Recensione
Si alza il vento
8.0/10
"E' stata un magnifico vento"
Non è facile giudicare l'ultima e forse definitiva fatica del regista Hayao Miyazaki, uno dei pochi autori giapponesi a non aver bisogno di presentazioni. Perpetuamente in bilico tra realismo nella ricostruzione (di eventi, situazioni, personaggi) e idealizzazione degli intenti, è un film che rinuncia a molti tratti distintivi del suo autore per raccontare una storia di conflitti che si sono svolti internamente e esternamente a una delle figure centrali della storia giapponese.
Si alza il vento racconta in sostanza i dieci anni di creatività (in realtà tredici, contando il periodo universitario) di Jiro Horikoshi, ingegnere aeronautico passato alla storia per aver progettato i primi caccia impiegati nella Seconda Guerra Mondiale dall'esercito giapponese, tra cui il celebre Zero. É una biopic, e come tale presenta molti fatti documentati mescolati ad alcune invenzioni, quest'ultime tratte dal romanzo omonimo di Tatsuo Hori. C'è molto poco di vero ad esempio nella grande storia d'amore che occupa la seconda metà del film. Le stesse Kayo e Nahoko, rispettivamente sorella e grande amore del protagonista, sono personaggi fittizi. Al contrario la carriera dell'ingegnere è narrata in maniera ortodossa e l'ambientazione che fa da sfondo alla vicenda ricostruita con un grado di fedeltà mai visto prima in un film di Miyazaki. Fatti drammatici come il terremoto del Kanto del 1923, la crisi degli anni '30 e tutta la fase di riassestamento economico pre-bellico vengono esposti nella loro crudezza, colpendo a tradimento lo spettatore. Ma è tutta la narrazione, a ben vedere, ad essere dura e onesta. Non siamo ai livelli di un Takahata, ma è qualcosa di diverso da tutto quel che ha prodotto Miyazaki in precedenza e che si può capire solo mettendosi nei panni dello spettatore.
A partire dal protagonista: Jiro Horikoshi viene dipinto come un fanatico dell'aviazione, perso nel suo mondo tanto da trascurare famiglia e affetti. Eppure corre dietro al suo sogno con un tale trasporto infantile da suscitare simpatia. Scommetto che molti professionisti della creatività si saranno identificati in certi suoi atteggiamenti e ossessioni. Dopo "Porco Rosso" e Fujimoto, passando per "Il castello errante di Howl", Miyazaki è riuscito a rappresentare un otaku a 360 gradi senza giudicarlo; non a caso è stato chiamato Hideaki Anno, esordiente assoluto nel mondo del doppiaggio, per interpretarlo. Anche i comprimari hanno un'inusitata profondità psicologica, pur non uscendo da certi modelli consolidati nella filmografia del regista: Honjou amico "adulto" del protagonista come Ferrarin, Nahoko ricorda nella sua devozione molte eroine-mamme del passato. Vivaci, ma limitati dal loro ruolo, i due mentori Castorp e Kurokawa, mentre merita un approfondimento maggiore il conte Caproni, unico interlocutore di Jiro nelle uniche sequenze oniriche del film. La venerazione di Miyazaki per il nostro ingegnere non è mai stata un mistero, tanto ispirare il nome del proprio studio di animazione (Ghibli è la firma di uno dei suoi motori). A Caproni viene infatti riservato il compito di spiegare il grande conflitto della storia dell'umanità: si può inseguire il progresso al prezzo della guerra? Cosa è preferibile, un idillico rapporto con la natura o un mondo con le piramidi? Quesiti non facili, che nel film, come in "Mononoke Hime", non trovano risposta. D'altronde pure Miyazaki non è mai riuscito a conciliare la sua passione per gli aerei da guerra con il suo marcato pacifismo. La presenza di questo dissidio, assieme alle sequenze di umanità dosate con perizia, fa di Si alza il vento il testamento-capolavoro del regista.
Sarebbe facile a questo punto della recensione perdersi nella disamina delle animazioni del film, che, da tradizione Ghibli, raggiungono l'eccellenza. Ogni ingranaggio, ogni tessuto, ogni gesto simulano una fisica quasi stordente per verosimiglianza. Sequenze come il citato terremoto e l'incontro in stazione tra Nahoko e Jiro sono investite di pathos per come sono state animate. Mi hanno sorpreso in positivo le grandi folle di persone che invadono lo schermo a più riprese, la bellezza dei calcoli a matita e i riflessi sugli occhiali-fondo di bottiglia del protagonista.
In conclusione Si Alza il Vento è forse il film più personale di Miyazaki. Lento e didascalico nella prima metà, tragico e romantico nella seconda, mette in scena più di ogni altro la sua poetica al fine di raggiungere l'agognata maturità artistica. Da consigliare caldamente ai fan del regista e dei film d'autore, sconsigliato a chi, a un prodotto d'animazione, chiede l'evasione e nulla più.
