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Una fievole luce in un mondo d'ombra... questo è "Lost Canvas", e dopo quest'inutile metafora (che poi, è una metafora? non so, mai stato bravo in italiano) passiamo alla cose serie.
Negli ultimi 15 anni i nippo hanno ben deciso di far rinascere un brand che poteva in linea generale starsene tranquillamente li dove stava dando vita quindi a varie serie animate e spin-off dell'opera principale, e per varie intendo tante, troppe, talmente tante che oramai Saint Seiya è una delle poche opere la cui vita editoriale è più simile ai comics americani che alle opere giapponesi, non che sia un problema per carità, però insomma...
Non starò qua a tediarvi di cosa narra "Lost Canvas", per quello ci stanno il resto delle recensioni, più che altro vorrei soffermarmi sull'intenzione della Teshirogi, che decide di mettere in secondo piano le vicende che accadono (di cui sappiamo già l'esito ) a favore di un maggior approfondimento dei Gold Saint, protagonisti indiscussi dell'opera, o più precisamente di quello che essi rappresentano.
Le imprese, e soprattutto le personalità dei nostri protagonisti, Tenma di Pegasus, Yato dell'Unicorno (già, l'unicorno, tipo il più sfigato dei cavalieri di Kurumada) e un'altra tizia di cui manco voglio ricordarmi il nome, passano in secondo piano rispetto alle personalità preponderanti dei gold saint, di cui una buona parte si meriterebbe un'opera a loro dedicata.
Ed è così che determinate costellazioni magari leggermente (cit. necessaria) bistrattate da Kurumada trovano in "Lost Canvas" una nuova luce, primo su tutti il cavaliere del cancro, Manigoldo, che per quanto non rappresenti sicuramente niente di nuovo nel panorama nipponico, conquisterà sicuramente la maggior parte dei lettori con il suo fare da sbruffone dal cuore d'oro, grazie al quale si conquista un posto obbligatorio nella mia top dei personaggi preferiti, subito dopo il Cancer di Kurumada, che per quanto cattivello rimane il Gold Saint forse meglio caratterizzato dell'intero brand; fatto sta che l'intento della Teshirogi è questo, fare quello che nella serie principale è stato fatto solo per alcuni (e male aggiungerei) cavalieri, un approfondimento dei Gold Saint, una narrazione delle loro gesta, del loro credo e delle loro personalità, riuscendoci perfettamente. Ogni Saint avrà il suo spazio, la sua storia e potrà esprimere tutto il suo potenziale (chi più chi meno ovviamente).
Un piccolo spazio meriterebbero anche gli Specter, che seppur ovviamente di poco conto rispetto ai vari Gold, qui trovano sicuramente un miglioramento dal punto di vista della caratterizzazione rispetto al passato ( o al futuro?... vabbè battuta pessima scusate).
Il fatto che sia una lieve luce in quell'infinito e buio mondo che è il brand di "Saint Seiya" è sicuramente un fattore positivo, fatto sta che di una debole luce si tratta appunto, in quanto i problemi esistono, e non sono pochi.
Dal punto di vista dell'abilità del disegno, siamo a poco più che sopra la sufficienza, l'autrice oggettivamente non eccelle, e tralasciando lo stile personale, nel corso dell'opera si noteranno parecchie fasi altalenanti, niente di cui spaventarsi, ma va detto (e poi, diciamocelo, basta che non disegni Kurumada e siam tutti felici).
La scelta del character design dei Gold Saint poi, ahimè, è abbastanza opinabile, essendo sostanzialmente tutti copie sputate dei Saint di Kurumada, scelta che si può apprezzare, niente da dire, ma che io ho trovato abbastanza fastidiosa e non necessaria. Inutile citare poi l'errata concezione dell'Italia e dell'Europa in generale che i giapponesi hanno di noi, ma su cui alla fine si può chiudere un occhio.
La storia, poi, per quanto complessivamente ben gestita si ferma appunto al ben gestita, niente per cui gridare al miracolo.

Insomma, questo è "Lost Canvas", uno dei tanti spin-off della serie che si differenzia dagli altri per il volere dell'autrice di raccontare una storia e i suoi personaggi ... al contrario, diciamocelo, del resto del brand che ha come fine ultimo quello di vendere le solite action figure delle Gold Cloth; senza contare che è l'unica opera fin'ora narrata che può vantarsi di essere complessivamente superiore all'originale (per quanto la saga della corsa alle dodici case rimane l'apice dell'intero brand) ma che appunto, può prendersi il merito di ergersi solo su un ristretto cerchio.

Sostanzialmente, un’oasi in quel deserto che è il marchio di Saint Seiya, ma uno dei tanti granelli di sabbia che formano quel ancor più vasto deserto che è il panorama fumettistico giapponese.