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Difficile da descrivere appieno, ciò che questo manga trasmette.
Jiro Taniguchi si tuffa di petto nel quotidiano di qualunque persona a questo mondo che ami fare delle passeggiate, e decide di privarsi di più d'un elemento fondamentale del fumetto per farlo: la trama, o più che altro la narrazione, e i dialoghi.
Questi elementi sono presenti in forma men che minimale, perché non è certo a narrare verbalmente una qualche vicenda che punta L'Uomo che Cammina, ma a comunicare sottilmente col lettore, realizzando mille piccoli affreschi su mille piccoli dettagli che s'incontrano ogni giorno se si è dei fervidi camminatori.

Per mezzo di un tratto adulto, realistico ed incredibilmente dettagliato l'autore, capitolo dopo capitolo, mette in scena tanti pezzi di puzzle di vita comune di un uomo comune, status necessario per poter raggiungere quante più persone possibile, e lo fa, come detto, nel silenzio di dialoghi assenti, perché un camminatore non parla, ma ascolta le sinfonie sconnesse del mondo, fatte di cinguettii aggraziati e di ruggiti di motore, di frasi e discorsi impastati tra loro fino ad essere indistinguibili e di sussurri del vento tra le fronde degli alberi.
O, nei giorni dell'era moderna, al massimo ascolta la musica che, sì, lo taglia fuori dal mondo, ma al contempo è comunque qualcosa d'interiore, perché la musica la sente solo lui e rispecchia i suoi gusti e di conseguenza la sua anima, parla solo a lui come la voce del cuore e dei pensieri.

Silenziosamente, il manga ci lancerà continui segnali sotto forma di ricche vignette, accenni alle esperienze comuni ad ogni camminatore di qualunque età: dal rapporto col cielo, malandrino messaggero meteorologico mai completamente affidabile, necessariamente oggetto di rapide occhiate prima d'ogni spedizione, ai fugaci incontri con gli inevitabili gruppetti, più o meno folti, di gatti ora sospettosi, ora terrorizzati ora più affettuosi, al piacere della "scoperta" nata da un azzardo, un cambio di "rotta" che tinge un percorso abituale di colori completamente nuovi semplicemente svoltando un po' prima, alle interazioni con le altre persone che con noi condividono strade, stradine e sentieri, sia che si tratti di qualcuno bisognoso di un'indicazione, sia che si tratti di un "rivale di camminata" più o meno involontario, che ci sorpassa e viene da noi sorpassato più volte (quante volte capita d'incrociare ripetutamente una persona, al punto da riconoscerla al primo sguardo all'ennesimo sorpasso?), al rapporto con la natura e i suoi agenti, come il profumo di fiori e alberi, gli animali selvatici che in base al livello di "rarità" causano in noi sempre maggiori sussulti quando vengono avvistati e riconosciuti durante una loro "apparizione a sorpresa" sul nostro percorso, o come lo stesso terreno, ora ricoperto di morbide foglie ora seriosamente color grigio scuro del cemento, ora affidabile ora facilmente "inciampevole".
C'è spazio anche per il rapporto con la temperatura esterna, che passa dall'opprimente calura estiva che rende ogni percorso una difficile annaspata nell'aria al gelido inverno che pungola la pelle con innocui spilli.

L'Uomo che Cammina è, agli occhi di un camminatore, come un album dei ricordi, ma non quelli "miliari" della nostra esistenza, i ricordi silenziosi di tutti i giorni, che passano e se ne vanno come pioggia nel mare della nostra vita, non fotografati ma tratteggiati con dettaglio maniacale dalla sapiente mano dell'autore, rendendo tutto questo forse ancor più spettacolare e intimo, perché anche se non abbiamo visitato mai i luoghi descritti dal volume, anche se non siamo nemmeno mai stati nella stessa nazione del protagonista, siamo lì, siamo noi, questa e quell'altra cosa sono successe a noi così come accadono a lui, e tutto ciò è diretto ed efficace anche e soprattutto grazie alle capacità di regia e disegno del maestro.
Qui si trova il suo più grande pregio, quello d'essere incredibilmente "azzeccato" e comprensivo a livello umano, di saper tingere perfettamente lo straordinario ordinario di un uomo che ama fare lunghe passeggiate, ma questo è, purtroppo, anche il suo più grande limite.
L'Uomo che Cammina sussurra all'orecchio del lettore "camminatore" frasi che conosce bene, e che lo rendono felice per essere "compreso" o semplicemente perché gli viene comunicato qualcosa a cui è avvezzo e che ama, ma allo stesso tempo, ad un lettore non avvezzo a lunghe camminate o che non abbia mai fatto particolarmente caso a quel che succede intorno a lui sembrerà solo una lunga sequela di vignette ben disegnate nel silenzio più totale, che possono trasmettergli poco o nulla, a parte la piacevolezza estetica, e questo non è e non può essere considerato un limite del lettore, ma dell'opera.
Limite inevitabile e in un certo senso voluto, perché sbilanciandosi troppo nella comunicazione empatica con un certo tipo di pubblico ci si gioca automaticamente tutti gli altri, ma evidentemente L'Uomo che Cammina vuole essere così, tacito complice di momenti semplici e dorati della vita di tutti i giorni di chi ama fare lunghe passeggiate all'aperto, ha un target preciso ed un obiettivo preciso, e centra entrambi in pieno, risultando però insapore a chiunque non faccia parte della cerchia a cui ha voluto parlare Taniguchi.

Rimane il fatto che L'Uomo che Cammina è un'opera sublime per chi può comprenderla (non perché siano necessari un certo gusto, un certo livello di conoscenza o cultura o una certa esperienza, ma perché lui per primo si pone dei limiti rendendosi comprensibile appieno solo ad una certa categoria di persone), vellutata come il vento primaverile e calda come il tepore dei primi cappotti appena l'inverno comincia a far capolino dietro le foglie gialle.
Non per tutti e non per élitismo, ma memorabile per chi può comprendere quello che l'autore comunica in silenzio, con le sue splendide vignette.