Recensione
Slam Dunk
9.5/10
Il primo anno del nuovo millennio se ne sta andando. Sono le ore 20, tempo di cenare. Ti appropri del telecomando prima dei tuoi genitori, evitando quindi la lagna ancora incomprensibile ed indifferente del TG. Ti sintonizzi sull'8, MTV, una rete che per quel poco che capivi all'epoca arrivavi a considerare ribelle, trasgressiva, pop e naive in ogni suo aspetto ed in ogni suo programma. Santiddio, un presentatore ha i rasta. Mamma, papà, c'è "Slam Dunk", io non ci sono per nessuno per la prossima mezz'ora.
Questo susseguirsi di azioni sarà noto e nostalgico per chi come me sta per scavallare la soglia dei trenta. E per chi, all'epoca, come il sottoscritto era un cestista in erba che sbavava vedendo il proprio sport in tv. "Slam Dunk" è stato una pietra miliare nella mia educazione all'animazione giapponese ed un grande stimolo per portare avanti il mio percorso di crescita sportivo. Terminato tra l'altro malamente ed a metà della sua durata ponderata, in analogia a quanto successo alla serie anime, ma questo è un altro discorso.
Per quanto l'Io nostalgico ed ormai grigio tenda ad associare ai ricordi della propria infanzia un peso specifico maggiore e quindi una migliore qualità assoluta, la rilettura di "Slam Dunk" mi ha portato ad un'analisi critica ed oggettiva del prodotto, riuscendo ad isolare le emozioni e valutando in base ad una maggiore coscienza personale e non con il metro di giudizio del malinconico attaccato al proprio passato.
Il grosso pregio di "Slam Dunk" è quello di non farti pesare troppo certe situazioni fuori dall'ordinario grazie ad un ritmo incalzante. Le gesta dei giocatori, le loro capacità sovrumane e le loro dimensioni incredibili, passano quasi in secondo piano nonostante siano sempre ben presenti e palesi. La foga degli eventi, il susseguirsi di canestri rimbalzi e stoppate, non ti fanno pesare assolutamente le scelte secondo alcuni discutibili dell'autore. Sono giapponesi e sono alti due metri? Si, vabbè, però mi godo lo stesso quanto disegnato. Si susseguono le partite, gli allenamenti, gli acquisti di scarpe ed i sipari più o meno comici e più o meno emotivi, ma non c'è una volta che ci si ritrovi a pensare alle incongruenze. O almeno, questo è quel che è capitato a me.
Ancora, Inoue riesce a proporre una narrazione ben sorretta da un contesto personale ed emotivo senza però intricarla troppo e renderla pesante. Il passato dei giocatori e delle squadre in generale è ben gestito, non risulta troppo persistente ed ingombrante. Si parla di basket, si da un contesto agli atleti, ma senza far passare in secondo piano lo sport. Un bilanciamento a mio parere perfetto e ben misurato.
Ancora, la scelta di non terminare il prodotto scadendo nel consueto. Gli atleti dello Shohoku avranno il loro momento di gloria, ma non sarà quello che tutti noi ci aspettiamo. I ragazzi quindi restano umani: non supereroi divini scesi dal cielo, non divinità eteree capaci di scatenare l'apocalisse con uno schiocco di dita, ma esseri umani con limiti, ambizioni, infortuni, emozioni. E' probabilmente questo l'aspetto che ho preferito oggi del manga, il fatto che si sia optato per una scelta controcorrente riuscendo a rendere i protagonisti più vicini a noi tutti, atleti e non, alle prese con gli insuccessi della vita quotidiana.
Una piccola pecca, però, gli va trovata. "Slam Dunk" forse meritava qualcosa di più in termini romantici. Ho detto prima che merito dell'autore è stato non uscire troppo dal tema sportivo; sembrerà un controsenso, ma la mia indole più romantica mi porta a dire che forse si poteva osare di più in questo senso. O quantomeno, questo è quello che avrei preferito io, immedesimato nelle vesti del tensai in crescita costante.
Tiriamo le somme. "Slam Dunk" infiamma ed emoziona proprio come il basket vissuto o visto. E' veloce, rapido da leggere, rapisce ed appassiona, è intenso ed emozionante. Il "fattore nostalgia" davvero non conferisce un peso differente al manga perchè in maniera oggettiva si tratta di un prodotto difficile da non apprezzare. Personalmente lo ritengo tutt'ora sul podio dei prodotti sportivi dell'animazione, un connubio perfetto tra disegni, caratterizzazione dei personaggi, vicende, rappresentazione dello sport.
