Recensione
Recensione di AkiraSakura
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Non è di certo passato inosservato, questo anime dal titolo lunghissimo: "Yahari Ore no Seishun Love Kome wa Machigatteiru", per i fan più semplicemente "OreGairu". Nei meandri della rete sono molteplici le voci che gridano al capolavoro psicologico, nonché al perfetto ritratto del cinismo giovanile, che sfocia in un'impeccabile analisi della società attuale, coadiuvata dalla fenomenologia del gruppo, un'entità primordiale - ed eppure attuale - la quale, al fine di aumentare la sua coesione interna, stabilisce un capro espiatorio tra le varie pecore nere della classe/società: gli individui introversi, quelli dalla personalità forte e particolare, che se ne stanno chiusi in loro stessi, incapaci di comunicare al meglio. "OreGairu" è - almeno in teoria - una storia che parla di persone di questo tipo: il protagonista Hachiman è - sempre in teoria - un misantropo pessimista, asociale, interessato alla filosofia nonostante la giovane età; Yukino, una delle tante ragazze che andranno a formare l'harem del suddetto, è - di nuovo, dal punto vista prettamente teoretico - eccessivamente bella, intelligente, ricca e distaccata per poter trovare un compromesso con le ragazze nella norma che la circondano, le quali la invidiano aprioristicamente, senza essere in grado di comprendere la complessità del suo animo. A questi due personaggi ben delineati se ne aggiungono altri, in primis Yui, la classica ragazza sempliciotta di bell'aspetto che si innamora del protagonista perché è così che deve essere - altrimenti che harem sarebbe? E così via.
Ergo sono molteplici le possibilità che un'impostazione del genere può offrire ai suoi autori: nulla di originale sotto il sole - in fondo, tirando le somme, "OreGairu" non è nient'altro che uno dei tanti figliocci di "Suzumiya Haruhi no Yūutsu": il club scolastico pieno di belle ragazze in cui si passa il tempo senza far nulla; il protagonista che gioca a fare il cinico senza esserlo veramente, soltanto per darsi un tono molto cool, in modo tale da catturare, senza troppa violenza, la simpatia dell'otaku che sta dall'altra parte dello schermo; i personaggi fanservice cliché - in questo caso si parla di Chuunibyou, shota e altri patetici figuri privi di caratterizzazione, che risultano ridondanti, insensati e, soprattutto, stridenti con le tematiche impegnate di cui l'opera vorrebbe farsi carico. Ci sono anche delle riflessioni intellettualoidi - usare il termine "intellettuali" sarebbe un po' troppo pretenzioso per chi scrive -, in cui Hachiman si comporta esattamente come il suo antesignano Kyon, condividendo con lui alcuni pensieri/non-pensieri in merito alla suprema noia che si prova nel vivere - nonostante sia circondato da innumerevoli ragazze di bell'aspetto ben disposte nei suoi confronti, bel paradosso! Si parla di interminabili monologhi di stampo pseudo-esistenzialista - la tecnica del flusso di coscienza è abusata nell'animazione contemporanea - in cui a delle riflessioni interessanti tirate un po' per i capelli si aggiungono le solite ovvietà sulla misantropia, che fanno pensare a uno scimmiottamento non molto riuscito degli aforismi di Schopenauer; uno scimmiottamento il quale, nondimeno, gode di molti "pregi": fa molto figo e non impegna, non è eccessivamente difficile da comprendere e, cosa fondamentale, fa sentire più intelligente chi si identifica con Hachiman.
A parte il raccapricciante apparato ruffiano dell'opera - tipico delle commedie scolastiche del dopo-Suzumiya - la cosa che a parer mio poco convince di questo "capolavoro" urlato - un masterpiece più sulla carta che nei fatti - sono le sue buffe pretese di realismo psicologico e sociologico: "OreGairu" vorrebbe elevarsi, raccontare piccole sofferenze e incomprensioni quotidiane, fare luce sui mali della società giapponese postmoderna e sull'individualismo malato di chi vive ai suoi margini; ma fallisce clamorosamente, rivelandosi oltremodo artificioso, capzioso nel destreggiarsi tra i suoi innegabili contenuti degni d'interesse - che avrebbero meritato un maggiore approfondimento - e meri orpelli commerciali e demenziali - assai inopportuni - che s'insinuano in determinate scene ad effetto e/o situazioni piene di potenzialità, riportando dei tentati voli di rondine verso il basso, nelle viscere della Terra, in mezzo al fango mediocre in cui sguazza la maggior parte della produzione animata contemporanea. "OreGairu" è tutto fumo e niente arrosto, insomma. Eppure, fatto salvo ciò, sono innumerevoli gli slice of life nipponici che parlano delle difficoltà dei diversi lanciando un messaggio chiaro e tondo, privo degli infelici compromessi commerciali atti a ingraziarsi la solita fascia di pubblico: si pensi, giusto per fare degli esempi, ai terribili "Onani Master Kurosawa", "Watamote" e "Aku no Hana", in cui la misantropia dei rispettivi protagonisti viene descritta con un realismo feroce e grottesco, carico della sacrosanta volontà degli autori di fare veramente della satira sociale d'effetto, andando fino in fondo, senza fermarsi a metà strada per paura di non riuscire a chiudere il bilancio aziendale con dei ricavi spropositati.
