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Il volume è una raccolta di storie brevi, i protagonisti sono una bambola senziente ed un ragazzo che vivono in una città dove gli oggetti abbandonati prendono vita assumendo sembianze umane. Il ragazzo ha uno studio fotografico in cui grazie alla bambola scatta foto che ritraggono i ricordi, a lui si rivolgono persone o oggetti che hanno bisogno di immortalare un istante felice del loro passato.

L’idea di una città piena di oggetti dimenticati che sono ancora affezionati al loro vecchio possessore è poetica, a prescindere dal fatto che sia un argomento che sa di già sentito.
Le tavole, tutte dai colori sfumati, tranne l’ultimo racconto in bianco e nero, contribuiscono a creare un’aria ovattata e fuori dal tempo.
La più grossa pecca, secondo me, è che i racconti sono poco più che abbozzati, ti lasciano intuire, ma non dicono davvero nulla sulle vicissitudini dei protagonisti delle singole vicende. È anche vero che, una volta letto il volume, il senso di dispiacere per gli oggetti abbandonati, fa pensare che non sia poi così importante conoscere una storia nei dettagli se comunque il racconto riesce a trasmetterti un sentimento.

In conclusione trovo che quest’opera sia assolutamente degna di essere letta e vista date le belle tavole, ma lontana anni luce dal considerarsi imperdibile. È come una folata di vento rinfrescante di cui ci si dimentica appena girato l’angolo.