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9.0/10
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Il regista Katsuyuki Motohiro chiama all'appello le Momoiro Clover Z per trasporre una sceneggiatura basata su un romanzo di Hirata Oriza.
"Maku ga Agaru". "Si alza il sipario".
"The Curtain Rises" mette in scena un gruppo di ragazze, chiamate a recitare per scoprire sé stesse.
Le allieve della Fujigaoka chiedono solo di trovarsi, al di là dei dubbi sul proprio futuro dopo la scuola, al di là dell'ansia di sentirsi inadeguate di fronte a un pubblico.
L'esperienza di un club delle superiori, o piuttosto l'inizio di un percorso di vita. Sì, perché il teatro ha a che fare con la propria esistenza. Saori ne fa diretta esperienza, quando si ritrova a capo del club di arte drammatica, alle prese con la sconfitta alle selezioni locali dell'anno prima. Ma ecco che arriva la sensei Yoshioka, una ex attrice - una regina. Prende per mano le ragazze del club, le ispira. Ma ancora di più, senza che Saori o le altre ne abbiano coscienza, Yoshioka sensei si trasforma. L'entusiasmo delle sue alunne, l'estro creativo di Saori, tutto questo riaccende la sua passione per il teatro: alla sensei viene voglia di tornare sulla scena. E intanto Saori cambia, rimanendo sé stessa. Rende meravigliose tutte sulla ribalta, scrivendo una sceneggiatura intensa. Per Yukko, la principessa. Per Garuru, il maschiaccio. Per Akemi, l'estroversa.
E poi arriva Nakanishi, da una prestigiosa accademia vicina. Nakanishi ha cambiato scuola - non sopportava di aver fallito nel teatro, per colpa di una pronuncia blesa. Una sera, alla stazione, in attesa, forse di un treno interstellare, dice a Saori (e a sé stessa): «Siamo tutti soli». Due miliardi di anni di solitudine riempiono il cuore d'ansia, in questo piccolo angolo di galassia.
Non sei sola. «Non importa se mi brucerò 100 volte», ci sarò io con te.
Saori la tiene stretta, e allora Nakanishi ha un'idea spaziale: salire una notte sul treno della Via Lattea. Saori prende un biglietto e si mette in viaggio con lei. Così nasce un copione siderale, tratto dal racconto di Kenji Miyazawa - davvero niente male.
Calcare le scene come camminare, all'infinito, avvicinandosi a vicenda - come l'asintoto della scienza. Così il teatro ci trasforma. Trasforma in un sentimento d'infinito la sensazione di non essere nulla.
«Quest'universo è così grande che sembra volerci dividere».
«Ma io ti aspetterò».
Come Giovanni aspetta Campanella. Ancora Miyazawa.
Dov'è il palco? Sulla scena non si è in nessun posto.
Per questo, si è dappertutto. Lo spazio dell'anima non è più vuoto. È denso come un buco nero. E sonoro.
Risuona, come «le canne d'organo fatte di luce che attraversano il cielo».