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I prodotti metatestuali mi hanno sempre intrigato, a maggior ragione in un ambito che amo come l’universo ota... - ehm - della cultura POPolare giapponese applicata all’editoria, l’animazione e ai giochi elettronici.
Un anime che illustra come questa cultura nasce, si costruisce e poi si riversa in un prodotto specifico (a proposito, sono sempre stato affascinato dalle visual novel), non poteva avere dei presupposti di partenza migliori. Lo step successivo era saggiare come questi presupposti si sarebbero radicati in un contesto di buon livello sia a livello tecnico che di contenuto editoriale, e ammetto che “Saenai Heroine no Sodatekata ♭” ha superato di gran lunga la prova.

Fanservice: fanservice, benedetto/maledetto fanservice. In “Saenai Heroine no Sodatekata ♭” c’è e si vede, ma - mi permetto di dirlo - ci doveva essere/si doveva vedere perché, volente o nolente, è ormai un tratto inscindibile dell’attuale cultura editoriale nipponica. I puristi se ne facciano una ragione.
Personalmente il fanservice non dà fastidio, anzi lo trovo piacevole se non è troppo forzato. Difetti del genere esistono anche in “Saenai Heroine no Sodatekata ♭”, ma si annacquano con il fluire degli episodi, restando infine sullo sfondo e non in posizione dominante.

Storia: in maniera distaccata, si potrebbe affermare che la storia non è un granché o, meglio, è pensata per gli addetti ai lavori. Ma noi fan siamo addetti ai lavori in un certo senso, quindi il dibattito si sposta su un piano diverso, cioè se questa storia ci fa provare il brivido e la sensazione di essere partecipi e autori di un prodotto di cui normalmente usufruiamo come utenti finali. I ritmi, le dinamiche e l’organizzazione di un club di doujinshi erano gli elementi essenziali per capire se la storia avesse centrato l’obiettivo. Ebbene, per me l’obiettivo è stato centrato. Mi sono sentito coinvolto dall’incedere del progetto quasi fosse mio, e ho metaforicamente brindato alla sua riuscita.

Personaggi: il mio giudizio positivo non sarebbe stato tale senza il fondamentale apporto dei personaggi, utilizzati sapientemente anche per canzonare certi stereotipi otaku e, in un certo senso, fare un po’ di autocritica (mitica Utaha senpai). In generale, al di là di Kato, la più originale di tutte, le eroine principali hanno rispecchiato i diversi cliché caratteriali a cui siamo abituati, ma facendolo consapevolmente (più volte si dichiarano tsundere, yandere, ecc.) ci hanno dato modo di riderci su. Tomoya, infine, interpreta senza infamia la parte dell’otaku conteso, fornendo comunque un buon approfondimento di sé e della sua crescita da fan ad autore di quel mondo.

Disegni e character design hanno dato una marcia in più a questo bel racconto. L’A-1 per me ha fatto veramente un ottimo lavoro, esteticamente tra i migliori degli ultimi anni. Una bellezza ‘tecnica’ che sicuramente contribuisce a innalzare il voto totale.