Lo abbiamo scoperto in Tv con la sua rubrica "Ciao, sono Hiro" in onda su SKY - Gambero Rosso Channel e le sue apparizioni a "La Prova del Cuoco" su Rai1. Lo seguiamo con i suoi video di ricette sui suoi social: Facebook, Instagram e Twitter. Sto parlando di Hirohiko Shoda, detto Hiro.
Nato a Nara il 5 Febbraio 1977 studia la cucina italiana fin da adolescente; presso lo Tsuji Culinary Institute, si specializza in cucina italiana, europea e internazionale. Per una decina di anni lavora in Giappone nell'alta ristorazione di cucina italiana e poi nel 2006 si trasferisce in Italia.
Per otto anni collabora con lo chef Massimiliano Alajmo de Le Calandre di Padova, ristorante tre stelle Michelin. Oggi è docente accademico, ideatore del progetto Master Japan, autore di libri e personaggio televisivo e un anno fa ha ricevuto il titolo ufficiale di Ambasciatore della Cucina Giapponese in Italia da parte del MAFF Japan (Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone).
Noi di Animeclick gli abbiamo chiesto un'intervista e lui si è gentilmente prestato a rispondere alle nostre numerose domande!
- Quando è nata la passione per la cucina? Il primo ricordo culinario?
La mia passione nasce fin da piccolo, osservando la mia mamma cucinare con semplicità e con il massimo rispetto per i cibi. Sono nato in Giappone, in un paese in campagna, sviluppando fin da piccolo una grande sensibilità e curiosità per i frutti della Natura. Osservavo mia madre che ha sempre cucinato per me e i miei fratelli, lei mi ha trasmesso l'interesse, la cura e il rispetto delle cose e degli alimenti. Negli anni ‘80 cominciava a diffondersi in Giappone anche la "nuova cucina", quella europea in particolare, contaminata da tante culture antiche e diverse (spagnola, francese, araba). Avevo 18 anni, ne fui così attratto che lasciai la scuola di musica e tutti i miei interessi, per frequentare a tempo pieno la scuola di cucina, specializzandomi poi in 'cucina italiana'.
- Che percorso di studi ha seguito per diventare chef?
Ho studiato in Giappone in una importante accademia di cucina, lo Tsuji Culinary Institute, specializzandomi in cucina italiana, europea e internazionale. A 20 anni ero già capo chef. Per 10 anni ho lavorato in Giappone nell'alta ristorazione giapponese di cucina italiana presso importanti locali, come il ristorante 'Ponte Vecchio' di Osaka, votato nel 1999 e nel 2001 miglior ristorante di cucina italiana in Giappone.
Ero giovane, pieno di energia e molto soddisfatto del mio lavoro, ma sempre desideroso di viaggiare e vivere nuove esperienze.
Nel 2003 la mia prima esperienza in Italia e poi stabilmente dal 2006, a Padova, dove ho collaborato per circa otto anni con lo chef Massimiliano Alajmo de Le Calandre, ristorante tre stelle Michelin, presente nella classifica dei World'50 Best Restaurants.
- Quando ha iniziato ad interessarsi al nostro paese? Cosa la affascinava di più?
In Giappone ho studiato tutte le cucine internazionali, soprattutto quella italiana, il mio più grande desiderio era quello di conoscere esattamente la terra di origine degli ingredienti che amavo, cercarli e sceglierli personalmente, poter vivere e concretizzare la mia cucina laddove realmente nasce.
- Com'è stato il primo impatto con l'Italia e gli italiani?
All’inizio non è stato affatto facile, in Giappone avevo studiato l’italiano, ma una volta arrivato in Italia, non capivo neanche una parola di quello che mi dicevano, è stata dura, soprattutto in una regione dove spesso si parla in dialetto.
Con grande forza d’animo e sacrifici, fortunatamente sono riuscito a fare presto amicizia, è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere e maturare molto, un passaggio fondamentale per la mia crescita di uomo e di chef.
- Appena arrivato nel nostro paese, cosa l'ha stupita sia in negativo che in positivo? E c'è qualcosa che la stupisce ancora oggi?
