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7.0/10
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Per quanto l'opera sembri essere niente più che il solito manga sui robottoni condito con una trama un po' criptica e non particolarmente innovativa, già dalle prime pagine ci si deve ricredere. Nonostante il titolo, infatti, il Big O è una presenza abbastanza marginale in sè, che viene utilizzata da Roger Smith, un negoziatore che recupera i ricordi perduti della gente, solo come estrema risorsa, dopo indagini che spesso non si risolvono banalmente in un solo capitolo; "The Big O", infatti, è prima di tutto un manga di indagini noir, sia per i personaggi che per gli ambienti, quasi sempre bui e claustrofobici. Questa sensazione di oppressione va crescendo con il procedere della storia, che mostra solo alcuni sprazzi di quel passato che nessuno ricorda, mentre alcuni nemici che sembrano conoscere la verità attaccano Paradigm City senza mai svelarne il motivo.
Nonostante gli abbia dato solo un 7, questo è un manga che mi ha colpito subito all'epoca, nel lontano 2002 (quando leggevo solo "One Piece"), proprio per quest'atmosfera noir ancora abbastanza inedita in Italia, nel quale un ricco personaggio in stile "Batman", con tanto di maggiordomo Alfred e risorse illimitate, è privato proprio di quello che invece è il punto forte di quest'ultimo, il passato. Certo non si può dire che "The big O" si sia conservato benissimo, il disegno è in effetti abbastanza semplicistico e il tratto un po' incostante, specie nei fondali, ma quello che ancora oggi mi colpisce è l'uso dei neri e dei retini, che sembrano trasmettere una realtà davvero in bianco e nero, e che si adatta magnificamente alla trama, dando quella sensazione di nostalgia e di tristezza che finora ho trovato in pochissimi manga.