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L’adolescenza è quella parte della vita in cui il mondo ti è contro, ti marca stretto e ti toglie il respiro, mentre le persone che ti circondano non riescono a capirti; l’adolescente è quindi combattuto tra la necessità di omologarsi alla società, rappresentata dai propri coetanei, e il volersi distinguere ed emergere dalla massa, due vie non sempre disgiunte che conducono ugualmente alla realizzazione dell’individuo. Diciamo pure che questo è il punto di partenza di “Aku no Hana”, un fumetto dal gusto autobiografico, un po’ di formazione, pesantemente psicologico e a tratti pure un po’ ermetico; la prima opera in cui Shuzo Oshimi abbia deciso di riversare tutto se stesso.
Quello che l’autore pone è il problema della <i>perversione</i>, intesa come aberrazione dal modello di individuo imposto dalla società, non necessariamente intesa dal punto di vista sessuale; un problema che l’autore esplica tramite il parallelismo tra l’individuo durante l’adolescenza e il poeta decadente nella società di metà Ottocento. Il protagonista, Takao Kasuga, è un pervertito per due motivi: perché rifugge la monotonia di una società dai valori scaduti e vacui attraverso la lettura e la poesia; per il furto della tuta di una compagna di classe, causa del tragico cambio di rotta della sua esistenza e punto di partenza della narrazione.
Proprio grazie alla lettura de “I fiori del male”, egli sovrappone l’idea di mondo decadente descritta dal poeta francese con quella della società che lo circonda; Takao vive nell’ossessione di essere un novello Baudelaire, un individuo dalla sensibilità spiccata che si erge, silenzioso, al di sopra della massa, proprio in virtù di essa, ma che dalla massa non viene accettato e riconosciuto. Il rapporto controverso con l’imperscrutabile Nakamura, sua ricattatrice, e con l’angelica e ingenua Saeki, lo porta tanto a un’estremizzazione di questo sentimento, quanto alla messa in dubbio del proprio ruolo, seguendo abbastanza fedelmente il percorso evolutivo della figura del poeta che Baudelaire impone nella propria raccolta più famosa. Takao si trova di fronte a tre problemi, fili conduttori dell’intera opera e tappe dell’evoluzione del personaggio: la scoperta dello <i>spleen</i> e il rapporto dell’individuo <i>perverso</i> nella società; la dicotomia tra purezza e dannazione, che si esplica nella contrapposizione di <i>donna angelo</i> e <i>femme fatale</i>, Saeki e Nakamura; il superamento dell’adolescenza e l’allontanamento da “I fiori del male”.

La suddivisione dell’opera, oltre che a livello narrativo, offre qualche spunto interessante anche sull’evoluzione del modo in cui l’autore si pone nei confronti della propria opera. Da un punto di vista concettuale, nella prima parte del fumetto, quella più strettamente legata all’opera di Baudelaire, viene posta particolare enfasi sul rapporto tra individuo e contesto in cui esso si trova; Oshimi attinge dichiaratamente dalla propria esperienza personale, fotografa i luoghi della propria infanzia e adolescenza, gli interni della sua vecchia scuola media, il fiume dove soleva trascorrere i pomeriggi in compagnia e via dicendo. L’attenzione, a questo punto della narrazione, è posta sì sui personaggi, disegnati con linee sottili e precise, molto arrotondate, ma anche sulla componente paesaggistica, riprodotta con attenzione e profondamente legata alle vicende e allo sviluppo delle personalità dei tre protagonisti. Takao, infatti, è mosso sostanzialmente dal desiderio trovare qualcosa che riempia la vacuità di quell’ambiente, che tenta di inglobarlo; sulla falsariga de “I fiori del male”, egli cerca dapprima rifugio nell’idealizzazione della bellezza e della purezza, rappresentate dalla figura di Saeki, ma ben presto realizza che l’immagine costruita attorno alla ragazza, si scontra terribilmente con la sua vera personalità. Saeki è ingenua, sottomessa fin da bambina alle regole che le sono state imposte e costretta a indossare la maschera della ragazza modello, tradendo le aspettative di Takao e finendo per ricercare ella stessa, proprio in Takao, la sostanza con cui riempire il guscio vuoto che sente di essere diventata.
Nakamura, al contrario, è sempre stata una <i>pervertita</i>. A causa di una situazione familiare complicata, la ragazza passa il tempo da sola a commiserarsi per la propria diversità e a fomentare il proprio odio verso la società dell’apparenza; quando viene a conoscenza del crimine di Takao – il furto della tuta di Saeki – è finalmente felice di aver trovato un’altra persona come lei, con la quale poter scappare verso un luogo diverso da quello soffocante in cui è costretta, con cui poter raggiungere <i>il mondo dall’altra parte</i>. Il ricatto di Nakamura, assieme alla presa di coscienza riguardo al proprio rapporto con Saeki, lo porta ad avvicinarsi alla prima e a compiere una serie di atti di ribellione verso i genitori, la scuola e la comunità cittadina in toto, senza tuttavia riuscire a raggiungere <i>l’altra parte</i> e a scappare dalla società, né tantomeno a trovare un posto all’interno di essa. Dilaniato quindi dall’incertezza e dal disgusto, Takao decide quindi di ripercorrere fino in fondo il percorso de “I fiori del male”, che con le ultime poesie individua nella morte il mezzo ultimo per raggiungere il tanto agognato <i>mondo dall’altra parte</i>.

