Il quotidiano finanziario giapponese Nikkei ha pubblicato sul suo sito un editoriale in cui si parla degli effetti del recente interessamento da parte della della Cina nei confronti dell’industria dell’animazione domestica. Infatti, sebbene quest’ultima sia stata la nazione con il maggior numero di contratti con l'industria dell'animazione giapponese nel 2016, l'articolo mette in evidenza la scomparsa sempre maggiore della Cina dall'industria giapponese dal 2018 a causa di severe restrizioni governative come quelle sullo streaming degli anime; questa situazione ha purtroppo aggravato i problemi nell'industria giapponese, attualmente in declino.
A differenza però del Giappone, che continua a registrare una crescita interna scarsa negli ultimi anni, la Cina ha ribaltato la situazione, aumentando le risorse ed i fondi dedicati all'animazione: ad oggi le società cinesi assumono sempre più aziende giapponesi per lavorare su IP cinesi. Un esempio emblematico può essere quello del 2018, quando una società appartenente a Tencent ha aperto uno studio chiamato Colored Pencil Animation Japan, che produce anime per i servizi di streaming del colosso tecnologico cinese (tra i più famosi ricordiamo Quan Zhi Gao Sho).
Un altro fattore che distingue la Cina dal Giappone sono gli ottimi salari di cui godono gli animatori che lavorano per società di animazione cinesi: a differenza dell'industria giapponese, che tende a fare affidamento sul lavoro dei liberi professionisti, la Colored Pencil Animation Japan assume animatori come dipendenti e persino i nuovi arrivati guadagnano uno stipendio superiore alla media del settore (si parla di 175.000 yen, quasi 1500 euro al mese). Nel frattempo, secondo un recente sondaggio della Japan Animation Creators Association, solo il 14% degli animatori giapponesi è impiegato a tempo indeterminato.
L’interesse della Cina nell'animazione domestica è nato parallelamente ad un difficile periodo finanziario per gli studi di animazione giapponesi: secondo la Teikoku Databank, oltre il 30% degli studi di produzione di animazione in Giappone era in rosso nel 2018 e quelle andate in bancarotta lo erano da minimo 10 anni. Questo è principalmente dovuto al fatto che poiché il prezzo del lavoro a contratto continua a scendere si rimane a corto di personale e non si è in grado di lavorare di più, creando così un circolo vizioso; basta infatti che anche solo una persona si ritiri per impedire alla società di completare i progetti a cui ha preso parte. La situazione ha reso più difficile la formazione di giovani animatori e anche la qualità delle animazioni ne ha risentito; secondo Bunjirō Eguchi, CEO di Colored Pencil Animation Japan, ci sono anche casi in cui la società ha affidato lavori ad animatori giapponesi, il cui lavoro però è stato poi rifiutato a causa della scarsa qualità e che, col tempo, potrebbe creare stagnazione nel settore.
Secondo l'Association of Japanese Animations, il valore di mercato totale per l'industria degli anime nel 2018 è di 2.1814 trilioni di yen, ovvero circa 18 miliardi di euro); d'altra parte però solo 267.1 miliardi di yen (circa 2.2 miliardi di euro, dunque il 12% del valore di mercato) sono andati a studi di animazione. Inoltre, sebbene circa la metà delle entrate dell'industria degli anime provenga dall'estero, una quota maggiore del denaro viene destinata ai comitati di produzione, che impedisce a molti studi di vedere profitti anche nel caso di serie anime di successo. Secondo Daisuke Iijima, ricercatore della Teikoku Databank, le aziende cinesi stanno cercando di invogliare gli animatori giapponesi a lavorare in Cina per espandere il loro mercato interno: Nikkei ha citato un sito web di reclutamento cinese che aveva inserzioni con uno stipendio mensile di circa 34.000 yuan (4.200 euro).
L'editoriale si conclude con una cupa previsione per l'industria giapponese ed il sistema del comitato di produzione per il finanziamento degli anime, e questo declino durerà finché non ci sarà una migliore distribuzione dei profitti tra le varie società.
Fonte Consultata:
Anime News Network
A differenza però del Giappone, che continua a registrare una crescita interna scarsa negli ultimi anni, la Cina ha ribaltato la situazione, aumentando le risorse ed i fondi dedicati all'animazione: ad oggi le società cinesi assumono sempre più aziende giapponesi per lavorare su IP cinesi. Un esempio emblematico può essere quello del 2018, quando una società appartenente a Tencent ha aperto uno studio chiamato Colored Pencil Animation Japan, che produce anime per i servizi di streaming del colosso tecnologico cinese (tra i più famosi ricordiamo Quan Zhi Gao Sho).
Un altro fattore che distingue la Cina dal Giappone sono gli ottimi salari di cui godono gli animatori che lavorano per società di animazione cinesi: a differenza dell'industria giapponese, che tende a fare affidamento sul lavoro dei liberi professionisti, la Colored Pencil Animation Japan assume animatori come dipendenti e persino i nuovi arrivati guadagnano uno stipendio superiore alla media del settore (si parla di 175.000 yen, quasi 1500 euro al mese). Nel frattempo, secondo un recente sondaggio della Japan Animation Creators Association, solo il 14% degli animatori giapponesi è impiegato a tempo indeterminato.