Anche dal punto di vista tecnico "OreGairu" manca di polarizzazione, di personalità. A una regia banale, mediocre, del tutto inadeguata a creare scene ad effetto e virtuosismi degni di nota, si aggiunge una sceneggiatura scialba, nella quale gli statici vaniloqui del protagonista vengono coadiuvati da vicende cliché già viste in innumerevoli anime e manga precedenti. Le animazioni rientrano negli standard del genere di appartenenza; il design si rivela accettabile, talvolta armonioso ma non troppo; funzionale al tipo di pubblico a cui è destinata l'opera eppure moderatamente kawaii, sebbene non manchino all'appello pietosi travestimenti furry di alcuni personaggi fanservice (si pensi all'inutile sorella del protagonista). Detto questo, alcuni episodi risultano particolarmente riusciti grazie alla bella caratterizzazione di Yukino, l'unico personaggio dell'opera che a parer mio non si rivela eccessivamente finto e prolisso - come tutto ciò che lo circonda, del resto.
A un finale non pervenuto - esiste tuttavia una seconda stagione di "OreGairu" sulla quale il fandom nutre delle opinioni contrastanti - si aggiunge una colonna sonora priva di mordente, i cui punti di minimo sono rappresentati da delle sigle il cui cantato pare il lamento di un gatto a cui il padrone non ha elargito la corretta dose giornaliera di croccantini.
Capolavoro psicologico, quindi? Direi proprio di no; di solito la moda è cattiva consigliera, e rischia di influenzare chi troppo si fa coinvolgere dalle ciance che girano in rete. Ma non è tutto. Al di là delle eccessive illusioni di chi ha fatto della qui presente harem comedy un totem religioso da venerare ogni sera prima di andare a dormire, siamo di fronte all'ennesimo anime di bassa caratura in cui l'attuale generazione di otaku dà sfoggio della sua palese incompetenza, dimostrandosi incapace di creare un'opera di spessore, preferendo invece ricadere in quell'autocompiacimento tipico di chi non ha mai compreso veramente il mondo reale ma si atteggia come se lo avesse vissuto fino in fondo, come se lo avesse assaporato in tutte le sue contraddizioni quando in realtà era soltanto prigioniero delle sue fantasie e delle sue percezioni distorte. Insomma, lasciamo le opere serie a degli autori seri, a della gente che quando si parla di disadattati e di diversi sa dove andare a parare, in quanto conosce il mondo in cui sta vivendo. E questo è tutto.
Ergo sono molteplici le possibilità che un'impostazione del genere può offrire ai suoi autori: nulla di originale sotto il sole - in fondo, tirando le somme, "OreGairu" non è nient'altro che uno dei tanti figliocci di "Suzumiya Haruhi no Yūutsu": il club scolastico pieno di belle ragazze in cui si passa il tempo senza far nulla; il protagonista che gioca a fare il cinico senza esserlo veramente, soltanto per darsi un tono molto cool, in modo tale da catturare, senza troppa violenza, la simpatia dell'otaku che sta dall'altra parte dello schermo; i personaggi fanservice cliché - in questo caso si parla di Chuunibyou, shota e altri patetici figuri privi di caratterizzazione, che risultano ridondanti, insensati e, soprattutto, stridenti con le tematiche impegnate di cui l'opera vorrebbe farsi carico. Ci sono anche delle riflessioni intellettualoidi - usare il termine "intellettuali" sarebbe un po' troppo pretenzioso per chi scrive -, in cui Hachiman si comporta esattamente come il suo antesignano Kyon, condividendo con lui alcuni pensieri/non-pensieri in merito alla suprema noia che si prova nel vivere - nonostante sia circondato da innumerevoli ragazze di bell'aspetto ben disposte nei suoi confronti, bel paradosso! Si parla di interminabili monologhi di stampo pseudo-esistenzialista - la tecnica del flusso di coscienza è abusata nell'animazione contemporanea - in cui a delle riflessioni interessanti tirate un po' per i capelli si aggiungono le solite ovvietà sulla misantropia, che fanno pensare a uno scimmiottamento non molto riuscito degli aforismi di Schopenauer; uno scimmiottamento il quale, nondimeno, gode di molti "pregi": fa molto figo e non impegna, non è eccessivamente difficile da comprendere e, cosa fondamentale, fa sentire più intelligente chi si identifica con Hachiman.
