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7.0/10
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Che sia stata opera di Dio o della casualità ciò che è inopinabile è che ci siamo, siamo qui, ammassi di "carne, nervi, viscere e legamenti" (cit.), meccanismi quasi perfetti eppure destinati ad essere compromessi irrimediabilmente da tragedie, fatalità, malattie o scelte. Ed è dalla notte dei tempi che il genere umano si interroga sulla morte e sulle sue conseguenze, indecisi tra il romantico paradiso religioso o la fredda decadenza scientifica. L'opera di Kitagawa si inserisce proprio lì, tra la Bibbia ed Imago Mortis, quasi a voler rivendicare il ruolo di arbitro nell'eterno scontro tra desiderio e certezza.
Un'impennata di obiettività ci suggerisce forse l'unico dato certo, talmente grande da non essere quasi mai preso in considerazione: la morte è di chi la vive. Perché se angosciante è il pensiero di morire, ancor di più lo è quello di assistere alla scomparsa di chi amiamo.
Nel preciso istante in cui la morte viene a farci visita tutto perde forma e valore. Ci scopriamo impotenti ed impreparati. Il religioso prova dolori che solo la scienza può decifrare e lo scienziato prova emozioni che solo la religione può spiegare.
Kitagawa analizza tutti questi aspetti in un discreto tentativo di darci una lezione di vita... parlando di morte.