L’interesse della Cina nell'animazione domestica è nato parallelamente ad un difficile periodo finanziario per gli studi di animazione giapponesi: secondo la Teikoku Databank, oltre il 30% degli studi di produzione di animazione in Giappone era in rosso nel 2018 e quelle andate in bancarotta lo erano da minimo 10 anni. Questo è principalmente dovuto al fatto che poiché il prezzo del lavoro a contratto continua a scendere si rimane a corto di personale e non si è in grado di lavorare di più, creando così un circolo vizioso; basta infatti che anche solo una persona si ritiri per impedire alla società di completare i progetti a cui ha preso parte. La situazione ha reso più difficile la formazione di giovani animatori e anche la qualità delle animazioni ne ha risentito; secondo Bunjirō Eguchi, CEO di Colored Pencil Animation Japan, ci sono anche casi in cui la società ha affidato lavori ad animatori giapponesi, il cui lavoro però è stato poi rifiutato a causa della scarsa qualità e che, col tempo, potrebbe creare stagnazione nel settore.
Secondo l'Association of Japanese Animations, il valore di mercato totale per l'industria degli anime nel 2018 è di 2.1814 trilioni di yen, ovvero circa 18 miliardi di euro); d'altra parte però solo 267.1 miliardi di yen (circa 2.2 miliardi di euro, dunque il 12% del valore di mercato) sono andati a studi di animazione. Inoltre, sebbene circa la metà delle entrate dell'industria degli anime provenga dall'estero, una quota maggiore del denaro viene destinata ai comitati di produzione, che impedisce a molti studi di vedere profitti anche nel caso di serie anime di successo. Secondo Daisuke Iijima, ricercatore della Teikoku Databank, le aziende cinesi stanno cercando di invogliare gli animatori giapponesi a lavorare in Cina per espandere il loro mercato interno: Nikkei ha citato un sito web di reclutamento cinese che aveva inserzioni con uno stipendio mensile di circa 34.000 yuan (4.200 euro).
L'editoriale si conclude con una cupa previsione per l'industria giapponese ed il sistema del comitato di produzione per il finanziamento degli anime, e questo declino durerà finché non ci sarà una migliore distribuzione dei profitti tra le varie società.
Fonte Consultata:
Anime News Network
PS. Altro fattore effettivamente può essere il formato ONA di quelli cinesi, forse hanno vantaggi simili agli OAV anni 80? Maledetto scoppio della bolla!
PPS. A me se i cinesi fanno le loro serie animate non cambia molto, anzi ben venga, ma perché completamente in Jap Style?? In Cina è pur sempre uscito il primo lungometraggio d'animazione orientale...
Vedendo questi dati è palese quanto vengano sottopagati.
Spero che oltre che la Cina, qualcuno in occidente sia dia una svegliata e supporti questo media con un business plan serio.
Qualcosa d'altronde si comincia a vedere con Chruncyroll.
Magari ridistribuire meglio le entrate potrebbe essere sufficiente.
Contenti loro.
Mi vien difficile pensare che i comitati possano cambiare idea, non l'hanno fatto a suo tempo con i vari e documentati casi di suicidi.
Felice di sbagliarmi, ma penso ricordate tutti cosa è successo alla KyoAni, a suo tempo lo dissi, se non vi sarà un cambio radicale e sostanziale di rotta quest'industria è destinata a disfarsi, non possono andare avanti così.
Quando ci sono problemi di produzione e/o programmazione le opere ne risentono e non poco, non ultimo il caso di Nanatsu no Taizai che è stato oggettivamente uno scempio.
In occidente una realtà del genere neanche riesco ad immaginarla, verrebbero messi tutti alla gogna e con grande probabilità non sarebbero neanche in grado di 'alzarsi' dal disastro economico oltre che da quello della fanbase.
Ripeto quando detto prima, spero vivamente di sbagliarmi ma con un report del genere i timori sono tanti.
Detto questo consiglio caldamente la visione di Quan Zhi Gao Sho, ero abbastanza scettico ma mi sto ricredendo, specialmente l'ultimo film insieme agli OAV non ha nulla da invidiare all'animazione nipponica.
Se qualcuno avesse una serie da proporre ben venga.
Devono ridurre il numero delle serie.
La prima serie era stata fatta da altri di cui non ricordo il nome, tra l'altro fu maciullata all'inverosimile la trama originale, quindi non proprio un gran esempio, senza contare l'animazione con stessi asset riutilizzati a rotazione per le scene, imbarazzante a volte.
Sembra ben fatto. Per caso è disponibile in Italia?
Non cambia nulla, Crunchyroll entra semplicemente a far parte del comitato di produzione (con peso che cambia da serie a serie, ma nella maggior parte dei casi ci entra solo per accaparrarsi subito i diritti streaming globali), il sistema alla fine rimane quello.
Crunchyroll non dà quasi nulla di quello che guadagna agli studi giapponesi. Usano i loro soldi per fare cartoni occidentali, come si è visto.
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