Non è facile giudicare l'ultima e forse definitiva fatica del regista Hayao Miyazaki, uno dei pochi autori giapponesi a non aver bisogno di presentazioni. Perpetuamente in bilico tra realismo nella ricostruzione (di eventi, situazioni, personaggi) e idealizzazione degli intenti, è un film che rinuncia a molti tratti distintivi del suo autore per raccontare una storia di conflitti che si sono svolti internamente e esternamente a una delle figure centrali della storia giapponese.
Si alza il vento racconta in sostanza i dieci anni di creatività (in realtà tredici, contando il periodo universitario) di Jiro Horikoshi, ingegnere aeronautico passato alla storia per aver progettato i primi caccia impiegati nella Seconda Guerra Mondiale dall'esercito giapponese, tra cui il celebre Zero. É una biopic, e come tale presenta molti fatti documentati mescolati ad alcune invenzioni, quest'ultime tratte dal romanzo omonimo di Tatsuo Hori. C'è molto poco di vero ad esempio nella grande storia d'amore che occupa la seconda metà del film. Le stesse Kayo e Nahoko, rispettivamente sorella e grande amore del protagonista, sono personaggi fittizi. Al contrario la carriera dell'ingegnere è narrata in maniera ortodossa e l'ambientazione che fa da sfondo alla vicenda ricostruita con un grado di fedeltà mai visto prima in un film di Miyazaki. Fatti drammatici come il terremoto del Kanto del 1923, la crisi degli anni '30 e tutta la fase di riassestamento economico pre-bellico vengono esposti nella loro crudezza, colpendo a tradimento lo spettatore. Ma è tutta la narrazione, a ben vedere, ad essere dura e onesta. Non siamo ai livelli di un Takahata, ma è qualcosa di diverso da tutto quel che ha prodotto Miyazaki in precedenza e che si può capire solo mettendosi nei panni dello spettatore.
A partire dal protagonista: Jiro Horikoshi viene dipinto come un fanatico dell'aviazione, perso nel suo mondo tanto da trascurare famiglia e affetti. Eppure corre dietro al suo sogno con un tale trasporto infantile da suscitare simpatia. Scommetto che molti professionisti della creatività si saranno identificati in certi suoi atteggiamenti e ossessioni. Dopo "Porco Rosso" e Fujimoto, passando per "Il castello errante di Howl", Miyazaki è riuscito a rappresentare un otaku a 360 gradi senza giudicarlo; non a caso è stato chiamato Hideaki Anno, esordiente assoluto nel mondo del doppiaggio, per interpretarlo. Anche i comprimari hanno un'inusitata profondità psicologica, pur non uscendo da certi modelli consolidati nella filmografia del regista: Honjou amico "adulto" del protagonista come Ferrarin, Nahoko ricorda nella sua devozione molte eroine-mamme del passato. Vivaci, ma limitati dal loro ruolo, i due mentori Castorp e Kurokawa, mentre merita un approfondimento maggiore il conte Caproni, unico interlocutore di Jiro nelle uniche sequenze oniriche del film. La venerazione di Miyazaki per il nostro ingegnere non è mai stata un mistero, tanto ispirare il nome del proprio studio di animazione (Ghibli è la firma di uno dei suoi motori). A Caproni viene infatti riservato il compito di spiegare il grande conflitto della storia dell'umanità: si può inseguire il progresso al prezzo della guerra? Cosa è preferibile, un idillico rapporto con la natura o un mondo con le piramidi? Quesiti non facili, che nel film, come in "Mononoke Hime", non trovano risposta. D'altronde pure Miyazaki non è mai riuscito a conciliare la sua passione per gli aerei da guerra con il suo marcato pacifismo. La presenza di questo dissidio, assieme alle sequenze di umanità dosate con perizia, fa di Si alza il vento il testamento-capolavoro del regista.
Sarebbe facile a questo punto della recensione perdersi nella disamina delle animazioni del film, che, da tradizione Ghibli, raggiungono l'eccellenza. Ogni ingranaggio, ogni tessuto, ogni gesto simulano una fisica quasi stordente per verosimiglianza. Sequenze come il citato terremoto e l'incontro in stazione tra Nahoko e Jiro sono investite di pathos per come sono state animate. Mi hanno sorpreso in positivo le grandi folle di persone che invadono lo schermo a più riprese, la bellezza dei calcoli a matita e i riflessi sugli occhiali-fondo di bottiglia del protagonista.
In conclusione Si Alza il Vento è forse il film più personale di Miyazaki. Lento e didascalico nella prima metà, tragico e romantico nella seconda, mette in scena più di ogni altro la sua poetica al fine di raggiungere l'agognata maturità artistica. Da consigliare caldamente ai fan del regista e dei film d'autore, sconsigliato a chi, a un prodotto d'animazione, chiede l'evasione e nulla più.