Recensione
20th Century Boys
8.5/10
Recensione di erika zago
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Scrivo questa recensione successivamente alla lettura di “Disegnare, disegnare a più non posso”, una lunga intervista a Naoki Urasawa che ripercorre tutte le sue opere. Dopo aver letto l’approfondimento riguardante quest’opera, ho deciso di rileggerla con un occhio nuovo e una nuova consapevolezza.
In quest’intervista l’autore spiega come quest’opera sia un modo per chiedere scusa alle nuove generazioni, rovinate dalle vecchie che hanno vissuto la loro infanzia piene di sogni e speranze durante il Boom economico della fine degli anni 60’, degli eterni bambini influenzati dalla cultura pop, gli anime e i kaiju. Mentre negli 90’ (il momento in cui inizia il racconto) quello che rimane è una recessione economica, la paura degli attacchi terroristici e la nascita di nuove sette religiose.
Kenji uno dei personaggi principali su cui ruotano la maggior parte delle vicende è la rappresentazione di tutto questo, un bambino nato nell’epoca d’oro con grandi sogni e speranze, si ritrova a proseguire l’attività di famiglia, un piccolo negozietto che fatica ad andare avanti, i suoi vecchi sogni di diventare un grande chitarrista sono andati in frantumi da quando il suo gruppo si è sciolto e sua sorella è scappata di casa lasciando sua figlia alle sue cure. Ormai non frequenta più i suoi vecchi amici e la maggior parte dei suoi ricordi d’infanzia sono andati persi.
Un giorno viene a sapere del presunto suicidio di uno dei suoi vecchi amici d’infanzia e incredulo comincia ad indagare per conto proprio, portando a galla molti dei suoi perduti ricordi d’infanzia che incredibilmente potrebbero portare alla distruzione dell’umanità.
20th century boys è l’opera che più di tutte elogia la nostalgia, si vede che Naoki Urasawa ci ha riversato tutto il suo amore per la musica e gli anni d’oro della sua infanzia, ma allo stesso tempo è anche un’ammonizione per tutte quelle persone che vivono nel passato e non riescono ad accettare il presente, vivendo di ricordi che potrebbero non corrispondere più alla realtà, ma ad una visione idilliaca e distorta degli anni che non potranno mai più rivivere.
E’ senza dubbio anche quella più coinvolgente, dopo “Monster” quest’autore si riconferma il numero uno nella costruzione di thriller e gialli, sembra sempre di guardare un film, costruisce la scena perfettamente e le scene d’azione sono realizzate in maniera magistrale, tanto da far rimanere col il fiato sospeso. Tutto questo ha portato l’opera ha raggiungere un punto di suspence altissimo, forse troppo alto, era inevitabile che la conclusione non sarebbe mai stata degna, anche per un abile autore come Naoki Urasawa.
Come in molti manga di quest’autore, il protagonista non è uno solo ma si sposta di personaggio in personaggio, raccontando tutto un mondo di avvenimenti. Penso che sia uno dei pochissimi che riesce a gestire una tale moltitudine di personaggi ed è incredibile come riesce a renderli tutti ben riconoscibili, non ci si scorda di nessuno di loro. Questo è anche uno dei suoi pochi difetti, il voler approfondire dettagliatamente tutti questi personaggi rende le sue opere interminabili, tanto che alla fine ci vorranno parecchi numeri per chiudere tutte le sottotrame. Altro punto dolente di quest’opera, per quanto mi riguarda, è l’ultimo salto temporale (dal 2015 si passa al terzo anno dell’era dell’amico), dopo 16/17 volumi in cui sembrava che la storia stesse per concludersi, ecco l’ennesimo colpo di scena e l’ennesimo salto temporale che in quel punto mi ha un po’ demoralizzato. E’ vero che nell’ultima parte del manga c’è il grande ritorno dell’eroe, però dover capire di nuovo da zero cosa è successo al mondo e che fine hanno fatto tutti i personaggi, è stato frustante.
Quando avevo letto per la prima volta quest’opera, ero rimasta totalmente rapita dalla narrazione di Urasawa ma ero rimasta interdetta dal finale, diciamo che non è per tutti e non è di facile comprensione. L’autore stesso ammette di aver costruito quel finale nel modo sbagliato, facendo sì che il lettore desse troppa importanza all’identità dell’amico. Rileggendola anni dopo ho rivissuto sia il turbinio di emozioni che ti dà quest’opera, divorando i volumi uno dietro l’altro, sia tutti i miei dubbi su quell'ultimo arco narrativo, anche se adesso con un maggior approfondimento sull’opera e una maggiore maturità da lettrice, credo di averlo compreso più a fondo, per questo merita un 8,5. In conclusione mi sento di consigliare quest’opera agli amanti dei seinen, thriller e gialli. Non la consiglio a chi vuole approcciarsi ai manga o all’autore, a chi non ama le trame troppo complesse, con troppe sottotrame e troppi flashback.