Amo soprattutto la varietà delle materie prime italiane, poter viaggiare di regione in regione e scoprire gusti caratteristici, tipici, tramandati da anni e ancora attuali e deliziosi. Purtroppo, è capitato anche qualche episodio spiacevole, immotivato, frutto dell’ignoranza e del pressapochismo, dell’essere convinti che il proprio pensiero è l’unico che ha significato. Questo mi sconvolge ancora oggi.
Troppo spesso si incontrano persone convinte di sapere tutto senza aver studiato, viaggiato, senza essere mai uscite dalla propria area di conforto; tutti sono chef, esperti, politici, virologi, si giudica il prossimo senza prima interrogare se stessi, forse per sfogarsi delle proprie insoddisfazioni personali o per semplice superficialità. Provo pena per gli ignoranti perché non c’è medicina o vaccino che possa curarli.
- Come è approdato al Gambero rosso e in generale in TV?
Beh, il titolo stesso del mio programma su Gambero Rosso nasce dalla semplice frase di saluto con cui mi sono presentato agli autori il primo giorno che ci siamo incontrati, "Ciao, sono Hiro"!
Da lì è nato tutto, con semplicità e tanto entusiasmo, ingredienti che cerco di non far mancare mai anche nella mia vita quotidiana, oltre che sul lavoro.
- Com'è cambiato il mondo della cucina in questi anni? È ancora difficile reperire certi ingredienti tipici? Consigli per sostituire un particolare ingrediente senza snaturare il piatto?
In Italia sono ancora assenti tantissimi ingredienti e piatti che caratterizzano la vera cucina giapponese, l’offerta è ancora orientata a soddisfare il gusto e le aspettative del cliente occidentale, ma l’attenzione e la curiosità sul cibo giapponese è in forte crescita e piano piano sarà possibile raggiungere una proposta sempre più vicina a quella originale.
Grazie a internet e ai numerosi siti specializzati in import/export, si può ormai trovare di tutto e a vari livelli di qualità. Ovviamente le distanze Giappone-Europa non favoriscono il consumo di prodotti freschi o artigianali, come ad esempio la radice fresca di wasabi, alcuni particolari agrumi o il tofu, di cui spesso si conoscono varianti più industriali, certamente differenti da quelle originali. Ma anche le fasi intermedie di un processo sono importanti. Per acquisire conoscenza ci vuole il giusto tempo.
A volte è possibile fare sostituzioni, ma credo sia corretto, laddove possibile, provare a reperire gli ingredienti autentici, non ha senso fare una ricetta giapponese modificando e sostituendo tutti gli ingredienti di base, il piatto forse sarà buono, ma non sarà vera cucina giapponese. In Italia si è molto fedeli alle proprie ricette tradizionali, ogni modifica è fonte di discussioni accese anche fra gli italiani stessi. Pretendere rispetto per le proprie origini implica esserlo altrettanto verso quelle del resto del mondo.
- Qual è il suo ingrediente giapponese preferito e quale quello di cui non riesce a fare a meno nelle sue ricette?
Nella cucina giapponese ci sono alcuni principali ingredienti di cui non si può fare a meno.
Sono principalmente cinque: salsa di soia, sake, mirin (sake dolce), katsuobushi (fiocchi di tonnetto essiccato) e alga kombu. Senza questi ingredienti di base non esiste la cucina giapponese, diffidate dei ristoranti che si definiscono giapponesi in cui sono assenti questi prodotti.
- Quale piatto giapponese le viene chiesto maggiormente dagli italiani? E quale quello italiano dai giapponesi?
Non ho un ristorante, quindi ho la fortuna di poter spaziare e presentare, attraverso i miei canali social e di comunicazione, tutte le infinite varianti della cucina giapponese e non solo.
- Quale aspetto della cucina giapponese ama di più e vorrebbe perciò farlo conoscere assolutamente a chi la segue?
Il Giappone è dentro di me nei valori, nel rispetto delle cose e delle persone, nell’etica, nell’educazione, nel prendere seriamente il lavoro, fin da piccoli. Vorrei trasmettere questi aspetti, dimostrare con la mia esperienza di vita e di lavoro che si può lavorare con qualità, anche rimanendo semplici.
- Nei suoi video sui social, accompagna spesso l'esecuzione delle ricette a citazioni di anime e manga: come mai? Le piacciono? Se sì, quali sono le sue opere preferite?