Ed ora basta, lasciatemi crogiolare nell'oceano di ricordi emersi dalla memoria. Si accendono le luci, si illumina un parquet, si sente il vociare del pubblico, "kimi ga suki da to sakebitai"...
Questo susseguirsi di azioni sarà noto e nostalgico per chi come me sta per scavallare la soglia dei trenta. E per chi, all'epoca, come il sottoscritto era un cestista in erba che sbavava vedendo il proprio sport in tv. "Slam Dunk" è stato una pietra miliare nella mia educazione all'animazione giapponese ed un grande stimolo per portare avanti il mio percorso di crescita sportivo. Terminato tra l'altro malamente ed a metà della sua durata ponderata, in analogia a quanto successo alla serie anime, ma questo è un altro discorso.
Per quanto l'Io nostalgico ed ormai grigio tenda ad associare ai ricordi della propria infanzia un peso specifico maggiore e quindi una migliore qualità assoluta, la rilettura di "Slam Dunk" mi ha portato ad un'analisi critica ed oggettiva del prodotto, riuscendo ad isolare le emozioni e valutando in base ad una maggiore coscienza personale e non con il metro di giudizio del malinconico attaccato al proprio passato.
Il grosso pregio di "Slam Dunk" è quello di non farti pesare troppo certe situazioni fuori dall'ordinario grazie ad un ritmo incalzante. Le gesta dei giocatori, le loro capacità sovrumane e le loro dimensioni incredibili, passano quasi in secondo piano nonostante siano sempre ben presenti e palesi. La foga degli eventi, il susseguirsi di canestri rimbalzi e stoppate, non ti fanno pesare assolutamente le scelte secondo alcuni discutibili dell'autore. Sono giapponesi e sono alti due metri? Si, vabbè, però mi godo lo stesso quanto disegnato. Si susseguono le partite, gli allenamenti, gli acquisti di scarpe ed i sipari più o meno comici e più o meno emotivi, ma non c'è una volta che ci si ritrovi a pensare alle incongruenze. O almeno, questo è quel che è capitato a me.
Ancora, Inoue riesce a proporre una narrazione ben sorretta da un contesto personale ed emotivo senza però intricarla troppo e renderla pesante. Il passato dei giocatori e delle squadre in generale è ben gestito, non risulta troppo persistente ed ingombrante. Si parla di basket, si da un contesto agli atleti, ma senza far passare in secondo piano lo sport. Un bilanciamento a mio parere perfetto e ben misurato.
Ancora, la scelta di non terminare il prodotto scadendo nel consueto. Gli atleti dello Shohoku avranno il loro momento di gloria, ma non sarà quello che tutti noi ci aspettiamo. I ragazzi quindi restano umani: non supereroi divini scesi dal cielo, non divinità eteree capaci di scatenare l'apocalisse con uno schiocco di dita, ma esseri umani con limiti, ambizioni, infortuni, emozioni. E' probabilmente questo l'aspetto che ho preferito oggi del manga, il fatto che si sia optato per una scelta controcorrente riuscendo a rendere i protagonisti più vicini a noi tutti, atleti e non, alle prese con gli insuccessi della vita quotidiana.
Una piccola pecca, però, gli va trovata. "Slam Dunk" forse meritava qualcosa di più in termini romantici. Ho detto prima che merito dell'autore è stato non uscire troppo dal tema sportivo; sembrerà un controsenso, ma la mia indole più romantica mi porta a dire che forse si poteva osare di più in questo senso. O quantomeno, questo è quello che avrei preferito io, immedesimato nelle vesti del tensai in crescita costante.
Tiriamo le somme. "Slam Dunk" infiamma ed emoziona proprio come il basket vissuto o visto. E' veloce, rapido da leggere, rapisce ed appassiona, è intenso ed emozionante. Il "fattore nostalgia" davvero non conferisce un peso differente al manga perchè in maniera oggettiva si tratta di un prodotto difficile da non apprezzare. Personalmente lo ritengo tutt'ora sul podio dei prodotti sportivi dell'animazione, un connubio perfetto tra disegni, caratterizzazione dei personaggi, vicende, rappresentazione dello sport.
Ed ora basta, lasciatemi crogiolare nell'oceano di ricordi emersi dalla memoria. Si accendono le luci, si illumina un parquet, si sente il vociare del pubblico, "kimi ga suki da to sakebitai"...