L’avvicinamento al trasferimento della famiglia Kasuga, che segna l’inizio della seconda parte del racconto, è accompagnato da un cambio della psicologia del personaggio, che ha superato la fase di sovrapposizione alla figura di Baudelaire, ma che non riesce ancora a trovare scampo dalla città decadente che lo circonda. Da un punto di vista artistico, le linee iniziano a farsi più sinuose e i chiaroscuri più marcati; i retini utilizzati per le campiture lasciano progressivamente il posto al tratteggio e gli sfondi diventano via via più funzionali e meno iperrealistici. Di contro incrementa notevolmente l’espressività della scena, ora focalizzata esclusivamente sui personaggi. L’abbandono progressivo del dialogo, in favore della comunicazione per immagini, non inficia minimamente la trasmissione delle emozioni forti e delle sensazioni – vere protagoniste di questa parte del fumetto – dei personaggi, rappresentati tramite una fisiognomica precisa e dei primi piani terribilmente realistici, pur senza abbandonare la linea semplice e funzionale, tipica dello stile dell’autore. L’approssimazione nelle ombreggiature e il tratteggio esasperato degli ultimi capitoli, accompagnati da una regia ormai svincolata da ogni regola e canone preesistete, rappresentano l’apice della poetica visiva di Oshimi, un linguaggio che riesce a passare dal delicato al violento in un attimo, con una delicatezza e una naturalezza disarmanti, senza bisogno di parole a enfatizzare l’una o l’altra componente.

A differenza di altre opere fumettistiche giapponesi che hanno tentato in modo più o meno convinto di trattare la <i>perversione</i> dell’animo umano, trovo che “Aku no Hana” riesca a tenere sempre al centro della scena l’argomento principale, senza ricadere nella banalità e senza toccare ripetutamente la sfera sessuale, impresa ardua per un seinen, figuriamoci per uno shounen. Il fatto che l’autore studi in modo così dettagliato la scena e che conceda alla regia il ruolo principale nella veicolazione del messaggio della sua opera, è la chiave di volta del suo successo. La capacità di parlare per immagini permette una lettura rapida, immediata e molto intensa, nonostante alle volte, in un certo senso, questo si ritorca contro il lettore. Il rovescio della medaglia è infatti quello della scarsa longevità, non tanto della prima parte, in cui l’approfondimento psicologico dei personaggi e l’articolazione dell’intreccio godono di uno sviluppo praticamente perfetto, quanto della seconda. Se è vero che, come detto in precedenza, l’impoverimento della componente scritta a favore della dialettica dell’immagine arricchisca da un punto di vista artistico l’opera d Oshimi, è altrettanto vero che, in termini di tempo di lettura – per quanto meditativa essa possa essere – si riscontra un deficit importante. Sarebbe stato più interessante vedere un approfondimento maggiore del personaggio di Tokiwa e del suo rapporto con il protagonista, a sottolineare in modo più marcato il cambiamento scaturito dal superamento del Takao-simil-Baudelaire, in favore del vero Takao.
Rimpianti a parte, guardandolo nel suo insieme, “Aku no Hana” inizia come buon fumetto e cresce lentamente fino a diventare, nelgli ultimi volumi, un piccolo capolavoro, capace di coinvolgere, trasportare e far riflettere su tematiche delicate che, verosimilmente, hanno riguardato da vicino ogni adolescente, presente o passato.