Da ragazzino leggevo molto i manga, i celebri fumetti giapponesi e guardavo gli anime, i cartoni animati, molti dei quali sono divenuti molto celebri anche in Italia. A casa di mia mamma in Giappone ancora dovrei avere alcuni fumetti originali degli anni ’80 come ad esempio il famosissimo Doraemon, il gatto spaziale ghiotto di dorayaki.
Durante questa quarantena ho deciso di inserire nelle mie videoricette (pubblicate sui miei profili Instagram e Facebook) qualche riferimento ad alcuni fumetti o cartoni animati, i cui protagonisti sono spesso golosi e famosi per le loro mangiate, come il gatto Giuliano di Kiss me Licia per le polpette (così hanno tradotto in italiano l’okonomiyaki, una sorta di pancake salato, uno dei re dello street food giapponese), oppure Totoro, celebre personaggio dello Studio Ghibli del maestro Hayao Miyazaki, o il famoso Lupin, Super Mario Bros, Spank e tanti altri.
- Com'è nata l'idea di Washoku, il suo ultimo libro?
È stata una necessità, frutto dell’esperienza raccolta in aula, in tv e durante i miei numerosi viaggi. Circolano tantissime informazioni e ricette sul Giappone, ma spesso non sono corrette, approssimative, frutto di luoghi comuni o poca conoscenza. Ho sentito la responsabilità di fare chiarezza, di offrire uno strumento affidabile di informazione, di studio e di approfondimento, non solo culinario, ma anche culturale.
Nel marzo 2019 ho ricevuto ufficialmente il titolo di Ambasciatore della Cucina Giapponese in Italia da parte del MAFF Japan (Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone), conferito presso l'Ambasciata del Giappone a Roma.
Questo riconoscimento, più che mai, attraverso il mio lavoro di insegnante e comunicatore, mi fa sentire la responsabilità di rappresentare con etica e credibilità il mio Paese di origine, il Giappone.
Grazie mille a Chef Hiro per la sua disponibilità!
A presto sui suoi social: Facebook, Instagram e Twitter.
Nato a Nara il 5 Febbraio 1977 studia la cucina italiana fin da adolescente; presso lo Tsuji Culinary Institute, si specializza in cucina italiana, europea e internazionale. Per una decina di anni lavora in Giappone nell'alta ristorazione di cucina italiana e poi nel 2006 si trasferisce in Italia.
Per otto anni collabora con lo chef Massimiliano Alajmo de Le Calandre di Padova, ristorante tre stelle Michelin. Oggi è docente accademico, ideatore del progetto Master Japan, autore di libri e personaggio televisivo e un anno fa ha ricevuto il titolo ufficiale di Ambasciatore della Cucina Giapponese in Italia da parte del MAFF Japan (Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone).
Noi di Animeclick gli abbiamo chiesto un'intervista e lui si è gentilmente prestato a rispondere alle nostre numerose domande!
- Quando è nata la passione per la cucina? Il primo ricordo culinario?
La mia passione nasce fin da piccolo, osservando la mia mamma cucinare con semplicità e con il massimo rispetto per i cibi. Sono nato in Giappone, in un paese in campagna, sviluppando fin da piccolo una grande sensibilità e curiosità per i frutti della Natura. Osservavo mia madre che ha sempre cucinato per me e i miei fratelli, lei mi ha trasmesso l'interesse, la cura e il rispetto delle cose e degli alimenti. Negli anni ‘80 cominciava a diffondersi in Giappone anche la "nuova cucina", quella europea in particolare, contaminata da tante culture antiche e diverse (spagnola, francese, araba). Avevo 18 anni, ne fui così attratto che lasciai la scuola di musica e tutti i miei interessi, per frequentare a tempo pieno la scuola di cucina, specializzandomi poi in 'cucina italiana'.
- Che percorso di studi ha seguito per diventare chef?
Ho studiato in Giappone in una importante accademia di cucina, lo Tsuji Culinary Institute, specializzandomi in cucina italiana, europea e internazionale. A 20 anni ero già capo chef. Per 10 anni ho lavorato in Giappone nell'alta ristorazione giapponese di cucina italiana presso importanti locali, come il ristorante 'Ponte Vecchio' di Osaka, votato nel 1999 e nel 2001 miglior ristorante di cucina italiana in Giappone.
