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8.0/10
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Otto persone aspettano su di una lunga panca il proprio turno. Sono coperti da un involucro di plastica trasparente per non sporcare i propri abiti. Tutti tranne una signora, la più anziana dell'improbabile comitiva, che non ha più nulla da perdere e non teme di sporcarsi le mani. Una cosa accomuna il gruppo seduto in attesa del proprio turno. Ma cosa sarà? E cosa stanno aspettando, vi chiederete voi.
Non aspettano di certo Geum-ja, la galeotta dalle palpebre del colore del sangue sul bianco e angelico volto. La calma apparente del viso di Geum-ja buca lo schermo di questo film del 2005 prodotto nella Corea del Sud. La pellicola è il capitolo conclusivo della "trilogia della vendetta" del regista Park Chan-wook, regista di Old boy e Mr. Vendetta. La storia di Lady Vendetta ruota attorno alle pulsioni umane di famiglie distrutte, vite spezzate e rappresentate dall'eterea figura di Geum-ja, interpretata da Lee Young Ae. La protagonista di questa storia è la pentita, e successivamente scarcerata per buona condotta, del famoso caso di rapimento di un bambino di sei anni, che perse la vita per mani sue tredici anni fa. Ad aspettarla, all'uscita dalla prigione, il parroco che ha creduto al suo pentimento l'accoglie. Ma non c'è perdono per ciò che è accaduto, e Geum-ja non può accettare che glielo si offra. Così, una volta che la "santa" esce di prigione, sveste i suoi abiti di amorevole compagna di cella, di purificata assassina, e si attiva alla ricerca di vendetta.

Lady Vendetta è una storia molto delicata e trasportata sul grande schermo con una tecnica narrativa composta da un mosaico di immagini e scene temporalmente sfasate. Ma non è questa la sola peculiarità del lavoro. Le foto prendono vita; l'angolazione della cinepresa cambia; e lì dove si trova un personaggio, improvvisamente questo scompare. Effetti ottici, illusioni, immagini evocative e atmosfere surreali. Eppure, quella che ci viene narrata è una storia che ha un sapore tragicamente reale. Si tratta di famiglie distrutte dal dolore dalla perdita dei propri piccoli bambini; che per alcuni sono nipoti, e per altri fratelli, ma che per tutti sono la famiglia. La famiglia distrutta da questa perdita e da questo dolore ingestibile. Anche Geum-ja sa quanto questo dolore sia insopportabile; ciononostante lo sopporta, per ben tredici anni. La sopportazione che la muove prende il nome di vendetta.
La vendetta e il dolore non sono i soli temi che muovono il film: il già citato pentimento, quella forma di remissione dai peccati, si contrappone alla spietata logica che muove Geum-ja fin dentro la cella. La giovane donna cerca future alleate, eliminando le compagne ostili da cui non potrà trarre giovamento in futuro. Sfrutta il parroco che si espone per la sua scarcerazione e pianifica fin nei dettagli la tortura che infliggerà all'uomo che l'ha privata di tutto: della libertà, della vita, di sua figlia.

- Perché l'ha fatto? - domanda la madre di un bimbo morto.
- In questo mondo, non esiste nessuno che sia perfetto, signora. - dirà il professore. Quell'uomo che ha preso con sé numerose giovani vite, adesso è legato ad una sedia, e aspetta la vendetta degli otto famigliari delle sue vittime.[/i]
La potenza narrativa di questo lungometraggio è indiscutibile. La miscellanea di immagini e scene che si susseguono, talvolta in ordine sparso, sin dall'inizio del film risultano evocative. Evocano emozioni. Il film è lento, e la voce narrante di Geum-ja è la colonna sonora costante di questo film che si muove lento, a tratti statico, e poi improvvisamente veloce e grottesco. Un'ottima prova cinematografica, più che originale. La visione è d'impatto, ma i pensieri non si affacciano subito alla mente e le parole riescono ad emergere solo alla conclusione del film, il che non è propriamente un pregio. Determinate immagini sono singolari, come l'animale con la faccia del professore che lei uccide con un colpo di proiettile in uno sfondo innevato. Sono forse fantasie e distorsioni mentali provocate da un dolore racchiuso per oltre un decennio nel cuore della protagonista. Molte di queste scene sbigottiscono lo spettatore che viene lasciato col proprio smarrimento a riflettere su ciò che ha visto.