logo AnimeClick.it

-

Questo anime è passato praticamente inosservato nel palinsesto di quest'estate ed è un vero peccato, per cui ho deciso di recensirlo io. E con un voto alto, perché ho visto in giro tanti commenti negativi di chi si è fermato ai primi tre episodi.

"Game of Laplace" è un anime ispirato ai romanzi di Rampo Edogawa, la serie vuole essere un omaggio allo scrittore scomparso cinquant'anni fa. Ranpo Edogawa forse non è molto conosciuto, ma è sicuramente stato influente - e, per citare un esempio famoso, è stato l'ispirazione anche della fortunatissima serie di "Conan" (Shinichi 'Conan' Edogawa appunto). Non si tratta di una trasposizione, ma proprio un tentativo di ricollegare o citare opere completamente diverse tra loro come "Il sognatore ad occhi aperti" , "Il mistero dell'isola Panorama", "Il bruco", etc. Già con queste premesse l'anime è comunque degno di rispetto, ma veniamo alla trama: Kobayashi, uno studente brillante di quattordici anni, viene accusato di omicidio e comincia finalmente a provare interesse per la sua vita, la risoluzione degli enigmi e gli omicidi in generale; si affianca a un detective prodigio, Akechi, che indaga su svariati casi, tra cui quello di Venti Facce, una sorta di V per Vendetta usato da dei vigilantes come firma per punire criminali rilasciati dalla giustizia. L'ossessione di Akechi per l'eliminazione di Venti Facce però nasconde un segreto...

E che dire della trama? Io l'ho trovata apprezzabile, molto simile al film "V per Vendetta" forse, e capisco che il fatto che non venga narrata come in un anime convenzionale l'abbia penalizzata tantissimo agli occhi del pubblico: se guardate "Game of Laplace" vi sembrerà un anime diverso, perché non c'è un climax sensazionale sin dal primo episodio, ma i primi tre sono spesi in maniera autoconclusiva, la trama entra veramente nel vivo solo verso metà dell'opera, al quarto episodio, quando finalmente si cominciano le vere e proprie indagini su Venti Facce. E' un anime che fa quello che vuole, racconta la sua storia come vuole raccontarla e non come verrebbe altrimenti canonizzata per un format anime che ultimamente sta diventando ripetitivo.
Alcuni nessi logici, inoltre, potrebbero apparire come dei buchi di trama (ad esempio l'ostinazione del Venti Facce originale, dovuta a ragioni tipicamente giapponesi), ma io ho particolarmente apprezzato il fatto che tutti i crimini fossero imperfetti, così come le ragioni che spingevano gli assassini a compierli non fossero quasi mai condivisibili - non c'è la ricerca del sensazionale, della sospensione di incredulità nello spettatore o appunto del classico motivo esagerato che giustifica l'assassino a priori.

I personaggi invece potrebbero piacere e non piacere.
Kobayashi, il protagonista, è un ragazzo effemminato dal carattere serafico e imperturbabile: sembra non provare mai emozioni, paura o buon senso in generale - ed è in alcuni casi parecchio irritante. Lo stesso si può dire di Akechi, il detective, un genio praticamente asociale sulle cui debolezze però gli ultimi episodi faranno luce, rendendolo un personaggio più normale. Seguono una serie di personaggi più o meno credibili (nota di demerito totale alla Black Lizard) che, per rientrare nei gusti dei fruitori di anime e manga, sono stati spesso ricondotti a uno stereotipo (il poliziotto col complesso della sorella minore, tanto per citarne uno) e rispetto a chi erano ispirati perdono un po' di tono... ma cosa pretendiamo da una serie di soli undici episodi? L'introspezione può essere fatta bene su uno, due personaggi, non di più. Secondo me si è puntato su quelli giusti: Akechi e Namikoshi, non i protagonisti forse, ma quelli intorno a cui ruota l'intera trama.
Una cosa che ho apprezzato molto, oltre al personaggio di Namikoshi, è stato il fatto che è molto suggerita una relazione omosessuale tra i protagonisti e, in parallelo, una altrettanto ambigua tra Akechi e Namikoshi, tutto questo però senza scadere in fanservice, scene fuori luogo o in generale cliché da serie yaoi - non c'è accento su questo rapporto, che appare così come una cosa normale, naturale.

Infine, le musiche e il comparto grafico: di questa serie si sono occupate le stesse persone che hanno curato "Psycho Pass", per cui, chi lo conosce, sa più o meno cosa aspettarsi. Simbolismi sparsi qua e là, citazioni all'autore (che chi ha letto potrà riconoscere), scelte stilistiche particolari per quanto riguarda i casi. Al di là delle antipatiche esagerazioni dei "tre minuti di orrore" che ho trovato grottesche e senza senso, proprio da stereotipo dell'anime con i pazzi, tutte le scene con i manichini o con le maschere di Venti Facce le ho trovate molto gradevoli e vagamente inquietanti.
La sigla di apertura è la più bella che abbia visto e sentito in questa stagione assieme a quella di "Overlord", e in generale tutto il comparto audio è molto bello.

In definitiva: consigliato? Sì, ma solo se arrivate fino alla fine.
Se decidete di guardare "Ranpo Kitan", prendetevi il rischio per tutte e undici le puntate, prima di dire: "No, fa schifo, è una perdita di tempo!" E poi Edogawa è sempre Edogawa.