; e, anche se un individuo si dimostra più portato degli altri - in questo caso addirittura dotato di un talento illimitato -, dovrà comunque dimostrare il suo valore a tutti i numerosi mediocri che lo sottovalutano e che gli sbarrano la strada con le loro innumerevoli capziosità. Anche Saitama viene piegato dal sistema, e la sua integrazione in esso corrisponde a una limitazione della sua personalità e delle sue potenzialità. Egli verrà catalogato come eroe secondario, deriso e ignorato dagli eroi della casta superiore, e i meriti delle sue azioni spesso se li prenderà qualcun altro; in un episodio avremo addirittura modo di assistere a una vera e propria rivolta della popolazione nei suoi confronti, proprio come accadeva ritualmente ai paladini della giustizia tipici dei tokusatsu settantini.
A proposito di tokusatsu, con il suo citazionismo estremo "One-Punch Man" tira dentro di tutto, addirittura una simpatica presa in giro di Kamen Rider, License-less Rider, un personaggio caricaturale che simboleggia il lavoratore giapponese onesto, ingenuo e devoto al prossimo, l'ultima ruota del carro che tuttavia è in grado di prendersi una vittoria morale sul degrado circostante - l'episodio di cui è protagonista è certamente uno dei migliori, data la sua avvincente commistione tra serio e faceto.
Gli omaggi alla tradizione supereroistica dei comics americani si sprecano, e il rozzo umorismo che anima le gag che anticipano la rituale sconfitta del nemico di turno non risparmia nessuno: omosessuali che si spogliano completamente nudi parodiando "Sailor Moon", lolite-esper isteriche che starnazzano perché ignorate dal protagonista, pretenziosi discorsi sugli improbabili allenamenti dei superbi eroi dell'associazione, che vengono stroncati dal banalissimo training a base di trazioni, flessioni e corsa di Saitama - e tanto altro ancora. "One¬-Punch Man" guarda al passato facendosi una sonora risata, prendendo l'innegabile saturazione postmoderna che lo circonda con lo stesso stato d'animo che avrebbe il suo protagonista durante lo scontro con uno dei suoi numerosi avversari.
Nonostante al suddetto basti un solo pugno per sconfiggere qualunque cosa, i combattimenti di "One-Punch Man" sono estremamente avvincenti, un selvaggio spettacolo di animazioni di alto livello che trasuda passione da ogni singolo frame. Ciononostante, a detta del direttore delle animazioni Chikasi Kubota, il budget di "One-Punch Man" non è affatto spropositato, ma rientra nella norma: una tale qualità tecnica è merito dell'impegno dei talenti guidati dal director Shingo Natsume, che in passato era stato direttore dell'animazione del quarto episodio del seminale "Welcome to the N.H.K.", nonché animatore in "Gurren Lagann", "Bokurano", "Space Dandy" (in cui figura altresì come regista), "Panty & Stocking with Garterbelt" (dodicesimo episodio), "Fullmetal Alchemist: Brotherhood"... sino alla prestigiosa collaborazione con Masaaki Yuasa, assieme al quale ha lavorato nel capolavoro "The Tatami Galaxy", consacrandosi ad animatore di culto. Grazie alla presenza nello staff di Shingo Natsume, in "One-Punch Man" è stata utilizzata l'animazione virtuale della web generation di animatori, dei giovanissimi appassionati i cui punti di forza sono l'animazione di esplosioni, laser ed effetti cinetici immediati - nonostante la loro scarsa perizia nei fondamenti del disegno. E' da notare che l'illustratore del manga, Yusuke Murata, sia un esperto di animazione, e che le sue tavole sono state create con lo stesso processo carico di dinamicità tipico dell'anime: questo senz'altro ha contribuito a spianare la strada allo staff della serie animata.
L'apice della pirotecnia tecnica di "One-Punch Man" è lo scontro che avviene nell'ultima puntata, in cui Shingo Natsume ribadisce il suo status di sakuga director donando ai posteri un delirio visivo estremo, che rimanda ai fasti cosmici di "Gurren Lagann": il protagonista finirà addirittura sulla Luna, tratterrà il fiato come se dovesse tuffarsi in piscina, e salterà nello spazio per superare illeso l'atmosfera terrestre, con lo stesso stato d'animo che avrebbe durante una passeggiata al parco (!).
In conclusione, "One-Punch Man" non è di certo una serie priva di difetti, nonostante il suo comparto tecnico sfavillante e alcune trovate comiche geniali: alcuni episodi si rivelano più deboli e meno interessanti di altri, e chi non è avvezzo allo schema tokusatsu potrebbe risultare infastidito dalla ripetitività del semplice meccanismo narrativo sul quale si basa tutta la serie. Inoltre il finale, per quanto spettacolare, è incompleto, in quanto la serie non copre tutto il manga originale. Fatto salvo ciò, il livello di qualità generale dell'anime rimane comunque elevato, e chi è dotato di un buon sense of humor adorerà la grezza ironia di cui l'opera è infarcita, che non si trattiene dallo sfociare nel volgare e nel grossolano con fare sornione, senza darsi troppa importanza e senza avanzare pretese di sorta nei confronti dello spettatore. Si tratta di una serie a suo modo tarantiniana, ovvero basata su grottesche inezie legate alla più becera cultura di massa, che nondimeno vengono rappresentate con grande perizia tecnica da artisti che ci hanno messo il cuore. E lo strepitoso successo dell'opera conferma che, facendo animazione mossi da una grande passione, chi sta dall'altra parte dello schermo ricambierà la cortesia appassionandosi a sua volta - soprattutto chi si approccia per la prima volta al quanto mai vasto medium dell'animazione giapponese tutta.
Vedendo una puntata alla volta, io, l'ho apprezzato molto di più.
Sicuramente un voto positivo meritato.
OPM è sicuramente un'opera degna di nota, divertente e tutto, ma non la reputo un capolavoro.
non lo so comunque, non avendogli dato peso due stagioni fa, perchè lo "hype" è salito con l' anime se no non si sapeva nemmeno che cosa era, non saprei dire se è una cosa che meriti o no. cosa certa è che mi sale la curiosità, ma sono combattuto dal dovermi trovare in mano una boiata colossale meramente spacciata per opera capolavoro al leggere/guardare un opera buona che è parodia (divertente? ) degli shonen in generale. insomma c'è qualcuno che al di là di vederci il manifesto sociale dell' operaio giapponese e il manifesto sociale sulla condizione del super sayan nella gerarchia lavorativa nipponica sappia dirmi se ne vale la pena o no???
http://lanostrarivoluzione.blogspot.it/
Chi concorda con Akira becca due pollici versi, è la legge
E' la famosa legge del rosikazio. XD
2199 è un'ottima operazione di svecchiamento di un brand (capito Anno? Si fa così XD), fruibile sia dai vecchi appassionati, sia da chi conosceva Yamato solo di nome.
Hanno fatto davvero un'ottimo lavoro.
OPM è stata una delle migliori opere dell'anno scorso, e merita tutta la stima che ha raccolto.
Chi concorda con Akira becca due pollici versi, è la legge XD
Qui c'è il doppio butthurt: rece di Aki e rece positiva su OPM, opera che fa ancora rodere il deretano a diversi individui.
insomma c'è qualcuno che al di là di vederci il manifesto sociale dell' operaio giapponese e il manifesto sociale sulla condizione del super sayan nella gerarchia lavorativa nipponica sappia dirmi se ne vale la pena o no???
Guardare qualche episodio no eh?
Sono 12 episodi, mica i 110 di LOGH.
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