Ero giovane, pieno di energia e molto soddisfatto del mio lavoro, ma sempre desideroso di viaggiare e vivere nuove esperienze.
Nel 2003 la mia prima esperienza in Italia e poi stabilmente dal 2006, a Padova, dove ho collaborato per circa otto anni con lo chef Massimiliano Alajmo de Le Calandre, ristorante tre stelle Michelin, presente nella classifica dei World'50 Best Restaurants.
- Quando ha iniziato ad interessarsi al nostro paese? Cosa la affascinava di più?
In Giappone ho studiato tutte le cucine internazionali, soprattutto quella italiana, il mio più grande desiderio era quello di conoscere esattamente la terra di origine degli ingredienti che amavo, cercarli e sceglierli personalmente, poter vivere e concretizzare la mia cucina laddove realmente nasce.
- Com'è stato il primo impatto con l'Italia e gli italiani?
All’inizio non è stato affatto facile, in Giappone avevo studiato l’italiano, ma una volta arrivato in Italia, non capivo neanche una parola di quello che mi dicevano, è stata dura, soprattutto in una regione dove spesso si parla in dialetto.
Con grande forza d’animo e sacrifici, fortunatamente sono riuscito a fare presto amicizia, è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere e maturare molto, un passaggio fondamentale per la mia crescita di uomo e di chef.
- Appena arrivato nel nostro paese, cosa l'ha stupita sia in negativo che in positivo? E c'è qualcosa che la stupisce ancora oggi?
Amo soprattutto la varietà delle materie prime italiane, poter viaggiare di regione in regione e scoprire gusti caratteristici, tipici, tramandati da anni e ancora attuali e deliziosi. Purtroppo, è capitato anche qualche episodio spiacevole, immotivato, frutto dell’ignoranza e del pressapochismo, dell’essere convinti che il proprio pensiero è l’unico che ha significato. Questo mi sconvolge ancora oggi.
Troppo spesso si incontrano persone convinte di sapere tutto senza aver studiato, viaggiato, senza essere mai uscite dalla propria area di conforto; tutti sono chef, esperti, politici, virologi, si giudica il prossimo senza prima interrogare se stessi, forse per sfogarsi delle proprie insoddisfazioni personali o per semplice superficialità. Provo pena per gli ignoranti perché non c’è medicina o vaccino che possa curarli.
- Come è approdato al Gambero rosso e in generale in TV?
Beh, il titolo stesso del mio programma su Gambero Rosso nasce dalla semplice frase di saluto con cui mi sono presentato agli autori il primo giorno che ci siamo incontrati, "Ciao, sono Hiro"!
Da lì è nato tutto, con semplicità e tanto entusiasmo, ingredienti che cerco di non far mancare mai anche nella mia vita quotidiana, oltre che sul lavoro.
- Com'è cambiato il mondo della cucina in questi anni? È ancora difficile reperire certi ingredienti tipici? Consigli per sostituire un particolare ingrediente senza snaturare il piatto?
In Italia sono ancora assenti tantissimi ingredienti e piatti che caratterizzano la vera cucina giapponese, l’offerta è ancora orientata a soddisfare il gusto e le aspettative del cliente occidentale, ma l’attenzione e la curiosità sul cibo giapponese è in forte crescita e piano piano sarà possibile raggiungere una proposta sempre più vicina a quella originale.
Grazie a internet e ai numerosi siti specializzati in import/export, si può ormai trovare di tutto e a vari livelli di qualità. Ovviamente le distanze Giappone-Europa non favoriscono il consumo di prodotti freschi o artigianali, come ad esempio la radice fresca di wasabi, alcuni particolari agrumi o il tofu, di cui spesso si conoscono varianti più industriali, certamente differenti da quelle originali. Ma anche le fasi intermedie di un processo sono importanti. Per acquisire conoscenza ci vuole il giusto tempo.