A parte il raccapricciante apparato ruffiano dell'opera - tipico delle commedie scolastiche del dopo-Suzumiya - la cosa che a parer mio poco convince di questo "capolavoro" urlato - un masterpiece più sulla carta che nei fatti - sono le sue buffe pretese di realismo psicologico e sociologico: "OreGairu" vorrebbe elevarsi, raccontare piccole sofferenze e incomprensioni quotidiane, fare luce sui mali della società giapponese postmoderna e sull'individualismo malato di chi vive ai suoi margini; ma fallisce clamorosamente, rivelandosi oltremodo artificioso, capzioso nel destreggiarsi tra i suoi innegabili contenuti degni d'interesse - che avrebbero meritato un maggiore approfondimento - e meri orpelli commerciali e demenziali - assai inopportuni - che s'insinuano in determinate scene ad effetto e/o situazioni piene di potenzialità, riportando dei tentati voli di rondine verso il basso, nelle viscere della Terra, in mezzo al fango mediocre in cui sguazza la maggior parte della produzione animata contemporanea. "OreGairu" è tutto fumo e niente arrosto, insomma. Eppure, fatto salvo ciò, sono innumerevoli gli slice of life nipponici che parlano delle difficoltà dei diversi lanciando un messaggio chiaro e tondo, privo degli infelici compromessi commerciali atti a ingraziarsi la solita fascia di pubblico: si pensi, giusto per fare degli esempi, ai terribili "Onani Master Kurosawa", "Watamote" e "Aku no Hana", in cui la misantropia dei rispettivi protagonisti viene descritta con un realismo feroce e grottesco, carico della sacrosanta volontà degli autori di fare veramente della satira sociale d'effetto, andando fino in fondo, senza fermarsi a metà strada per paura di non riuscire a chiudere il bilancio aziendale con dei ricavi spropositati.
Anche dal punto di vista tecnico "OreGairu" manca di polarizzazione, di personalità. A una regia banale, mediocre, del tutto inadeguata a creare scene ad effetto e virtuosismi degni di nota, si aggiunge una sceneggiatura scialba, nella quale gli statici vaniloqui del protagonista vengono coadiuvati da vicende cliché già viste in innumerevoli anime e manga precedenti. Le animazioni rientrano negli standard del genere di appartenenza; il design si rivela accettabile, talvolta armonioso ma non troppo; funzionale al tipo di pubblico a cui è destinata l'opera eppure moderatamente kawaii, sebbene non manchino all'appello pietosi travestimenti furry di alcuni personaggi fanservice (si pensi all'inutile sorella del protagonista). Detto questo, alcuni episodi risultano particolarmente riusciti grazie alla bella caratterizzazione di Yukino, l'unico personaggio dell'opera che a parer mio non si rivela eccessivamente finto e prolisso - come tutto ciò che lo circonda, del resto.
A un finale non pervenuto - esiste tuttavia una seconda stagione di "OreGairu" sulla quale il fandom nutre delle opinioni contrastanti - si aggiunge una colonna sonora priva di mordente, i cui punti di minimo sono rappresentati da delle sigle il cui cantato pare il lamento di un gatto a cui il padrone non ha elargito la corretta dose giornaliera di croccantini.
Capolavoro psicologico, quindi? Direi proprio di no; di solito la moda è cattiva consigliera, e rischia di influenzare chi troppo si fa coinvolgere dalle ciance che girano in rete. Ma non è tutto. Al di là delle eccessive illusioni di chi ha fatto della qui presente harem comedy un totem religioso da venerare ogni sera prima di andare a dormire, siamo di fronte all'ennesimo anime di bassa caratura in cui l'attuale generazione di otaku dà sfoggio della sua palese incompetenza, dimostrandosi incapace di creare un'opera di spessore, preferendo invece ricadere in quell'autocompiacimento tipico di chi non ha mai compreso veramente il mondo reale ma si atteggia come se lo avesse vissuto fino in fondo, come se lo avesse assaporato in tutte le sue contraddizioni quando in realtà era soltanto prigioniero delle sue fantasie e delle sue percezioni distorte. Insomma, lasciamo le opere serie a degli autori seri, a della gente che quando si parla di disadattati e di diversi sa dove andare a parare, in quanto conosce il mondo in cui sta vivendo. E questo è tutto.