In quest’intervista l’autore spiega come quest’opera sia un modo per chiedere scusa alle nuove generazioni, rovinate dalle vecchie che hanno vissuto la loro infanzia piene di sogni e speranze durante il Boom economico della fine degli anni 60’, degli eterni bambini influenzati dalla cultura pop, gli anime e i kaiju. Mentre negli 90’ (il momento in cui inizia il racconto) quello che rimane è una recessione economica, la paura degli attacchi terroristici e la nascita di nuove sette religiose.
Kenji uno dei personaggi principali su cui ruotano la maggior parte delle vicende è la rappresentazione di tutto questo, un bambino nato nell’epoca d’oro con grandi sogni e speranze, si ritrova a proseguire l’attività di famiglia, un piccolo negozietto che fatica ad andare avanti, i suoi vecchi sogni di diventare un grande chitarrista sono andati in frantumi da quando il suo gruppo si è sciolto e sua sorella è scappata di casa lasciando sua figlia alle sue cure. Ormai non frequenta più i suoi vecchi amici e la maggior parte dei suoi ricordi d’infanzia sono andati persi.
Un giorno viene a sapere del presunto suicidio di uno dei suoi vecchi amici d’infanzia e incredulo comincia ad indagare per conto proprio, portando a galla molti dei suoi perduti ricordi d’infanzia che incredibilmente potrebbero portare alla distruzione dell’umanità.
20th century boys è l’opera che più di tutte elogia la nostalgia, si vede che Naoki Urasawa ci ha riversato tutto il suo amore per la musica e gli anni d’oro della sua infanzia, ma allo stesso tempo è anche un’ammonizione per tutte quelle persone che vivono nel passato e non riescono ad accettare il presente, vivendo di ricordi che potrebbero non corrispondere più alla realtà, ma ad una visione idilliaca e distorta degli anni che non potranno mai più rivivere.
E’ senza dubbio anche quella più coinvolgente, dopo “Monster” quest’autore si riconferma il numero uno nella costruzione di thriller e gialli, sembra sempre di guardare un film, costruisce la scena perfettamente e le scene d’azione sono realizzate in maniera magistrale, tanto da far rimanere col il fiato sospeso. Tutto questo ha portato l’opera ha raggiungere un punto di suspence altissimo, forse troppo alto, era inevitabile che la conclusione non sarebbe mai stata degna, anche per un abile autore come Naoki Urasawa.
Come in molti manga di quest’autore, il protagonista non è uno solo ma si sposta di personaggio in personaggio, raccontando tutto un mondo di avvenimenti. Penso che sia uno dei pochissimi che riesce a gestire una tale moltitudine di personaggi ed è incredibile come riesce a renderli tutti ben riconoscibili, non ci si scorda di nessuno di loro. Questo è anche uno dei suoi pochi difetti, il voler approfondire dettagliatamente tutti questi personaggi rende le sue opere interminabili, tanto che alla fine ci vorranno parecchi numeri per chiudere tutte le sottotrame. Altro punto dolente di quest’opera, per quanto mi riguarda, è l’ultimo salto temporale (dal 2015 si passa al terzo anno dell’era dell’amico), dopo 16/17 volumi in cui sembrava che la storia stesse per concludersi, ecco l’ennesimo colpo di scena e l’ennesimo salto temporale che in quel punto mi ha un po’ demoralizzato. E’ vero che nell’ultima parte del manga c’è il grande ritorno dell’eroe, però dover capire di nuovo da zero cosa è successo al mondo e che fine hanno fatto tutti i personaggi, è stato frustante.
Quando avevo letto per la prima volta quest’opera, ero rimasta totalmente rapita dalla narrazione di Urasawa ma ero rimasta interdetta dal finale, diciamo che non è per tutti e non è di facile comprensione. L’autore stesso ammette di aver costruito quel finale nel modo sbagliato, facendo sì che il lettore desse troppa importanza all’identità dell’amico. Rileggendola anni dopo ho rivissuto sia il turbinio di emozioni che ti dà quest’opera, divorando i volumi uno dietro l’altro, sia tutti i miei dubbi su quell'ultimo arco narrativo, anche se adesso con un maggior approfondimento sull’opera e una maggiore maturità da lettrice, credo di averlo compreso più a fondo, per questo merita un 8,5. In conclusione mi sento di consigliare quest’opera agli amanti dei seinen, thriller e gialli. Non la consiglio a chi vuole approcciarsi ai manga o all’autore, a chi non ama le trame troppo complesse, con troppe sottotrame e troppi flashback.