A volte è possibile fare sostituzioni, ma credo sia corretto, laddove possibile, provare a reperire gli ingredienti autentici, non ha senso fare una ricetta giapponese modificando e sostituendo tutti gli ingredienti di base, il piatto forse sarà buono, ma non sarà vera cucina giapponese. In Italia si è molto fedeli alle proprie ricette tradizionali, ogni modifica è fonte di discussioni accese anche fra gli italiani stessi. Pretendere rispetto per le proprie origini implica esserlo altrettanto verso quelle del resto del mondo.
- Qual è il suo ingrediente giapponese preferito e quale quello di cui non riesce a fare a meno nelle sue ricette?
Nella cucina giapponese ci sono alcuni principali ingredienti di cui non si può fare a meno.
Sono principalmente cinque: salsa di soia, sake, mirin (sake dolce), katsuobushi (fiocchi di tonnetto essiccato) e alga kombu. Senza questi ingredienti di base non esiste la cucina giapponese, diffidate dei ristoranti che si definiscono giapponesi in cui sono assenti questi prodotti.
- Quale piatto giapponese le viene chiesto maggiormente dagli italiani? E quale quello italiano dai giapponesi?
Non ho un ristorante, quindi ho la fortuna di poter spaziare e presentare, attraverso i miei canali social e di comunicazione, tutte le infinite varianti della cucina giapponese e non solo.
- Quale aspetto della cucina giapponese ama di più e vorrebbe perciò farlo conoscere assolutamente a chi la segue?
Il Giappone è dentro di me nei valori, nel rispetto delle cose e delle persone, nell’etica, nell’educazione, nel prendere seriamente il lavoro, fin da piccoli. Vorrei trasmettere questi aspetti, dimostrare con la mia esperienza di vita e di lavoro che si può lavorare con qualità, anche rimanendo semplici.
- Nei suoi video sui social, accompagna spesso l'esecuzione delle ricette a citazioni di anime e manga: come mai? Le piacciono? Se sì, quali sono le sue opere preferite?
Da ragazzino leggevo molto i manga, i celebri fumetti giapponesi e guardavo gli anime, i cartoni animati, molti dei quali sono divenuti molto celebri anche in Italia. A casa di mia mamma in Giappone ancora dovrei avere alcuni fumetti originali degli anni ’80 come ad esempio il famosissimo Doraemon, il gatto spaziale ghiotto di dorayaki.
Durante questa quarantena ho deciso di inserire nelle mie videoricette (pubblicate sui miei profili Instagram e Facebook) qualche riferimento ad alcuni fumetti o cartoni animati, i cui protagonisti sono spesso golosi e famosi per le loro mangiate, come il gatto Giuliano di Kiss me Licia per le polpette (così hanno tradotto in italiano l’okonomiyaki, una sorta di pancake salato, uno dei re dello street food giapponese), oppure Totoro, celebre personaggio dello Studio Ghibli del maestro Hayao Miyazaki, o il famoso Lupin, Super Mario Bros, Spank e tanti altri.
- Com'è nata l'idea di Washoku, il suo ultimo libro?
È stata una necessità, frutto dell’esperienza raccolta in aula, in tv e durante i miei numerosi viaggi. Circolano tantissime informazioni e ricette sul Giappone, ma spesso non sono corrette, approssimative, frutto di luoghi comuni o poca conoscenza. Ho sentito la responsabilità di fare chiarezza, di offrire uno strumento affidabile di informazione, di studio e di approfondimento, non solo culinario, ma anche culturale.
Nel marzo 2019 ho ricevuto ufficialmente il titolo di Ambasciatore della Cucina Giapponese in Italia da parte del MAFF Japan (Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Giappone), conferito presso l'Ambasciata del Giappone a Roma.
Questo riconoscimento, più che mai, attraverso il mio lavoro di insegnante e comunicatore, mi fa sentire la responsabilità di rappresentare con etica e credibilità il mio Paese di origine, il Giappone.
Grazie mille a Chef Hiro per la sua disponibilità!
A presto sui suoi social: Facebook, Instagram e Twitter.
"Ci penso io"
*prende il mestolo in mano*
I am the bone of my sword
Steel is my body and fire is my blood
Hiro, scusaci. Purtroppo il nostro Paese ha un analfabetismo funzionale molto sopra il 50%.
Comunque, simpaticissimo e sempre a modo, mi capitava di vederlo a La prova del cuoco!
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